Luigi Pirandello

LIOLÀ

COMMEDIA CAMPESTRE IN TRE ATTI - ATTO PRIMO

PERSONAGGI

Nico Schillaci detto Liolà

Zio Simone Palumbo

Zia Croce Azzara, sua cugina

Tuzza, figlia di zia Croce

Mita, giovane moglie di zio Simone

Càrmina, detta La Moscardina

Comare Gesa, zia di Mita

Zia Ninfa, madre di Liolà

Tre giovani contadine

Ciuzza, Luzza, Nela

I tre cardelli di Liolà: Tinino, Calicchio, Pallino

Altri uomini e donne del contado.

Campagna agrigentina, oggi.

Tettoja tra la casa colonica e il magazzino, la stalla e il palmento della zia Croce Azzara.

In fondo, campagna con ceppi dichidindia, mandorli e olivi saraceni.

Sul lato destro, sotto la tettoja, la porta della casa colonica, un rozzo sedile di pietra e poi il forno monumentale.

Sul lato sinistro, la porta del magazzino, lanestra del palmento e un’altranestra ferrata.

Anelli a muro per legarvi le bestie.

É di settembre, e si schiacciano le mandorle.

Su due panche ad angolo stanno sedute Tuzza, Mita, comare Gesa, Càrmina la Moscardina, Luzza, Ciuzza e Nela.

Schiacciano, picchiando con una pietra la mandorla su un’altra pietra che tengono sul ginocchio.

Zio Simone le sorveglia, seduto su un grosso cofano capovolto.

La zia Croce va e viene.

Per terra, sacchi, ceste, cofani e gusciaglia.

Al levarsi della tela le donne, schiacciando, cantano la "Passione".

CORO:

E Maria dietro le porte

nel sentir le scuriate:

"Non gli date così forte,

sono carni delicate!"

Zia Croce: (venendo dalla porta del magazzino con una cesta di mandorle) Sù, sù, ragazze, siamo alle ultime!

Con l’ajuto di Dio, per quest’anno, abbiamo finito di schiacciare.

Ciuzza: Qua a me, zia Croce!

Luzza: Dia qua!

Nela: Dia qua!

Zia Croce: Se vi sbrigate, farete a tempo per l’ultima messa.

Ciuzza: Eh sì! Che messa più!

Nela: Prima d’arrivare al paese...

Luzza: E poi il tempo per vestirci...

Gesa: Eh già, avete bisogno di pararvi per sentirvi la santa messa?

Nela: Vorrebbe che andassimo in chiesa come alla stalla? Ciuzza: Io, se posso, ci scappo anche così.

Zia Croce: Brave, perdete intanto altro tempo a chiacchierare! Luzza: Su, cantiamo, cantiamo!

E ripigliano a battere e a cantare.

CORO:

"A lui portami, Giovanni!"

"Camminar non puoi, Maria!"

Zio Simone: (interrompendo il coro) E finitela una buona volta con questa "Passione"! State a rompermi la testa da questa mattina. Schiacciate senza cantare!

Luzza: Oh! uso, sa lei, cantare mentre si schiaccia.

Nela: Che vecchio brontolone!

Gesa: Dovrebbe farsi coscienza del peccato che stiamo commettendo per lei a lavorare la santa domenica.

Zio Simone: Per me? Per zia Croce, volete dire.

Zia Croce: Ah sì? Che faccia! Non mi dà requie da tre giorni per queste mandorle che vuol vendere! Chi sa che cosa mi pareva gli dovesse accadere, se non gliele davo subito schiacciate!

Zio Simone: (brontolando, ironico) Saranno la mia ricchezza, difatti.

La Moscardina: Oh, zio Simone, si rammenti che ci ha promesso di darci da bere, com’avremo finito.

Zia Croce: Promesso? patto! State tranquille.

Zio Simone: Ma no, che patto e patto, cugina! Per quattro gusci, dite sul serio?

Zia Croce: Ah, vi tirate indietro? dopo che m’avete fatto chiamar le donne a schiacciar di domenica? No no, cugino: queste cose con me non si fanno.

Rivolgendosi a Mita: Sù, Mita, corri, corri a prendere una bella mezzina di vino per darla a bere qua alla salute e prosperità di tuo marito!

Approvazioni e battimani delle donne, "sì, viva! viva!"

Zio Simone: Grazie, cugina! Vedo che siete davvero di buon cuore!

Zia Croce: (a Mita) Non ti muovi?

Mita: Eh, se non me lo comanda lui...

Zia Croce: Hai bisogno che te lo comandi lui? Non sei padrona anche tu?

Mita: No, zia Croce, il padrone è lui.

Zio Simone: E vi so dire che se l’anno venturo ho un’altra volta la tentazione di comprar frutto in erba, questi occhi - guardate - me li faccio prima cavare!

Ciuzza: Pensa all’anno venturo, adesso!

Luzza: Come se non si sapesse le mandorle, come sono!

Nela: Cariche un anno, e l’altro no!

Zio Simone: Le mandorle, già! Come se fossero soltanto le mandorle! Anche la vigna è tutta presa dal male! E andate a guardar fuori: tutte le cimette degli olivi bruciolate, che fanno pietà!

La Moscardina: Vederlo piangere così, Dio bene detto, ricco com’è! Ha stimato a occhio e ha sbagliato; pensi che, dopo tutto, il suo danno è stato un beneficio per questa sua parente vedova, con la nipote orfana; e ci faccia una croce!

Ciuzza: Danari che restano in famiglia...

Luzza: Se li vuol portare sotterra?

La Moscardina: Avesse figli... - Uh, m è scappata!

Si tura subito la bocca.

Le altre donne restano tutte come basite.

Zio Simone le fulmina con gli occhi; poi, scorgendo la moglie, scarica l’ira su lei.

Zio Simone: (a Mita) Và via, và via, mangia-a-ufo! và via!

E come Mita, avvilita, non si muove, andandole sopra, facendola alzare e strappandola e scrollandola:

Zio Simone: Lo vedi, lo vedi a che servi tu? solo a farmi beccare la faccia da tutti! Và via! Subito a casa, via! O per Cristo, non so davvero che sproposito faccio, stamattina!

Mita va via dal fondo, mortificata, piangendo.

Zio Simone allunga un calcio al cofano su cui stava seduto ed entra nel magazzino.

Zia Croce: (alla Moscardina) Benedetta donna! Non sapete tenere a posto la lingua!

La Moscardina: Lo cava proprio di bocca!

Ciuzza: (con aria ingenua) Ma è forse vergogna per un uomo non aver figliuoli?

Zia Croce: Zitta tu! Questi non son discorsi in cui possano metter bocca le ragazze.

Nela: Segno che Dio non ha voluto dargliene.

Luzza: E perché allora se la piglia con la moglie?

Zia Croce: Oh insomma, la smettete? Andate, andate a schiacciare!

Ciuzza: Abbiamo finito, zia Croce.

Zia Croce: E allora andate pei fatti vostri!

Le tre ragazze s’appartano in fondo, attorno a Tuzza che non ha aperto bocca e se n’è stata tutta ingrugnata.

Cercano d’attaccar discorso con lei; ma Tuzza le respinge con una spallata.

Allora, prima l’una e poi l’altra, pian pianino s’accostano ad ascoltare ciò che dicono di là tra loro la zia Croce, comare Gesa e comare Càrmina e poi lo vanno a riferire alle altre due che ne ridono, ammonendole con cenni di non farsi sentire.

Zia Croce: Ah care mie, m’ha fatto la testa com’un pallone! L’ho qua, tutto il santo giorno; e sempre, dalla mattina alla sera, con questa lima -

La Moscardina: - del figlio che non gli nasce? O come vuole che gli nasca?

Gesa: Bastasse piangere per farlo nascere!

Zia Croce: No, piange - siamo giuste - piange per la roba; tanta bella roba che, alla sua morte, andrebbe a finire in mano d’altri. Non se ne sa dar pace!

La Moscardina: E lo lasci piangere, zia Croce! Finché lui piange, lei ha motivo di ridere, mi pare!

Zia Croce: Dite per l’eredità? Non ci penso nemmeno, comare mia! Siamo, di parenti, più di quanti capelli ho in capo.

La Moscardina: Ma sempre, o poco o molto, secondo il grado della parentela, una parte ne toccherà anche a lei, no? Me ne duole per vostra nipote, zia Gesa, ma la legge è legge: se non ci son figli, la roba del marito -

Gesa: - se la carichi in collo il diavolo, e lui con tutta la sua roba! Volete che ne muoja, per questa roba, la mia nipote? Povera anima di Dio, disgraziata da quand’è nata; lasciata in fasce dalla madre e a tre anni orfana anche di padre! Me la son cresciuta io, Dio sa come! Vorrei vedere se avesse almeno un fratello! Non la tratterebbe così ve l’assicuro io! Per miracolo non se la pesta sotto i piedi: avete veduto!

Si mette a piangere.

La Moscardina: Vero, povera Mita! Chi l’avrebbe detto, quattr’anni fa! Parve a tutti una fortuna questo suo matrimonio con zio Simone Palumbo!

Mah! "Sono belle le prugne e le cerase" (se poi, manca il pane...).

Zia Croce: Ah no, piano! Vorreste dire che in fin dei conti non è stata una fortuna per Mita? Lasciamo andare!

Brava ragazza, Mita, non nego; ma via, neppure in sogno avrebbe potuto aspettarsi di divenir moglie di mio cugino!

Gesa: Vorrei sapere però, cara zia Croce, chi lo pregò suo cugino di prendersi in moglie mia nipote. Io no davvero; e Mita tanto meno.

Zia Croce: Lo sapete anche voi che la prima moglie di zio Simone fu una vera signora -

La Moscardina: - e la pianse, bisogna dire la verità, la pianse tanto, quando gli morì!

Gesa: Già! Per tutti i figli che seppe fargli!

Zia Croce: Che figli volete che gli facesse quella poverina! Era così (mostra il mignolo) e teneva l’anima coi denti! Non potete negare che, rimasto vedovo, partiti per riammogliarsi non gliene sarebbero mancati! A cominciare da me, mia figlia, se me l’avesse chiesta, gliel’avrei data. Non volle mettere al posto della morta nessun’altra del nostro parentado e nemmeno del nostro paraggio. Prese vostra nipote soltanto per averne un figlio, non per altro.

Gesa: Scusi, che intende dire con questo? Che manca forse per mia nipote?

A questo punto Luzza, accostandosi per ascoltare, nel voltarsi per far segno alle compagne, sbatte contro la zia Croce che si volta e la spinge sulle furie contro quelle che gridano e ridono.

Zia Croce: Càzzica, che ficchina! V’ho detto di tenervi discoste, pettegole che non siete altro!

La Moscardina: (ripigliando il discorso) Bella, prosperosa, Mita: una rosa veramente: vende salute!

Zia Croce: Questo non vorrebbe dire. Tante volte...

Gesa: Oh! dice sul serio, zia Croce? Ma li metta accanto, santo Dio; e sfido chiunque a dire per chi possa mancare tra i due!

Zia Croce: Scusate, se strepita tanto per avere un figlio, è segno, mi pare, che sa di poterlo avere.

Si starebbe zitto, altrimenti!

Gesa: Ringrazii Dio che mia nipote è onesta, e la prova perciò non si può fare!

Ma stia certa, zia Croce, che neppure una santa del paradiso reggerebbe ai maltrattamenti di questo vecchiaccio, ai raffacci che le fa davanti a tutti.

Maria Vergine stessa, vedendosi cimentata così, griderebbe: "Ah, tu vuoi davvero un figlio da me? E tieni qua che te lo faccio!".

La Moscardina: Ah, non sia mai, Signore!

Gesa: (riprendendosi subito) Ma chi, mia nipote?

La Moscardina: Sarebbe un peccato mortale!

Gesa: Prima a terra la testa, che fare una cosa simile, la mia nipote!

La Moscardina: Ragazza d’oro, se ce n’è, savia da piccola, non offendendo i meriti di nessuno.

Zia Croce: Io non l’ho mai negato.

Ciuzza: (dal fondo, vedendo passare davanti la tettoja zia Ninfa con Tinino, Calicchio e Pallino) Oh, ecco la zia Ninfa coi tre cardelli di Liolà!

Luzza e Nela: (battendo le mani) La zia Ninfa! La zia Ninfa!

Ciuzza: (chiamando) Tinino!

Tinino accorre e le salta in braccio.

Luzza: (chiamando) Calicchio!

Calicchio accorre e le salta in braccio.

Nela: (chiamando) Pallino!

Pallino accorre e le salta in braccio.

Zia Ninfa: Per carità, ragazze, lasciateli stare! Mi hanno fatto girar la testa come un arcolajo. E vedete a che ora mi son ridotta per andare a sentirmi la santa messa!

Ciuzza: (a Tinino) A chi vuoi bene tu?

Tinino: A te!

