CAPITOLO V.

IL MUTUO APPOGGIO NELLA CITTÀ DEL MEDIOEVO

Accrescimento dell'autorità nella società barbara. – Il servaggio nei villaggi. – Rivolta delle città fortificate; loro liberazione, loro costituzioni. –– La corporazione. – Doppia origine della città libera del Medioevo. – Sovranità giudiziaria ed amministrativa. – Il lavoro manuale considerato come onorevole. – Il commercio della corporazione e della città.

La socievolezza ed il bisogno di aiuto ed appoggio mutui sono talmente inerenti alla natura umana che in nessuna epoca storica troviamo gli uomini viventi in piccole famiglie isolate, combattenti le une contro le altre per assicurarsi i mezzi di sussistenza. Al contrario, le moderne ricerche, come abbiamo veduto nei due precedenti capitoli, mostrano che fin dal principio della vita preistorica, gli uomini formarono delle associazioni di gentes, clans o tribù, conservate dall'idea di una comune origine e dalla adorazione di antenati comuni. Per migliaia e migliaia di anni, questa organizzazione servì di legame tra gli uomini, benchè non vi fosse stata autorità di nessuna specie ad imporla; essa esercitò un profondo influsso sul progresso ulteriore del genere umano; e quando i legami della comune origine furono allentati per le grandi migrazioni, mentre lo sviluppo della famiglia separata all'interno del clan distruggeva la antica unità, una nuova forma di unione si sviluppava, territoriale al principio: fu allora il comune rurale che creò il genio sociale dell'uomo.

Questa istituzione mantenne, a sua volta, l'unione necessaria, permettendo all'uomo di continuare lo sviluppo ulteriore delle forme di vita sociale, di superare uno dei periodi più cupi della storia senza lasciare la società disciogliersi in incerte aggregazioni di famiglie e di individui, e di elaborare gran numero di istituzioni secondarie, delle quali più d'una è sopravvissuta fino ai giorni nostri. Passiamo ora ad esaminare questo nuovo svolgimento della tendenza, sempre viva, verso il mutuo appoggio.

Se cominciamo dai comuni rurali dei sedicenti barbari, in un'epoca nella quale vediamo sbocciare una nuova civiltà, dopo la caduta dell'Impero romano, abbiamo da studiare i nuovi aspetti che le tendenze sociali delle moltitudini presero nel Medioevo, particolarmente nelle corporazioni e nelle città medioevali.

Lontano dall'essere degli animali combattivi, ai quali spesso sono stati paragonati, i barbari dei primi secoli dell'era nostra – Mongoli, Africani, Arabi, ecc., che sono ancora nello stesso stato – preferirono invariabilmente la pace alla guerra. Alcune tribù fecero eccezione: quelle che erano state ricacciate durante le grandi migrazioni nei deserti o su montagne brulle si trovarono forzate a depredare periodicamente i loro vicini più favoriti. Ma a parte quelle, la grande moltitudine dei Teutoni, dei Sassoni, dei Celti, degli Slavi, ecc., ritornarono alla loro vanga ed al loro gregge molto presto, appena stabiliti in territori recentemente conquistati.

I più antichi codici barbari ci presentano già delle società composte da pacifici comuni agricoli e non da orde di uomini in guerra gli uni contro gli altri. Questi barbari popolarono il suolo di villaggi e di fattorie,1 dissodarono foreste, costruirono ponti sui torrenti, colonizzarono deserti che erano del tutto inabitabili, ed abbandonarono le arrischiate spedizioni guerresche a bande, scholae, o compagnie, raccolte da capi temporanei, che andavano errando, offrendo il loro spirito avventuroso, le loro armi e le loro conoscenze guerresche, a protezione dei popoli, i quali desideravano sopra tutto la pace. Questi guerrieri, con le loro bande, venivano, restavano qualche tempo, poi partivano; essi continuavano nei loro dissensi di famiglia; ma la grande massa del popolo continuava a coltivare la terra, non prestando che scarsa, attenzione a quei guerrieri che cercavano imporre il loro dominio, fintanto che non menomavano l'indipendenza dei comuni rurali.2

Poco a poco i nuovi invasori dell'Europa crearono il regime del possesso della terra e della coltura del suolo, che sono ancora in vigore tra centinaia di milioni d'uomini; essi elaborarono il sistema dei compensi per i danni, invece della legge del taglione delle antiche tribù; essi impararono i primi rudimenti dell'industria; e nel tempo stesso che fortificavano i loro villaggi con muri palizzati e inalzavano torri e forti in terre nelle quali rifugiarsi in caso di nuova invasione, abbandonarono il compito di difendere quelle torri e quei forti a quelli che si specializzavano nel mestiere della guerra.

Ed è così che le tendenze pacifiche dei barbari, e non gli istinti guerreschi che loro si attribuiscono, li asservirono in seguito a capi militari. È evidente, che il genere di vita delle bande armate offriva maggiori possibilità di arricchirsi di quelle che i lavoratori della terra potessero avere nelle loro comunità agricole. Ancor oggi vediamo che uomini armati si riuniscono talvolta per massacrare i Matabeli e per spogliarli dei loro greggi, benchè i Matabeli non desiderino che la pace e siano disposti ad accettarla ad alto prezzo. Le scholae d'altri tempi non erano certamente molto più scrupolose delle scholae di oggi. Le mandrie del bestiame, il ferro (che a quell'epoca aveva un prezzo alto3 e gli schiavi erano procurati in questo modo; e benchè la maggior parte di questi acquisti fossero sperperati sul posto nelle cerimonie gloriose delle quali la poesia epica parla tanto, una parte del bottino serviva all'acquisto di nuove ricchezze. Vi era abbondanza di terre incolte e non mancavano uomini pronti a coltivarle, se potevano solamente ottenere il bestiame e gli arnesi necessari. Interi villaggi rovinati dalle epizoozie, dalle pestilenze, dagli incendi e dalle incursioni di nuovi immigranti, erano spesso abbandonati dai loro abitanti, che se ne andavano alla ricerca di nuove dimore. Ciò avviene ancora in Russia in circostanze simili. E se uno degli hirdmen dei compagnoni armati offriva a questi contadini alcune bestie per una nuova installazione, del ferro per fare un aratro, se non l'aratro stesso, la sua protezione contro nuove incursioni e l'assicurazione di un certo numero d'anni liberi da qualsiasi obbligo prima di pagare il debito contratto, quelli si stabilivano sopra la loro terra; poi dopo una lotta penosa per i cattivi raccolti, contro le inondazioni, le epidemie, quando questi pionieri incominciavano a rimborsare i loro debiti, delle obbligazioni di servitù venivano loro imposte dal protettore militare del territorio. Le ricchezze s'accumulavano certamente in questo modo, ed il potere seguiva sempre la ricchezza.4

