CAPITOLO VI.

IL MUTUO APPOGGIO
NELLA CITTÀ DEL MEDIO EVO
(Seguito)

Somiglianze e differenze tra le città del Medioevo. – Le corporazioni delle arti: attributi dello Stato in ciascuna di esse. – Atteggiamento della città verso i contadini; tentativi per liberarli. – I Signori. – Resultati ottenuti dalla città del Medioevo nelle Arti e nelle Scienze. – Cause di decadenza.

Le città del Medioevo non furono organizzate su di un piano prestabilito, dalla volontà esterna d'un legislatore. Ognuna di esse fu un prodotto naturale nel pieno significato della parola, un resultato sempre variabile delle lotte tra forze che si accordavano e si riaccordavano tra loro, secondo le capacità, la sorte dei conflitti e l'appoggio che trovavano nell'ambiente sociale. E questo è il perchè non vi sono due città in cui l'ordinamento interno e le sorti siano stati identici. Ciascuna, presa separatamente, da un secolo all'altro si trasforma. Tuttavia, se volgiamo uno sguardo complessivo a tutte le città d'Europa, le differenze locali e nazionali spariscono, e noi siamo colpiti dalla meravigliosa somiglianza che troviamo tra tutte, quantunque ciascuna si sia sviluppata da sè, indipendentemente dalle altre ed in differenti condizioni.

Una piccola città del nord della Scozia, con la sua popolazione di lavoratori e di rudi pescatori; una ricca città delle Fiandre con il suo commercio estero, il suo lusso, il suo amore per il piacere e la sua vita animata; una città italiana ricca per il suo commercio con l'Oriente e coltivante tra le sue mura un gusto artistico ed una civiltà raffinata; una povera città agricola nella regione dei laghi e delle paludi della Russia, sembrano aver pochi punti in comune. Eppure le linee principali della loro organizzazione e dello spirito che le anima si rassomigliano per un'aria di famiglia molto marcata. In ogni parte vediamo le stesse federazioni di piccoli comuni e di corporazioni, le stesse «città minori» soggette alla città madre, le stesse assemblee di popolo e gli stessi emblemi della sua indipendenza. Il defensor della città, sotto nomi differenti ed insegne differenti, rappresenta la stessa autorità e gli stessi interessi. Le sussistenze alimentari, il loro lavoro ed il commercio sono ordinati su piani molto simili; le lotte interne ed esterne sono sostenute con le stesse ambizioni: e per di più, le formule usate in quelle lotte, come negli annali, le ordinanze e le cariche sono identiche; ed i monumenti architettonici, siano di stile gotico, romano o bizantino, esprimono le stesse aspirazioni e lo stesso ideale: sono concepiti e costruiti nella stessa maniera. Molte differenze non sono che differenze di tempi, invece differenze reali tra le città sorelle si trovano in varie parti d'Europa. L'unità dell'idea direttrice e l'identità dell'origine compensano le differenze di clima, di posizione geografica, di ricchezza, di lingua e di religione. Per ciò possiamo parlare della città del Medioevo come di una fase ben definita della civiltà; e, quantunque ogni ricerca, facendo scaturire le differenze locali ed individuali, presenti vivo interesse, possiamo delineare a grandi linee lo svolgimento comune a tutte le città.1

Certo la protezione accordata alla piazza del mercato dai primi tempi barbari, à rappresentato una parte importante, non esclusiva, nell'emancipazione della città del Medioevo. Gli antichi barbari non avevano commercio nell'interno dei loro comuni rurali; non commerciavano con gli stranieri che in determinati luoghi ed in dati giorni; e, affinchè lo straniero potesse recarsi al luogo degli scambi senza rischio di essere ucciso in qualche baruffa tra due famiglie nemiche, il mercato era sempre sotto la protezione speciale di tutte le famiglie. Era luogo inviolabile, come il santuario nei cui pressi si teneva. Tra i Cabili, esso è ancora anaya, come il sentiero lungo il quale le donne trasportano l'acqua del pozzo; non vi si deve apparire armati, neppure durante le guerre tra le tribù. Nel Medioevo, il mercato godeva universalmente della stessa protezione.2 La vendetta del sangue non poteva compiersi sul terreno dove si andava per commerciare, nè per un dato raggio all'intorno. Se si accendeva una disputa tra la folla varia dei compratori e venditori, doveva essere giudicata da quelli che tenevano il mercato sotto la loro protezione: il tribunale della comunità, o dal vescovo, o dal signore, o dal giudice del re. Lo straniero che veniva per commerciare era un ospite, e gli si dava questo nome. Anche il signore che non si faceva scrupolo di derubare un mercante sulla via maestra, rispettava il Weichbild, cioè il palo che era piantato sulla piazza del mercato e portava sia le armi del re, sia un guanto, sia l'immagine del santo del luogo, o semplicemente una croce, secondo che il mercato era sotto la protezione del re, del signore, della chiesa locale, o dell'assemblea del popolo – il viétché.3

È facile capire come l'auto-giurisdizione della città potesse nascere dalla speciale giurisdizione del mercato, quando quest'ultimo diritto era accordato, volentieri o no, alla città stessa. Questa origine della libertà della città, di cui troviamo traccia in molti casi, imprimeva necessariamente un dato carattere al loro ulteriore sviluppo. Da ciò una predominanza della parte commerciante della comunità. I borghesi, che possedevano una casa nella città, al suo sorgere, ed erano comproprietari dei terreni di essa, costituivano spesso una corporazione mercantile che teneva in suo potere tutto il commercio cittadino; e quantunque al principio qualsiasi borghese, ricco o povero, potesse far parte della corporazione dei mercanti ed il commercio sembra fosse esercitato dalla città mediante i suoi commissari, la corporazione diventò poco a poco una specie di corpo privilegiato. Essa escludeva gelosamente gli stranieri, che ben presto affluirono nelle città libere, dal far parte della corporazione e serbava i vantaggi del commercio a qualche famiglia che aveva appartenuto alla «borghesia» al momento della emancipazione. Era certamente un danno questo costituirsi di un'oligarchia mercantile. Ma già nel X secolo ed ancora più durante i due secoli successivi, i principali mestieri, organizzati pure in corporazioni, furono abbastanza potenti per opporsi alle tendenze oligarchiche dei mercanti.

Ogni corporazione d'artigiani praticava la vendita in comune dei suoi prodotti e la compra in comune delle materie prime. I suoi membri erano mercanti ed operai ad un tempo. Ed è così che la predominanza presa dalle antiche corporazioni di operai, al principio stesso della vita della città libera, assicurò al lavoro manuale l'alta posizione che occupò in seguito nella città.4 Infatti, in una città del Medioevo il lavoro manuale non era segno di inferiorità; conservava, al contrario, le tracce di rispetto del quale era circondato nei comuni rurali. Il lavoro manuale, in uno dei «misteri» era considerato come un pio dovere verso i cittadini; una funzione pubblica (Amt), qualunque fosse, era onorevole. Produttori e trafficanti erano penetrati da un'idea di «giustizia» verso la comunità, di rispetto dei «diritti», tanto del produttore quanto del consumatore, che sembrerebbe molto strana al giorno d'oggi. L'opera del conciatore, del bottaio, del calzolaio deve essere «buona ed onesta opera», si scriveva in quel tempo. Il legno, il cuoio o il filo che l'artigiano usava, doveva essere del «buon» legno, del «buon» cuoio o del «buon» filo; il pane doveva essere cotto «con giustizia» e così di seguito. Se trasportiamo questo linguaggio nella nostra vita moderna, sembrerà affettato e poco naturale; ma era naturale e semplice allora, perchè l'artigiano del Medioevo non produceva per un compratore sconosciuto, o per mandare le sue mercanzie su di un mercato sconosciuto. Egli lavorava dapprima per la sua corporazione; per una fraternità di uomini che si conoscevano reciprocamente, che conoscevano la tecnica del mestiere, e che, stabilendo il prezzo di ciascun prodotto, tenevano calcolo dell'abilità spiegata nella fabbricazione e della somma di lavoro che era occorsa. Poi era la corporazione, non il produttore particolare, che offriva la merce per la vendita al comune, e questi, a sua volta, offriva alla fraternità dei comuni alleati le mercanzie che esso esportava, assumendo la responsabilità della loro buona qualità. Un simile ordinamento faceva nascere in ogni corpo d'arte l'ambizione di offrire merci che non fossero di qualità inferiore; i difetti tecnici o le falsificazioni diventavano un soggetto che riguardava il comune intero, perchè, diceva un'ordinanza: «ciò distruggerebbe la fiducia pubblica».5 La produzione essendo così un dovere sociale, posto sotto il controllo dell'intera amitas, il lavoro manuale, fino a tanto che la città libera fu viva, non potè cadere nel discredito in cui è al presente.

Una differenza tra maestro ed apprendista o tra maestro ed operaio (Compayne, Geselle) esisteva dall'origine nelle città del Medioevo; ma fu dapprima una semplice differenza d'età e di abilità, non di ricchezza e di potere. Dopo un tirocinio di sette anni, e dopo aver dimostrato il proprio sapere e le proprie capacità con un'opera d'arte, l'apprendista diventava, a sua volta, maestro. Solo molto più tardi, nel secolo XVI, dopo che il potere regio ebbe distrutto il comune e la organizzazione delle arti, fu possibile diventare maestro in virtù di semplice eredità o per ricchezza. Ma fu anche un'epoca di decadenza generale delle industrie e delle arti del Medioevo.

