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Economista e politico, il francese Hubert Lagardelle venne
considerato da Mussolini quale significativo precursore della
rivoluzione fascista. Nella Dottrina del Fascismo (1932) egli lo
cita: ‘Riformismo, rivoluzionarismo, centrismo, di questa
terminologia anche gli echi sono spenti, mentre nel grande fiume del
Fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal
Péguy, dal Lagardelle del Mouvement Socialiste e dalla coorte
dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una
nota di novità nell’ambiente socialistico italiano
svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana – con
le Pagine libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale
di Enrico Leone’.
L’inverno trascorso, nelle notti in cui sonno e veglia si
alternavano fra loro e in incessante ostilità, mi sforzavo a
sistemare e selezionare gli articoli di Robert Brasillach scritti
sulle riviste della collaborazione, di cui – mi auguro – sarà
resa antologia all’inizio dell’anno prossimo. Ed ecco che mi trovo
il nome del Lagardelle come partecipe del successo della conferenza
di Monaco 1938. Da qui l’esigenza di ricavare qualche dato e
informazione che me lo rendesse familiare. E siccome sospetto non
sia soltanto io ad averne avuta scarsa conoscenza, propongo alcuni
richiami, essenziali e – credo – di possibile interesse.
Qui, lo confesso, emerge ‘il lato oscuro’ e presuntuoso del vecchio
professore…
Egli era nato in Alta Garonna, a Burgand, l’8 luglio del 1874, fra i
teorici più originali del sindacalismo rivoluzionario, e si
spengeva a Parigi il 20 settembre del 1958 nella totale indifferenza
e dimenticanza dei suoi connazionali. Giovane aderente del movimento
socialista, animatore nel Quartiere Latino di un gruppo combattivo
di collettivisti, emerge fin dal 1896 come una delle menti
più lucide e radicali all’interno delle molteplici correnti
rivoluzionarie. Avvocato, professore presso il Libero Collegio delle
Scienze Sociali di Parigi e successivamente nella nuova
Università di Bruxelles, fonda la rivista Il Movimento
socialista, di cui ne sarà anche direttore fino al 1914.
Rivista che, s’è citato, diviene linfa vitale per il giovane
Mussolini. Fra i suoi collaboratori più fidati – ed anche
questo non è casuale - l’autore di Riflessioni sulla
violenza.
Scrive, scrive molto, soprattutto sul rapporto fra sindacato
intellettuali e socialismo. Nel 1908 esce il libro più
interessante, Sindacalismo e Socialismo. E’ l’anno in cui Mussolini,
maestro al collegio Calvi di Oneglia, in Liguria, si prepara a
collaborare al giornale di Cesare Battisti, il Popolo di Trento. E,
sempre nel 1908, Lagardelle pronuncia un discorso al congresso
socialista di Tolosa, che più tardi verrà indicato
ricco di spunti e anticipazioni del Fascismo stesso. Si va
sviluppando l’idea del socialismo etico, rivolta contro la
democrazia liberale ma anche la socialdemocrazia. Come in Sorel, si
riconosce il fallimento del determinismo marxista, cioè la
società industriale non produce il coagularsi delle forze nei
due poli antagonisti e, di conseguenza, il proletariato perde la sua
combattività. Così l’ortodossia marxista diviene una
gabbia ed anche l’alibi per l’impotenza del movimento socialista.
La prima guerra mondiale produrrà l’accelerazione verso la
consapevolezza che il motore della storia non appartiene alla classe
operaia ma alla nazione in armi. L’etica di questo socialismo si
alimenta di richiami al filosofo Nietzsche (si legga Il giovane
Mussolini del Nolte) e sotto l’influenza di Gustave Le Bon. Non si
tratta più della sola emancipazione della classe operaia
nell’età moderna, ma e soprattutto di guardare ad un
complessivo ordine nuovo della società nel suo essere corpo
organico e vitale. Allora il socialismo si eleva a categoria eterna
dello spirito umano, un socialismo di tutti e per tutti, aspirazione
in ogni tempo e per il tempo a venire. Non il proletariato da solo,
privo di mezzi ed oramai di energia e volontà, può
suscitare i valori eroici fondanti il cammino della storia, ma la
nazione nella sua interezza. E, quando il Fascismo si
proporrà quale espressione della nazione, si
comprenderà il richiamo forte e deciso all’ Italia proletaria
e fascista del Duce all’atto di entrare in guerra.
Lagardelle sarà esempio di questo processo di revisione del
socialismo, di incontro tra sindacalismo rivoluzionario e
nazionalismo. Difatti egli partecipa all’esperienza del Faisceau di
Valois e al Frontisme di Bergery, realtà politiche ispirate
al Fascismo italiano, conservando una sostanziale integrità
dottrinale e coerenza verso lo spirito rivoluzionario
dell’anteguerra. Nel 1932 diviene consigliere del nuovo ambasciatore
in Italia, Henry de Jouvenel, inviato a conciliare i due paesi dopo
la crisi dei rapporti a causa del Trattato di Versailles. E
varrà ricordare come de Jouvenel sarà supporto per il
programma politico e sociale di Jacques Doriot.
A Roma egli viene ricevuto dal Duce in modo sempre amicale, cosa
rara in un uomo come Mussolini. E cura scritti su Sorel, sulla
storia d’Italia e la voce Il Regime fascista italiano per
l’Enciclopedia francese. Poi di nuovo la crisi fra le due nazioni a
causa della guerra d’Abissinia e quella civile in Spagna,
determinata dall’ascesa del Fronte Popolare il 16 ottobre ’36.
Prendendo congedo a palazzo Venezia, ricorda come Mussolini l’abbia
salutato con il seguente monito profetico ‘Dopo il 1940 l’Europa
esploderà, voi esploderete ed io stesso esploderò’.
Dopo l’armistizio del 1940 Lagardelle si distingue come uno dei
teorici della Rivoluzione nazionale di cui il maresciallo
Pétain dovrebbe esserne la figura simbolo. Si impegna
nell’Istituto di studi corporativi e sociali e, per pochi mesi nel
’42, sarà ministro del Lavoro. Nel ’46 l’Alta Corte di
Giustizia lo condanna ai lavori forzati a vita. Una volta liberato
si ritira dalla politica attiva, dedicandosi a scrivere il libro
Missione a Roma – Mussolini ed articoli in diverse riviste. La sua
colpa? Aver amato il proprio paese, tentato di sottrarlo ad una
situazione di rovina, fedele alle proprie idee… già, ma era
arrivato, con i vincitori, il tempo dei voltagabbana.