Però più penetriamo nella vita di quest'epoca, verso il VI ed il VII secolo dell'era nostra, più vediamo che un altro elemento, oltre la ricchezza e la forza militare, fu necessario per costituire l'autorità oligarchica. Fu un elemento di leggi e di diritti, il desiderio delle masse di mantenere la pace, di stabilire ciò che esse consideravano come giusto, che dette ai capi delle scholae – re, duchi, kniazes ed altri – la forza che acquistarono due o tre secoli più tardi. Questa stessa idea di giustizia, concepita come una vendetta equa per ogni torto, idea che erasi sviluppata sotto il regime della tribù, si ritrova attraverso la storia delle istituzioni posteriori, e, più che le cause militari ed economiche, quest'idea divenne la base sulla quale si fondò l'autorità dei re e dei signori feudali.

Una delle principali preoccupazioni dei comuni rurali barbari (così pure presso i nostri contemporanei barbari) fu di mettere termine, il più presto possibile, alla vendetta che produceva il concetto corrente della giustizia. Quando una lite nasceva il comune interveniva immediatamente, e dopo che l'assemblea popolare aveva inteso l'affare, fissava il compenso da pagare alla persona lesa o alla famiglia (Wergeld); così il fred, od ammenda per la violazione della pace, che doveva essere pagato al comune. I dissensi interni erano facilmente quietati in questa maniera. Ma quando, nonostante tutte le misure prese per prevenirli, dei dissensi sorgevano tra due differenti tribù o due confederazioni di tribù,5 la difficoltà stava nel trovare un arbitro capace, tanto per la sua imparzialità quanto per la sua conoscenza della legge antica, di formulare una sentenza la cui decisione fosse accettata dalle due parti.

Questa difficoltà era grandissima, in quanto le leggi del costume delle differenti tribù e confederazioni variavano, per il compenso dovuto, secondo i differenti casi. Così si prese l'abitudine di scegliere l'arbitro tra centinaia di famiglie o tribù, stimate per avere conservato la legge antica nella sua purezza e versate nella conoscenza dei canti, triadi, saghe, ecc., per mezzo dei quali la legge si perpetuava nelle memorie. Così, questa tradizione della legge divenne una specie d'arte, un «mistero» accuratamente trasmesso in certe famiglie di generazione in generazione. In Islanda ed in altri paesi scandinavi, ad ogni Allthing, od assemblea nazionale, un lëvsögmathr recitava a memoria la legge intera ad edificazione dell'assemblea. In Irlanda vi era, come si sa, una classe speciale di uomini reputati per le loro conoscenze delle vecchie tradizioni, e proprio per questo godenti di una grande autorità come giudici.6

Quando vediamo negli annali russi che certe tribù del nord-ovest della Russia, spinte dal crescente disordine che risultava dalla lotta dei «clans contro clan» si appellarono ai varingiar normanni perchè fossero loro giudici e comandassero delle scholae guerresche; quando vediamo i kniazes, o duchi, eletti in una medesima famiglia normanna per duecento anni consecutivi, occorre riconoscere che gli Slavi supponevano nei Normanni una migliore conoscenza della legge che veniva accettata dalle loro differenti popolazioni. In questo caso il possesso dei caratteri runici per la trasmissione degli antichi costumi, era un segnalato vantaggio a favore dei Normanni; ma in altri casi, vi sono vaghi indizi che mostrano che ci si appellava «al più antico» ramo della popolazione, a quello che si credeva il ramo originario, per fornire dei giudici, le decisioni dei quali erano accettate come giuste.7

In epoca posteriore vediamo una tendenza notevole a scegliere gli arbitri tra il clero cristiano, che s'atteneva ancora al principio fondamentale del Cristianesimo, obliato oggidì, secondo il quale le rappresaglie non sono un atto di giustizia. A quell'epoca il clero cristiano apriva le chiese come luoghi d'asilo per quelli che fuggivano vendette sanguinose ed agiva volentieri come arbitro nei casi criminali, opponendosi sempre al vecchio principio tribale che chiedeva una vita per una vita, una ferita per una ferita. Insomma, più penetriamo profondamente nella storia delle istituzioni primitive, meno troviamo elementi a favore della teoria militare sull'origine dell'autorità. L'autorità, che più tardi diventò una sorgente d'oppressione, sembra, al contrario, dovere la sua origine alle tendenze pacifiche delle masse.