Non vi era posto per il lavoro fisso nei primi tempi fiorenti delle città medioevali, ma ancor meno per salariati isolati. L'opera dei tessitori, degli arcieri, dei fabbri, dei panettieri, ecc., era fatta per la corporazione e per la città; e quando si fissavano degli operai per i lavori di costruzione, lavoravano come corporazioni temporanee (come lo fanno ancora negli artels russi) dei quali l'opera veniva pagata in blocco. Il lavoro per un padrone non cominciò che molto più tardi; ma, anche in questo caso, l'operaio era meglio pagato che non sia oggi nei mestieri meglio retribuiti, e molto più che non fosse generalmente pagato in Europa durante tutta la prima metà del secolo XIX. Thorold Rogers à familiarizzato i lettori inglesi con questa idea; ma la stessa cosa è pur vera per tutto il resto d'Europa come lo mostrano le ricerche del Falke e del Schönberg, come molti altri dati. Nel secolo XV un muratore, un carpentiere, o un fabbro ferraio era pagato ad Amiens 4 sold il giorno, ciò che corrispondeva a quarantotto libbre di pane, od all'ottava parte d'un piccolo bue. In Sassonia il salario del Geselle nei lavori di costruzione, era tale, per servirmi delle parole del Falke, che egli poteva comprare con i guadagni di sei giorni tre montoni ed un paio di scarpe.6 I doni degli operai (Geselle) alle cattedrali sono pure una testimonianza del loro relativo benessere, per non dire dei doni magnifici di certe corporazioni d'artigiani, nè di ciò che avevano costume di spendere in feste ed in banchetti.7 Più conosciamo la città del Medioevo, e più ci accorgiamo che in nessun tempo il lavoro à goduto d'una prosperità e d'un rispetto pari ai tempi fiorenti di quest'istituzione.

Vi è di più; non soltanto molte aspirazioni dei moderni radicali erano già attuate nel Medioevo, ma idee che oggi sono trattate come utopie erano allora accettate come indiscutibili realtà. Si ride quando noi diciamo che il lavoro deve essere piacevole, ma «ciascuno deve trovar piacere nel proprio lavoro», dice una ordinanza di Kutteberg nel Medioevo, «e nessuno potrà, che non faccia niente (mit nichts thun), appropriarsi di ciò che altri ànno prodotto con il loro studio ed il lavoro, poichè le leggi devono proteggere lo studio ed il lavoro».8 In occasione delle attuali discussioni sulle ore di lavoro giornaliero, sarà bene anche rammentare un'ordinanza di Ferdinando primo, relativa alle miniere imperiali di carbone, che regolava la giornata del minatore ad otto ore «come era costume in altri tempi» (wie vor Alters herkommen), ed era vietato lavorare il pomeriggio del sabato. Più di otto ore di lavoro erano molto rare, ci dice il Janssen, ma meno di otto ore era un fatto comune. In Inghilterra nel secolo XV, dice Rogers, «gli operai non lavoravano che quarantotto ore la settimana».9 Così pure, la mezza giornata di riposo del sabato, che consideriamo come una conquista moderna, era in realtà una istituzione antica del Medio Evo; era il pomeriggio del bagno per una gran parte dei membri del comune, mentre il pomeriggio del mercoledì era riservato al bagno dei Geselle.10 E quantunque le refezioni scolastiche non esistessero – probabilmente perchè nessun fanciullo arrivava digiuno a scuola – una distribuzione di denaro per il bagno ai fanciulli i cui parenti trovavano difficile il provvedervi, era in uso in parecchi luoghi.

Quanto ai Congressi del Lavoro, erano frequenti nel Medioevo. In certe parti della Germania gli operai di un dato mestiere, appartenenti a differenti comuni, avevano l'abitudine di riunirsi ogni anno per discutere questioni relative al loro mestiere: anni d'apprendistato, anni di viaggio, salari, ecc.; e nel 1572 le città anseatiche riconobbero formalmente il diritto agli operai di riunirsi in Congressi periodici e di prendere tutte le determinazioni che loro piacevano, pur che non fossero contrarie alle disposizioni della città, relativamente alla qualità delle mercanzie. Si sa che consimili Congressi del Lavoro, in parte internazionali come la Ansa stessa, furono tenuti da panettieri, fonditori, fabbri-ferrai, tintori, armaioli e bottai.11

L'organizzazione dei corpi di mestieri esigeva una sorveglianza stretta degli artigiani della corporazione, e speciali giurati erano nominati a questo scopo. Ma occorre notare che, fino a quando le città godettero della loro vita libera, non si sollevarono lagnanze per questa vigilanza; invece quando lo Stato intervenne, confiscando le proprietà delle corporazioni e distruggendo la loro indipendenza, in favore dei propri impiegati, le lagnanze divennero innumerevoli.12 D'altra parte gli immensi progressi realizzati in tutte le arti sotto il regime delle corporazioni nel Medioevo sono la prova migliore che il sistema non era d'ostacolo all'iniziativa individuale.13 Il fatto è che la corporazione del Medioevo, come la parrocchia di tale epoca, la «strada» o «il quartiere» non erano un corpo di cittadini posti sotto il controllo dei funzionari di Stato; era un'unione di tutti gli uomini che s'occupavano d'un dato mestiere: compratori-giurati delle materie prime, venditori di mercanzie manufatte, maestri operai, compagni ed apprendisti.

Per l'ordinamento interno di ogni mestiere, la relativa assemblea era sovrana, fin tanto che essa non usurpava i diritti delle altre corporazioni, nel qual caso l'affare era portato davanti alla corporazione delle corporazioni: la città. Ma eravi nella corporazione qualche cosa di più di tutto ciò. Essa aveva il suo proprio potere giudiziario, la sua forza armata, le sue assemblee generali, le sue tradizioni di lotte, di glorie e d'indipendenza, le sue relazioni dirette con le altre corporazioni dello stesso mestiere in altre città; era, in una parola, un organismo completo che esisteva, perchè rappresentava un insieme di funzioni vitali.14

Quando la città prendeva le armi, la corporazione marciava in compagnia separata (Schaar), armata con le sue proprie armi (anche più tardi, dei suoi cannoni, amorosamente ornati dalla corporazione) comandata da proprî capi, eletti da essa. Era un'unità così indipendente nella federazione quanto le repubbliche di Uri o di Ginevra lo erano cinquant'anni fa nella confederazione svizzera. Ne consegue che il paragonare la corporazione ad un sindacato operaio o ad una trade-union moderna, spogli di tutti gli attributi della sovranità dallo Stato e ridotti a funzione d'importanza secondaria, è così poco ragionevole, come paragonare Firenze o Bruges ad un comune francese, vegetante sotto il codice napoleonico, o ad una città russa posta sotto la legge municipale di Caterina II. Tutti e due ànno dei sindaci eletti, e quest'ultima à anche le sue corporazioni di mestiere, ma la differenza è tutta la differenza che c'è tra Firenze e Fontenayles-Oies o Tsarevokokchaisk, od anche tra un doge veneziano ed un sindaco moderno che si toglie il cappello davanti all'impiegato del sottoprefetto.

Le corporazioni del Medioevo sapevano mantenere la loro indipendenza; e più tardi, particolarmente nel secolo XIV, allorchè in seguito a parecchie cause che ben presto indicheremo, la vecchia vita municipale subì una profonda modificazione, i giovani maestri si mostrarono abbastanza forti per acquistare la loro giusta parte nella gestione degli affari della città. Le masse, organizzate in «arti minori», si sollevarono per togliere il potere dalle mani di un'oligarchia che ingrandiva, e la maggioranza riuscì in questo compito, aprendo così una nuova era di prosperità.

È vero che in certe città la sommossa fu soffocata nel sangue, e che vi furono esecuzioni in massa di operai, come accadde a Parigi nel 1306 ed a Colonia nel 1371. In questo caso le franchigie delle città caddero rapidamente in decadenza, e la città fu sottomessa gradatamente all'autorità centrale. Ma la maggioranza delle città aveva conservata sufficente vitalità per uscire da questa lotta con un rinnovato vigore ed una nuova vita, e un nuovo periodo di ringiovanimento fu la loro ricompensa. Vi fu un rifiorimento di vita che si manifestò con splendidi movimenti d'architettura, con un nuovo periodo di prosperità, con un rapido progresso, tanto nella tecnica quanto nell'invenzione, con un nuovo movimento intellettuale che portò al Rinascimento e alla Riforma.15

La vita della città del Medioevo fu una successione di aspre battaglie per conquistare la libertà e per conservarla.

