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di Franco Pitocco
Nacque il 6 nov. 1834 ad Arcidosso, sulle pendici del monte Amiata,
da Giuseppe e da Faustina Biagioli.
Stando alla tradizione, la nascita di colui che sarebbe stato
soprannominato il "Messia dell'Amiata" avrebbe avuto tratti non
comuni, tali da far presagire da subito una vita straordinaria per
il neonato. Sarebbe infatti nato fornito di "doppia lingua" e "doppi
occhi", a indicare il suo futuro destino di profeta e di veggente.
Di là dalla leggenda, comunque, egli costruì quel
destino gradatamente e con costanza, riplasmando la sua vita reale
nel tempo, lungo tutto l'arco dell'esistenza, attraverso un continuo
lavorio di selezione e dilatazione del significato di innumerevoli
esperienze di Sogni e visioni (tale era il titolo di una sua
pubblicazione edita a Prato nel 1871). E fu il risultato di un lento
processo psicologico e culturale, frutto del clima sociale e
religioso in cui viveva. Ma anche progetto di vita attivo, ricercato
e adattato, volta a volta, nelle diverse situazioni.
Il suo stesso nome mostra, in parte, ma in modo esemplare, la trama
di questo processo. A un certo momento, il nome anagrafico
originario Lazzeretti, che compariva nelle sue prime pubblicazioni,
fu mutato in Lazzaretti. E tale fu poi sempre, dopo un
importantissimo viaggio in Francia nel 1873. In questa lieve
modifica vanno letti, probabilmente, un'allusione al Lazzaro del
Nuovo Testamento e certo l'influsso della lettura di un romanzo di
G. Rovani, Manfredo Pallavicino (I-IV, Milano 1845-46), allora molto
popolare, in cui il L. trovò un Lazzaro Pallavicino (cui nel
romanzo si attribuiva una parentela con i re di Francia) nel quale
credette di poter individuare un antico antenato. Una discendenza,
questa, attraverso la quale egli si sentì erede del "sangue
di Pipino" e, ricollegandosi all'immaginario leggendario dei reali
di Francia, poté fondare e legittimare le sue aspirazioni
messianiche.
Ma la costruzione della sua vita messianica era iniziata già
nell'adolescenza, come mostra il primo episodio di Sogni e visioni,
di cui resti diretta testimonianza.
Aveva solo 14 anni, quando, nella primavera del 1848, dovette
affiancare il padre nel lavoro in Maremma. In località
Macchia Peschi rimase solo, con il compito, assai gravoso, di
caricare legna su due giumenti. Si trattava di un luogo isolato dal
mondo abitato, "deserto", e quel 25 aprile era uno di quei giorni
nebbiosi capaci di accentuare un forte senso di solitudine e di
smarrimento. Fu allora che dal folto del bosco il L. vide uscire un
vecchio frate, destinato a ripresentarsi più volte nella sua
vita (e a rivelarsi finalmente per s. Pietro), con un annuncio
sorprendente per lui: "la tua vita è un mistero".
Il L. rimase a lungo scosso da quella visione e ne conservò
sempre un vivo ricordo, anche se per anni dovette sembrargli solo un
sogno, senza particolari conseguenze nella vita reale. La sua vita,
in effetti, continuò a svolgersi secondo le linee
tradizionali della vita di un giovane montanaro: con un lavoro da
eseguire (faceva il barrocciaio, dedito, soprattutto, a trasportare
terra di Siena, anche verso luoghi lontani da Arcidosso, fino a
Siena e a Roma), con una famiglia da costruire (nel 1856
sposò una donna che gli diede cinque figli), ma anche con il
bisogno di vivere le passioni civili e politiche del tempo (nel 1859
entrò nella cavalleria di E. Cialdini e nel 1860
combatté contro le truppe pontificie).
Tuttavia, il 25 apr. 1868, esattamente vent'anni più tardi,
il vecchio frate gli apparve ancora, all'interno di un sogno
corrusco e drammatico, denso di movimenti e di figure tratte dal
bestiario medievale e apocalittico.
Di nuovo gli annunciò cose "misteriose" e lo incitò a
recarsi dal papa per "esporgli la sua missione"; quindi a "ritirarsi
in un convento della provincia di Roma, presso Montorio Romano".
Là avrebbe incontrato un "religioso" al quale avrebbe dovuto
annunciare: "Io sono il mandato di Colui che regna in tutti i
luoghi".
In effetti, alla fine di quell'anno, dopo un deludente viaggio a
Roma con l'intenzione di incontrare il papa, il L. iniziò una
lunga quaresima da eremita in Sabina, rinchiuso in un convento
abbandonato, detto la "grotta di S. Angelo".