In tutti questi casi il fred, che ammontava spesso alla metà del compenso, ritornava all'assemblea del popolo, e da tempi immemorabili lo si impiegava ad opere di utilità e di difesa comune. Vi è ancora la stessa destinazione (l'erezione delle torri) presso i Cabili e presso certe tribù mongole; e noi abbiamo prove certe che anche parecchi secoli più tardi, le ammende giudiziarie, a Pskov ed in parecchie città francesi e tedesche, continuarono ad essere impiegate per le riparazioni delle mura della città.8 Dunque è del tutto naturale che le ammende fossero rimesse a chi «trovava la sentenza», al giudice, obbligato in cambio a mantenere una schola di uomini armati per la difesa del territorio, e per la esecuzione delle sentenze. Questo diventò un uso universale nei secoli VIII e IX, anche quando la persona eletta per trovare le sentenze era un vescovo. Vi è là in germe la combinazione di ciò che chiameremmo oggi potere giudiziario col potere esecutivo. Ma le attribuzioni del duca o del re erano strettamente limitate a queste due funzioni. Non era il padrone del popolo – appartenendo ancora il potere all'assemblea del popolo – neanche era il comandante della milizia popolare; quando il popolo prendeva le armi, marciava comandato da un capo particolare, eletto lui pure, che non era un suddito ma un uguale del re.9 Il re era padrone soltanto sul dominio personale. Nel linguaggio dei barbari la parola konung, koning o cyning, sinonimo della parola latina rex, non aveva altro significato che di capo o comandante temporaneo d'un gruppo di uomini. Il comandante di una flottiglia di battelli, od anche di un semplice battello da pirata era pure un konung, e fino ad oggi il capo della pesca in Norvegia è chiamato Not-Kong – «il re delle reti».10 La venerazione che si attribuì più tardi alla persona del re non esisteva ancora, e mentre il tradimento alla tribù era punito con la morte, l'uccisione di un re poteva venir riscattata col pagamento di una indennità; la sola differenza era che un re era valutato più caro di un uomo libero.11 Ed allorchè il re Knu (o Canuto) ebbe ucciso un uomo della sua schola, la saga lo rappresenta convocante i suoi compagni ad un thing dove si tenne in ginocchio implorandone il perdono. Gli fu accordato, ma non prima che avesse promesso di pagare nove volte il compenso d'uso, del quale un terzo era per lui stesso per compensare la perdita di uno dei suoi uomini, un terzo ai parenti dell'uomo ucciso ed un terzo (il fred) alla schola.12 Occorse un cambiamento completo dei concetti correnti, sotto il doppio influsso della Chiesa e dei giuristi versati in diritto romano, perchè un'idea di santità si attaccasse alla persona del re.

Saremmo trascinati fuori dai limiti di questo saggio, se volessimo seguire lo svolgimento graduale dell'autorità della quale abbiamo or ora indicati gli elementi. Degli storici quali i coniugi Green per l'Inghilterra, Agostino Thierry, Michelet e Luchaire per la Francia, Kaufmann, Jansen, W. Arnold ed anche Nitzsch per la Germania, Leo e Botta per l'Italia, Biélaèff, Kostomaroff ed i loro continuatori per la Russia e molti altri, ànno sufficientemente narrata questa storia. Essi ànno mostrato come le popolazioni, dapprima libere, avessero consentito a «nutrire» una parte dei loro difensori militari, per diventare a poco a poco i servi di questi protettori; come l'uomo libero fosse spesso ridotto alla dura necessità di diventare il «protetto» sia della Chiesa, sia di un signore; come ogni castello di signore o di vescovo diventasse un riparo di briganti, come il feudalismo fosse imposto, in una parola, e come le crociate, liberando i servi che prendevano la croce, dessero il primo impulso all'emancipazione del popolo. Tutto questo non à bisogno di essere ridetto qui, essendo nostro scopo principale seguire il genio costruttivo delle moltitudini nelle loro istituzioni di mutuo appoggio.

Al momento in cui le ultime vestigia della libertà barbara sembravano vicine a sparire, la vita europea prese una nuova direzione. L'Europa, caduta sotto il dominio di migliaia di governatori, sembrava camminare, come le civiltà anteriori, verso un regime di teocrazie e di Stati dispotici, od anche verso un regime di monarchie barbare come quelle che troviamo ai giorni nostri nell'Africa; ma allora si produsse un movimento simile a quello che diede origine alle antiche città greche.

Con una unanimità che sembra quasi inconcepibile e che per lungo tempo non fu compresa dagli storici, i raggruppamenti urbani di ogni specie e fino i piccoli borghi, cominciarono a scuotere il giogo dei loro padroni spirituali e temporali. Il villaggio fortificato si sollevò contro il castello del signore, lo sfidò dapprima, lo assalì in seguito e finalmente lo distrusse. Il movimento si estese da luogo a luogo, trascinando tutte le città d'Europa, ed in meno di cento anni città libere sorgevano sulle coste del Mediterraneo, del Mare del Nord, del Baltico, dell'Oceano Atlantico, fino ai fiordi della Scandinavia; ai piedi degli Appennini, delle Alpi, della Foresta-Nera, dei Grampiani e dei Carpazi; nelle pianure della Russia, dell'Ungheria, della Francia, della Spagna. Dovunque, scoppiava la stessa rivolta, con le stesse manifestazioni, passando per le stesse fasi, conducente agli stessi risultati. Ovunque gli uomini trovarono o sperarono trovare qualche protezione dietro le mura della loro città, istituirono le «giurande», le «fraternite», le «amicizie» uniti in un'idea comune, ed avviantisi arditamente verso una nuova vita di solidarietà e di libertà. Riuscirono così bene che in trecento o quattrocento anni cambiarono la faccia dell'Europa. Coprirono i paesi di belli e sontuosi edifici, testimonianti il genio delle libere unioni di uomini liberi, la bellezza e la potenza di espressione delle quali non è stata uguagliata poi: essi legarono alle successive generazioni tutte le arti, tutte le industrie, delle quali la nostra presente civiltà, con tutte le sue conquiste e le sue promesse per l'avvenire, non è che uno sviluppo. E se cerchiamo di scoprire le forze che ànno prodotto questi grandi risultati, noi le troviamo, non nel genio di singoli eroi, non nella potente organizzazione dei grandi Stati o nelle capacità politiche dei loro governanti, ma in questa stessa corrente di mutuo appoggio e di aiuto che abbiamo veduto all'opera nel comune rurale e che ritroviamo nel Medioevo, vivificata e rafforzata da una nuova specie d'uomini, animata dal medesimo spirito, formata su un nuovo modello: le corporazioni.

Oggi è provato che il feudalismo non implicava la dissoluzione del villaggio rurale. Quantunque il signore fosse riuscito ad imporre il lavoro servile ai contadini e si fosse appropriato i diritti che prima appartenevano al comune rurale (imposta, manomorta, diritto sull'eredità e sui matrimoni), i contadini avevano tuttavia conservato i due diritti fondamentali del loro comune: il possesso in comune della terra e l'autogiurisdizione.