È vero che una razza forte e tenace di borghesi erasi sviluppata durante queste accanite lotte; è vero che l'amore ed il rispetto per la città materna erano stati nutriti da queste lotte e che le grandi cose compiute dai comuni del Medioevo furono una conseguenza diretta di quest'amore. Ma i sacrifici che i comuni ebbero a sopportare nella lotta per la libertà furono crudeli e lasciarono tracce profonde di divisione nella loro vita interna. Pochissime città erano riuscite, per un concorso di circostanze favorevoli ad ottenere la libertà con un sol colpo, e questo piccolo numero la perdette in generale con uguale facilità; la maggior parte dovettero combattere cinquanta o cent'anni di seguito, spesso di più, prima che i loro diritti ad una vita libera fossero riconosciuti, poi ancora un centinaio d'anni per stabilire la loro libertà su di una base salda: gli statuti del XII secolo non essendo che una delle prime assise della libertà.16

La città del Medioevo era un'oasi fortificata in mezzo ad un paese immerso nella sommissione feudale, e doveva farsi posto con la forza delle armi. Per una successione di circostanze, alle quali abbiamo fatto allusione nel capitolo precedente, ogni comune rurale era poco a poco caduto sotto il giogo di qualche signore, laico, o clericale. La casa di questo s'era ingrandita fino a diventare un castello, ed i suoi fratelli d'arme erano ora i peggiori avventurieri, sempre pronti a spogliare i contadini. Oltre i tre giorni la settimana durante i quali i contadini dovevano lavorare per il signore, avevano da sopportare ogni specie di tasse per il diritto di seminare, di fare il raccolto, d'essere lieti o tristi, di vivere, di maritarsi, o di morire. Il peggio erano i continui saccheggi, esercitati da briganti armati appartenenti a qualche signore vicino, al quale piaceva il considerare i contadini come la famiglia del loro padrone ed esercitava su di essi, sul loro bestiame e sui loro raccolti, la rappresaglia con la quale perseguitava il loro signore. Ogni prateria, ogni campo, ogni fiume, ogni strada intorno alla città, ed ogni uomo nella campagna appartenevano ad un signore.

L'odio dei borghesi contro i baroni feudali è espresso in modo molto caratteristico nei termini dei differenti statuti che i signori furono costretti a firmare. Enrico V è obbligato a firmare nello statuto, accordato a Spira nel 1111, che egli libera i borghesi da «l'orribile ed esecrabile legge della manomorta, che à immerso la città nella più profonda miseria «von dem scheusslichen und nichtswürdigen Gesetze, welches gemein Budel genant wird», (Kallsen, I, 307). Il decreto di Baiona scritto verso il 1273 contiene dei passi come questo: «I popoli sono anteriori ai signori; è il popolo minuto, più numeroso degli altri, che, volendo vivere in pace, fece dei signori per contenere ed abbattere i forti» e così di seguito (Giry, «Istituzione di Rouen», I, 117, citato dai Luchaire, pag. 24). Uno statuto sottoposto alla firma del re Roberto è ugualmente caratteristico: «Non ruberò nè buoi, nè altri animali. Non mi impadronirò dei mercanti, nè prenderò il loro denaro, nè imporrò delle taglie. Dal giorno dell'Annunciazione fino al giorno di Ognissanti io non prenderò nè cavallo, nè giumento, nè puledro nelle praterie. Non brucerò i mulini, nè ruberò la farina. Non proteggerò affatto i ladri, ecc.» (Pfister à pubblicato questo documento riprodotto dal Luchaire). Lo statuto «accordato» dall'arcivescovo di Besançon, Ugo, nel quale egli è costretto ad enumerare tutti i misfatti dovuti ai suoi diritti della mano morta, è pure caratteristico.17 Accadeva lo stesso un po' dappertutto.

La libertà non poteva essere conservata con tali vicini, e le città erano forzate a fare la guerra fuori delle loro mura. I borghesi inviavano emissari per sollevare rivolte nei villaggi, ricevevano dei villaggi nelle loro corporazioni e guerreggiavano direttamente contro i nobili. In Italia, dove eravi un grandissimo numero di castelli feudali, la guerra prendeva proporzioni eroiche, ed era condotta con un feroce accanimento da ambo le parti. Firenze sostenne durante settantasette anni una serie di guerre sanguinose al fine di liberare il suo contado dai nobili; ma quando la conquista fu compiuta (nel 1181) tutto era da ricominciare. I nobili si ricollegarono; costituirono le loro leghe in opposizione alle leghe della città, e ricevendo dei nuovi rinforzi sia dall'Imperatore, sia dal Papa, fecero durare le guerre ancora centotrent'anni. Le cose accaddero nello stesso modo a Roma, in Lombardia, in tutta Italia.

I cittadini spiegarono in queste guerre dei prodigi di valore, d'audacia, di tenacia. Ma gli archi e le asce degli artigiani e dei borghesi non avevano sempre vantaggio negli scontri con cavalieri coperti d'armature, e molti castelli resistettero alle ingegnose macchine d'assedio ed alla perseveranza dei cittadini. Qualche città, come Firenze, Bologna e parecchie città della Francia, della Germania e della Boemia, riuscirono ad emancipare i villaggi circonvicini, e furono compensate dei loro sforzi da una prosperità e tranquillità straordinarie. Ma nelle stesse città, e ancor più nelle città meno forti e meno intraprendenti, i mercanti e gli operai, esausti dalle guerre e ignari dei loro interessi, finirono per firmare dei trattati con i quali essi sacrificavano i contadini.

I signori furono forzati a giurare alleanza alla città; i loro castelli nelle campagne furono demoliti, e dovettero costruire le loro case e risiedere nella città, di cui divennero concittadini; ma conservarono in cambio la maggior parte dei loro diritti sui contadini, i quali non ottennero che un sollievo parziale dalle loro rivendicazioni. I borghesi non capirono che dei diritti uguali a quelli della città potevano essere accordati ai contadini, sui quali dovevano contare per trovare le provvigioni; ed il risultato fu, che un abisso profondo si scavò tra la città ed il villaggio.

In certi casi i contadini cambiarono semplicemente di padrone, perchè la città comperava i diritti dai baroni e li vendeva in parti ai suoi propri cittadini.18 Il servaggio fu mantenuto, e non è che molto più tardi, verso la fine del XIII secolo, che la rivoluzione degli operai cominciò a porvi fine ed abolì il servaggio personale, ma spossessò nello stesso tempo i servi della gleba.19 Occorre aggiungere che i risultati di una tale politica furono ben presto sentiti dalle città medesime; la campagna diventò la nemica della città.

La guerra contro i castelli ebbe un'altra conseguenza fatale. Trasse le città in una lunga sequela di guerre tra loro; e ciò à dato origine alla teoria, in voga fino ai nostri giorni, che le città perdettero la loro indipendenza, a causa delle loro proprie rivalità e delle loro lotte reciproche. Gli storici imperialisti ànno particolarmente sostenuta questa teoria che però non si trova confermata dalle ricerche moderne. È vero che in Italia le città si combattevano le une contro le altre con ostinata animosità, ma in nessuna altra parte queste lotte raggiunsero le stesse proporzioni; ed anche in Italia, le guerre delle città, particolarmente quelle del primo periodo, ebbero le loro cause speciali. Non erano (come l'ànno già dimostrato il Sismondi ed il Ferrari) che una semplice continuazione della guerra contro il castello: il principio della libera municipalità e della libera federazione entrava inevitabilmente in lotta contro la feudalità, l'imperialismo ed il papato. Molte città che non avevano potuto scuotere che parzialmente il giogo del vescovo, del signore, o dell'imperatore, furono letteralmente spinte contro le città libere dai nobili, dall'imperatore e dalla Chiesa, la cui politica era di dividere le città e armarle l'una contro l'altra. Queste circostanze speciali (che ebbero un contraccolpo parziale anche in Germania) spiegano perchè le città italiane, delle quali alcune cercavano di aver l'appoggio dell'imperatore per combattere il papa, mentre altre chiedevano l'appoggio della Chiesa per resistere all'imperatore, fossero ben presto divise in due campi, Ghibellini e Guelfi, e perchè la stessa divisione si riproducesse in ogni città.20

L'immenso progresso economico realizzato dalla maggior parte delle città italiane anche nel tempo in cui le guerre furono più accanite,21 e le alleanze facilmente concluse tra le città, mostrano meglio il carattere di queste lotte e finiscono per abbattere la teoria della quale abbiamo testè parlato.

Già negli anni 1130-1150 s'erano formate delle leghe potenti. Alcuni anni più tardi, allorchè Federico Barbarossa invase l'Italia e, sostenuto dai nobili e da qualche città retrograda, marciò contro Milano, il popolo pieno di entusiasmo, fu sollevato in molte città da predicatori popolari. Crema, Piacenza, Brescia, Tortona, ecc., sorsero alla riscossa; le insegne delle corporazioni di Verona, Padova, Vicenza e Treviso sventolarono a fianco a fianco nel campo dei comuni contro le insegne dell'imperatore e dei nobili. L'anno dopo la lega lombarda fu creata, e sessant'anni più tardi, la vediamo rafforzata da molte altre città, formanti un'organizzazione solida che aveva la metà del suo tesoro federale per la guerra a Genova e l'altra metà a Venezia.22 Nella Toscana Firenze si mise a capo di un'altra lega potente alla quale Lucca, Bologna, Pistoia, ecc., appartenevano, e che rappresentò una parte importante nello schiacciare i nobili nel centro d'Italia. Altre leghe, più piccole, erano frequenti. Così nonostante le meschine rivalità che generavano facilmente la discordia, le città s'univano per la difesa comune della libertà. Più tardi soltanto, quando le città diventarono piccoli Stati, le guerre scoppiarono tra loro, come è fatale allorchè gli Stati si mettono in lotta per la supremazia o per il possesso di colonie.