È questo il momento decisivo della sua carriera di "uomo del
mistero". Recluso in un ambiente murato all'esterno, con solo un
pertugio da cui ricevere un tozzo di pane dal religioso (un vecchio
eremita tedesco) che vi risiedeva, egli scoprì le ossa di
quell'"avo" romanzesco che gli consentì di richiamarsi al
"sangue di Pipino". Ebbe nuove visioni e "conferenze" con personaggi
misteriosi, "divini", e qui, ancora, tornò a lui il "santo
vecchio" per imprimergli sulla fronte il segno della sua missione
messianica: quel "marchio" delle due C rovesciate con la croce nel
mezzo (a significare "Cristo in prima e seconda venuta"), destinato
a diventare il simbolo della sua futura Chiesa giurisdavidica.
Quando, dopo un altro soggiorno eremitico nell'isola di Montecristo,
tornò tra le popolazioni della montagna con il suo nuovo
ruolo di "uomo santo", il L. godeva ormai di un ampio e profondo
prestigio sociale. Numerosi fedeli si raccolsero intorno a lui, per
ascoltare la sua predicazione e seguire i suoi consigli. Si
aprì allora un periodo fecondo di vita religiosa, sostenuto
anche dalla Chiesa che vedeva in lui lo strumento per una resistenza
culturale, popolare, al nuovo Stato italiano. Furono quelli gli anni
in cui il L. creò il suo movimento, espansione sociale della
sua "missione" religiosa, fondando tra il 1870 e il 1872 i tre
istituti che costituiscono i principali riferimenti organizzativi di
carattere religioso, sociale ed economico della comunità
lazzarettista.
La Santa Lega o Fratellanza cristiana, istituita nel 1870, aveva
finalità essenzialmente di carattere sociale e umanitario. Il
Pio Istituto degli eremiti penitenzieri e penitenti si proponeva
come una sorta di "nova religio". La sua organizzazione e le sue
finalità furono illustrate per la prima volta dal L. alla
vigilia della sua partenza per il ritiro nell'isola di Montecristo,
il 14 genn. 1870. Le regole furono stampate nel 1871 a
Montefiascone, con il permesso delle autorità ecclesiastiche.
La Società delle famiglie cristiane, attiva dall'inizio del
1872, costituì, per i suoi contenuti sociali ed economici,
l'esperienza più importante e clamorosa del movimento.
Somigliava a una delle tante società di mutuo soccorso del
tempo, ma era essenzialmente ispirata al "comunismo" della Chiesa
primitiva, con la sua messa in comune dei beni, l'organizzazione
sociale del lavoro, la ripartizione dei proventi.
Alcuni tratti di questo insieme organizzativo hanno fatto pensare
spesso, ma vanamente, a contatti diretti del L. con il mondo
socialista. In realtà i tre istituti fanno tutti riferimento
a un sostrato teologico assai lontano dall'esperienza politica del
socialismo. Non a caso si ripromettevano, ciascuno, di realizzare
una specifica "virtù cristiana": il Pio Istituto era
collocato sotto il simbolo della fede, la Santa Lega sotto il
simbolo della carità, la Società delle famiglie
cristiane sotto il simbolo della speranza.
Nella loro ispirazione gli istituti vivevano dei tratti di un
messianismo antico, impastato di Vecchio e Nuovo Testamento, e
soprattutto dell'eredità gioachimita. Probabilmente, in
effetti, il L. trasse figure e personaggi per l'ultima fase del suo
progetto escatologico proprio da un testo di tardo ambiente
gioachimita, dalle apocrife Lettere di s. Francesco di Paola, di cui
egli stesso procurò una ristampa (Napoli 1873). Di là
provengono figure come il grande monarca e le milizie crocifere,
intorno alle quali egli costruì il ruolo finale per sé
e per i suoi fedeli, nell'annuncio del futuro regno dello Spirito
Santo. Gli istituti erano, insomma, un tentativo di anticipare
aspetti di un'ampia visione escatologica, che si apriva sotto la
pressante attesa di un "secondo diluvio", predisposto da Dio a
punizione dei peccati degli uomini e dell'infedeltà della
Chiesa. Ma anche a premessa di un'età nuova.
L'elaborazione di questa visione, nelle sue varie articolazioni,
mise in allarme le autorità ecclesiastiche e civili. Nel
novembre 1877 la S. Sede rifiutò l'approvazione delle Regole
dell'Ordine crocifero dello Spirito Santo e all'inizio del 1878 il
S. Uffizio condannò le dottrine del L. come eretiche; le sue
opere furono poste all'Indice. Da parte sua il ministero
dell'Interno, preoccupato per l'ordine pubblico, dava disposizione
agli organi di polizia di sorvegliare il L. e i suoi seguaci.
Intanto il L. operava una riplasmazione della società e dello
spazio in cui agiva. Il monte Labbro, chiamato a ospitare gli
edifici dei tre istituti, venne ribattezzato monte Labaro. Sulla sua
cima fu edificata una chiesa, e, a secco, senza calce, una torre
tortile, simbolo della nuova Chiesa.
Nel 1877, ne La mia lotta con Dio ossia Il libro dei Sette Sigilli
(Arcidosso), si era aperta l'immagine finale dell'operazione
escatologica del L.: il monte Labaro si trasfigurò nel
"magnifico, forte e maestoso monte", o "Città della nuova
beata Sionne e Turrisdavidica, il Santuario dei santuari, la Rocca
Santa di Dio, la Città Celeste". Qui sarebbe sorta la prima
fra le sette "città eternali" destinate a realizzare il Regno
messianico, PiamiatangelicA, "ossia Città del Sole".