Nel tempo antico, quando un re mandava il suo prevosto in un villaggio, i contadini lo ricevevano con i fiori in una mano e le armi nell'altra, domandandogli quale legge egli aveva l'intenzione d'applicare; quella che troverebbe nel villaggio, o quella che portava con sè? Nel primo caso gli offrivano i fiori e lo ricevevano; nel secondo caso lo respingevano con le armi.13

Più tardi accettarono l'inviato del re o del signore che non potevano respingere; ma conservarono la giurisdizione dell'assemblea popolare e nominavano essi stessi sei, sette, o dodici giudici, che sedevano con il giudice del signore alla presenza dell'assemblea ed agivano sia come arbitri, sia per trovare la sentenza. Nella maggioranza dei casi, il giudice imposto non aveva nient'altro da fare che confermare la sentenza e prelevare il fred d'uso. Questo prezioso diritto di autogiurisdizione, che, in quell'epoca, significava auto-amministrazione ed auto-legislazione, era stato conservato attraverso tutte le lotte. Anche i giureconsulti dei quali era attorniato Carlomagno non poterono abolirla; furono obligati a confermarla. Nello stesso tempo per tutti gli affari concernenti il dominio della comunità, l'assemblea del popolo conservava la supremazia e (come l'à mostrato Maurer) rivendicava spesso la sommissione del signore stesso negli affari del possesso di terre. Nessun sviluppo del feudalismo potè vincere questa resistenza: e quando nel IX e X secolo, le invasioni dei Normanni, degli Arabi, degli Ugri ebbero provato che le scholae militari valevano poco per arrestare gl'invasori, un movimento generale incominciò in tutta Europa per proteggere i villaggi con mura di pietra e con cittadelle. Migliaia di centri fortificati furono inalzati grazie all'energia dei comuni rurali, e una volta che essi ebbero costruite le loro mura, e che un comune interesse si trovò creato in questo nuovo santuario – le mura della città – i comuni capirono che potevano d'ora in poi resistere alle usurpazioni dei nemici interni, i signori, come pure alle invasioni straniere. Una nuova vita di libertà cominciò a svolgersi in queste cinte fortificate. La città del Medioevo era nata.14

Nessun periodo della storia può meglio mostrare il potere creatore delle masse popolari quanto il X e l'XI secolo, allorchè i villaggi e le piazze del mercato, fortificati, – come «oasi nella foresta feudale» – cominciarono a liberarsi dal giogo dei signori, e lentamente prepararono la futura organizzazione della città. Disgraziatamente, è un periodo sul quale le informazioni storiche sono particolarmente rare: conosciamo i risultati, ma sappiamo poco circa i mezzi con i quali furono ottenuti.

Al riparo delle loro mura, le assemblee popolari delle città – sia completamente indipendenti, sia rette dalle principali famiglie nobili o commercianti – conquistarono e conservarono il diritto di eleggere il difensore militare della città ed il supremo magistrato, od almeno di scegliere tra quelli che aspiravano a tale posto. In Italia i giovani comuni licenziavano continuamente i loro difensori o domini, combattendo quelli che ricusavano di andarsene. La stessa cosa accadeva nell'Est. In Boemia, i ricchi ed i poveri insieme (Bohemicae gentis magni et parvi, nobiles et ignobiles), prendevano parte all'elezione,15 mentre che le viétchès (assemblee del popolo), delle città russe eleggevano regolarmente i loro duci – scelti sempre nella famiglia dei Rurick, – facevano le loro convenzioni con essi e rinviavano i loro Rniaz, se ne erano malcontenti.16 Alla stessa epoca, nella maggior parte delle città dell'ovest e del sud d'Europa, la tendenza era di prendere per difensore un vescovo eletto dalla città stessa; e tanti vescovi si misero alla testa della resistenza per la protezione delle «immunità» delle città e la difesa delle loro libertà, che molti di essi furono, dopo morti, considerati come santi e diventarono i patroni di varie città: san Uthelred di Winchester, sant'Ulrico di Absburgo, san Volfango di Ratisbona, sant'Eriberto di Colonia, sant'Adalberto di Praga e così via. Molti abati e monaci diventarono pure santi patroni di città, per aver sostenuto le parti dei diritti del popolo.17 Con questi nuovi difensori – laici od ecclesiastici – i cittadini conquistarono l'intera autorità giuridica ed amministrativa per le loro assemblee popolari.18

Tutto il progresso di liberazione si compì per una successione impercettibile di atti di devozione alla causa comune, fatti da uomini del popolo, – da eroi sconosciuti, i nomi dei quali nemmeno sono stati conservati nella storia. Il meraviglioso movimento della Tregua di Dio (tregua Dei) con il quale le masse popolari si sforzarono di porre un limite agli interminabili dissensi delle famiglie nobili, partì dalle giovani città, i cui cittadini ed i vescovi volevano estendere ai nobili la pace che avevano stabilito all'interno delle loro mura.19 Di già in questa epoca le città commerciali d'Italia, ed in particolare Amalfi (che eleggeva i suoi consoli dall'844, e cambiava frequentemente i suoi dogi nel X secolo),20 crearono la legge del costume marittimo e commerciale che doveva più tardi essere un modello per tutta l'Europa; Ravenna elaborò la sua organizzazione delle arti, e Milano che aveva fatta la sua prima rivoluzione nel 980, diventò un grande centro di commercio, godendo le sue corporazioni piena indipendenza dal secolo XI.21 Lo stesso per Bruges e Gand; così pure parecchie città della Francia nelle quali il Mahl o Forum era divenuto una istituzione affatto indipendente.22 Da questo periodo cominciò l'abbellimento artistico delle città con monumenti che ammiriamo ancora e che attestano altamente il movimento intellettuale di quel tempo. «Le basiliche furono allora rinnovate in quasi tutto il mondo» scrive Raoul Glaber nella sua cronaca, e alcuni dei più bei monumenti dell'architettura del Medioevo datano da questo periodo; la meravigliosa vecchia chiesa di Brema fu costruita nel IX secolo, San Marco di Venezia fu terminato nel 1071, e il bel duomo di Pisa nel 1063. In realtà il movimento intellettuale che è stato descritto sotto il nome di Rinascenza del XII secolo23 e di Razionalismo del XII secolo – questo precursore della Riforma24 – datano da quest'epoca, quando la maggior parte delle città erano ancora dei semplici agglomerati di piccoli comuni rurali, o di parrocchie, chiusi in un recinto fortificato.