Leghe simili si formarono in Germania allo stesso fine. Quando, sotto i successori di Corrado, il paese fu in preda ad interminabili lotte tra i nobili, le città della Westfalia fecero una lega contro i cavalieri, della quale una delle clausole era di non prestare denaro ad un cavaliere che continuasse a ricettare merci rubate.23 I cavalieri «vivevano di rapine ed uccidevano chi loro piaceva di uccidere», risulta dalle lagnanze formulate dal Wormser Zorn; le città del Reno (Magonza, Colonia, Spira, Strasburgo e Basilea) presero allora la iniziativa di una lega che contò ben presto sessanta città alleate, represse le depredazioni e mantenne la pace. Più tardi la lega delle città della Svezia, divise in tre «distretti di pace» (Asburgo, Costanza ed Ulma) ebbe lo stesso scopo. Ed allorchè queste leghe furono spezzate,24 avevano abbastanza vissuto per mostrare che mentre quelli, che si è cercato presentare come pacificatori – i re, gli imperatori e la Chiesa – fomentavano la discordia ed erano essi medesimi impotenti contro i cavalieri predatori, dalle singole città venne l'impulso per il ristabilimento della pace e dell'unione. Le città, non gli imperatori, furono le vere fondatrici dell'unità nazionale.25

Federazioni analoghe furono organizzate allo stesso scopo tra piccoli villaggi; ed ora che l'attenzione è stata svegliata su questo soggetto dal Luchaire, possiamo sperare di saperne ben presto di più. Sappiamo che un certo numero di villaggi si riunirono in piccole federazioni nel contado di Firenze e che fu lo stesso nelle vicinanze di Novgorod e di Pskov. Quanto alla Francia, si sa, in maniera certa, che una federazione di diciassette villaggi di contadini esistette nel laonnese pressochè per cento anni (fino al 1256) e combattè vigorosamente per la propria indipendenza. Esistevano anche nelle vicinanze di Laon tre altre repubbliche campagnole, che avevano prestato giuramento su statuti simili a quelli di Laon e di Soissons; i loro territori erano contigui, esse si aiutavano reciprocamente nelle loro guerre di indipendenza. Il Luchaire pensa che parecchie federazioni simili avevano dovuto formarsi in Francia nel XII e XIII secolo, ma che i documenti che vi si riferiscono siano per la maggior parte andati perduti. Non essendo protette da mura, potevano facilmente essere distrutte dai re e dai signori; ma in date circostanze favorevoli, avendo trovato aiuto da una lega di città, o protezione nelle loro montagne, tali repubbliche rurali sono diventate le unità indipendenti della confederazione svizzera.26

Le unioni tra città a scopi pacifici erano molto frequenti. Le relazioni che s'erano stabilite durante il periodo di liberazione non furono rotte più avanti. Qualche volta, quando gli scabini di una città tedesca, dovendo pronunciare un giudizio in un caso nuovo e complicato, dichiaravano di non conoscere la sentenza (des Urtheiles nicht weise zu sein), inviavano dei delegati in un'altra città per ottenere questa sentenza. La stessa cosa avveniva ugualmente in Francia;27 e si sa che Forlì e Ravenna ànno reciprocamente naturalizzato i loro cittadini ed ànno accordato tutti i loro diritti nelle due città. Era anche nello spirito dell'epoca il sottomettere una contestazione sollevatasi tra due città, o nell'interno di una città, ad un altro comune preso come arbitro.28 Quanto ai trattati commerciali tra città, essi erano del tutto arbitrali.29 Delle unioni per regolare la fabbricazione e la capacità dei tini impiegati nel commercio dei vini, delle «unioni per il commercio delle aringhe», ecc., non erano che le avanguardie della grande federazione commerciale della Lega fiamminga e più tardi della grande Lega della Germania del nord, la cui storia, da se sola, fornirebbe molte pagine che darebbero una idea dello spirito di federazione che caratterizzava gli uomini di quell'epoca. Abbiamo appena bisogno di aggiungere che le città del Medioevo ànno più contribuito con le unioni anseatiche allo sviluppo delle relazioni internazionali, della navigazione e delle scoperte marittime di tutti gli Stati dei primi diciassette secoli dell'era nostra.

In breve, federazioni tra piccole unità territoriali, come tra uomini uniti da lavori comuni nelle loro rispettive corporazioni, e le federazioni tra città e gruppi di città costituiscono l'essenza stessa della vita e del pensiero in quest'epoca. Il periodo compreso tra il X e il XVI secolo della nostra era potrebbe dunque essere descritto come un immenso sforzo per stabilire l'aiuto e l'appoggio reciproco in vaste proporzioni, il principio di federazione e d'associazione essendo applicato in tutte le manifestazioni della vita umana ed in tutti i gradi possibili. Questo sforzo fu in gran parte coronato da successo. Unì uomini che prima erano divisi; assicurò loro molta libertà, e raddoppiò le loro forze. In un tempo in cui il particolarismo era prodotto da tante circostanze, in cui le cause di discordie e di gelosie erano così numerose, è confortante il vedere delle città, sparse su un vasto continente, aver tanto in comune ed essere pronte a confederarsi per il compimento di scopi comuni. A lungo andare soccombettero davanti a nemici potenti. Per non aver capito il principio del mutuo appoggio più largamente, commisero esse medesime errori funesti. Ma non perirono per gelosie reciproche, ed i loro errori non provenivano da mancanza di spirito federativo.

I risultati di questo nuovo progresso dell'umanità nella città del Medioevo furono immensi. Al principio del secolo XI le città d'Europa erano piccoli gruppi di capanne miserabili, ornati solamente di chiese basse e tozze delle quali il costruttore sapeva appena come fare la volta; le arti – non vi erano altro che tessitori e fabbri-ferrai – erano nella infanzia; il sapere non si trovava che in qualche raro monastero. Trecentocinquant'anni più tardi la faccia d'Europa era mutata. Il territorio era sparso di ricche città, circondate da spesse mura, ornate di torri e di porte, delle quali ciascuna era un'opera d'arte. Le cattedrali, d'uno stile pieno di grandezza e decorate con abbondanza, inalzavano verso il cielo i loro campanili d'una purezza di forma e d'un ardire di immaginazione che noi ci sforzeremmo inutilmente di raggiungere oggi. Le arti ed i mestieri avevano raggiunto un grado di perfezione in molte manifestazioni che non possiamo vantarci di aver superate, se stimiamo l'abilità inventiva dell'operaio e la perfezione del suo lavoro, più che la rapidità nella esecuzione. Le navi delle città libere solcavano in tutte le direzioni i mari interni d'Europa; uno sforzo di più ed andranno attraverso gli oceani. Su grandi spazi di territorio il benessere aveva sostituito la miseria; il sapere erasi sviluppato, diffuso. I metodi scientifici s'elaboravano, le basi della fisica erano state poste, e le vie erano aperte per tutte le invenzioni meccaniche delle quali il nostro secolo è così orgoglioso. Tali furono i cambiamenti magici compiuti in Europa in meno di quattrocento anni. E se ci si vuol rendere conto delle perdite sofferte per la distruzione delle città libere, occorre raffrontare il secolo XVII con il XIV o il XIII. La prosperità che caratterizzava in altri tempi la Scozia, la Germania, le pianure d'Italia è scomparsa; le strade sono cadute nell'abbandono; le città sono spopolate, il lavoro è asservito, l'arte è in decadenza, il commercio stesso declina.30

Se le città del Medioevo non ci avessero lasciato nessun monumento scritto a testimonianza del loro splendore, e non avessero lasciato che i monumenti d'architettura che vediamo ancora oggi in tutta Europa, dalla Scozia all'Italia e da Girona in Spagna fino a Breslavia in territorio slavo, potremmo affermare che il periodo in cui le città ebbero vita indipendente fu quello del più grande sviluppo dello spirito umano dall'era cristiana al XVIII secolo. Se guardiamo, ad esempio, un quadro del Medioevo rappresentante Norimberga con le sue torri, i suoi campanili slanciati, di cui ciascuno porta l'impronta di un'arte liberamente creatrice, possiamo appena concepire che trecento anni prima la città era un ammasso di misere capanne. E la nostra ammirazione non fa che crescere, quando entriamo nei particolari dell'architettura e dei fregi di ciascuna delle innumerevoli chiese, campanili, case municipali, porte di città, ecc., che troviamo in Europa, tanto lontano verso l'est come la Boemia e le città, morte oggidì, della Galizia polacca. Non solo l'Italia, patria delle arti, ma tutta Europa è coperta di questi monumenti. Il fatto stesso che fra tutte le arti, l'architettura – arte sociale per eccellenza – à toccato il suo più alto sviluppo, è significativo. Per arrivare al grado di perfezione che à raggiunto, quest'arte à dovuto essere il prodotto d'una vita eminentemente sociale.31

L'architettura del Medioevo à raggiunto la sua grandezza non soltanto, perchè fu il fiorire spontaneo di un mestiere, come si è detto recentemente; non soltanto perchè ogni costruzione, ogni decorazione architettonica era l'opera d'uomini che conoscevano con l'esperienza delle loro proprie mani gli effetti artistici che si possono ottenere dalla pietra, dal ferro, dal bronzo, od anche da semplici travi e calcina; non soltanto perchè ogni monumento era il risultato dell'esperienza collettiva accumulata in ciascun «mistero» o mestiere32 – l'architettura medioevale fu grande, perchè nata da una grande idea. Come l'arte greca, essa scaturì da una concezione di fratellanza e di unità generata dalla città. Aveva un'audacia che non può acquistarsi che con le lotte audaci e le vittorie; esprimeva il vigore, perchè il vigore impregnava tutta la vita della città. Una cattedrale, una casa comunale simboleggiavano la grandezza d'un organismo di cui ciascun muratore e ciascun tagliatore di pietra era un costruttore; e un monumento del Medioevo non appariva mai uno sforzo saltuario, dove migliaia di schiavi avrebbero eseguita la parte assegnata ad essi dalla immaginazione d'un solo uomo – tutta la città vi aveva contribuito. L'alto campanile s'alzava su una costruzione che aveva della grandezza in se stessa, nella quale si poteva sentir palpitare la vita della città; non era una costruzione assurda come la torre in ferro di 300 metri di Parigi, nè una fabbrica in pietra fatta per nascondere la bruttezza d'una armatura di ferro come la Tower Bridge a Londra. Come l'Acropoli d'Atene, la cattedrale di una città del Medioevo era inalzata con l'intenzione di glorificare la grandezza della città vittoriosa, di simboleggiare l'unione delle sue arti e mestieri, di esprimere la fierezza di ogni cittadino in una città che era la sua propria creazione. Spesso, compiuta la seconda rivoluzione dei giovani mestieri, si vide la città incominciare una nuova cattedrale al fine d'esprimere l'unione nuova, più larga, più vasta, chiamata allora alla vita.

