Carlo Linati

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di Cristiano Spila

Nacque a Como il 25 apr. 1878 da Eugenio, ingegnere, e da Margherita Perlasca (adombrati con i nomi fittizi di Odoardo Campieri e Carlotta Grimoldi nel romanzo autobiografico Cantalupa, Milano 1935).

Il L. trascorse un'infanzia serena nella tenuta paterna di Rebbio, presso Monte Caprino, a pochi chilometri da Como, sperimentando sin da bambino il contatto con la natura e la vita sportiva, provando "quell'entusiasmo muscolare" (Le pianelle del Signore, Lanciano 1932, p. 121) che sempre lo avrebbe accompagnato e che sarebbe stato fra i temi dominanti della sua scrittura.

Nel 1890 il padre, per poter meglio seguire i suoi impegni professionali, si trasferì con la famiglia a Milano, dove il giovane L. frequentò le scuole medie inferiori. Nel 1893 venne iscritto al convitto nazionale Cicognini di Prato, dove frequentò, con non brillanti risultati, il ginnasio e il liceo.

Negli anni della residenza scolastica, il L. fu colpito da una specie di "rosolia letteraria" (Memorie a zig-zag, Torino 1929, p. 16), che lo portò a comporre versi e ad affrontare le più svariate letture. Come lettore conservò sempre un approccio avventuroso ma disordinato, onnivoro e frammentario, mescolando storia, filosofia, letteratura scientifica e poesia, prediligendo soprattutto autori francesi e inglesi.

Nel 1897, con il cugino A. Bonfanti, compì una lunga peregrinazione cicloturistica nella Svizzera centrale, e rientrò in Italia attraverso l'Engadina e il Tirolo. Diplomatosi nel 1899, dopo aver ripetuto l'esame di licenza liceale (questa esperienza è raccontata in Pubertà e altre storie, Milano 1926), si iscrisse, seguendo una direttiva paterna, alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Torino, dove fu attratto soprattutto dalle lezioni di medicina legale tenute da C. Lombroso. Il curriculumstudiorum del L. non fu certamente brillante e riuscì a laurearsi soltanto nel 1906 all'Università di Parma, dove, nel frattempo, si era trasferito. Dopo la laurea, il L. prese a frequentare i circoli letterari milanesi (poi ricordati in Milano d'allora, ibid. 1946), entrando in contatto con artisti e letterati come il pittore A. Bonomi, illustratore dei suoi primi libri, G. Treves, S. Benelli, Guido da Verona, U. Notari e F.T. Marinetti.

Con Notari e Marinetti fondò il settimanale Verde e azzurro (i due colori dominanti del paesaggio italiano), nato con lo scopo di propagandare e sostenere l'industria alberghiera nazionale, lo sport e lo stile di vita brillante e sfarzoso della belle époque.

Frattanto, di fronte alle pressioni paterne, il L., pur riluttante, accettò di frequentare come praticante l'ufficio dell'Avvocatura erariale di Milano. Tali esperienze confluirono, in forma parodizzata e favolistica, nella sua prima prosa Il tribunale verde (ibid. 1906, inizialmente tirato in cento esemplari, poi ripubblicato, con varianti anche nel titolo: Natura ed altre prose selvatiche, ibid. 1919).

L'opera racconta la storia di un pacifico amante della natura che, in un momento di panica esaltazione, viene sorpreso ad abbracciare una betulla e costretto per questo ad affrontare un immaginario processo da parte degli alberi del bosco.

Questa, come le altre opere giovanili - il volume di racconti Cristabella (ibid. 1909), che contiene novelle grottesche e fantastiche, e Portovenere. Immagini e fantasie marittime (Como 1910), resoconto enfatico di un soggiorno in quella località -, rivelano una linea di sperimentazione che sconfina nei territori del grottesco, financo macabro, e del fantastico.

Questi primi prodotti, pur risentendo di modelli estranei alla tradizione lombarda, e assimilabili piuttosto a certo dannunzianesimo di maniera, mostrano tuttavia un gusto spiccato per la dimensione visionaria e allucinata, con ascendenze dossiane e influenze futuriste.

Al futurismo, però, il L. non aderì mai, preferendo tornare ai valori della tradizione lombarda. L'assimilazione di tale ricco patrimonio fu affrettata e stimolata ulteriormente dall'incontro con G. Lucini; nel 1911, infatti, prefato dallo stesso Lucini, uscì Duccio di Bontà (Como).

Opera di stampo autobiografico, vi domina un umore bizzarro e grottesco e vi è abbandonato il toscano, sentito ormai come libresco ed erudito, per promuovere un impasto linguistico di matrice lombarda.

Il 1913 fu l'anno, determinante, del viaggio in Irlanda, via Londra, a seguito dell'amico F. Leoni, che gli fece conoscere il nuovo teatro nazionale irlandese di J.M. Synge, W.B. Yeats e S. O'Casey. Al ritorno il L. tradusse le opere teatrali più significative di Yeats e diede alle stampe un primo volume di Tragedie irlandesi (Milano 1914), cui fece seguire le traduzioni delle Commedie irlandesi di lady Isabella Augusta Gregory (ibid. 1916) e dei drammi di Synge (Il furfantello dell'Ovest e altri drammi, ibid. 1917). Poco prima dello scoppio della Grande Guerra, il L., su segnalazione di R. Serra, fu invitato a collaborare a La Voce di G. De Robertis. Gli scritti del periodo vociano (pubblicati dal 15 dic. 1914 al 31 dic. 1916) furono in parte riuniti in un volume che comprende anche brani pubblicati in altre riviste (I doni della terra, ibid. 1915).

Si tratta di prose brevi di grande ricerca formale e linguistica, che portano all'estremo grado tematiche e soluzioni proprie del poemetto in prosa, ascrivibili letterariamente al frammentismo e al calligrafismo.