La torre che ancora oggi, sbocconcellata, resiste sulla cima del
monte, acquista qui, all'interno di PiamiatangelicA, tutto il suo
splendore ideale: "basata in grande e colossale edifizio", sta "la
prodigiosa e meravigliosa piramide", "il più sacro e
misterioso monumento della terra", "depositario del segno vivo di
Dio e di altre preziose reliquie in una settima parte dei Martiri
delle Milizie Crocifere". Essa è l'arca della Nuova Alleanza,
"nella quale si dovea salvare la famiglia eletta da Dio dalla
inondazione di un secondo diluvio di fuoco e di sangue", in cui
"erano racchiusi tutti i tesori della terra" e "tutte le leggi sante
della vera giustizia".
Da questo fantastico monte, il 18 ag. 1878, il L. e tutta la sua
gente, vestita negli abiti delle sue figure escatologiche, scesero
processionalmente ad annunciare al mondo l'avvento del regno dello
Spirito Santo. A valle uno sparuto gruppo di militi guidati da un
delegato di polizia pose fine al sogno del L. colpendolo alla fronte
con una palla di fucile.
Da più di un secolo il L. gode di una ricca bibliografia, mai
esausta, e sempre pronta a ripetere le sue prove. E di varia natura:
dalla storiografia alla psichiatria, alla sociologia, al romanzo. Da
C. Lombroso ad A. Gramsci, a E.J. Hobsbawm si è cercato di
codificare i nessi che in lui si stabiliscono tra esperienza
psicologica individuale, società, politica e religione. Ma
quasi sempre nel vano tentativo di ridurli a una gerarchia causale:
a guidare quella complessa struttura culturale è stata
chiamata ora la "follia", ora l'"eresia", ora la "rivoluzione". Per
questa via, in buona sostanza, la storia del L. è rimasta
prigioniera delle prime interpretazioni che ne furono date, negli
stessi giorni in cui si diffuse la notizia della morte del "Messia".
In realtà una lettura sociologica era già stata
avanzata, nel suo nucleo essenziale, dall'Illustrazione italiana del
1° sett. 1878, che aveva definito il L. "un avanzo del passato
smarrito là in un lembo di terra che è della gentile
Toscana, ma che per maremme e per monti rimane quasi diviso dalla
grande corrente della nuova vita italiana". Così come il
nesso tra eresia e politica era stato abbozzato dai giornali
cattolici, come L'Unità cattolica del 22 ag. 1878, la quale
aveva scritto che "la storia di David Lazzaretti è quella di
tutti gli eretici, che furono e sono rivoluzionari ad un tempo: non
vogliono solo riformare la Chiesa, ma anche rovinare il Governo".
Non diversamente il legame tra esperienza religiosa e inconsapevole
azione di protesta sociale (o, addirittura, rivoluzionaria) che ha
caratterizzato tanta parte della storiografia del dopoguerra,
fortemente segnata dal marxismo, era già implicito nello
stesso processo del 1879. I 23 lazzarettisti, che, arrestati dopo la
morte del L., giunsero il 24 ott. 1879 innanzi ai giudici della
corte d'assise di Siena (qualcuno era morto durante il durissimo
anno di prigionia), si erano infatti sentiti recitare questo pesante
atto di accusa: "Attentato contro la sicurezza interna dello Stato,
per aver commessi atti esecutivi diretti a rovesciare il Governo ed
a mutarne la forma, non che a muovere la guerra civile ed a portare
la devastazione ed il saccheggio in un Comune dello Stato".
Dal "monomaniaco" di Lombroso, al "rivoluzionario primitivo" di
Hobsbawm, sempre è andato perduto esattamente ciò che
fa lo specifico del fenomeno: la circolarità e la
"totalità" delle varie esperienze del L. e del movimento.
Talché accade ancor oggi che lo studioso che si avvicina a
questa storia sia quasi inevitabilmente condannato a restar
prigioniero delle motivazioni che portarono alla morte del "Messia"
e delle interpretazioni offerte dai primi giornali che si occuparono
dei fatti di Arcidosso, tutte segnate dal "primato della politica".
Eppure già a un anno da quei fatti, il pubblico ministero si
era convinto della insostenibilità delle tre accuse. Egli
riconobbe che gli imputati non avevano voluto "rovesciare il governo
e mutarne la forma", pur conservando l'accusa relativa al progetto
di scatenare "guerra civile", "devastazione e saccheggio", e l'altra
della resistenza alla forza pubblica. E a conclusione del
dibattimento la giuria emise un verdetto che assolveva interamente
gli accusati. Negò anche che gli imputati avessero agito
"nello stato di chi non ha coscienza dei propri atti o
libertà di coscienza", l'attenuante richiesta nel caso di
riconosciuta colpevolezza.