I mezzi dei quali disponevasi per queste grandi imprese erano di una modicità stupefacente. La cattedrale di Colonia fu cominciata con una spesa annuale di soli 500 marchi: un dono di 100 marchi fu inscritto come una grande donazione;33 ed anche quando i lavori avvicinavansi al termine ed i doni affluivano ognor più, la spesa annuale in denaro restò di circa 5000 marchi e non eccedette mai i 14 mila. La cattedrale di Basilea fu pure costruita con risorse così modiche. Ma le corporazioni contribuivano con pietre, con lavori ed invenzioni decorative al loro monumento comune. Ogni corporazione vi esprimeva i suoi principî politici, raccontava in bronzo ed in pietra la storia della città, glorificando i principî di «Libertà, Uguaglianza e Fratellanza»,34 lodando gli alleati della città e votando i suoi nemici al fuoco eterno. Ogni corporazione attestava il suo amore al monumento comunale decorandolo di vetrate, di pitture, di «cancelli degni d'essere le porte del Paradiso» come disse Michelangelo, o decorando di sculture di pietra i più piccoli angoli dell'edificio.35 Piccole città, anche piccole parrocchie36 rivaleggiavano con le grandi agglomerazioni in questi lavori, e le cattedrali di Laon e di Sant-Ouen la cedono di poco a quella di Reims, o alla casa del comune di Brema, od al campanile dell'assemblea del popolo di Breslavia. «Nessuna opera deve essere intrapresa dal comune se non è concepita secondo il gran cuore del comune, composto dai cuori di tutti i cittadini, uniti in una comune volontà» – tali sono le parole del Consiglio di Firenze; e questo spirito appariva bene in tutte le opere comunali di utilità sociale: i canali, le terrazze, i vigneti, i giardini ed i frutteti intorno a Firenze, o i canali irrigatori che solcano le pianure della Lombardia, o il porto e l'acquedotto di Genova, in breve, tutti i lavori di questo genere furono compiuti dalla unanimità dei cittadini, in ogni città.37

Tutte le arti avevano progredito nella stessa maniera nelle città del Medioevo. Le arti del nostro tempo non sono nella maggior parte che una continuazione di quelle che si erano allora sviluppate. La prosperità delle città fiamminghe era basata sulla fabbricazione dei bei tessuti di lana. Firenze al cominciare del XIV secolo, prima della peste nera, fabbricava dai 70.000 a 100.000 panni di lana, che erano valutati 1.200.000 fiorini oro.38 La cesellatura dei metalli preziosi, l'arte del fonditore, i bei ferri lavorati furono creazioni dei «misteri» del Medioevo, che riuscirono ad eseguire ciascuno nel proprio campo tutto ciò che era possibile fare con la mano, senza l'aiuto di un potente motore.

Con la mano e con l'invenzione, per servirci delle parole del Whewell: «La pergamena e la carta, la stampa e la incisione, il vetro e l'acciaio perfezionati, la polvere da cannone, gli orologi, i telescopi, la bussola, il calendario riformato, la notazione decimale, l'algebra, la trigonometria, la chimica, il contrappunto (invenzione che equivale ad una nuova creazione della musica), tutte queste cognizioni ci vengono da ciò che è chiamato con tanto disprezzo il Periodo stazionario» (History of Inductive Sciences, I, 252).

È vero, come dice il Whewell, che nessuna di queste scoperte era il risultato di nuovi principî; ma la scienza del Medioevo aveva fatto più che la scoperta propriamente detta di nuovi principî. Aveva preparato la scoperta di tutti i nuovi principî che conosciamo attualmente nelle scienze meccaniche: aveva abituato il cercatore ad osservare i fatti ed a ragionare su di essi. Era la scienza induttiva, quantunque non avesse ancora pienamente capita la importanza ed il potere della induzione; e poneva già le basi della meccanica e della fisica. Francesco Bacone, Galileo e Copernico furono i discendenti diretti di un Ruggero Bacone e di un Michele Scot, come la macchina a vapore fu il prodotto diretto delle ricerche continuate nelle università italiane di quell'epoca sul peso dell'atmosfera, e degli studi tecnici e matematici che caratterizzano Norimberga.39

Ma perchè prendere la pena d'insistere sui progressi delle scienze e delle arti nella città del Medioevo? Non basta menzionare le cattedrali nel dominio dell'abilità tecnica, o la lingua italiana e il poema di Dante nel dominio del pensiero per dare immediatamente la misura di ciò che la città medioevale creò durante i quattro secoli che essa visse?

Le città del Medioevo ànno reso un immenso servizio alla civiltà europea. Esse le ànno impedito di avviarsi verso le teocrazie e gli Stati dispotici dell'antichità; le ànno dato la varietà, la fiducia in se stessa, la forza d'iniziativa e le immense energie intellettuali e materiali che possiede oggi e che sono la miglior garanzia della sua attitudine a resistere ad una nuova invasione che venga dall'Oriente. Ma perchè dunque questi centri di civiltà che rispondevano ai bisogni profondi della natura umana e che erano sì pieni di vita, non vissero di più? Perchè furono colpiti da debolezza senile nel XVI secolo, e dopo aver respinto tanti assalti del di fuori ed aver trovato dapprima un nuovo vigore nelle lotte interne, perchè, finalmente, soccombettero sotto questi doppi attacchi?

Delle cause varie contribuirono a questo risultato, certe avevano le loro radici in un lontano passato, altre venivano dalle colpe commesse dalle città stesse.

Verso la fine del XV secolo, dei potenti Stati, ricostruiti sul vecchio modello romano, cominciavano già a costituirsi. In ogni regione qualche signore feudale, più abile, più avido di ricchezze e spesso meno scrupoloso dei suoi vicini era riuscito ad appropriarsi dei più ricchi dominî personali, più contadini nelle sue terre, più cavalieri nel suo seguito, più tesoro nei suoi scrigni. Aveva scelto per sua residenza un gruppo di villaggi ben situati, dove non era si ancora sviluppata la libera vita municipale – Parigi, Madrid o Mosca – e con il lavoro dei suoi servi ne aveva fatto delle città regie fortificate. Là attirava dei compagni d'arme, dando loro con liberalità villaggi, e dei mercanti, offrendo la sua protezione nel commercio. Il germe d'un futuro Stato, che cominciava gradatamente ad assorbire altri centri simili, era così formato. Dei giureconsulti, versati nello studio del Diritto romano, abbondavano in questi centri, razza d'uomini tenaci ed ambiziosi, usciti dalla borghesia; detestavano al pari la alterigia dei signori e lo spirito ribelle dei contadini. La forma stessa del comune rurale, che i loro codici ignoravano, ed i principî di federalismo loro ripugnavano come un'eredità dei «barbari». Il cesarismo, sostenuto dalla menzogna del consenso popolare e dalla forza delle armi, tale era il loro ideale, e lavoravano alacremente per quelli che promettevano di attuarlo.40

La Chiesa cristiana, altra volta ribelle alla legge romana ed ora sua alleata, lavorò nello stesso senso. Il tentativo di costituire l'impero teocratico d'Europa essendo fallito, i vescovi più intelligenti e più ambiziosi prestarono il loro concorso a quelli sui quali contavano per ricostruire il potere dei re di Israele o degli imperatori di Costantinopoli. La Chiesa consacrò questi primi dominatori, li coronò come rappresentanti di Dio sulla terra, mise a loro servizio il sapere e lo spirito politico dei suoi ministri, le sue benedizioni e le sue maledizioni, le sue ricchezze e le simpatie che aveva conservate tra i poveri. I contadini che le città non avevano potuto o voluto liberare, vedevano che i borghesi non riuscivano a metter fine alle guerre interminabili tra nobili – guerre per le quali pagavano caro – volgevano le loro speranze verso il re, l'imperatore od il gran principe; e mentre li aiutavano a schiacciare i potenti proprietari dei feudi, li aiutavano a costituire lo Stato centralizzato. Infine, le invasioni dei Mongoli e dei Turchi, le guerre sante contro i Mori di Spagna, come le terribili guerre che scoppiarono ben presto tra i centri della nascente sovranità, l'Isola di Francia e la Borgogna, la Scozia e l'Inghilterra. l'Inghilterra e la Francia, la Lituania e la Polonia, Mosca e Tver, ecc., contribuirono allo stesso risultato. Dei potenti Stati furono costituiti; le città ebbero ormai da resistere, non solamente a vaghe federazioni di signori, ma anche a centri solidamente organizzati, che avevano delle armate di servi a loro disposizione.