E la bacia.

Luzza: (a Calicchio) E tu, Calicchio?

Calicchio: A te!

E la bacia.

Nela: (a Pallino) Pallino, e tu?

Pallino: A te!

E la bacia.

La Moscardina: I figli del lupo nascono coi denti!

Gesa: Povera zia Ninfa, mi sembra la chioccia coi pulcini!

Zia Ninfa: Tre poveri figliolucci innocenti, senza mamma...

La Moscardina: E ringrazii Dio che son tre! Col principio che ha, di tenersi tutti quelli che le donne gli scodellano - sono tre? - potrebbero esser trenta!

Zia Croce: (indicando con gli occhi le ragazze) Piano, oh, comare!

La Moscardina: Non dico nulla di male. Si vede anzi ch’è di buon cuore.

Zia Ninfa: Ne vuole una covata, dice; insegnare a tutti a cantare; e poi, in gabbia, portarseli a vendere al paese.

Ciuzza: In gabbia, tu, Tinino, come un cardellino? E sai cantare?

La Moscardina: (carezzando i capellucci di Pallino) Il figlio di Rosa la Favarese?

Zia Ninfa: Chi, Pallino? Se vi dicessi che non lo so più nemmeno io? Ma no, mi sembra Tinino il figlio di Rosa.

Ciuzza: No no, Tinino no! È figlio mio, Tinino!

Gesa: Sì! Staresti fresca, se fosse vero.

Zia Ninfa: (risentendosi) O perché?

La Moscardina: Moglie di Liolà?

Zia Ninfa: Non dovreste dirlo, comare Càrmina: che se c’è un ragazzo amoroso e rispettoso, è mio figlio Liolà.

La Moscardina: Amoroso? E come! Cento ne vede e cento ne vuole.

Zia Ninfa: Segno che ancora non ne ha trovata una – e guarda con intenzione Tuzza - quella che dev’essere. Via, via, lasciatemene andare, ragazze!

S’accosta a Tuzza.

Zia Ninfa: Che hai, Tuzza, non ti senti bene?

La Moscardina: Ha il broncio da questa mattina, Tuzza.

Tuzza: (sgarbata) Non ho nulla, non ho nulla!

Zia Croce: La lasci stare, zia Ninfa: ha avuto la febbre stanotte.

Gesa: Vengo con lei, zia Ninfa, se qua non c’è più altro da fare.

La Moscardina: Ci arriverete per la messa delle signore, al paese!

Zia Ninfa: Per carità, non mi parlate della messa delle signore! Sapete che domenica scorsa non me la son potuta vedere? Tentazione del diavolo. Gli occhi mi andarono ai ventagli delle signore; mi misi a guardare quei ventagli e non potei più vedermi la messa.

Ciuzza: Perché? Che vide in quei ventagli?

Luzza: Dica! Dica!

Zia Ninfa: Il diavolo, figliuole mie! Come se mi si fosse seduto accanto per farmi notare come si facevano vento le signore. State a vedere.

Siede e tutte le fanno cerchio.

Le signorine da marito, così:

Fa il gesto di scuotere fitto fitto il ventaglio, e dice precipitosamente, accompagnando il gesto, impettita:

"L’avrò! l’avrò! l’avrò! l’avrò! l’avrò!" Le signore maritate, così:

Muove la mano con grave, placida soddisfazione:

"Io ce l’ho! io ce l’ho! io ce l’ho!" Mentre le povere vedove:

Muove la mano con sconsolato abbandono, dal petto al grembo:

"L’avevo e non l’ho più! l’avevo e non l’ho più! l’avevo e non l’ho più!"

Ridono tutte.

E avevo un bel farmi la santa croce, non riuscii a scacciare quella tentazione.

Ciuzza, Luzza e Nela: (a coro, facendosi vento con le mani come se fossero ventaglini) Oh bella, sì! L’avrò! l’avrò! l’avrò! l’avrò! l’avrò!

La Moscardina: Ih, come sono contente, guardàtele!

A questo punto, da lontano, si ode la voce di Liolà che ritorna col carretto dal paese, cantando.

Canto di Liolà:

Ventidue giorni e più che non ti vedo;

come un cagnolo alla catena abbajo...

Gesa: Oh, ecco Liolà che torna col carretto.

Ciuzza, Luzza e Nela: (correndo sul davanti della tettoja coi bambini in braccio) Liolà! Liolà! Liolà!

E così gridando festosamente, con le mani gli fanno cenno d’accostarsi.

Zia Ninfa: Giù, ragazze, giù a terra questi bambini: se no, davvero non mi farà più arrivare alla messa quel matto!

Liolà: (entrando, vestito da festa con un abito di velluto verde, giacchetta a vita e calzoni a campana; in capo un berrettino a barca, all’inglese, con due nastrini che gli pendono dietro) Ih, le han già bell’e trovate le mamme questi ragazzi! Ma tre, troppe!

Mettendo a terra prima Tinino, poi Calicchio e infine Pallino: E questo è LI, e questo è O, e Là e tutt’e tre che fanno LIOLÀ:!

Mentre le ragazze ridono e battono le mani, s’accosta alla madre.

E lei, come? ancora qua?

Zia Ninfa: No, ecco, vado, vado...

Liolà: Dove? Al paese, a quest’ora? Eh via! Non pensi più alla messa per oggi. - Zia Croce, benedicite!

Zia Croce: Santo, e fatti in là, figlio!

Liolà: In là? E se mi volessi accostare?

Zia Croce: Prenderei il matterello e te lo sbatterei in testa.

Ciuzza: (approvando) Per farne uscire il sangue pazzo, sì sì!

Liolà: Ci avresti gusto tu, eh? ci avresti gusto se mi facesse uscire dalla testa il sangue pazzo?

L’afferra per chiasso.

Luzza: e Nela: (afferrando lui per difendere la compagna) Oh, giù le mani! giù le mani!

La Moscardina: Che matto! Lasciatelo, ragazze! Non vedete come s’è parato?

Ciuzza: Uh già, di gala! Perché?

Luzza: Che galanteria!

Nela: Di dov’è sbarcato quest’Inglese?

Liolà: (pavoneggiandosi) Sono bello, sì o no? Mi faccio sposo! Ciuzza: Con quale diavola dell’inferno?

Liolà: Con te, bellezzina, non mi vuoi?

Ciuzza: Foco e pece, Signore, piuttosto!

Liolà: E allora con te, Luzza! Via, se per davvero ti volessi...

Luzza: (impronta) Non ti vorrei io!

Liolà: Ah no? Luzza: (pestando un piede) No.

Liolà: Fate le sdegnose perché sapete che non vi voglio, nessuna delle tre: altrimenti, appena un soffio, soffia così, e volereste! Ma che volete che me ne faccia di tre farfalline come voi? Un pizzicotto, una spremutina; e sarebbero anche sprecati! Non fate per me.

Regina di bellezza e di valore

dev’essere colei che avrà potere

di mettermi a catena mente e cuore.

Ciuzza, Luzza e Nela: (battendo le mani) Evviva, evviva Liolà! Un’altra! Un’altra, Liolà!

Gesa: Le sfila come una corona!

La Moscardina: Un’altra, sù! Non ti far pregare!

Le ragazze: Sì sì, un’altra! un’altra!

Liolà: Eccomi qua! Non mi son mai fatto pregare!

Ai suoi tre cardelli, mettendoseli attorno:

Attenti, vojaltri.

Ho per cervello

un mulinello:

il vento soffia e me lo fa girare.

Con me, gira il mondo, e pare

gira e pare

gira e pare

gira e pare un carosello.

Intona un motivo di danza e gira intorno battendo i piedi e le mani in cadenza, coi tre bambini che gli saltano attorno; poi si ferma e riprende:

Oggi per te mi struggo, m’arrovello

sembro uscito di cervello;

ma tu domani, cara comare,

non m’aspettare,non m’aspettare.

Ho per cervello un frullo,

un mulinello,

il vento soffia e me lo fa girare.

Motivo di danza e balletto dei bambini c. s.

Le ragazze ridono e battono le mani; la zia Croce, invece, si mostra seccata.

La Moscardina: E bravo! Così la vuoi trovare la regina?

Liolà: E chi vi dice che non l’abbia già trovata, e che lei non sappia perché rido e canto così? Fingere è virtù; e chi non sa fingere non sa regnare.

Zia Croce: Basta, basta, ragazzi! Finiamola adesso, che ho tanto qua da rassettare!

La Moscardina: E il patto, scusi, con zio Simone? Deve darci da bere!

Zia Croce: Che bere più, scordàtevelo! Dopo quello che v’è scappato di bocca!

La Moscardina: Oh quest è bella! Lo sai, Liolà, perché non vuol più darci da bere, zio Simone? Perché gli ho detto che non ha figli a cui lasciare l’eredità!

Ciuzza: Vedi un pò se questa è una ragione!

Liolà: Lasciate fare a me.

Va alla porta del magazzino e chiama: Zio Simone! Zio Simone! Venga qua! Ho una buona notizia per lei.

Zio Simone: (uscendo dal magazzino) Che vuoi, pezzo d’imbroglione?

Liolà: Hanno messo una legge nuova, fatta apposta per noi. Dico, per alleggerire le nostre popolazioni. Stia a sentire. Chi ha una troja che gli fa venti porcellini, è ricco, non è vero? Se li vende; e più porcellini gli fa, più ricco è. E così una vacca; quanti più vitellini gli fa. Consideri ora un pover’uomo con queste donne nostre che Dio liberi, appena uno le tocca, patiscono subito di stomaco. È una rovina, no? Bene, il Governo ci ha pensato. Ha messo la legge che i figli, d’ora in poi, si possono vendere. Si possono vendere e comprare, zio Simone. E io, guardi, gli mostra i tre bambini, posso aprir bottega.

Vuole un figlio? Glielo vendo io. Qua, questo.

Ne prende uno.

Liolà: Guardi com’è bello in carne! Tosto! tosto! Pesa venti chili! Tutta polpa! Prenda, prenda, lo soppesi! Glielo vendo per niente: per un barile di vino cerasolo!

Le donne ridono, mentre il vecchio, urtato, si schermisce.

Zio Simone: Vàttene, finiscila, ché non mi piace scherzare su queste cose!

Liolà: Le pare ch’io scherzi? Le dico sul serio! Se lo compri, se non ne ha; e finisca di star così, con le penne tutte arruffate come un cappone malato!

Zio Simone: (sulle furie, tra le risate delle donne) Lasciatemene andare, lasciatemene andare, se no, davvero, per Cristo, non so più quello che faccio!

Liolà: (trattenendolo) Nossignore, stia qua, e non s’offenda! Siamo tutti buoni vicini, una covata di zotici; una mano lava l’altra! Io sono prolifico; lei, no...

Zio Simone: Ah, io no? Tu lo sai, è vero? Te lo vorrei far vedere!

Liolà: (fingendosi spaventato) A me, far vedere? No, Dio liberi! Vuol far vedere il miracolo?

Spingendogli avanti ora l’una ora l’altra delle tre ragazze: Si provi con questa, ecco! Con questa! O con quest’altra!

Zia Croce: Ohé, ohé, ragazzi! dove siamo? Finiamola con questo scherzo che non mi piace!

Liolà: Niente di male, zia Croce. Siamo in campagna: c’è chi abita in sù, c’è chi abita in giù: zio Simone abita in giù: vecchierello: flaccido, lasco: se gli dànno una ditata, gli resta il segno.

Zio Simone: (avventandosi con la mano levata) Ah, pezzo di catapezzo, aspetta che te lo lascio io il segno!

Liolà, di sfaglio, si schermisce, e zio Simone sta per cadere.

Liolà: (sorreggendolo per il braccio) Eh eh, zio Simone, beva vino ferrato!

Ciuzza, Luzza e Nela: Che cos'è, che cos'è il vino ferrato?

Liolà: Che cos’è? Si prende un pezzo di ferro, s’arroventa, si ficca dentro un bicchiere di vino, e giù!

Fa miracoli.

Ringrazii Dio, zio Simone, che ancora non lo spossessano.

Zio Simone: Mi dovrebbero anche spossessare?

Liolà: E come no? Anche questa legge possono mettere domani. Scusi. Qua c’è un pezzo di terra. Se lei la sta a guardare senza farci nulla, che le produce la terra? Nulla. Come una donna. Non le fa figli. Bene. Vengo io, in questo suo pezzo di terra: la zappo; la concimo; ci faccio un buco; vi butto il seme: spunta l’albero. A chi l’ha dato quest’albero la terra? - A me! - Viene lei, e dice di no, che è suo. - Perché suo? perché è sua la terra? - Ma la terra, caro zio Simone, sa forse a chi appartiene? Dà il frutto a chi la lavora. Lei se lo piglia perché ci tiene il piede sopra, e perché la legge le dà spalla.