Nel 1916, come sottotenente del genio, il L. fu inviato di stanza a Bassano, dove trascorse due anni relativamente tranquilli, potendo continuare a scrivere e a tradurre.

Uscì Barbogeria (ibid. 1917), racconto della vita di un giovane provinciale comasco, e si intensificarono i lavori di traduzioni di testi dall'inglese (M.H. Hewlett, Th. De Quincey, R.L. Stevenson, H. James).

Il trasferimento a Breganze, sull'Astico, interruppe le "ferie bassanesi" (Nuvole e paesi, Firenze 1919, p. 34) e lo riportò alla cruda realtà della guerra, alla disfatta di Caporetto (24-28 ott. 1917), da lui vissuta con sofferta partecipazione. Al ritorno dal fronte, il 31 ott. 1918, il L. ricevette la prima lettera (in italiano) di J. Joyce con la proposta di tradurre una sua novella.

Ebbe inizio, così, tra i due un nutrito scambio epistolare e una collaborazione che si concluse solo con la morte dello scrittore irlandese.

Nel 1919, per le edizioni de La Voce, era comparso il libretto Sulle orme di Renzo.Pagine di fedeltà lombarda (Firenze), diario di una gita ciclistica in Brianza nei luoghi manzoniani.

Divertissement tutto letterario, il libro è una continua meditazione ed esplorazione dei profondi legami tra lo scrittore e la sua terra; rifacendo, in bicicletta, il viaggio di Renzo nella celebre fuga da Milano verso l'Adda, il L. ricostruisce parentele con gli autori prediletti: da A. Manzoni a C. Cattaneo, da C. Dossi a Lucini.

Nei primi anni Venti, il L. fu particolarmente attivo sul fronte della pubblicistica: nel febbraio del 1920 fondò, con E. Levi, C. Angelini ed E. Ferrieri, Il Convegno, rivista letteraria e di tutte le arti, cui collaborò con prose sparse e traduzioni (nel 1920, uscì la prima traduzione del dramma joyciano Esuli). Offrì il suo contributo come elzevirista per Il Secolo di M. Missiroli, Il Resto del carlino, L'Ambrosiano diretto da Notari e, a partire dal 1922, per il Corriere della sera. Il 1922 è anche l'anno di uscita di nuove opere: Issione il polifoniarca (Milano), un pastiche comico-mitologico, e la raccolta di racconti Malacarne (Firenze). Ma fu soprattutto con Le tre pievi (Milano), libro narrativo-turistico ambientato sul lago di Como, che il L. acquisì presso il mondo culturale italiano una sorta di monopolio letterario della Lombardia, in particolare del Comasco.

Nel 1930 ricevette, infatti, dal Touring Club italiano (TCI) l'incarico di redigere La regione dei laghi (Firenze 1931). La vocazione e la fedeltà alla sua regione lo portarono, inoltre, a occuparsi variamente di scrittori e cose lombarde, come dimostra l'antologia Le più belle pagine di G. Parini (Milano 1924), il saggio Un romanziere lombardo: E. De Marchi (in Nuova Antologia, 16 ott. 1926), la cura di una nuova edizione del Marco Visconti di T. Grossi (Milano 1926), per finire con la fondamentale edizione critica delle Opere di Dossi (ibid. 1944).

Accanto al filone lombardo, il L. coltivò le traduzioni dall'inglese e la critica letteraria indirizzata all'area angloamericana. Delle sue scoperte, avallate da E. Pound che lo mise in contatto con la "geniale masnada" dei "fuoriusciti americani" (Scrittori anglo-americani, ibid. 1932, p. 150), egli rese conto principalmente in una rubrica di carattere informativo tenuta sul Corriere della sera, continuando a occuparsi di Joyce (nel 1926 uscì nel Convegno, nn. 11-12, un brano della prima versione italiana dell'Ulisse), e presentando autori come O. Williams, E. Hemingway e D.H. Lawrence.

Negli anni del dopoguerra e del regime, il L. si tenne in disparte, senza affrontare problemi sociali e politici, anche se fu tra i firmatari del manifesto antifascista di B. Croce. Fu occupato, piuttosto e in modo particolare, dalle precarie condizioni di salute dei genitori, che morirono a pochi anni di distanza (Concertovariato, Genova 1933, è il funebre diario dell'agonia della madre). Nell'attività letteraria, se preferì impegnarsi sul fronte del giornalismo turistico e degli studi di anglistica, non tralasciò tuttavia la vena narrativa.

Celebri sono le Storie di bestie e di fantasmi (Milano 1925) silloge di racconti chiaramente ispirati da R. Kipling. Altri lavori nascono, invece, da spunti legati sia alla modernità e alla crescente curiosità del pubblico per le mode e l'attualità (come nel romanzo La principessa delle stelle, ibid. 1929), sia a itinerari sentimentali, notazioni paesistiche e pittoriche, divagazioni artistiche e naturali (A vento e sole. Pagine di vagabondaggio, Torino 1939; Passeggiate lariane, Milano 1939; Aprilante, Roma 1942).

Lo scoppio della seconda guerra mondiale fu per il L. lo sbocco inevitabile di quella ondata di feroce follia da lui prefigurata in Decadenza del vizio e altri pretesti (Milano 1941). Negli ultimi anni - contrassegnati da un ozio operoso, trascorso in compagnia della moglie, Anna Silvia Bonsignore, sposata nel 1941 - si occupò soprattutto di traduzioni di testi anglosassoni (versioni da James, Ch. Dickens, Joyce) e scrisse racconti umoristici (Arrivi. Racconti, ibid. 1944).

Il L. morì a Milano l'11 dic. 1949.