Il peggio fu che queste autocrazie crescenti trovarono appoggi per le divisioni che si erano formate in seno alle città stesse. L'idea fondamentale della città del Medioevo era grande, ma essa non era abbastanza vasta. L'aiuto ed il sostegno reciproco non potevano essere limitati ad una piccola associazione; dovevano estendersi tutto intorno, senza che i dintorni assorbissero l'associazione. Sotto questo aspetto il cittadino del Medioevo aveva commesso un grave errore fin da principio. Invece di vedere nei contadini e negli operai che si riunivano sotto la protezione delle sue mura, tanti ausiliari che avrebbero contribuito da parte loro alla prosperità della città – come fu veramente – una profonda divisione fu tracciata tra «le famiglie» dei vecchi borghesi ed i nuovi venuti. Ai primi furono riservati tutti i benefici derivanti dal commercio comunale e dalle terre comunali; niente fu lasciato agli ultimi eccetto il diritto di servirsi dell'abilità delle loro mani. La città fu così divisa: da una parte i «borghesi» o «il comune», e dall'altra «gli abitanti».41 Il commercio, che era dapprima comunale, diventò privilegio di «famiglie» di mercanti e di artigiani, e non vi fu più che un passo da fare, perchè divenisse privilegio individuale od il privilegio di gruppi di oppressori; questo passo era inevitabile, e fu fatto.

La stessa divisione si stabilì nella città propriamente detta ed i villaggi circonvicini. Il comune aveva bene tentato, sul principio, di emancipare i contadini; ma le sue guerre contro i signori divennero, come abbiamo già detto, guerre per liberare la città stessa dai signori anzichè per liberare i contadini. La città lasciò al signore i suoi diritti sui contadini, alla condizione che non la molesterebbe più e diverrebbe un con-cittadino. Ma i nobili «adottati» dalla città e residenti ora nelle sue mura, non fecero che continuare l'antica guerra nella cinta stessa della città. Loro spiaceva di sottomettersi ad un tribunale di semplici artigiani e di mercanti e continuarono nelle loro antiche ostilità di famiglie, le loro guerre private nelle vie. Ogni città aveva ora i suoi Colonna ed i suoi Orsini, i suoi Overstolze ed i suoi Wise. Questi signori, traendo cospicue rendite dalle terre che avevano conservate, si circondarono di numerosi clienti, feudalizzando i costumi e le abitudini della città stessa. E quando i dissensi cominciarono a farsi sentire tra gli artigiani, offrirono le loro spade e le loro compagnie armate per troncare le liti con dei combattimenti, invece di lasciare i dissensi trovare soluzioni più pacifiche, che non mancavano mai d'essere trovate nell'antico tempo.

Il più grave e il più funesto errore della maggior parte delle città fu di prendere per base della loro ricchezza il commercio e l'industria a detrimento dell'agricoltura. Ripeterono in tal modo l'errore già commesso dalle città della Grecia antica, e per ciò stesso caddero negli stessi delitti.42 Divenute estranee all'agricoltura, un grande numero di città si trovarono necessariamente trascinate verso una politica nemica ai contadini. Questo divenne sempre più evidente al tempo di Eduardo III,43 e della Jacquerie in Francia, delle guerre ussite e delle guerre di contadini in Germania. D'altra parte la politica commerciale le impegnava nelle lontane imprese. Furono fondate colonie dagli Italiani nel sud-est, dalle città tedesche nell'est, dalle città slave verso l'estremo nord-est. Si cominciò a mantenere milizie mercenarie per la guerra coloniale, e ben presto anche per la difesa della città stessa. Furono contratti prestiti in proporzioni così smisurate che demoralizzarono completamente i cittadini; e le liti interne imperarono ad ogni elezione nella quale la politica coloniale, nell'interesse solamente di alcune famiglie, era in giuoco. La divisione tra ricchi e poveri diventò più profonda, e nel secolo XVI, in ogni città, l'autorità regia trovò alleati solleciti ed un appoggio tra i poveri.

Vi fu ancora un'altra causa della rovina delle istituzioni comunali, più profonda ed insieme di ordine più elevato di tutte le precedenti. La storia delle città del Medioevo presenta uno dei più meravigliosi esempi del potere delle idee e dei principî sui destini dell'uman genere, e della differenza assoluta di risultati che accompagnano ogni profonda modificazione delle idee direttive. La fiducia in se stesso ed il federalismo, la sovranità di ogni gruppo e la costituzione del corpo politico dal semplice al complesso, erano le idee direttive del secolo XI. Ma, da quest'epoca, le opinioni erano interamente cambiate. Gli studenti di Diritto romano ed i prelati della Chiesa, strettamente uniti dall'epoca di Innocenzo III, erano pervenuti a paralizzare l'idea – l'antica idea greca – che presiedette alla fondazione delle città. Durante due o trecento anni predicarono dall'alto del pulpito, insegnarono nell'Università, pronunciarono al banco del Tribunale, che occorreva cercare la salvezza in uno Stato fortemente centralizzato, posto sotto un'autorità semi-divina.44 Questo sarebbe un uomo, dotato di pieni poteri, un dittatore, che solo potrebbe essere e sarebbe il salvatore della società; in nome della salute pubblica egli potrebbe allora commettere qualunque specie di violenza: bruciare degli uomini e delle donne sopra il rogo, farli perire con indescrivibili torture, immergere province intere nella più abbietta miseria. E non mancarono di mettere queste teorie in pratica con inaudita crudeltà, dappertutto ove potevano arrivare la spada del re, od il fuoco della Chiesa, o tutti e due insieme. Con questi insegnamenti e questi esempi, continuamente ripetuti e forzanti la opinione pubblica, lo spirito stesso dei cittadini fu modellato in nuova maniera. Ben presto nessuna autorità fu trovata eccessiva, nessuna esecuzione a fuoco lento parve troppo crudele, poichè era compiuta «per la sicurezza pubblica». Con questa nuova direzione dello spirito, e questa nuova fede nella potenza d'un uomo, il vecchio principio federalista svanì ed il genio creatore nelle masse si estinse. L'idea romana trionfava, ed in queste circostanze lo Stato accentrato trovò nella città una facile preda.

Firenze nel XV secolo offre l'esempio di questo mutamento. Prima una rivoluzione popolare era il segnale d'un nuovo slancio. Ora, quando il popolo spinto dalla disperazione insorge, non à più idee costruttive; nessuna idea nuova lo illumina. Un migliaio di rappresentanti entrano nel consiglio comunale invece di quattrocento; cento uomini entrano nella Signoria invece di ottanta. Ma una rivoluzione in cifre non vuol dir niente. Lo scontento del popolo cresce e delle nuove rivolte scoppiano. Allora si fa appello ad un salvatore – al «tiranno». Egli massacra i ribelli, ma il disgregamento del corpo comunale continua, peggio che mai. E quando dopo una nuova rivolta il popolo di Firenze si rivolge all'uomo più popolare della città, Gerolamo Savonarola, il monaco risponde: «Oh, mio popolo, tu sai bene che non posso occuparmi degli affari dello Stato... purifica la tua anima, e se in questa disposizione di spirito tu riformi la tua città, allora, popolo di Firenze, tu avrai inaugurata la riforma di tutta l'Italia!». Le maschere del carnevale ed i cattivi libri sono bruciati, si fa decretare una legge di carità, un'altra contro gli usurai – e la democrazia di Firenze resta quella che era. Lo spirito dell'antico tempo è morto. Per aver avuto troppa fiducia nel governo, i cittadini ànno cessato d'aver confidenza in se stessi; sono incapaci di trovare nuove vie. Lo Stato non à più che da intervenire e schiacciare le ultime libertà.

Tuttavia la corrente dell'aiuto e dell'appoggio mutuo non è del tutto inaridita nelle moltitudini; continua a scorrere, anche dopo questa disfatta. S'ingrossa di nuovo con una forza formidabile agli appelli comunalisti dei primi propagatori della Riforma, e continua ad esistere anche dopo che le masse, non essendo riuscite a realizzare la vita che speravano inaugurare sotto l'ispirazione della religione riformata, caddero sotto la dominazione d'un potere autocratico. Il flutto scorre ancora oggi e cerca di trovare una nuova manifestazione che non sarà più lo Stato, nè la città del Medioevo, nè il comune rurale dei barbari, nè il clan dei selvaggi, ma parteciperà di tutte queste forme e sarà loro superiore per una concezione più larga e più profondamente umana.