Ma la legge domani può cambiare; e allora lei sarà buttato via con una manata; e resterà la terra, a cui getto il seme, e là: sfronza l’albero!

Zio Simone: Eh, vedo che la sai lunga tu!

Liolà: Io? No. Non abbia paura di me, zio Simone. Non voglio nulla io. Glielo lascio a lei di lambiccarsi il cervello per tutti i suoi danari e d’andar con gli occhi di qua e di là come le serpi.

Io, questa notte, ho dormito al sereno;

solo le stelle m’han fatto riparo:

il mio lettuccio, un palmo di terreno;

il mio guanciale, un cardoncello amaro.

Angustie, fame, sete, crepacuore?

non m’importa di nulla: so cantare!

canto e di gioja mi s’allarga il cuore,

è mia tutta la terra e tutto il mare.

Voglio per tutti il sole e la salute;

voglio per me le ragazze leggiadre,

teste di bimbi bionde e ricciolute

e una vecchietta qua come mia madre.

Abbraccia e bacia la madre, mentre le ragazze, commosse, battono le mani; poi, voltandosi alla zia Croce:

Liolà: Via, via, che altro c’è da fare, zia Croce? Trasportare le mandorle schiacciate nel magazzino di zio Simone? - Pronti! - Ragazze, avanti, sbrighiamoci, ché poi zio Simone ci darà da bere!

Entra nel magazzino, poi, dalla porta si mette a caricare sulle spalle delle donne i sacchi pieni di mandorle.

Liolà: Sotto, a chi tocca!

Qua a te, Nela! Via!

Qua, Ciuzza! Via!

A te, Luzza! Via!

Qua a voi, Moscardina, coraggio!

A lei questo piccolino, zia Gesa!

E questo ch’è il più grosso di tutti me lo carico io!

Sù, andiamo, ragazze! Andiamo, zio Simone!

Zio Simone: (a zia Croce) Ritornerò più tardi a portarvi i danari, cugina.

Zia Croce: Non vi date fretta, cugino: me li darete col vostro comodo.

Liolà: (a zia Ninfa) Lei mi venga dietro coi bambini, ché uno, è certo, glielo venderemo.

S’avvia con le donne e con zio Simone; quando tutti sono usciti, torna indietro.

Liolà: M’aspetti un pò, zia Croce; tornerò per dirle una cosa.

Zia Croce: A me?

Tuzza scatta in piedi, rabbiosamente.

Liolà: (voltandosi a guardarla) O che ti prende?

Zia Croce: (voltandosi anche lei a guardare la figlia) Già. Che significa?

Liolà: Niente, zia Croce. Sarà stato un crampo. Non ci faccia caso. Ritornerò di qui a poco.

Via per il fondo, col sacco in ispalla.

Tuzza: (subito, con rabbia) Badi che non lo voglio! non lo voglio! non lo voglio!

Zia Croce: (restando) Non lo vuoi? Che dici?

Tuzza: Vedrà che verrà a chiederle la mia mano. Non lo voglio!

Zia Croce: Sei pazza? E chi te lo vuol dare? Ma dimmi un pò: come può aver l’ardire, lui, di venire a chiedermi la tua mano?

Tuzza: Se le dico che non lo voglio! Non lo voglio!

Zia Croce: Rispondi a me, scellerata: ti sei messa con lui? - Ah, dunque è vero! - Dove? Quando?

Tuzza: Non gridi così, alla vista di tutti!

Zia Croce: Infame! Infame! Ti sei perduta?

Afferrandola per le braccia e guardandola negli occhi: Dimmi! Dimmi! - Vieni dentro! Vieni dentro!

Se la trascina in casa e chiude la porta.

Si sentono dall’interno pianti e grida.

Intanto dalla casa colonica lontana di zio Simone vengono canti e suoni di cembalo.

Poco dopo zia Croce viene fuori tutta sossopra, con le mani nei capelli e, come una pazza, senza sapere ciò che fa, si mette a rassettare sotto la tettoja farneticando.

Zia Croce: Ah Dio, la santa domenica! la santa domenica! E come si farà ora? Io l’ammazzo, io l’ammazzo. Tenétemi le mani, Signore, l’ammazzo! Ha il coraggio di dire che sono io la colpa, svergognata! io, perché m’ero messo in capo di darla in moglie a zio Simone e perché - dice - l’avevo messo in capo anche a lei!

Rifacendosi davanti alla porta: Ma quand’anche fosse vero, era una ragione questa perché tu ti mettessi con quel laccio di forca?

Tuzza: (affacciandosi alla porta, tutta scarmigliata e pesta, ma impronta e fiera) Sì, sì, sì.

Zia Croce: Stai dentro, faccia da galera! Non ti far vedere da me in questo momento, o, com’è vero Dio...

Tuzza: Vuol lasciarmi parlare, sì o no?

Zia Croce: Guardate che faccia! Osa parlare! Osa parlare!

Tuzza: Prima: "Parla! parla!" - tacevo – e lei, pugni e schiaffi; per farmi parlare; ora che voglio parlare...

Zia Croce: Che vuoi dirmi più? Non ti basta quello che mi hai lasciato capire?

Tuzza: Le voglio dire perché mi son messa con Liolà.

Zia Croce: Perché? perché sei una svergognata, ecco perché!

Tuzza: No. Perché quando zio Simone, invece di prendersi me, si prese quella santarella di Mita, io sapevo che questa santarella faceva all’amore con Liolà.

Zia Croce: Ebbene? Che c’entrava più Liolà, dopo che Mita s’era maritata con zio Simone?

Tuzza: C’entrava, perché, dopo quattr’anni dal matrimonio, ancora le girava come una farfalla attorno al lume. Gliel’ho voluto levare!

Zia Croce: Ah, per questo?

Tuzza: Sì, per questo! Quante cose doveva avere quella morta di fame? Non bastava il marito ricco? Anche l’amante festoso?

Zia Croce: Stupida! Stupida! E non capisci che così hai fatto il tuo danno soltanto? Ora non ti resta più che di maritarti -

Tuzza: (subito) - che? io, con quello? io, un marito che sarebbe mio e di tutte? Fossi matta! Mi contento perduta. Ma sa perché? Perché il mio danno ora posso rovesciarlo addosso a chi me l’ha portato. Rovinata io, rovinata lei. Questo volevo dirle.

Zia Croce: E come? Oh Dio! Mi pare impazzita, mi pare!

Tuzza: Non sono pazza, no! Veda che zio Simone -

Zia Croce: - zio Simone? -

Tuzza: - non è da ora che mi dice d’esser tanto pentito di non avermi preso in moglie in luogo di Mita.

Così dicendo, comincia a rilisciarsi i capelli e rifarsi la pettinatura, mentre gli occhi le s’accendono di malizia.

Zia Croce: Lo so: l’ha detto anche a me. Ma che forse tu...?

Tuzza: (fingendosi inorridita) No, che! io? con mio zio?

Zia Croce: E allora? Che vuoi fare? Io non ti capisco!

Tuzza: Quanti parenti ha zio Simone? Più di quanti capelli abbiamo in capo, non è vero? E le mostra i capelli che ora sta a intrecciare. E figli, nessuno. Bene. Non poté essere prima; potrà essere ora.

Zia Croce: (trasecolata) Vorresti dargli a intendere che il figlio...?

Tuzza: No, non intendere! Non ce ne sarà bisogno. Mi butterò ai suoi piedi; gli confesserò tutto.

Zia Croce: E poi?

Tuzza: E poi darà lui a intendere agli altri, e prima di tutti alla moglie, che il figlio è suo. Gli basterà averlo così, pur di prendersi questa soddisfazione.

Zia Croce: Tu sei il diavolo! Tu sei il diavolo! Vuoi far credere a tutti...?

Tuzza: Persa per persa, ora che il male me lo son fatto con quello...

Zia Croce: (subito, interrompendo) Via, via dentro, via dentro: eccolo qua che viene con Liolà!

Tuzza, subito, dentro.

Zia Croce: Ah, Madonna mia, come farò a reggere ora? come farò?

Prende la scopa e si mette a scopare tutti i gusci delle mandorle rimasti per terra, fingendosi in gran faccende.

Liolà: (entrando con zio Simone) Dia, dia i danari a sua cugina, zio Simone, e se ne vada, perché ho da parlare io, ora, a zia Croce.

Zia Croce: Tu? E chi sei tu, che comandi così a mio cugino d’andarsene? Qua, per tua norma, mio cugino è come a casa sua. Entrate, entrate, cugino: di là c’è Tuzza.

Zio Simone: Posso darli a lei i danari?

Zia Croce: Se volete; e se no, è lo stesso. Siete il padrone, e potete fare tutto quello che vi piacerà. Entrate, e lasciatemi sentire ciò che mi vuol dire questo matto.

Zio Simone: Non gli date retta, cugina: vi farà girar la testa, come l’ha fatta girare a me. è matto davvero!

Entra nella casa colonica, e zia Croce ne richiude la porta.

Liolà: (quasi tra sé) Eh sì: lo sto vedendo...

Zia Croce: Che dici?

Liolà: Niente. Le volevo fare un discorsetto; ma che so! mi pare... mi pare che non ce ne sia più bisogno. Lei dice che son matto; zio Simone dice che son matto; e sto proprio vedendo che avete ragione tutt’e due! Si figuri che gli volevo vendere un figlio! Un figlio, a lui! Lo vuole gratis; e mi pare che abbia già bell’e trovata la via, d’averlo gratis.

Zia Croce: Che dici? che stai farneticando?

Liolà: Ho visto sua figlia Tuzza springare un palmo da terra appena le dissi che volevo tornare a parlarle...

Zia Croce: Me ne sono accorta anch’io. E con questo?

Liolà: Ora vedo che lei fa entrare in casa con tanti vezzi e moìne zio Simone che se ne sta qua dalla mattina alla sera...

Zia Croce: Hai comandi da dare tu in casa mia, se zio Simone entra, se esce?

Liolà: Nessun comando, zia Croce. Sono venuto soltanto per fare il mio dovere. Non voglio che si dica che sia mancato per me.

Zia Croce: Quale sarebbe, sentiamo, questo tuo dovere?

Liolà: Ecco: glielo dico subito. Ma già lei lo sa. Non sono uccello di gabbia, zia Croce. Uccello di volo, sono. Oggi qua, domani là: al sole, all’acqua, al vento. Canto e m’ubriaco; e non so se m’ubriachi più il canto o più il sole. Con tutto questo, eccomi qua: mi taglio le ali e vengo a chiudermi in gabbia da me. Le domando la mano di sua figlia Tuzza.

Zia Croce: Tu? Eh, vedo che proprio sei uscito di cervello. Mia figlia? Vuoi ch’io dia mia figlia a uno come te?

Liolà: Dovrei ringraziarla, zia Croce, e baciarle la mano per questa risposta. Ma badi che sua figlia me la deve dare: non per me; per lei.

Zia Croce: Mia figlia? Guarda: piuttosto che darla a te, io la mando alla forca. Hai capito? Alla forca. - O non ti basta, dì, aver rovinato tre povere ragazze?

Liolà: Eh via, la smetta, zia Croce, che non ho mai rovinato nessuno, io!

Zia Croce: Tre figli! Ti son nati soli? Tu sei come quelle serpi che impastojano le vacche!

Liolà: Si stia zitta, ché lo sa bene come e da chi mi son nati quei figli! Lo sanno tutti! - Ragazzotte di fuorivia. - Male è forzare una porta ben guardata; ma chi va per una strada aperta e battuta... Ognuno, anzi, le so dire, non si sarebbe fatto scrupolo di buttar da un lato col piede ogni intoppo per queste strade. Io no. Tre povere creaturine innocenti... Stanno con mia madre, e non darebbero impiccio, zia Croce.

Maschietti, quando cresceranno, lei lo sa, per la campagna, quante più braccia c’è, più ricchi siamo. Sono buon massajo: garzone, giornante; mieto, poto, falcio fieno; fo di tutto e non mi confondo mai: sono, zia Croce, come un forno di pasqua, e potrei mantenere tutto un paese.

Zia Croce: Bravo, ragazzo mio: vedi ora a chi devi andare a tenerlo, codesto bel discorso: con me, non attacca.

Liolà: Zia Croce, non mi dica così. Badi che, infamità, come non voglio farne io a nessuno, così non voglio che ne facciano gli altri, servendosi di me! Desidero che me lo dica sua figlia, in presenza di zio Simone, che non mi vuole.

Zia Croce: Non ti vuole! Non ti vuole! Me l’ha detto lei stessa, qua, or è poco! Detto e ripetuto. Non ti vuole!

Liolà: (tra sé, stringendosi il labbro con due dita) Ah, dunque è vero?

Fa per lanciarsi alla porta: ma zia Croce lo previene e gli si para davanti: restano un momento a guardarsi negli occhi.

Liola: Zia Croce!

Zia Croce: Liolà!