Tuttavia, oltre il principio del comune rurale, occorreva un altro elemento per dare a questi centri crescenti in libertà e, in lumi, l'unità di pensiero e di azione e la iniziativa che fecero la loro forza del XII e XIII secolo. La diversità crescente delle occupazioni, dei mestieri e delle arti e l'estensione del commercio con i paesi lontani, facevano desiderare una nuova forma di unione, e l'elemento necessario per questa unione fu dato dalle Corporazioni.

Si sono scritte molte opere su queste associazioni che sotto il nome di corporazioni, fratellanze, amicizie o droujestva, minne, artels in Russia, esnaifs in Siberia ed in Turchia, amkari in Georgia, ecc., presero uno sviluppo considerevole nel Medioevo e rappresentarono una parte importante nella emancipazione delle città. Ma occorsero più di sessant'anni agli storici per riconoscere l'universalità di queste istituzioni ed il loro vero carattere. Oggi soltanto, dopo che sono stati pubblicati e studiati centinaia di statuti delle corporazioni e si conoscono i loro rapporti d'origine con i collegiae romani e le antiche unioni della Grecia e dell'India25 possiamo parlarne con piena conoscenza di causa; e possiamo affermare con certezza che queste fratellanze rappresentano uno sviluppo dei principî stessi che abbiam veduti in azione nelle gentes e nei comuni rurali. Nulla può dare meglio l'idea delle fratellanze del Medioevo di quelle corporazioni temporanee che si formavano a bordo delle navi. Quando un bastimento della Ansa aveva compiuto la sua prima mezza giornata di viaggio dopo aver lasciato il porto, il capitano (Schiffer) riuniva l'equipaggio e i passeggeri sul ponte e teneva loro il discorso seguente riferito da un contemporaneo:

«Poichè siamo ora alla mercè di Dio e delle onde, diceva egli, ciascuno di noi deve essere uguale all'altro, e poichè siamo circondati da tempeste, da alte onde, da pirati e da altri pericoli, dobbiamo stabilire un ordine rigoroso per condurre il nostro viaggio a buon termine. Ecco perchè ci accingiamo a dire le preghiere per chiedere un buon vento e buon risultato, e seguendo la legge marittima ci accingiamo a nominare coloro che occuperanno il posto dei giudici (Schöffen-stellen)».

Dopo di ciò l'equipaggio eleggeva un Vogt e quattro scabini che dovevano compiere l'ufficio di giudici. Alla fine del viaggio, il Vogt e gli scabini abdicavano le loro funzioni e rivolgevansi all'equipaggio nel modo seguente: «Ciò che è avvenuto a bordo del bastimento, dobbiamo perdonarcelo reciprocamente e considerarlo come morto (todt und ab sein lassen). Ciò che abbiamo giudicato buono, l'abbiamo fatto per la causa della giustizia. E perciò vi preghiamo tutti, in nome di un'onesta giustizia, di obliare qualunque animosità che possiate sentire uno contro l'altro, e di giurare sul pane e sul sale di non più serbare rancore. Se qualcuno però si considera come leso, si deve appellare al Vogt di terra e chiedergli giustizia prima del tramonto del sole». Al momento dello sbarco il fondo delle ammende del fred era consegnato al Vogt del porto per essere distribuito tra i poveri».26

Questo semplice racconto dipinge senza dubbio meglio di qualsiasi descrizione lo spirito delle gilde del Medioevo. Di simili organizzazioni se ne formavano ovunque c'era un gruppo d'uomini, – pescatori, cacciatori, mercanti, viaggiatori, operai di costruzioni od artigiani stabili – riunentisi per un intento comune.27 Vi era, sì, a bordo di un bastimento l'autorità navale del capitano; ma, per il buon risultato dell'impresa comune, tutti gli uomini a bordo, ricchi e poveri, padroni e uomini dell'equipaggio, capitano e marinai, accettavano di essere uguali nelle reciproche relazioni, di essere semplicemente degli uomini impegnati ad aiutarsi gli uni con gli altri ed a regolare i loro eventuali dissensi davanti ai giudici eletti da tutti. Così pure, allorchè un certo numero d'artigiani – muratori, carpentieri, tagliatori di pietre, ecc. – si riunivano per una costruzione, per esempio per costruire una cattedrale, essi appartenevano tutti ad una città che aveva il suo ordinamento politico, e ciascuno di essi apparteneva per di più alla propria arte; ma erano uniti inoltre per le imprese comuni, che conoscevano meglio di chiunque, e s'organizzavano in un corpo, si univano con stretti legami, quantunque temporanei, e fondavano la gilda per l'erezione della cattedrale.28 Possiamo vedere gli stessi fatti anche oggi nel çof dei Cabili.29 I Cabili ànno il loro comune rurale; ma quest'associazione non basta per tutti i bisogni dell'unione, politici, commerciali e personali, ed essi costituiscono la fraternità più stretta del çof.