1 Gli studî trattanti questo soggetto sono molto numerosi; ma non vi è ancora un'opera che tratti della città del Medioevo in generale. Per i comuni francesi, le Lettres e le Considérations sur l'Histoire de France d'Agostino Thierry restano classiche, ed i Communes françaises del Luchaire ne sono un eccellente completamento. Per le città d'Italia, la grande opera del Sismondi (Histoire des républiques italiennes du moyen âge, Parigi, 1826, 16 vol.), La Storia d'Italia di Leo e Botta, le Rivoluzioni d'Italia del Ferrari, e Geschichte der Städteverfassung in Italien di Hegel sono le principali sorgenti di notizie generali. Per la Germania abbiamo Städteverfassung del Maurer, Geschichte der deutschen Städte di Bartholdt, e come opere recenti, Städte un Gilden der germanischen Völker di Hegel (2 vol., Leipzig, 1891) e Die deutschen Städte im Mittelalter del Dr. Otto Kallsen (2 vol., Halle, 1891) come pure Geschichte des deutschen Völkes di Jannsen (5 vol., 1886), di cui la traduzione francese apparve nel 1892. Per il Belgio, Les libertés communales di A. Wauters (Bruxelles, 1869-78, 3 vol.). Per la Russia, le opere di Biélaeff, Kostomaroff e Serghievitch. Infine per l'Inghilterra possediamo una delle migliori opere sulle città d'una regione estesa: Town Life in Fifteenth Century di Mrs. J. R. Green (2 vol., London, 1874). Abbiamo anche una grande abbondanza di storie locali ben conosciute e parecchie eccellenti opere di storia generale ed economica che ò spesso citato nei due capitoli precedenti. La ricchezza di questa letteratura consiste principalmente in studî separati, qualche volta ammirabili, sulla storia di certe città, particolarmente italiane o tedesche sulle corporazioni; la questione agraria; i principî economici dell'epoca; l'importanza economica delle corporazioni o dei mestieri; le leghe tra le città (la Hanse); e l'arte comunale. Un'incredibile messe d'informazioni è contenuta nelle opere di questa seconda categoria, delle quali solamente qualcuna tra le più importanti sono qui citate.

2 Kulischer, in un eccellente saggio sul commercio primitivo (Zeitschrift für Völker psychologie, vol. X, 380), mostra anche che, secondo Erodoto, gli Agrippini erano considerati inviolabili, perchè il commercio tra gli Sciti e le tribù del nord avveniva sul loro territorio. Un fuggiasco era sacro sul loro territorio, e spesso erano richiesti come arbitri tra i vicini. Vedasi Appendice XI.

3 Si sono sollevate ultimamente delle discussioni sul Weichbild e la legge del Weichbild che restano ancora oscure (vedasi Zöpfl, Alterhümer des deutschen Reich und Rechts, III, 29; Kallsen, I, 316). La spiegazione qui sopra sembra essere la più probabile; ma ben inteso, occorre sia confermata da nuove ricerche. È anche evidente che, per impiegare una espressione scozzese, la mercet cross, la croce del mercato, può essere considerata come un emblema della giurisdizione della chiesa, ma la troviamo talvolta nelle città episcopali ed in quelle dove l'assemblea del popolo era sovrana.

4 Per tutto ciò che concerne le corporazioni mercantili vedere l'opera molto completa di Ch. Gross, The Guild Merchant, Oxford, 1890, 2 vol., ed anche le osservazioni di Mrs. Green nel Town Life in the Fifteenth Century, vol. II, ch. V, VIII, X; e la critica di questo soggetto di A. Doren nel Schmoller Forschungen, vol. XII. Se le considerazioni indicate nel capitolo precedente (secondo le quali il commercio era in origine comunale) si trovano verificate, sarà consentito suggerire come ipotesi possibile, che la corporazione mercantile fosse un corpo incaricato del commercio nell'interesse della città intera e non diventato che gradatamente una corporazione di mercanti facenti del commercio per se medesimi; mentre era riservato ai mercanti avventurieri della Gran Bretagna, ai povolniki di Novgorod (mercanti e colonizzatori liberi) ed ai mercati personali d'aprire nuovi mercati e nuovi rami di commercio personali. In succinto, occorre notare che l'origine della città del Medioevo non può essere attribuita a nessun fattore speciale, ma fu il risultato di molti fattori più o meno importanti.

5 Jannsen, Geschichte des deutschen Völkes, I, 315; Gramich, Würzburg; o qualunque raccolta di ordinanze.

6 Falke, Geschichtliche Statistik, I, 373-393, e II, 66; citato in Janssen, Geschichte, I, 339; J. D. Blavignac, nei Comptes et Dépenses de la construction du clocher de Saint-Nicolas a Fribourg en Suisse, giunge ad una conclusione simile. Per Amiens, De Calonne, Vie municipale, pag. 99 e appendice. Per un apprezzamento molto completo ed una rappresentazione grafica dei salari del Medioevo in Inghilterra e loro equivalenti in pane ed in carne vedasi il pregevolissimo articolo e i grafici di G. Steffen, nel Nineteenth Century del 1891 e Studier öfver lönsystemets historia i England, Stoccolma, 1895.

7 Per non citare che un esempio tra tutti quelli che possono essere trovati nelle opere del Falke e del Schönberg, i sedici operai calzolai (Schusterknechte) della città di Xanten sul Reno, dettero per la erezione di un baldacchino e d'un altare nella chiesa 75 gouldens di sottoscrizione e 12 gouldens della loro cassa particolare ed il denaro valeva, secondo i più esatti calcoli, dieci volte quanto vale oggi. (1900).

8 Citato da Janssen, op. cit., I, 343.

9 The Economical Interpretation of History, Londres, 1891, pag. 303.

10 Janssen, op. cit. Vedere pure Dr. Alwin Sschulz, Deutsches Leben im XIV und XV. Jahrhundert, grande edizione, Vienna, 1892, pag. 97 e seg. A Parigi la giornata di lavoro variava dalle 7 alle 8 ore nell'inverno, a 14 ore d'estate in certi mestieri; invece per altri mestieri, era dalle 8 alle 9 ore d'inverno, dalle 10 alle 12 nell'estate. Ogni lavoro era sospeso il sabato e circa venticinque altri giorni (jours de commun de ville foire) per 4 ore; la domenica ed altri trenta giorni di feste non facevasi affatto lavoro. La conclusione generale è che l'operaio del medio evo lavorava meno ore, tutto compreso, dell'operaio d'oggi. (Dr. E. Martin Saint-Leon, Historie des corporations, pag. 121).

11 W. Stieda, «Hansische Vereinbarungen über städtisches Gewerbe im XIV. und XV. Jahrhundert», nel Hansische Geschichtschesblätter, anno 1886, pag. 121. Schönberg, Wirthschaftliche Bedeutung der Zünfte; così pure Roscher, passim.

12 Vedansi le osservazioni profonde di Toulmin Smith sulla spogliazione delle corporazioni per opera del re, nella introduzione di Miss Smith a English Guilds. In Francia la stessa spogliazione e l'abolizione della giurisdizione delle corporazioni da parte del potere reale furono incominciate nel 1306 ed il colpo finale fu dato nel 1382 (Fagniez, op. cit., pag. 52-54).

13 Adam Smith ed i suoi contemporanei sapevano bene ciò che condannavano quando scrivevano contro la ingerenza dello Stato nel commercio, e contro i monopoli creati dallo Stato. Disgraziatamente dei continuatori purtroppo superficiali misero le corporazioni del Medioevo e le ingerenze dello Stato nel medesimo sacco senza fare distinzione tra un editto di Versailles ed una ordinanza di corporazione. È appena necessario il dire che gli economisti che ànno seriamente studiato questo soggetto, come lo Schönberg (l'autore del corso ben conosciuto d'Economia politica) non cadono in un errore simile. Ma, recentemente ancora, delle confusioni di questo genere passano per «scienza» economica.

14 Il K. è eccessivamente ottimista nel considerare le corporazioni. Il Guyot (La science économique, 1881, pag. 261) scrive giustamente: «Ciascuna corporazione formava una piccola feudalità, su cui regnavano i maestri. Costoro cercarono e riuscirono a fare della maestranza una casta ereditaria, obbligando quelli che non erano del loro grado a compiere, per arrivarvi, una quantità di condizioni quasi impossibili. Ciascun maestro divenne un piccolo barone; ai suoi occhi l'artigiano non era che un servo. Interamente nelle mani del maestro, sommesso ai suoi capricci e a tutte le sue esigenze, l'apprendista non poteva querelarsene; se, affranto dalle percosse e dalla miseria fuggiva, nessuno poteva dargli asilo». Dal preambolo dell'Editto del Turgot del 1776 ai più autorevoli e recenti studi vi è tutta una letteratura sull'argomento che dimostra chiaramente che il K. ha visto le corporazioni medioevali attraverso opere tali da non correggere il suo ottimismo. Questa inesatta visuale storica à fatto sì che egli non sempre distingua le corporazioni vere e proprie dalle associazioni spontanee di mutuo appoggio (fratellanze, compagnonaggi, ecc.) e non sempre veda come le prime rappresentassero lo Stato contro la libera iniziativa popolare. (N. del T.). Senza voler giudicare queste righe del Berneri, noi siamo del parere del K. in quanto che vediamo il sussistere tutt'oggi forme e sistemi delle corporazioni citate, viventi per tradizione, tramandata da generazione in generazione. E, del resto, che cos'è l'odierno movimento cooperativistico se non un rinnovarsi delle antiche corporazioni, per l'assunzione di lavoro collettivamente eseguito, o per l'acquisto e distribuzione di generi ai consoci? E le «leghe di mestiere» non si riallacciano alle «gilde» per la comune difesa dei salari: e cioè, l'una e l'altra organizzazione, una forma di mutuo appoggio? Questo dice anche il K., più avanti. (L'Ed.).