Liolà: Voglio che me lo dica Tuzza, ha capito? Tuzza con la sua bocca, e davanti a zio Simone!

Zia Croce: E dàlli! Non ha più nulla da dirti Tuzza. Te lo sto dicendo io, e basta così! Vàttene, vàttene via, che sarà meglio per te.

Liolà: Ah sì, per me, certo; ma non sarà meglio per un’altra: lei m’intende! Badi che non le verrà fatta, zia Croce!

Le mette un braccio sotto il naso: Annusi!

Zia Croce: Vàttene, che vuoi che annusi?

Liolà: Non ne sente l’odore?

Zia Croce: Sì, della malacarne che sei!

Liolà: No, del guastafeste che sono! Non perdo per una mischiata mal fatta, io, se lo tenga bene in mente! Per ora mi prendo questa boccata di paglia, e la saluto.

Zia Croce: Sì, sì, bravo, tira via, tira via, e statti lontano, lontano.

Liolà: (masticando tra i denti, ridacchiando e pigliandola alla larga per passare davanti alla porta di Tuzza, canta e, dopo ogni verso, sghignazza)

Ora com’ora, nessun ci fa caso (ah ah ah)

Rischi, se sali, di romperti il muso (ah ah ah)

E resterai con un palmo di naso (sghignazzata più lunga)

Liolà: A rivederla, zia Croce!

Via dal fondo.

Zia Croce resta sopra pensiero.

Poco dopo, la porta della casa colonica è aperta e ne vengono fuori zio Simone e Tuzza: questa, disfatta dal pianto (finto o vero), quello, turbato e costernato.

Restano un pezzo in silenzio, perché zia Croce avrà fatto loro, subito, cenno di tacere.

Zio Simone: (domandando piano) Che ha detto? Che voleva?

Voce di Liolà: (in lontananza) E resterai con un palmo di nasòòò...

Zio Simone: (a Tuzza) Ah! Con lui? Tuzza si nasconde la faccia tra le mani. Ma... ma dimmi: lo sa?

Tuzza: (subito) No no, non sa nulla! Non lo sa nessuno!

Zio Simone: Ah, bene. A zia Croce: Solo a questo patto, cugina: che non lo sappia nessuno! E il figlio - è mio!

Voce di Liolà: (da più lontano) E resterai con un palmo di nasòòò...

Tela

Inizio pagina

IL TEATRO DI PIRANDELLO - 1916

"LIOLÀ"

COMMEDIA CAMPESTRE IN TRE ATTI - ATTO SECONDO

N' Sicilianu

Parte del casale.

A sinistra, quasi a metà della scena, la rustica casupola di Gesa.

Se ne vede il davanti, e, di sguincio, il lato manco.

Sul davanti è una porticina che dà sull’orto, riparato lateralmente, cioè dallo spigolo della casa fino al proscenio, da una siepe di rovi secchi, con un passaggio in mezzo, a mò di rastrello.

Nel lato manco della casupola si vede un’altra porta, che è quella di strada.

Nel lato destro della scena, la casa di Liolà, con porta e due finestre.

Tra la siepe dell’orto e la casa di Liolà è una straducola di campagna.

Al levarsi della tela Gesa è seduta nell’orto, intenta a sbucciare patate, con un grosso colapasta di stagno tra le gambe.

I tre ragazzi di Liolà le stanno attorno.

Gesa: Sei bravo davvero, tu Pallino?

Pallino: Bravo, sì.

Calicchio: Anch io!

Gesa: Anche tu?

Tinino: E anch’io! anch’io!

Gesa: Ma chi più, di voi tre?

Pallino: Io, io!

Calicchio: No, io! io!

Tinino: No, no, io! io! io!

Gesa: Tutt’e tre, tutt’e tre! Bravi a un modo tutti e tre! Pallino però è il più grandicello, non potete negarlo! E dunque, tu Pallino, dì un pò: sapresti andare a cogliermi là - là, vedi?

indica un punto nell’orto, alla sua destra, fuori scena: - tre cipolline?

Pallino: Sì, sì.

Fa per correre.

Gesa: Aspetta!

Calicchio: Anch’io! anch’io!

Tinino: Anch io!

Gesa: Buoni, buoni, una cipollina per uno! una per uno! Vi condurrà Pallino.

Tutt’e tre: (correndo al punto indicato) Sì, sì, sì.

Gesa: Piano! Tre sole! Bravi, così, così! Basteranno!

I tre ragazzi ritornano, ciascuno con una cipollina in mano.

Gesa: Ah, è proprio vero, tutt’e tre bravi allo stesso modo.

A questo punto dalla casa di Liolà si sente la voce di zia Ninfa che chiama con un verso che dev’esserle abituale.

Voce di Zia Ninfa: Pallino, Calicchio, Tinino.

Gesa: Sono qua con me, zia Ninfa, stia tranquilla.

Zia Ninfa: (mostrandosi alla porta) Appiccicati a voi come le mosche! Venite dentro, subito dentro!

Gesa: Li lasci stare, zia Ninfa: non mi dànno fastidio. Anzi, m’ajutano.

Zia Ninfa: Se vi dànno fastidio, cacciàteli via!

Gesa: Non dubiti, con me stanno quieti come tre tartarughine.

Zia Ninfa: Così va bene.

Rientra in casa.

Gesa: Altrimenti, papà, appena di ritorno... - dite un pò: che fa, che fa, papà?

Pallino: (serio serio) C’insegna a cantare.

Gesa: E non vi suona anche sul culetto, se non siete buoni e fate dannar la nonna?

Dal fondo della straducola sopravviene Ciuzza che si ferma e s’affaccia alla siepe.

Ciuzza: Per piacere, zia Gesa, avrebbe da prestare a mia madre uno spicchietto d’aglio?

Gesa: Sì, vieni, vieni dentro, Ciuzza,

indica alle sue spalle l’uscio di casa: và pure a prenderlo da te.

Ciuzza: (spingendo il rastrello ed entrando) Grazie, zia Gesa. Li ha sempre qua con lei questi ragazzi? Carini! Chi non vorrebbe far loro da mamma?

Gesa: Eh, tu con tutto il cuore, m’immagino!

Ciuzza: Dico, per carità, badiamo, zia Gesa!

Gesa: Ah, certo! Per carità! chi può metterlo in dubbio?

Ciuzza: Mi dica intanto una cosa. Liolà...

Sopravvengono dal fondo della straducola Luzza e Nela, che s’affacciano anch’esse alla siepe.

Luzza: Zia Gesa, ci vuole? Uh, guarda, c’è anche Ciuzza!

Gesa: (Ecco le altre due!)

Nela: Siamo venute per ajutarla, zia Gesa! Sta a sbucciar le patate?

Gesa: Volete ajutarmi? Dio vi benedica, come siete massaje! Pare che ci sia il vischio in quest’orticello. Entrate, entrate pure. Non è ancora tornato però.

Allude maliziosamente a Liolà.

Nela: (fingendo di non capire) Chi, zia Gesa?

Gesa: Chi? Mózzica il ditino!

Luzza: (sedendo sulle calcagna davanti a Gesa) Dia, dia qua, ho il coltellino: l’ajuto a sbucciare.

Gesa: Ma non così! Sù, Pallino, và a prendere una seggiola!

Nela: Vado io, vado io, zia Gesa!

Va e ritorna con tre seggiole.

Gesa: Così, belle, tutt’e tre sedute qua, e solo per ajutar me! Non vorrei intanto che tua madre, Ciuzza, stia ad aspettare quello spicchietto d’aglio!

Ciuzza: No, che! Le serve per stasera.

Gesa: Eh, mi pare che sia già sera! - Fate conto ch’è qua.

Allude di nuovo a Liolà.

Ciuzza: (fingendo anche lei di non capire) Chi, zia Gesa?

Gesa: Il gatto! - Mózzica il ditino anche tu!

Luzza: Intende Liolà?

Gesa: Maliziosa, io; non lo sai?

Ciuzza: Le volevo domandare, zia Gesa, se è vero che Tuzza della zia Croce non ne ha voluto sapere.

Gesa: (fingendo di non capir lei, questa volta) Sapere, di chi?

Luzza: (mentre le altre ridono). Ah, lo mózzichi lei, ora, il ditino!

Nela: Io ho sentito dire che è stata la madre: zia Croce.

Luzza: Lei non ne sa nulla?

Ciuzza: Ma no, dicono che è stata proprio lei, Tuzza.

Nela: Tuzza? Ma se... si tura la bocca - via, non mi fate parlare!

Luzza: Ma lui, Liolà, che ne dice? Lo vorremmo sapere!

Gesa: Lo volete sapere da me? Andate a domandarlo a lui!

Ciuzza: Per me ci avrei un gusto!

Luzza: Ah, anch’io!

Nela: E anch io, anch io!

Ciuzza: Gli pareva che tutte le donne, appena con la mano faceva così, si sarebbero buttate dalle finestre a terra per lui!

Gesa: Vojaltre no, nessuna delle tre!

Luzza: Chi lo calcola?

Ciuzza: Chi lo cerca?

Nela: Chi lo vuole?

Gesa: Eh, si vede!

Luzza:Perché ora siamo qua a domandarle...?

Nela: Siamo qua perché vorremmo sentire come lo fa cantare il dispetto!

Luzza: Deve friggere, friggere, me l’immagino!

Luzza: Che fa, canta? canta?

Nela: Dica, dica, zia Gesa! Canta?

Gesa: (turandosi le orecchie) O oh! ragazze! che volete da me? Là c’è zia Ninfa: domandatelo a lei, se canta o non canta!

Zia Ninfa, come chiamata, si mostra su l’uscio.

Zia Ninfa: Che cos’è? avete nel giardino le cicale, comare Gesa?

Luzza, Ciuzza e Nela: (subito confuse: a un tempo)

- Niente, niente, zia Ninfa!

- Buona sera, zia Ninfa!

- (Uh, guarda, era là!)

Gesa: Altro che cicale, mi pajono tre vespe, zia Ninfa, si sono attaccate a me per sapere...

Luzza, Ciuzza e Nela: - No, niente!

- Non è vero!

- Non è vero!

Gesa: - ma sì! se Liolà canta per dispetto, perché Tuzza della zia Croce Azzara non l’ha voluto per marito.

Zia Ninfa: Mio figlio? Chi l’ha detto?

Luzza, Ciuzza e Nela: - Lo dicono tutti!

- E per esser vero è vero!

- Non lo neghi, zia Ninfa!

Zia Ninfa: Io non ne so nulla! Ma, ammesso che sia vero, Tuzza ha fatto bene, e meglio ha fatto zia Croce sua madre, se non ha voluto dargliela. Madre io, non dico una figlia, ma neppure una cagna vorrei affidare a uno come mio figlio Liolà! Che che! Guardàtevene, ragazze!

Tutti i più neri peccatacci li ha lui! Come dal diavolo dovete guardarvene! E poi, con tre creaturine qua... - Sù, sù, piccini, a casa! a casa!

A questo punto dal fondo della straducola si sentono le grida della Moscardina che viene tutta scalmanata con le mani in aria.

La Moscardina: Gesù! Gesù! Che cose! Cose da non credersi! Non c’è più dov’arrivare!

Ciuzza: Uh, la Moscardina! Sentite come grida?

Luzza: Che avete?

Nela: Perché gridate così?

La Moscardina: (entrando nell’orto) Che rovina! Che rovina, comare Gesa, in casa di vostra nipote!

Gesa: (balzando in piedi) Mia nipote? Che le è accaduto? Parlate!

La Moscardina: Fa come una Maria, con le mani nei capelli!

Gesa: Perché? Perché? Ah, Madre di Dio! Lasciatemi andare! Lasciatemi andare!

Via di corsa per la straducola, voltando e scomparendo a manca.

Le altre: (a una voce) Che è accaduto a Mita? Parlate! Ch’è stato?

La Moscardina: Zio Simone, suo marito -

Le guarda, e non aggiunge altro.

Quelle: (subito, incitandola) - Ebbene? - Dite! - Che ha fatto?

La Moscardina: S’è messo con sua nipote!

Luzza, Ciuzza, Nela e Zia Ninfa: (a un tempo)

- Con Tuzza?

- Possibile?

- Oh guarda!

- Gesù, che dite!

La Moscardina: Proprio così! E pare che Tuzza già...

Fa di nascosto a zia Ninfa un certo gesto che lascia intendere: incinta.

Zia Ninfa: (con orrore) Madonna, liberateci!

Luzza, Ciuzza e Nela: Che significa? Che significa?

– Tuzza?

– Che pare?

– Che ha fatto?

La Moscardina: Via, via, ragazze! Non son cose per vojaltre! via!

Zia Ninfa: Ma è certo? è certo?

La Moscardina: Lui stesso, zio Simone, è andato a vantarsene con la moglie!

Zia Ninfa: Ha avuto questa impudenza?