Quanto ai caratteri sociali delle gilde del Medioevo, qualsiasi statuto di gilda può darne un'idea. Prendiamo per esempio lo skraa di qualche gilda primitiva danese: vi leggiamo dapprima una esposizione dei sentimenti di fraternità generale che devono regnare nella gilda, poi vengono le regole relative all'autogiurisdizione in caso di litigio tra due fratelli, o tra un fratello e uno straniero; poi sono enumerati i doveri sociali dei fratelli. Se la casa di un fratello è bruciata, o se egli à perduto il suo bastimento, o se à sofferto durante un pellegrinaggio, tutti i fratelli devono venirgli in aiuto. Se un fratello cade gravemente malato, due fratelli devono vegliare presso il suo letto fino a che non sia fuori di pericolo, e se muore, i fratelli devono sotterrarlo – grande faccenda in tempo d'epidemia – accompagnarlo alla chiesa ed alla tomba. Dopo la sua morte devono soccorrere i suoi figli se sono nel bisogno; molto spesso la vedova diventa una «sorella» della gilda.30

Questi due caratteri principali s'incontrano in tutte le fratellanze formate non importa con quale scopo. Sempre i componenti si trattano come fratelli, e si danno il nome di fratelli e sorelle;31 tutti essendo uguali davanti alla gilda. Essi possedevano il «cheptel» (bestiame, terre, bastimenti, luoghi di coltivazione, o «fondi») in comune. Tutti i fratelli prestavano giuramento di obliare gli antichi dissensi; e, senza imporsi reciprocamente di non litigare di nuovo, convenivano che nessuna lite doveva degenerare in vendetta o condurre ad un processo davanti ad altra corte fuori del tribunale degli stessi fratelli. Se uno era implicato in una contesa con uno straniero alla gilda, essa lo doveva sostenere, avesse egli ragione o torto; vale a dire che, sia che fosse ingiustamente accusato di aggressione, o che fosse stato realmente l'aggressore, essi dovevano sostenerlo e condurre le cose ad una conclusione pacifica. Eccetto che non si trattasse di aggressione segreta – nel qual caso sarebbe stato trattato come un proscritto.32 Se i parenti della persona lesa volevano vendicarsi dell'offesa con una nuova aggressione, la fratellanza procurava al fratello un cavallo per fuggire, od un battello, un paio di remi, un coltello ed un acciarino; se rimaneva nella città, dodici fratelli lo accompagnavano per proteggerlo; e nello stesso tempo si occupavano di condurre l'affare alla composizione. I fratelli andavano davanti alla corte di giustizia per sostenere con giuramento la verità delle dichiarazioni del loro fratello, e se veniva riconosciuto colpevole, non lo abbandonavano a ruina completa, nè diventava schiavo; se egli non poteva pagare il compenso dovuto, essi lo pagavano, come facevano le gens nelle epoche precedenti. Ma quando uno aveva mancato alla sua fede verso i fratelli della gilda, o verso altri, era escluso dalla fratellanza «con fama di un uomo da nulla» (tha scal han maeles af brödrescap met nidings nafn).33

Tali erano le idee dominanti in queste fratellanze che a poco a poco si estesero a tutta la vita del Medioevo. Infatti, noi conosciamo delle gilde fra tutte le professioni possibili: gilde dei servi;34 gilde d'uomini liberi e gilde miste di servi e d'uomini liberi; gilde formate per uno scopo speciale quale la caccia, la pesca, una impresa commerciale, disciolte quando lo scopo determinato era raggiunto; le gilde duravano dei secoli per certe professioni o certi mestieri. Nello stesso tempo che certe attività prendevano forme diverse, il numero delle gilde cresceva. Così vediamo non soltanto mercanti, artigiani, cacciatori, contadini uniti con questi legami; ma vediamo pure gilde di preti, di pittori, di maestri di scuole primarie e maestri d'università; gilde per rappresentare la Passione, per costruire una chiesa, per sviluppare i misteri di una data scuola, di tale arte o di tale mestiere, o per una ricreazione speciale: anche gilde tra mendicanti, carnefici e donne perdute, tutte organizzate sotto il doppio principio dell'auto-giurisdizione e del mutuo appoggio.35 Per la Russia, abbiamo la prova manifesta che il suo consolidamento fu tanto opera dei suoi artels od associazioni di cacciatori, di pescatori e di mercanti, quanto dal nascere dei comuni rurali; oggi ancora il paese è pieno di artels.36

Queste poche osservazioni mostrano quanto fosse inesatta l'opinione di quelli che per primi studiarono le gilde, allorchè credettero vedere l'essenza di esse nelle loro feste annuali. Infatti, il giorno del pasto in comune era il giorno stesso o il dimani del giorno della elezione degli aldermen; si discutevano allora i cambiamenti da portare agli statuti e spessissimo era il giorno in cui si giudicavano le controversie tra fratelli37 e in cui si rinnova il giuramento alla gilda. I pasti in comune, come la festa dell'antica assemblea popolare del clan – il mahl o malum – o l'aba dei Buriati, od oggidì il banchetto della parrocchia o la cena del raccolto, erano una semplice affermazione della fratellanza. Questo pasto simboleggiava il tempo in cui tutto era in comune nel clan. In tal giorno almeno tutto apparteneva a tutti; tutti sedevano alla stessa tavola e prendevano parte allo stesso pasto. In epoca molto posteriore, il pensionato dell'ospizio della gilda di Londra sedeva in un dato giorno a fianco del ricco scabino. Quanto alla distinzione che parecchi scrittori ànno tentato di stabilire tra la «frith gilda» degli antichi sassoni e le gilde chiamate «sociali» o «religiose», essa non esiste; tutte le gilde erano «frith gilde» nel senso in cui abbiamo parlato e tutte erano religiose nel senso in cui un comune rurale od una città posti sotto un santo speciale sono religiosi o sociali.38

Se le gilde ànno presa così grande estensione in Asia, in Africa e in Europa, se son vissute migliaia d'anni, ricomparendo sempre rinnovate quando condizioni analoghe ne motivavano l'esistenza, è perchè esse sono molto di più che delle associazioni per mangiare, o associazioni per l'esercizio di un culto in un dato giorno, o di confraternita per i funerali. Le gilde rispondevano ad un profondo bisogno della natura umana, e riunivano tutte le attribuzioni che lo Stato s'appropriò più tardi per la sua burocrazia e la sua polizia. Esse erano più di questo, perchè rappresentavano associazioni per l'appoggio mutuo in tutte le circostanze e per tutti gli incidenti della vita, «con opera e consiglio»; erano anche associazioni per il mantenimento della giustizia – differenti in questo dallo Stato – chè in tutte le occasioni intervenivano con sentimento umano, fraterno, in vece del formalismo che è la caratteristica essenziale dell'intervento dello Stato. Quando uno compariva davanti al tribunale della gilda, il fratello aveva da rispondere ad uomini che lo conoscevano bene ed erano stati precedentemente al suo fianco, sia nel lavoro giornaliero e al pasto comune, sia durante il compimento dei loro doveri fraterni: a uomini che erano suoi eguali e veramente fratelli, non dei teorici della legge, nè difensori di interessi altrui.39