15 A Firenze le sette arti minori fecero la loro rivoluzione nel 1270-82; i risultati sono stati ampiamente descritti da Perrens (Historie de Florence, Paris, 1877, 3 vol.) e sopra tutto da Gino Capponi, Storia della repubblica di Firenze, II ed. 1876, I, 58-80; (ed. tedesca). A Lione, al contrario, dove gli operai minatori si sollevarono nel 1402, subirono una sconfitta e perdettero il diritto di nominare i proprî giudici. Le due parti vennero probabilmente ad un compromesso. A Rostock lo stesso movimento accadde nel 1313; a Zurigo nel 1336; a Berna nel 1363; a Brunswick nel 1374, e l'anno seguente ad Amburgo; a Lubecca nel 1376-84, ecc. Vedasi Schmoller, Strassburg zur Zeit der Zunftkämpfe e Strassburg's Blüthe; Brentano, Arbeitergilden der Gegenwart, 2 vol., Leipzig, 1871-72; E. Bain, Merchant and Craft Guilds, Aberdeen, 1887, pag. 26, 47, 75 ecc. Quanto all'opinione di M. Gross relativa alle stesse lotte in Inghilterra vedansi le osservazioni di Mrs. Green nel Town life in the Fifteenth Century, II, 190-217; così il capitolo sulla questione operaia e tutto questo volume è estremamente interessante. Le opinioni del Brentano sulle lotte dei mestieri espresse principalmente nei paragrafi III e IV del suo saggio «On the History und Development of Guilds», nel volume di Toulmin Smith, English Guilds, sono classiche su questo soggetto e si può dire che sono state confermate senza tregua dalle ricerche che son susseguite.

16 Per non dare che un esempio, Cambrai fece la sua prima rivoluzione nel 907, e dopo tre o quattro altre rivolte, ottenne la sua costituzione nel 1076. Questa costituzione fu abrogata due volte (1107 e 1138) e due volte ottenuta di nuovo (nel 1127 e 1180). In totale 223 anni di lotta prima di conquistare il diritto alla indipendenza. Lione, dal 1195 al 1320.

17 Vedasi Tuetey, Étude sur le droit municipale... en Franche Comté nelle Mémoires de la Société d'émulation de Montbéliard, 2a serie, II, 124 e seg.

18 Questo sembra sia stato spesso il caso in Italia. In Isvizzera, Berna comprò anche le città di Thun e di Burgdorf.

19 Questo fu almeno il caso delle città toscane (Firenze, Lucca, Siena, ecc.), di cui le relazioni tra città e contadini sono meglio conosciute (Lutchitzkiy, «Servitude e serfs russes à Florence» nel Izvestia della Università di Kiev, del 1885; l'autore cita Rumohr, Ursprung der Besitzlosigkeit der Colonien in Toscana, 1830). Tutto ciò che concerne le relazioni tra le città ed i contadini avrebbe però bisogno di maggiori studî che non si siano fatti fin qui.

20 Le generalizzazioni del Ferrari sono spesso troppo teoriche per essere sempre esatte; ma le sue opinioni sulla parte avuta dai nobili nelle guerre tra le città, sono basate su un gran numero di fatti autentici.

21 Solamente le città che sostennero ostinatamente la causa dei baroni, come Pisa e Verona, perdettero in queste guerre. Per molte città che combatterono a fianco dei baroni, la disfatta fu anche il principio della liberazione e del progresso.

22 Ferrari, II, 18, 104 e seg. ; Leo e Botta, I, 432.

23 Joh. Falk, Die Hansa als Deutsche See und Handelsmacht, Berlin, 1863, pag. 31, 55.

24 Per Aix-la Chapelle e Colonia sappiamo per testimonianze dirette che furono i vescovi di queste due città – di cui uno fu comprato – che aprirono le porte al nemico.

25 Vedere i fatti, ma non sempre le conclusioni di Nitzsch, III, 133 e seg.; così Kallsen, I, 458, ecc.

26 Sul comune del Laonnais che fino alle ricerche del Melleville (Histoire de la commune de Laonnais, Paris, 1853) fu confuso con il comune di Laon, vedasi Luchaire, pag. 75 e seg. Per le prime corporazioni di contadini e le unioni ulteriori, vedasi R. Wilman, «Die ländlichen Schutzgilden Westphaliens» in Zeitscrift für Kulturgenschichte, nuova serie, vol. III, citato in Kulturgeschichte di Henne-am-Rhyn, III, 249.

27 Luchaire, pag. 149.

28 Due città importanti come Magonza e Worms cercano di regolare una contestazione politica mediante l'arbitrato. In seguito ad una guerra civile che si dichiarò in Abbeville, Amiens agì nel 1231, come arbitra (Luchaire, 149), e così di seguito.

29 Vedasi per esempio W. Stieda, Hansische Vereinbarungen, loc. cit., pag. 114.

30 Cosmo Innes, Early Scottish History and Scotland in Middle Ages, citata dal Rev. Denton, loc. cit., pag. 68-69. Lamprecht, Deutsches wirthschftliche Leben im Mittelalter, analizzata da Schmoller nel suo Jahrbuch, vol. XII; Sismondi, Tableau de l'agriculture toscane, pag. 226 e seg. I territori appartenenti a Firenze si riconoscono alla prima occhiata dalla loro prosperità.

31 Vedere, per l'architettura, le corporazioni dei maestri comacini. (L'Ed.).

32 John J. Ennett (Six Essays, Londres, 1891) ha scritto pregevolissime pagine relative al carattere dell'architettura del Medioevo. Il Willis nella sua appendice all'opera del Whewell, History of Inductive Sciences, I, 261, 262, à mostrato la bellezza delle proporzioni meccaniche nelle costruzioni del Medioevo. «Una nuova costruzione decorativa fu creata, scrive egli, che non lottava contro la costruzione meccanica, non cercava di superarla, ma al contrario veniva a completarla, ad armonizzare con essa. Ogni trave, ogni modonatura diventa un sostegno del peso; e per la molteplicità degli appoggi sostenentisi gli uni con gli altri e per la suddivisione dei pesi che ne risultava, l'occhio era sodisfatto della stabilità della struttura, malgrado l'aspetto curiosamente esile delle parti separate». Non si saprebbe meglio caratterizzare un'arte che zampilla dalla vita sociale della città.

33 Dr. Ennem, Der Dom zu Köln, seine Construction und Anstaltung, 1871.

34 Queste tre statue sono tra le decorazioni esterne di Nostra Donna di Parigi.

35 L'arte del Medioevo, come l'arte greca, non conosceva quei magazzini di curiosità che chiamiamo un museo od una Galleria Nazionale. Una statua era scolpita, una decorazione in bronzo era fusa, od un quadro era dipinto per essere messo in un monumento d'arte comunale. Là era vivo, era parte di un tutto e contribuiva all'unità dell'impressione dal tutto prodotta.

36 Si confronti J. T. Ennet, Second Essay, pag. 36.

37 Sismondi, IV, 172; XVI, 356. Il Naviglio grande, che porta le acque del Ticino fu incominciato nel 1179, cioè dopo la conquista della indipendenza, e fu terminato nel XIII secolo. Sulla decadenza che seguì, vedasi XVI, 355.

38 Nel 1336, Firenze contava da 8 a 10.000 ragazzi e fanciulle nelle sue scuole primarie, 1000 e 1200 ragazzi nelle sue sette scuole secondarie e da 550 a 600 studenti nelle sue quattro università. I trenta ospedali comunali contenevano più di 1000 letti, per una popolazione di 90.000 abitanti (Capponi, II, 249 e seg.). Più di una volta scrittori autorizzati ànno emessa l'opinione che l'educazione era in generale ad un livello molto più elevato che si supponga di solito. Ed era certamente così nella città democratica di Norimberga.

39 Certo il progresso delle Scienze in questa epoca medioevale sarebbe stato chi sa quanto mai grande se, contro di sè, non avesse avuto la Chiesa ed il suo Tribunale dell'Inquisizione. (L'Ed.).

40 Paragoninsi le ottime considerazioni di L. Ranke sull'essenza del diritto romano nel Weltgeschichte, vol. IV, Abth. 2, pag. 20-31. Vedansi anche le osservazioni del Sismondi sulla parte rappresentata dai giuristi nella costituzione dell'autorità regia, Histoire des Français, Paris, 1826, VIII, 85-99. L'odio popolare contro questi Weise Doctoren und Beutelschneider des Völkes, scoppiò in tutta la sua forza nei primi anni del XVI secolo, nei sermoni all'inizio della Riforma.

41 Brentano à ben capito gli effetti perniciosi della lotta tra i «vecchi borghesi» ed i nuovi venuti. Miaskowski, nella sua opera sui comuni della Svizzera, à indicato la stessa cosa per i comuni rurali.

42 Il commercio degli schiavi tolti in Oriente non cessò mai nelle repubbliche italiane fino al secolo XV. Deboli tracce se ne trovano nella Germania ed altrove. Vedasi Cibrario, Della schiavitù e del servaggio, 2 vol., Milano, 1868; così il prof. Loutchitzkiy, La schiavitù e gli schiavi russi a Firenze nel XIV e XV secolo, nell'Izvestia dell'Università di Kieff, 1885 (in russo).

43 J. R. Green, History of the English People, London, 1878, I, pag. 455.

44 Vedansi le teorie espresse dai giureconsulti di Bologna al Congresso di Roncaglia nel 1158.