La Moscardina: Sì: ch’era vero che non mancava per lui; e che se avesse preso in moglie sua nipote, a quest’ora, non uno, tre figli avrebbe potuto avere!

Ciuzza: (a zia Ninfa) Ma scusi, non se la diceva con suo figlio Liolà Tuzza fino a jeri?

Zia Ninfa: T’ho detto che non ne so nulla!

La Moscardina: Oh, zia Ninfa, non facciamo storie! Lo negherebbe? O davvero si vuol bere che zio Simone da sé...? Madre e figlia d’accordo, hanno messo il vecchio nel sacco!

Zia Ninfa: Che che! che che!

La Moscardina: Calunnia?

Zia Ninfa: Che c’entri mio figlio, sì!

La Moscardina: Zia Ninfa, le mani mi farei tagliare, prima l’una e poi l’altra!

Ciuzza: Anch’io!

Luzza: Anch’io!

Nela: Lo sanno tutti!

Zia Ninfa: Tutti, e io no!

La Moscardina: Perché lei non vuol saperlo, lasciamo andare!

Luzza: Oh, ecco qua Mita! Ecco qua Mita con sua zia!

Mita, tutta scarmigliata e in pianto, viene giù per la straducola insieme con zia Gesa che grida correndo dal fondo alla siepe e dalla siepe di nuovo al fondo, con le mani sui fianchi, mentre nell’orto le donne confortano Mita.

Gesa: Figlia mia! Figlia mia! Dio lo deve fulminare! Le mani, le mani addosso ha osato metterle, vecchiaccio assassino! vecchiaccio scellerato! Per giunta, le mani addosso! L’ha afferrata per i capelli, strascinata per casa, pezzo da galera! Via! Via! Lasciatemi andare al paese! La consegno qua a voi, buone vicine! Vado a ricorrere alla giustizia! In galera, in galera!

La Moscardina: Fate bene! Sì, sì, andate, andate dal delegato!

Zia Ninfa: No, che delegato! Da un avvocato, piuttosto! Date ascolto a me.

Gesa: Da tutt’e due, vado! In galera, vecchiaccio scomunicato! Ha avuto la tracotanza di dire che il figlio è suo, com’è vero che il sangue di Gesù Cristo è nel calice della santa messa!

Zia Ninfa: (turandosi gli orecchi) Oh Dio, che cose!

Gesa: E in galera anche quelle due infamacce, madre e figlia! Sgualdrine! - Lasciatemi andare! Ci arriverò di notte al paese: non importa; andrò a dormire da mia sorella. Tu sei qua a casa tua, Mita, tra queste buone vicine. Ti chiudi bene di qua e di là. Io vado. In galera! in galera... scellerato... sgualdrine...

E, così gridando, scompare in fondo alla straducola.

La Moscardina: Separata, avrai diritto al mantenimento, non ti confondere!

Zia Ninfa: Ma che separata! Che dite! Gliela vorresti dar vinta? Tu sei e devi restare la moglie!

Mita: Ah no, basta! basta! Con lui non torno più; ne può esser certa! Neanche se m’ammazzano.

Zia Ninfa: E non capisci che van cercando proprio questo?

La Moscardina: Eh già: andare a spadroneggiare madre e figlia, in casa del vecchio e far mangiare l’aglio a tutti gli altri parenti!

Mita: Volete dunque che mi lasci pestare sotto i piedi? No, no! Non ho più nulla da spartire con lui, adesso, zia Ninfa! Ha avuto da un’altra ciò che desiderava, e ora mi vorrebbero morta, tutt’e tre!

La Moscardina: Morta? È una parola! C’è la legge, cara! Tua zia è corsa al paese.

Mita: Che legge e legge! Quattr’anni che peno! Ma sapete ch’è arrivato a gridarmi in faccia? Che non dovevo arrischiarmi a dir male di sua nipote! Sì. Perché sua nipote, dice, è una ragazza onesta!

Zia Ninfa: Onesta? Così t’ha detto?

La Moscardina: È incredibile! È incredibile!

Ciuzza, Luzza e Nela: Onesta oh! onesta!

Mita: Così! Così! Perché s’è messa con lui; e che lui le lascerà tutto, dice; perché gli ha dato la prova, dice, che non mancava per lui, ma per me; e che la legge, anzi, dovrebbe trovarci il rimedio, per un pover’uomo a cui tocchi d’imbattersi in una donna come me! Ah zia Ninfa, me lo diceva il cuore di non prendermelo! E non me lo sarei preso, se non ero -

La Moscardina: - senz’ajuto, povera orfana, è vero! –

Mita: - alle spalle di mia zia, a cui non potei dir di no! Ero tanto tranquilla e contenta, qua, in questa casuccia, in quest’orticello. Lei lo può dire, zia Ninfa. Sotto i suoi occhi. Ma Dio penserà a castigare chi m’ha fatto questo tradimento.

La Moscardina: (risoluta) Bisogna che Liolà parli, zia Ninfa.

Zia Ninfa: E dàlli con Liolà! La volete finire di nominare mio figlio?

La Moscardina: Oh, ragazze, ditelo voi se non è vero!

Ciuzza, Luzza e Nela: Sì sì, è vero! è vero! è stato lui! è stato lui!

Mita: Io so che Liolà mi voleva bene, quando stavo qua, zia Ninfa. Che colpa ho io se, soggetta com’ero, ho dovuto maritarmi con un altro?

Zia Ninfa: Ma puoi credere sul serio che Liolà te l’abbia fatto per dispetto, dopo quattr’anni?

La Moscardina: Questo no, non lo credo neanch’io. Ma se è un galantuomo, Liolà ora deve andare a gridare in faccia a quel vecchiaccio scomunicato l’inganno di quelle due schifose, madre e figlia, per rovinare questa povera donna! Ecco quello che deve fare, se è un uomo di coscienza, suo figlio, zia Ninfa! Svergognare quelle due mfamacce e sventare questa trama a danno d’una povera innocente!

S’è fatta sera.

Si sente la voce di Liolà che ritorna a casa cantando.

La voce di Liolà:

tutti gli amici miei me l’hanno detto

l’uomo che prende moglie resta sotto...

La Moscardina: Ah, eccolo qua che torna cantando! Ora gli parlerò io! Glielo dirò io!

Ciuzza, Luzza: e Nela: (sporgendosi dalla siepe e chiamando) Liolà! Liolà! Liolà!

Zia Ninfa: Vieni, vieni qua, figlio mio!

La Moscardina: Qua, Liolà!

Liolà: (alla Moscardina) Agli ordini! Poi, alle ragazze: Oh, le colombelle!

La Moscardina: Lascia le colombelle! Vieni qua. Guarda chi c’è: Mita!

Liolà: Oh, Mita... Che cos’è?

La Moscardina: È che ti devi far di coscienza, Liolà! Qua Mita piange per colpa tua!

Liolà: Per colpa mia?

La Moscardina: Sì; per ciò che hai fatto con Tuzza della zia Croce Azzara.

Liolà: Io? Che ho fatto?

La Moscardina: Madre e figlia vogliono dare a intendere a zio Simone che il figlio -

Liolà: - il figlio? che figlio? -

La Moscardina: - ah, lo domandi? quello di Tuzza! -

Liolà: - di Tuzza? che dite? Tuzza è dunque...?

Fa segno per significare: incinta?

Zia Ninfa: Via, ragazze, andate, andate! Fatemi questo piacere!

Luzza: Oh Dio benedetto, sempre con questo: andate, andate...

Ciuzza: E con codesti discorsi che non sono per nojaltre!

Liolà: Veramente non lo capisco neanch’io questo discorso.

La Moscardina: Sì, séguita a far l’ingenuo, l’innocentino! - Insomma, ve n’andate, ragazze? Non posso parlare con vojaltre qua!

Ciuzza: Andiamo, sì, andiamo! Buona sera, zia Ninfa.

Luzza: Buona sera, Mita.

Nela: Buona sera, comare Càrmina.

Liolà: E a me niente? Neanche un salutino?

Ciuzza: Và via, impostore!

Luzza: Malacarne!

Nela: Faccia di bronzo!

Via tutt’e tre per la straducola.

La Moscardina: (subito, di nuovo, risoluta) Il figlio di Tuzza è tuo, Liolà!

Liolà: Eh via, finitela! O l’avete preso davvero come un vizio per queste campagne? Ogni ragazza a cui comincia ad abbondare in bocca la saliva - chi è stato? - Liolà!

La Moscardina: Ah lo neghi?

Liolà: Vi dico di finirla! Io non ne so nulla.

La Moscardina: E perché sei andato allora a domandare a zia Croce Azzara la mano di Tuzza?

Liolà: Ah, per questo? Stavo ancora a sentire come potessi entrarci io!

La Moscardina: Vedi che non neghi più?

Liolà: Ma sì... così per ischerzo... di passata...

La Moscardina: (a zia Ninfa) Lo sente, zia Ninfa? Ora dovrebbe parlargli lei, da madre. Con me, il signorino, se la prende a ridere, mentre c’è qua una povera donna che piange. Ci vuole coscienza! Guàrdala!

Liolà: Eh, lo vedo che piange. Ma perché?

La Moscardina: Perché, dici?

Rivolgendosi a zia Ninfa e pestandon piede: Ma parli lei!

Zia Ninfa: Perché zio Simone... a quanto pare...

La Moscardina: (Oh, s’è smossa alla fine!) – A quanto pare? - Le ha messo finanche le mani addosso!

Zia Ninfa: - già, perché dice che di lei non sa più che farsene, ora che il figlio, dice, sta per averlo da sua nipote...

Liolà: Ah! È stato dunque lui, zio Simone? Misericordia! S’è messo con sua nipote?

Zia Ninfa: (indicando Liolà alla Moscardina) Vedete? Mio figlio è sincero. Se fosse come voi dite...

La Moscardina: (senza badarle, rivolta a Liolà) Vorresti farmi ingozzare, tu che non hai voluto mai saperne d’ammogliarti -

Liolà: - io? chi ve l’ha detto? mai saperne? Anzi! Ogni cinque minuti...

La Moscardina: Ah, così, per ridere!

Liolà: No! Con tutto il sentimento! Non è colpa mia, scusate, se poi nessuna donna mi vuole. Mi vogliono tutte, e non mi vuole nessuna. Per cinque minuti, sì, appena mi butto... Dovrebbe correre subito un prete con l’acqua benedetta. Non corre nessuno, e il matrimonio si sconchiude.

Oh guarda guarda, Tuzza dunque... Eh, non c’è che dire, se l’è scelto bene il genero zia Croce! Evviva zio Simone! Gli è venuto fatto dunque!

Gallo è... Vecchio, ma di buon osso, si vede... Eh sfido allora che Tuzza... Con questo bel servizio che aveva apparecchiato qua a Mita...  Bè, pazienza, povera Mita, che vuoi farci?

La Moscardina: (friggendo) Non sai dir altro? Non sai dir altro? - Via! Via! Via! Certe bili ci piglio! Lasciatemi andare! A combattere con certuni che la coscienza se la mettono così sotto i piedi!

E va via rabbiosa con le mani per aria.

Zia Ninfa: Ma è proprio pazza, oh! La coscienza, dice! Signori miei, per forza incornata a credere che sia come sospetta lei!

Liolà: Non se ne curi! Vada, vada piuttosto a mettere a letto queste tre creaturine. Guardi là, Tinino s’è addormentato.

Difatti il bambino, sdrajato a terra supino, s’è addormentato, e gli altri due sonnecchiano seduti.

Zia Ninfa: Uh, già, povero figlio mio... guardalo lì!

Accorre, si china su lui, lo chiama: Tinino... Tinino...

A Liolà: Sù, prendilo, tiralo sù, e dammelo in braccio.

Liolà si cala, fa prima il segno della croce sul bimbo dormente, poi zufola per svegliarlo; ma, vedendo che il bimbo non si sveglia, accenna con la voce la solita arietta di danza, battendo le mani.

Allora Tinino si alza, si alzano anche gli altri due fratellini, e stropicciandosi gli occhi con le manine a pugno chiuso, cominciano a saltare; e, così saltando, tutt’e tre, accompagnati dal padre che séguita a cantare e a battere le mani, entrano in casa.

Mita: (alzandosi) Io entro in casa. Buona notte, zia Ninfa.

Zia Ninfa: Se hai bisogno di me, figliuola mia, appena avrò messo a letto questi piccini, ritornerò qua con te.

Mita: No, grazie. Mi chiuderò per notte. Buona notte anche a te, Liolà.

Zia Ninfa entra in casa.

Liolà: Rimani a dormire qua, questa notte?

Mita: La zia è sù al paese.

Liolà: è andata a ricorrere?

Mita: Ha detto che andava da un avvocato.

Liolà: Davvero, allora, non vuoi più ritornare da tuo marito?

Mita: Non ho più nulla da spartire con mio marito, adesso. Buona notte.

Liolà: Ah, come sei sciocca, Mita!