Una istituzione così ben fatta per sodisfare ai bisogni d'unione senza privare l'individuo della sua iniziativa, non poteva che estendersi, accrescersi e rafforzarsi. La difficoltà era di trovare una forma che permettesse di federare le gilde in un tutto armonico, senza invadere il campo di quelle dei comuni rurali. Quando questa combinazione fu trovata e che una successione di circostanze favorevoli permise alle città di affermare la loro indipendenza, esse lo fecero con un'unità di pensiero che suscita ammirazione pur nel nostro secolo delle strade ferrate, dei telegrafi e della stampa. Centinaia di «carte» nelle quali le città proclamavano la loro indipendenza ci sono pervenute, ed in tutte, nonostante la infinita varietà dei particolari, che dipendono dalla emancipazione più o meno completa, si ritrova la stessa idea dominante. La città s'organizzava in una federazione di piccoli comuni rurali e di gilde.40

La stessa onda di emancipazione si sparse nel XII secolo attraverso tutto il continente, trascinando insieme le più ricche città e i più poveri villaggi. E se possiamo dire che in generale le città italiane furono le prime a liberarsi, non possiamo designare nessun centro dal quale il movimento ebbe origine. Spesso un piccolo borgo dell'Europa centrale prendeva l'iniziativa per la sua regione, e le grandi agglomerazioni accettavano la carta della piccola città come modello per la loro. Così la carta di una piccola città, Lorris, fu adottata da ottantatre città nel sud-ovest della Francia; quella di Beaumont diventò il modello di più di cinquecento paesi e città nel Belgio e nella Francia. Dei deputati speciali erano inviati dalle città ai loro vicini per ottenere una copia del loro statuto, e la costituzione del comune era stabilita sopra questo modello. Tuttavia non si copiavano semplicemente gli uni con gli altri: essi regolavano le proprie «carte» secondo le concessioni che avevano ottenuto dai loro signori; ed il risultato era che le «carte» dei comuni del Medioevo, come lo fa rilevare uno storico, offrono la stessa varietà dell'architettura gotica delle chiese e delle cattedrali. Vi si trova la stessa idea dominante, la cattedrale simboleggiante l'unione delle parrocchie e delle gilde nella città, e la stessa varietà infinita nella ricchezza dei particolari.

L'auto-giurisdizione era il punto essenziale, e auto-giurisdizione significava auto-amministrazione. Ma il comune non era semplicemente una parte «autonoma» dello Stato – queste parole ambigue non erano ancora state inventate – esso era uno Stato in se stesso. Aveva diritti di guerra e di pace, di federazione e di alleanza con i suoi vicini. Era sovrano nei propri affari e non si mischiava in quelli degli altri. Il potere politico supremo poteva essere rimesso interamente ad un foro democratico, come era il caso a Pskov, il di cui viétché inviava e riceveva gli ambasciatori, concludeva trattati, accettava e rinviava principi, o ne faceva a meno durante decine d'anni: oppure il potere era esercitato od usurpato da un'aristocrazia di mercanti o di nobili, come avveniva in centinaia di città d'Italia e del centro d'Europa. Il principio, tuttavia, rimaneva immutato: la città era uno Stato e, ciò che era ancora più notevole, quando il potere della città era usurpato da una aristocrazia di mercanti o di nobili, la vita interiore della città non ne risentiva che poco ed il carattere democratico della vita giornaliera non spariva; è che l'uno e l'altro dipendevano poco da ciò che si potrebbe chiamare la forma politica dello Stato.

Il segreto di questa apparente anomalia, è che una città del Medioevo non era uno Stato accentrato. Durante i primi secoli della sua esistenza, la città poteva appena essere chiamata uno Stato per quanto riguardava la sua organizzazione interna, perchè il Medioevo non conosceva l'attuale accentramento delle funzioni nè tanto meno l'accentramento territoriale del nostro tempo. Ogni gruppo aveva la sua parte di sovranità.

La città era generalmente divisa in quattro quartieri, od in cinque, sei o sette sezioni, irraggiantesi dal centro; ogni quartiere o sezione corrispondendo pressochè ad un dato mestiere o professione che vi dominava, ma contenendo tuttavia gli abitanti di differenti condizioni e posizioni sociali: nobili, mercanti e semi-servi. Ogni sezione o quartiere costituiva un gruppo del tutto indipendente. A Venezia, ogni isola formava una comunità politica indipendente. Essa aveva i suoi mestieri organizzati, il suo commercio del sale, la sua giurisdizione, la sua amministrazione, il suo foro; e la nomina di un doge per la città non cambiava niente all'indipendenza interiore delle unità.41 A Colonia vediamo gli abitanti divisi in Geburtschaften ed Heimschaften (vicinioe), cioè delle gilde di vicinanza, che datano dal periodo franco. Ciascuna aveva il suo giudice (Burrichter) e i dodici scabini eletti (Schoffen), il suo prevosto ed il suo greve, o comandante della milizia locale.42 La storia dei primi tempi di Londra avanti la conquista – dice il Green – è quella «d'una quantità di piccoli gruppi disseminati nel recinto delle mura, ciascuno sviluppantesi in una vita propria e con le sue proprie istituzioni, gilde, «sokes», cappelle, ecc., e non consolidandosi che lentamente in unione municipale».43 E se consultiamo gli annali delle città russe, Novgorod e Pskov, tutte e due relativamente ricche di particolari locali, troviamo le sezioni (konest) consistenti in strade (oculitsa) indipendenti, delle quali ciascuna, benchè principalmente popolata da artigiani di un dato mestiere, aveva pure fra i suoi abitanti dei mercanti e dei proprietari e formava un comune separato. Questo aveva la responsabilità comunale per tutti i suoi membri in caso di delitto, la giurisdizione ed amministrazione indipendenti dagli scabini delle strade (ulitschanskye starosty), il suo sigillo particolare e, in caso di bisogno, il foro a parte, la propria milizia, come pure i suoi preti, eletti dalla sezione che aveva così la sua propria vita collettiva e le sue imprese collettive.44

La città del Medioevo ci appare pertanto come una doppia federazione; dapprima, di tutti i capifamiglia costituenti delle piccole unioni territoriali – la strada, la parrocchia, la sezione, – e poi degli individui uniti da giuramento in gilde secondo le loro professioni. La prima era un prodotto del comune rurale, origine della città; invece la seconda era una creazione posteriore dovuta alle nuove condizioni.