Mita: Che vuoi, non possiamo esser tutti scaltri come te, Liolà. Vuol dire che per me ci penserà Dio.

Liolà: Dio, già. - Ci dovrebbe pensare. – Ci pensò una volta. Ma per quanto buona tu possa essere, timorata, rispettosa di tutti i santi comandamenti, certo non puoi osare di paragonarti alla Vergine Maria.

Mita: Io? Tu bestemmii!

Liolà: Scusa, se dici che deve pensarci Dio! Come? Per virtù dello Spirito Santo?

Mita: Via! Via! meglio che mi ritiri! Non posso star qua a sentire simili eresie.

Liolà: Eresie... Ti sto dicendo, anzi, che Dio non può ajutarti così...

Mita: Ma non intendevo mica così io!

Liolà: E come, allora? Con le scenate che viene a far qua la Moscardina? o le corse inutili al paese di tua zia? strilli, bastonate, avvocato, delegato, separazione...? oppure, cacciando me di mezzo; mandandomi a gridare in faccia a zio Simone che il figlio di Tuzza è mio? Cose da bambini! cose che potevano venire in mente a te e a me, quando qua, in quest’orticello, giocavamo agli sposi e ogni tanto ci strappavamo i capelli e correvamo a fare i raffronti davanti a tua zia o a mia madre, ti ricordi?

Mita: Mi ricordo sì. Ma non è stata colpa mia, Liolà (L’ho detto or ora a tua madre.) Dio sa dove avevo io il mio cuore, quando sposai...

Liolà: Lo so anch’io, Mita, dove l’avevi. – Ma questo ora non c’entra. Ti sei maritata, non se ne parla più.

Mita: Ne ho parlato, perché m’hai domandato se mi ricordavo...

Liolà: Ora il discorso è un altro. - Tu hai torto e tuo marito ha ragione.

Mita: Io, ho torto?

Liolà: E scusa, non hai perduto... quanti anni? quattro? cinque? - Ecco il tuo torto! – Tuo marito s’è stancato. Sapevi bene, sposando, che ti prendeva in moglie per avere un figlio. Gliel’hai dato questo figlio? No. Aspetta oggi, aspetta domani; alla fine, tanto ha detto, tanto ha fatto, che ha trovato un’altra che glielo darà in vece tua.

Mita: Ma se Dio, a me, questa grazia non ha voluto farmela?

Liolà: E se tu aspetti che piòvano fichi! Lo vorresti sul serio da Dio? Poi dici che bestemmio! Vai vai a domandare a Tuzza, da chi lo sta avendo lei, il figlio.

Mita: Dal diavolo, lei!

Liolà: No. Da zio Simone.

Mita: Dal diavolo! dal diavolo!

Liolà: Da zio Simone.

Mita: Hai il coraggio d’affermarlo anche davanti a me? un’infamia questa, Liolà!

Liolà: Perciò ti dico che sei una sciocca! -

Ripigliando: Guarda: facciamo come dice la Moscardina: vado da zio Simone; anzi, mi lego un campanaccio al collo e mi metto a gridare per tutte le campagne e le strade sù al paese:

Don, don, don! il figlio di zio Simone è mio! Don don don! il figlio di zio Simone è mio!

Chi ci crede? Sì, magari ci crederanno tutti. Ma lui no, lui non ci crederà mai, per la ragione appunto che non ci vuol credere! Vai a convincerlo, se sei buona!

E poi, via, siamo giusti! Ti pare che domani il figlio di Tuzza nascerà con un cartellino in fronte: - Liolà! - Cose cieche anche per la stessa mamma che lo fa!

Neanche se lo scannano, stai sicura, egli crederà che il figlio non è suo! Né io ho il mezzo di farglielo riconoscere per mio! Ma tu stessa, tu stessa, se non sei proprio una sciocca, tu stessa, prima di tutti, devi dirgli ch’è vero.

Mita: Vero, che il figlio è suo?

Liolà: Sì, sì: suo! suo! e che finora non è mancato per lui, ma per te! Tanto è vero che lui sta per averlo da Tuzza, e che, come ora sta per averlo da Tuzza, domani lo potrà avere da te!

Mita: E come?

Liolà: Come? Te lo sto dicendo, come! Come sta per averlo da Tuzza!

Mita: Ah no! questo, no! questo, mai!

Liolà: E buona notte, allora! Statti quieta e non piangere più! a chi vai a ricorrere? Perché te ne scappi? Con chi te la pigli?

Gli altri t’insegnano come si fa, e tu non vuoi seguir l’insegnamento gliela lasci commettere tu a Tuzza l’infamia, non io! Perciò io ho negato e nego!

Per te, per te nego, per il tuo bene, e perché non c’è altro mezzo ora di sventare quest’inganno e quest’infamia! Ah, ti pare che bruci soltanto a te? Dio solo sa quello che ho dovuto ingozzare! Quando andai là, per fare il mio dovere di galantuomo, e sotto i miei occhi quella madraccia infame fece entrare tuo marito dov’era Tuzza - ah! - lo vidi come in un quadro il tradimento; vidi te, Mita, e ciò che doveva venirtene, e giurai a me stesso che non dovevano averla vinta! Mi cucii le labbra. E ho aspettato questo momento! No, no, non deve passare quest’infamia, Mita!

Devi darglielo tu il castigo! Dio stesso te lo comanda! Non deve approfittarsi di me, quell’infame, per rovinarti!

Dicendo queste ultime parole, le cinge la vita.

Mita: (divincolandosi) No, no... lasciami, lasciami... Questo non lo farò mai... no, no, non voglio, non voglio...

Tutt’a un tratto resta sospesa, sgomenta, tendendo l’orecchio: Ah... sss... aspetta! sento camminare... Chi viene?

Liolà: (tirandola verso l’uscio) Entriamo, entriamo subito!

Mita: No, è lui... è lui, sì, mio marito, il suo passo... Scappa, scappa via, per carità!

D’un balzo Liolà è alla porta della sua casa.

Mita corre quatta quatta e si rintana nella casuccia della zia, chiudendo pian piano la porticina.

Si vede comparire dal fondo della straducola zio Simone con un lanternino in mano sospeso a una catenella; s’appressa all’altra porta della casuccia, quella di strada, e bussa a più riprese.

Zio Simone: Zia Gesa! - Zia Gesa! - Aprite; sono io. -

Sentendo dall’interno la voce di Mita: Ah, tu? Apri... Ti dico, apri! - Apri, se no butto la porta a terra!

Niente, devo dirti una cosa. - Sì, sì, me n’andrò; ma prima apri!

La porta si apre e zio Simone entra.

Liolà, dalla sua, allunga il collo a spiare nel bujo della notte e nel silenzio.

Poi si ritrae, sentendo schiudere la porticina che dà sull’orto.

Mita: (uscendo sull’orto e chiamando) Zia Ninfa! Zia Ninfa!

Poi, voltandosi contro il marito che sopravviene dall’interno della casuccia col lanternino in mano: No, v’ho detto no! no! Non vengo! Non voglio più stare con voi! Zia Ninfa! Zia Ninfa!

Zio Simone: Chiami ajuto?

Zia Ninfa: (accorrendo dalla sua casa ed entrando nell’orto) Mita! Mita! Che è? - Ah, voi, zio Simone?

Mita: (riparandosi dietro le sue spalle) Glielo dica lei, glielo dica lei, zia Ninfa, per carità, che mi lasci stare!

Zio Simone: Tu sei mia moglie, e devi venire con me!

Mita: No, no! Non sono più io vostra moglie, no! Andate a cercarla dov’è, vostra moglie, in casa di quella schifosa di vostra cugina!

Zio Simone: Stai zitta, stai zitta, o per Cristo ti faccio sentire di nuovo il peso delle mie mani!

Zia Ninfa: (riparando Mita) Eh via, basta, zio Simone! Lasciatela almeno sfogare, santo Dio!

Zio Simone: Nossignore, si deve star zitta! Che se non ha saputo esser madre, deve sapere almeno esser moglie; senza sporcarsi la bocca dicendo male del mio parentado.

Zia Ninfa: Ma siamo giusti, zio Simone, son pretese le vostre? Le cuoce, poverina, ciò che le avete fatto!

Zio Simone: Non le ho fatto nulla io! Solo il bene le ho fatto, quando la presi dalla strada e la misi a un posto che non si meritava.

Zia Ninfa: Benedett’uomo, e vi par questo il modo di persuaderla a ritornare con voi?

Zio Simone: Ah zia Ninfa, non è vero che avrei mancato di rispetto alla santa memoria di mia moglie, se non era perché non sapevo a chi lasciare la roba!

Tutta la mia roba, fatta a sudori di sangue, all’acqua e al sole!

Zia Ninfa: Sta bene. Ma che colpa ha questa poverina, in nome di Dio?

Zio Simone: Non avrà colpa, ma nemmeno deve darne a chi ora sta facendo ciò che non ha saputo far lei!

Mita: (a zia Ninfa) Lo sente? Zio Simone: Che volete più da me, allora? Andate da chi ve lo sta sapendo fare, e lasciatemi in pace, ché del vostro nome e delle vostre ricchezze io non so che farmene!

Zio Simone: Tu sei mia moglie, t’ho detto; e quella è mia nipote. Ciò che è stato è stato, e non se ne parla più. Io ho bisogno d’una donna che m’assista in casa, zia Ninfa.

Mita: E io, guardate, piuttosto, di notte-tempo, mi butto per le campagne!

Zia Ninfa: Via, lasciatela calmare un pò, zio Simone: il colpo che le avete dato è stato troppo forte. Un pò di pazienza! Vedrete che Mita si calmerà e ritornerà a casa.

Mita: Avrà voglia d’aspettarmi, non ci torno!

Zia Ninfa: venuto fin qua, vedi? per ricondurti a casa; e t’ha detto che ora tutto è finito e che non andrà più dalla zia Croce. Non è vero?

Zio Simone: Non andrò più; ma il figlio, quando nascerà, lo prenderò con me.

Mita: Ecco, lo sta a sentire? E la madre allora verrà a pestarmi in casa!

Zia Ninfa: Ma no, perché?

Mita: Eh, con la scusa che è la madre, potrò chiuderle la porta in faccia? E vuole che sopporti un tale sopruso? O debbo, zia Ninfa, apparecchiar loro anche il letto a casa mia con le mie mani? Ha cuore, dopo questo, di farmi andare ancora con lui?

Zia Ninfa: Io, figliuola mia? Che c’entro io? Non debbo mica tenerti con me! Parlo per il tuo bene.

Zio Simone: Sù, sù, andiamo, ch’è notte!

Mita: No, no! Se non ve n’andate, corro a buttarmi giù dal ponte!

Zia Ninfa: Date ascolto a me, zio Simone, lasciatela qua almeno per questa notte. Con le buone, a poco a poco, si persuaderà e vedrete che domani... domani ritornerà, potete esser certo.

Zio Simone: Ma perché vuol rimanere qua stanotte?

Zia Ninfa: Perché... perché tra l’altro... deve guardar la casa a sua zia, salita al paese –

Zio Simone: - a fare gli atti contro di me?

Zia Ninfa: Eh, via, non badate! Nella prima furia! Andate, andate a dormire, ch’è tardi. Mita ora si chiuderà in casa. A Mita: Và, và prima ad accompagnare tuo marito: chiuderai la porta di là; poi questa; e buona notte. Buona notte anche a voi, zio Simone.

Zio Simone entra per il primo nella casuccia, di menticandosi nell’orto il lampioncino acceso.

Mita, entrando dopo di lui, chiude la porticina.

Zia Ninfa: (attraversando l’orto e la straducola) Mi sembra che zia Gesa abbia raccomandato la pecora al lupo.

Davanti la porta della sua casa si ferma, scorgendo Liolà in agguato, e gli dice piano: Via dentro, via dentro, figlio, non facciamo pazzie...

Liolà: Sss... aspetti... voglio vedere come andrà a finire... Se ne vada, se ne vada a dormire...

Zia Ninfa: Giudizio, figlio, giudizio!

Entra in casa.

Liolà accosta la porta e subito si caccia dentro l’orto, tutto aggruppato, dietro la siepe; sale, cheto e chinato, fino allo spigolo della casuccia e s’apposta impalato contro il muro.

Tutt’a un tratto la porticina si riapre, e Mita, scorgendo Liolà, caccia un grido subito represso e si volta contro il marito per impedirgli il passo.

Mita: V’ho detto no! Andatevene! O chiamo di nuovo zia Ninfa! Andatevene!

Zio Simone: (dall’interno della casuccia) Vado, sì, vado, stai tranquilla!

Mita rientra, lasciando semiaperta la porticina.

E allora, mentre zio Simone esce dalla porta di strada, Liolà, strisciando lungo il muro, entra dalla porticina e subito la richiude.

L’uscita di zio Simone di là e l’entrata di Liolà di qua debbono avvenire contemporaneamente.

Ma zio Simone, appena richiusa la porta di strada, si volta e dice:

Zio Simone: O oh, il lanternino... ho lasciato il lanternino... Che dici? Ah, nell’orto? - Bene bene... ci giro di qua...

Scende per la straducola, entra per il rastrello della siepe nell’orto, prende da terra il lanternino e lo alza per vedere se è acceso bene: Al bujo, per la campagna, Dio liberi, c’è pericolo di rompersi le corna...

E risale lentamente la straducola.

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IL TEATRO DI PIRANDELLO - 1916

"LIOLÀ"

COMMEDIA CAMPESTRE IN TRE ATTI - ATTO TERZO

N' Sicilianu

La stessa scena del primo atto.

È tempo di vendemmia.

Presso la porta del magazzino si vedono ceste e panieri.

Tuzza è seduta sul rustico sedile di pietra e cuce il corredino del bimbo nascituro.

Zia Croce, col "manto" su le spalle e un fazzoletto in capo, viene dal fondo.

Zia Croce: Tutti arricchiti! Non vuol venire nessuno.

Tuzza: Doveva aspettarselo!

Zia Croce: Non sono mica andata a invitarle a sedere a tavola con me! Con la roccia addosso, più sozze del cantone all’uscita del paese, non han neppure paglia per buttarsi a dormire, e sissignori, le chiamo per guadagnarsi un tozzo di pane, a una fa male il braccio, a un’altra la gamba...

Tuzza: Gliel’avevo detto di non andare a pregarle!

Zia Croce: L’invidia, che se le mangia vive; e si fingono sdegnate! Mi tocca intanto salire al paese a far le opere per quattro grappoli d’uva, se non voglio che se li mangino le vespe. Già in ordine il palmento?

Tuzza: In ordine, in ordine.

Zia Croce: Le ceste son qua pronte, pronto tutto, e mi mancano le braccia! Lui solo, Liolà, ha promesso di venire.

Tuzza: Ah, ha voluto proprio incaponirsi a chiamarlo?

Zia Croce: Apposta, sciocca! Per far vedere che non c’è stato nulla.

Tuzza: Ma se ormai lo sanno finanche le pietre!

Zia Croce: Non per lui, a ogni modo, che l’ha sempre negato, e mi costa! Gliene sono grata. Non l’avrei mai creduto! E quando lo nega lui, lascia pur cantare gli altri finché non scoppiano come le cicale!

Tuzza: Va bene. Però io - gliel’avverto – mi chiudo in casa, e non caccio più fuori neanche la punta del naso. Non posso più vedermelo davanti.

Zia Croce: Ora eh? ora non puoi più vedertelo davanti? Forca! Son parecchi giorni intanto che tuo zio non si fa vedere.

Tuzza: Ha mandato a dire che non si sente bene.

Zia Croce: Se c’era lui, a buon conto, mi levava da quest’impiccio della vendemmia. Ma nascerà, nascerà questo figlio! Non mi par l’ora!

Quando l’avrà qua - ora che l’ha riconosciuto per suo davanti a tutti - avrà un bel chiamarselo accanto sua moglie! La sua casa sarà qua. Dove sono i figli è la casa.

A questo punto si presenta davanti la tettoja, ilare e accaldata, la Moscardina.

La Moscardina: permesso, zia Croce?

Zia Croce: Oh, voi Moscardina?

La Moscardina: A servirla. Le annunzio che vengono, sa? Tutte!

Zia Croce: Ah! E ch’è accaduto? Vi vedo così contenta!

La Moscardina: Sì, sì, contenta, sono proprio contenta, zia Croce!

Zia Croce: Ih, e tutta rossa come un peperone! Siete venuta di corsa?

La Moscardina: Corro sempre, io, zia Croce. Sa come si dice? "Gallina che va e gira, col gozzo pieno si ritira". E poi, tempo di vendemmia! Anche loro, le ragazze, vedrà, tutte festanti!

Zia Croce: O come mai? Le ho vedute poco fa con tanto di muso; nessuna voleva venire: e ora sono tutte pronte e festanti?

Tuzza: Se fossi in lei, non vorrei più io, ora, e andrei sù al paese a far la ciurma.

Zia Croce: No. Mi piace anzi che si levi ogni ruggine tra vicine. Di tutta questa allegria, piuttosto, vorrei saper la ragione...

La Moscardina: Ma forse perché han saputo che verrà Liolà. Questo Liolà, creda, zia Croce, è una cosa... una cosa... Pare che abbia fatto lega col diavolo!

Zia Croce: Ne ha combinata qualche altra delle sue?

La Moscardina: Non so. Ma il fatto è che mette nel cuore di tutti l’allegria. Una ne fa e cento ne pensa. E le ragazze, dove c’è lui, vengono contente!

Canta, ecco, lo sente?

Viene cantando con le ragazze e i tre piccini che gli saltano attorno.

La Moscardina: Guardi! Guardi!

Si sente difatti un coro campestre intonato da Liolà.

Poi Liolà entra sotto la tettoja con Ciuzza, Luzza, Nela e altri contadini e contadine e i suoi tre cardelli, e si mette a improvvisare, battendo i piedi in cadenza.

Ullarallà! Pesta bene, tu qua!

Pesta bene, pesta bene, pesta bene,

che più pesti nel tinello

e più forte il vin ti viene!

Più di quello

dell’altr’anno, Liolà!

Ullarallà! Ullarallà!

Ogni maglio,

senza sbaglio,

se tu pesti bene, compare,

un barile te ne farà!

un barile che a berne un sorsetto

a terra mi getto

col male di mare

perché vagellare

la testa mi fa.

Ullarallà! Ullarallà! Ullarallà! Ullarallà!

Liolà: Cara zia Croce, rieccoci qua!

La ciurma ride, salta e batte le mani.

Zia Croce: Ih, che allegria! Davvero festanti siete! Che miracolo è questo?

Liolà: Nessun miracolo, zia Croce. "Chi cerca trova, e chi séguita vince!"

Le ragazze ridono.

Zia Croce: Che vuol dire?

Liolà: Niente. Proverbio.

Zia Croce: Ah sì? E senti allora quest’altro: "Suono e canzoni son cose di vento".

Liolà: (subito) "E il tavernajo vuol esser pagato!"

Zia Croce: giusto! Patti chiari. Faremo come l’altr’anno, eh?

Liolà: Ma sì, non si confonda! Ho detto per farle vedere che sapevo il proverbio e anche il séguito.

Zia Croce: E allora sbrighiamoci, ragazze, prendete le ceste e fate con garbo; non c’è bisogno che ve lo raccomandi.

Liolà: Ho portato i bambini per piluccare qualche acinetto lasciato.

Zia Croce: Purché non s’appendano ai bronconi quando non ci arrivano con le mani!

Liolà: Ah, non c’è pericolo. Educati alla scuola di papà. Il grappolo alto, a cui non s’arriva con la mano, si lascia lì e non gli si dice ch’è acerbo.

Altra risata delle ragazze.

Liolà: Che c’è da ridere? Non sapete la favola della volpe? - Basta. Qua nel palmento è tutto pronto?

Zia Croce: Sì, sì, tutto pronto.

Liolà: (prendendo le ceste e i panieri e distribuendoli alle ragazze e ai giovani) E allora, via, sù, prendete... ecco qua! prendete... E via cantando: Ullarallà! Ullarallà!

Via dal fondo con la ciurma, cantando.

Zia Croce: (gridando loro dietro) Cominciate da giù, ragazze, di filare in filare, salendo a poco a poco! E date un occhio ai piccini!

Poi, a Tuzza: Scendi con loro, rómpiti il collo! Debbo guardarli io sola gl’interessi?

Tuzza: No, no, gliel’ho detto, non vado!

Zia Croce: Chi sa che scempio ne faranno, quell’affamate! Hai visto, intanto, come guardavano? che sfavillìo d’occhi?

Tuzza: Ho visto, ho visto.

Zia Croce: Per quel pazzo!

Guardando fuori, in quel momento, scorge zio Simone: Oh, ecco tuo zio... Ma guarda, butta le gambe come se non fossero sue... Dev’esser malato davvero!

Si presenta sotto la tettoja zio Simone, tutto ingrugnato .

Zio Simone: Cara cugina, buon giorno. Buon giorno, Tuzza.

Tuzza: Buon giorno.

Zia Croce: Non state bene, cugino? Che avete?

Zio Simone: (grattandosi il capo sotto la berretta padovana) Guaj, cugina, guaj.

Zia Croce: Guaj? Che guaj potete avere voi?

Zio Simone: Io no, veramente... anzi, io...

Zia Croce: Sta male forse vostra moglie?

Zio Simone: Eh... dice... dice che... insomma...

Zia Croce: Insomma, che? Parlate; ho fuori le opere e voglio andare a badarle.

Zio Simone: Avete cominciato a vendemmiare?

Zia Croce: Sì, proprio ora.

Zio Simone: Senza dirmene nulla?

Zia Croce: Non vi fate vedere da due giorni!  Mi son pigliate anzi certe bili con tutte queste vipere del vicinato! Non volevano venire, e poi, tutt’a un tratto, chi sa perché, son venute tutte, e ora sono giù con le ceste.

Zio Simone: Sempre con la furia, voi, cugina!

Zia Croce: Io? Furia? Che furia? Le vespe stavano a mangiarsi tutto...

Zio Simone: Non dico soltanto per la vendemmia... dico per altro... dico anche per me... Non so che gusto rompersi il collo per non dar mai tempo al tempo!

Zia Croce: Oh infine, si può sapere che avete dentro? Buttatelo fuori! Vedo che volete pigliarvela con me...

Zio Simone: No, non me la piglio con voi, cugina; con me, me la piglio, con me!

Zia Croce: Per la furia?

Zio Simone: Appunto: per la furia.

Zia Croce: A proposito di che?

Zio Simone: Di che! Vi par poco il peso che porto addosso? venuto jeri a trovarmi mio compare Cola Randisi! -

Zia Croce: - Ah sì, l’ho visto passare di qua. -

Zio Simone: - s’è fermato a parlarvi? -

Zia Croce: - no, ha tirato via di lungo -

Tuzza: - tirano via di lungo tutti, ora, passando di qua!

Zio Simone: Tirano via di lungo, figliola mia, perché la gente, vedendomi qua, si figura... si figura ciò che per grazia di Dio non è, né è stato mai. La coscienza nostra è pulita; ma l’apparenza, purtroppo...

Zia Croce: E va bene, va bene... Lo sappiamo, Zio Simone, e dovevamo immaginarcelo prima, che tutti gl’invidiosi si sarebbero comportati così.

A parlarne, adesso...

A Tuzza: Anche tu, sciocca!

Zio Simone: Eh, ma la faccia, cugina, vengono a beccarla a me tutti quelli che, passando di qua, tirano via di lungo!

Zia Croce: Mi dite, insomma, che diavolo è venu to a dirvi questo vostro compare Cola Randisi?

Zio Simone: venuto a dirmi appunto: "Maledetta la furia!", se volete saperlo. In faccia a mia moglie ha sostenuto che s’è dato il caso d’aver figli, non dopo quattr’anni, ma anche dopo quindici dal matrimonio.

Zia Croce: Oh! Stavo ancora a sentire che abbia potuto dirvi da farvi stare così sopra pensiero! E dite un pò: che gli avete risposto voi? Quindici anni? sessanta, più quindici, quanto fanno? settantacinque mi pare. Cugino a sessanta no; e a settantacinque sì?

Zio Simone: O chi v’ha detto, a sessanta no?

Zia Croce: Eh, il fatto, cugino.

Zio Simone: No, cugina. Il fatto è...

Esita a dire.

Zia Croce: Che è?

Zio Simone: Che a sessanta sì.

Zia Croce: Che?

Zio Simone: Sì, sì. Proprio così.

Zia Croce: Vostra moglie?

Zio Simone: Me l’ha confidato stamattina.

Tuzza: (mangiandosi le mani) Ah! Liolà!

Zia Croce: Ve l’ha fatta!

Tuzza: Ecco perché erano tutte festanti quelle vipere là! "Chi cerca trova, e chi séguita vince!"

Zio Simone: O oh, non andiamo dicendo ora!

Zia Croce: Avreste il coraggio di credere che il figlio è vostro?

Tuzza: Liolà! Liolà! Gliel’ha fatta! Gliel’ha fatta, e me l’ha fatta, assassino!

Zio Simone: Non andiamo dicendo... non andiamo dicendo...

Zia Croce: Ve la siete guardata così la moglie, vecchio imbecille?

Tuzza: E glielo dissi! Cento volte glielo dissi, di guardarsi da Liolà!

Zio Simone: O oh, badate, non vi mettete in bocca Liolà, adesso, perché a mia moglie io le comandai di star zitta quando mi buttò in faccia per te la stessa accusa, ch’era vera!

Zia Croce: E ora, no? non è più vera ora per vostra moglie, vecchio becco?

Zio Simone: Oh! cugina, volete per Cristo che faccia uno sproposito?

Zia Croce: Ma via, levàtevi! Come se non sapessimo -

Zio Simone: - che cosa? -

Zia Croce: - quello che sapete anche voi, e meglio di tutti!

Zio Simone: Io so che qua con vostra figlia non ho avuto mai nulla da spartire: ho fatto un’opera di carità, e nient’altro. Ma, con mia moglie, ci sono stato io, ci sono stato io!

Zia Croce: Sì, quattr’anni senza frutto! Andate, andate a domandare adesso chi c’è stato con vostra moglie!

Tuzza: E opera di carità, ha il coraggio di dire!

Zia Croce: Già! Dopo che s’è vantato davanti a tutti, davanti alla sua stessa moglie che il figlio era suo, per prendersi questa soddisfazione, sapendo bene che non poteva prendersela altrimenti!

Tuzza: (cangiando animo, d’improvviso) Basta! Basta! Non gridi più, ormai! Basta!

Zia Croce: Ah no, cara mia! Vuoi che mi rassegni

Tuzza: E che altro vorrebbe fare? Se si prendeva il mio, pur sapendo di chi era, si figuri se non vorrà riconoscere per suo questo che gli darà ora sua moglie -

Zio Simone: - e ch’è mio! mio! mio! - e guaj a chi s’attenta a dir cosa contro mia moglie...

A questo punto appare dal fondo Mita, placidissima.

Mita: Oh, e che è qua tutto questo baccano?

Tuzza: Vàttene, Mita, vàttene via, non mi cimentare!

Mita: Io, Tuzza, cimentarti? Non sia mai!

Tuzza: (lanciandosi per afferrarla) Levatemela davanti! levatemela davanti!

Zio Simone: (parandola) O oh! Ci sono io!

Zia Croce: Hai la tracotanza di presentarti qua? Via! Via! Fuori!

Mita: (indicandola al marito) Ma guardate un pò chi parla di tracotanza!

Zio Simone: No, tu no, tu non t’immischiare, moglie mia! Tórnatene a casa, tu! E lascia che ti difenda io!

Mita: No, aspettate, voglio ricordare a Tuzza un nostro motto antico: "Chi tarda e non manca, non si chiama mancatore". Ho tardato, sì, è vero, ma non ho mancato. Tu sei andata avanti e io ti son venuta appresso.

Tuzza: Per la mia stessa strada mi sei venuta appresso!

Mita: No, cara! la mia è dritta e giusta; la tua, torta e falsa.

Zio Simone: Non agitarti, non agitarti così, moglie mia! Te lo fanno apposta, non vedi?, per farti arrabbiare! Và, và, dà ascolto a me! A casa! a casa!

Zia Croce: Ma guardatelo! Ma sentitelo! "Moglie mia!"

Tuzza: (a Mita) Hai ragione! Hai ragione! Hai saputo farla meglio di me! Tu i fatti, e io le parole!

Mita: Parole? Non pare!

Zia Croce: Parole, parole, sì! Perché qua non c’è l’inganno che pare! L’inganno è in te, che non pare!

Zio Simone: Oh insomma, la finiamo sì o no?

Zia Croce: Lo vedi? Per te c’è tuo marito, ora, che ti ripara, ingannato! Mentre mia figlia, no, suo zio non lo volle ingannare: gli si buttò ai piedi piangendo, come Maria Maddalena!

Zio Simone: Quest’è vero! quest’è vero!

Zia Croce: Ecco, vedi? te lo dice lui stesso! lui ch’è la causa di tutto il male, per potersi vantare davanti a te, davanti a tutto il paese...

Mita: E voi lo permetteste, zia Croce? Oh guarda! A costo dell’onore di vostra figlia? Ma l’inganno, sì, è proprio dove non pare: nelle ricchezze di mio marito, di cui a costo della vostra stessa vergogna volevate appropriarvi!

Zio Simone: Basta! Basta! Basta! Invece di far codeste chiacchiere inutili e accapigliarvi per non concludere nulla, cerchiamo di venire al rimedio, adesso, tutti d’accordo. Siamo in famiglia!

Zia Croce: Rimedio? Che rimedio volete che ci sia più, vecchio stolido? Siamo in famiglia, dice! Il rimedio lo troverete voi, voi, a tutto il danno che avete fatto a mia figlia per la soddisfazione che vi voleste prendere!

Zio Simone: Io? Io ho da pensare a mio figlio, adesso. Al vostro ci penserà suo padre. Liolà non potrà negare in faccia a me che il figlio è suo .

Tuzza: Quale?

Zio Simone: (stordito dalla domanda che lo avrà colpito come una pugnalata a tradimento) Che vuol dire, quale?

Mita: (subito) Ma il tuo, cara! Quale vuoi che sia? Io ho qua mio marito che non può dubitare di me.

Zio Simone: Oh insomma, la finite tutt’e due, madre e figlia? Ora che mia moglie ha voluto darmi questa consolazione non deve amareggiarsi il sangue con le vostre parole. Lasciate che parli io con Liolà.

Si sente da lontano appressare a poco a poco il coro delle vendemmiatrici.

Tuzza: Ah no, basta! Non s’arrischi a parlare per me! Guaj a lei se lo fa!

Zio Simone: Tu te lo prenderai perché è giusto così. Lui solo potrà darti uno stato, e fare che nasca legittimo il figlio che è suo. Vuol dire che, a persuaderlo, penserò io, facendo ciò che il cuore mi detterà. Eccolo che viene. Lasciate parlare a me.

Liolà ritorna con la ciurma, cantando a coro un canto di vendemmia.

Appena sotto la tettoja, vedendo Mita e zio Simone, e le facce stravolte di zia Croce e di Tuzza, la ciurma che reca come in trionfo le ceste colme d’uva, si ferma e tronca il coro.

Solo Liolà, come se non volesse accorgersi di nulla, séguita a cantare e a farsi avanti con la sua cesta per andare a vuotarla dalla finestra del palmento.

Zia Croce: (facendosi incontro) Basta, basta! Votate le ceste, ragazze, e poi buttatele lì. Non ho più testa da badare a voi in questo momento.

Liolà: E perché? Ch’è avvenuto?

Zia Croce: (alle donne) Andate, andate, vi dico! Poi, se mai, vi richiamerò.

Zio Simone: Tu vieni qua, Liolà!

In fondo alla tettoja la Moscardina, Ciuzza, Luzza, Nela e le altre donne circondano Mita e le fanno un mondo di feste per la consolazione che ha dato a tutte.

Tuzza le guata e si macera dentro; pian piano si tira indietro fino alla porta di casa e vi si caccia dentro.

Liolà: Vuole me? Eccomi qua.

Zio Simone: Cugina, venite qua anche voi.

Liolà: (con aria di comando) Zia Croce, sotto!

Zio Simone: Oggi è giorno segnato e dev’esser festa per tutti.

Liolà: Benissimo! E cantare. Non come dice zia Croce, che suono e canzoni sono cose di vento. Se sono di vento, son cose mie; perché io e il vento, zio Simone, siamo fratelli.

Zio Simone: Lo sappiamo, lo sappiamo tutti che sei sventato. Ora è tempo però di metter giudizio, caro mio!

Liolà: Giudizio? Muojo.

Zio Simone: Stammi a sentire, Liolà. Prima di tutto, debbo darti parte e consolazione che Dio finalmente ha voluto farmi la grazia -

Zia Croce: - senti, senti bene questa partecipazione, tu che non ne sai nulla! -

Zio Simone: - insomma, v’ho detto di lasciar parlare a me -

Liolà: - lo lasci parlare! -

Zia Croce: Eh sì, parlate, parlate... Ha voluto farvela Dio veramente, questa grazia!

Zio Simone: Sissignora, la grazia che, dopo quattr’anni, mia moglie alla fine s’è decisa...

Liolà: Ah sì? davvero? sua moglie? le faccio a tamburo una poesia!

Zio Simone: Aspetta! Aspetta! Che poesia!

Liolà: Mi permetta che vada a farle il prosit almeno!

Zio Simone: Aspetta, ti dico, per l’anima di...

Liolà: Oh, non s’arrabbi! Deve sentirsi ai sette cieli, e s’arrabbia? Via, l’ho qua sulla punta della lingua!

Zio Simone: Lascia stare, t’ho detto, la poesia, ché un’altra cosa tu hai da fare qua, adesso.

Liolà: Io? Non so fare altro, io, zio Simone!

Zia Croce: Già... proprio... non sa far altro lui, poverino...

Gli s’accosta, gli afferra un braccio e gli dice sotto sotto, tra i denti: Due volte m’hai rovinato la figlia, assassino!

Liolà: Io, la figlia? Osa dir questo, lei a me, davanti a zio Simone? Gliel’ha rovinata lui, due volte, la figlia, non io!

Zia Croce: No, no, tu! tu!

Liolà: Lui! Lui! zio Simone! Non scambiamo le carte in mano, zia Croce! Io venni qua a domandare onestamente la mano di sua figlia, non potendo mai supporre...

Zia Croce: Ah, no? Dopo quello che avevi fatto con lei?

Liolà: Io? zio Simone!

Zia Croce: Zio Simone, già! Proprio zio Simone!

Liolà: Oh, parli lei, zio Simone! Vorreste negare, adesso, e gettare il figlio addosso a me? Non facciamo scherzi!

Io ho tanto ringraziato Dio che m’ha guardato d’esser preso nella rete, in cui, senza sospetto di nulla, ero venuto a cacciarmi. Alla larga, zio Simone! Che razza di vecchio è lei, si può sapere? Non le bastava un figlio con sua nipote? Uno, anche con sua moglie? E che cos’ha in corpo? Le fiamme dell’inferno o il fuoco divino? il diavolo? il Mongibello? Dio ne scampi e liberi ogni figlia di mamma!

Zia Croce: Eh già, proprio da lui, proprio da lui devono guardarsi le figlie di mamma!

Zio Simone: Liolà, non farmi parlare! Non farmi fare, Liolà, ciò che non debbo e non voglio fare! Vedi che tra me e mia nipote, non c’è stato, né poteva esserci, peccato! C’è stato solo che mi si buttò ai piedi pentita di ciò che aveva fatto con te, confessandomi lo stato in cui si trovava. Mia moglie adesso sa tutto. E io sono pronto a giurarti davanti a Gesù sacramentato e davanti a tutti, che mi son vantato a torto del figlio che, in coscienza, è tuo!

Liolà: E intende, con questo, che io ora dovrei prendermi Tuzza?

Zio Simone: Te la puoi e te la devi prendere, Liolà, perché, com’è vero Dio e la Madonna Santissima, non è stata d’altri che tua!

Liolà: Eh - eh - eh - come corre lei, caro zio Simone! - Volevo, sì, prima. Per coscienza, non per altro. Sapevo che, sposando lei, tutte le canzoni mi sarebbero morte nel cuore. Tuzza allora non mi volle. La botte piena e la moglie ubriaca? Zio Simone, zia Croce, le due cose insieme non si possono avere! Ora che il giuoco v’è fallito? - No no, ringrazio, signori! ringrazio.

Si piglia per mano due dei ragazzi: Andiamo, andiamo via, ragazzi!

S’avvia, poi torna indietro: Posso farmi di coscienza: questo sì. Gira e volta, vedo che qua c’è un figlio di più. Bene, non ho difficoltà. Crescerà il da fare a mia madre. Il figlio, lo dica pure a Tuzza, zia Croce, se me lo vuol dare, me lo piglio!

Tuzza: (che se n’è stata tutta aggruppata in disparte, schizzando fuoco dagli occhi, a quest’ultime parole si lancia contro Liolà con un coltello in mano) Ah sì, il figlio? Pìgliati questa, invece!

Tutti gridano, levando le mani e accorrendo a trattenerla.

Mita si sente mancare ed è sorretta e subito confortata da zio Simone.

Liolà: (pronto ha ghermito il braccio di Tuzza, e con l’altra mano le batte sopra le dita fino a farle cadere il coltello a terra, ride e rassicura tutti, che non è stato nulla) Nulla, nulla... non è stato nulla...

Appena a Tuzza cade il coltello, subito vi mette il piede sopra, e dice di nuovo con una gran risata: Nulla!

Si china a baciare la testa d’uno dei tre bambini; poi, guardandosi nel petto un filo di sangue: Uno sgraffietto, di striscio...

Vi passa sopra il dito e poi va a passarlo sulle labbra di Tuzza: Eccoti qua, assaggia! - Dolce, eh?

Alle donne che la trattengono: Lasciatela!

La guarda; poi guarda i tre bambini, pone le mani sulle loro testoline, e dice, rivolto a Tuzza: Non piangere!

Non ti rammaricare! Quando ti nascerà, dammelo pure. Tre, e uno quattro! Gl’insegno a cantare.