La garanzia della libertà, dell'auto-amministrazione e della pace era lo scopo principale della città del Medioevo; ed il lavoro, come vedremo tra poco parlando delle gilde di mestieri, ne era la base. Ma la «produzione» non assorbiva tutta l'attenzione degli economisti del Medioevo. Con il loro spirito pratico, essi compresero che il «consumo» doveva essere garantito al fine d'ottenere la produzione; e per conseguenza il principio fondamentale di ogni città era di provvedere alla sussistenza comune ed all'alloggio dei poveri come dei ricchi (gemeine notdurft und gemach armer und reicher).45 La compra dei viveri e di altre cose di prima necessità (carbone, legna, ecc.), prima che fossero passati per il mercato, o in condizioni particolarmente favorevoli, dalle quali altri fossero stati esclusi, – in una parola la preemptio – era completamente vietata. Tutto doveva passare dal mercato ed essere offerto in compra a tutti, fino a quando la campana avesse chiuso il mercato. Allora soltanto il venditore al minuto poteva comprare ciò che restava, ed anche allora il suo profitto doveva essere un «onesto guadagno» soltanto.46 Di più, quando il frumento era comprato all'ingrosso da un fornaio dopo la chiusura del mercato, ogni cittadino aveva il diritto di reclamarne una parte (circa un mezzo quarterone) per il proprio uso, al prezzo d'ingrosso, purchè lo reclamasse prima del contratto finale del mercato, e parimenti ogni panettiere poteva reclamare lo stesso diritto, se un cittadino comprava del grano per rivenderlo. Nel primo caso il frumento doveva essere portato al mulino della città per essere macinato ad un prezzo convenuto, ed il pane poteva essere cotto al forno banale o forno comunale.47 Insomma, se una carestia colpiva la città tutti ne soffrivano più o meno; ma, a parte queste calamità, finchè esistevano le città libere, nessuno vi moriva di fame, come disgraziatamente avviene troppo spesso oggi.

Tutti questi regolamenti appartengono a periodi progrediti della vita delle città, invece che ai primi tempi, nei quali la città stessa comprava tutti i viveri necessari al consumo dei cittadini. I documenti recentemente pubblicati dal signor Gross sono decisivi su questo punto e confermano pienamente le sue conclusioni tendenti a provare che i carichi dei viveri «erano comprati da certi ufficiali civici, a nome della città, e distribuiti tra i mercanti della città, nessuno potendo comprare le merci sbarcate nel porto a meno che le autorità municipali non avessero rifiutato di comprarle». Questo sembra sia stato, aggiunge egli, un uso comune in Inghilterra, in Irlanda, nel paese di Galles ed in Iscozia.48 Anche nel XVI secolo troviamo che le compre comunali di grano erano fatte «per comodità e vantaggio in ogni cosa di questa Città e Camera di Londra e di tutti i cittadini abitanti in essa per quanto è in nostro potere» come scrive il sindaco nel 1565 (for the comoditie and profit in all things of this... Citie and Chamber of London, and of all the Citizens and Inhabitants of the same as moche as in us lieth).49 A Venezia si sa che tutto il commercio del grano era in mano della Città; i «quartieri», dopo aver ricevuto i cereali dagli amministratori delle importazioni, dovevano inviare a ciascun cittadino la quantità che gli era stata accordata.50 In Francia, la città d'Amiens aveva la consuetudine di comperare del sale e di distribuirlo a tutti i cittadini al prezzo di costo;51 ed ancor oggi si vedono in molte città francesi delle halles che erano in altri tempi dei depositi municipali per il frumento e il sale.52 In Russia ciò era un uso abituale a Nogorod e a Pskov.

Tutto ciò che si riferisce alle compere comunali per l'uso dei cittadini sembra non sia ancora stato studiato abbastanza dagli storici che si sono occupati di quest'epoca, ma si trovano qua e là alcuni fatti interessantissimi che gettano una nuova luce su l'argomento. Così tra i documenti di Ch. Gross, un regolamento di Kilkenny del 1367, ci informa come i prezzi delle merci erano fissati. «I mercanti ed i marinai, scrive Ch. Gross, dovevano, sotto la fede del giuramento, fissare il prezzo di costo delle merci e delle spese di trasporto. Poi il sindaco della città o due probiviri fissavano il prezzo al quale dovevano essere vendute». La stessa regola era in vigore a Thurso per le mercanzie provenienti «dal mare o dalla terra». Questo modo di «stabilire il prezzo» risponde così bene al concetto stesso del commercio quale lo si comprendeva nel Medioevo, che deve essere stato quasi universale. Era un antico costume il far fissare il prezzo da un terzo; e, per tutti gli scambi nell'interno della città, era certamente un'abitudine molto diffusa di rivolgersi per il prezzo a dei «probiviri», ad un intermediario, e non al venditore nè al compratore. Ma questo stato di cose ci conduce ancora più lontano nella storia del commercio: ad un'epoca nella quale era l'intera città che faceva commercio dei suoi prodotti, e dove i mercanti non erano che dei commissionari, dei commessi della città, incaricati di vendere le mercanzie che la città esportava. Un decreto di Waterford, pubblicato pure dal Ch. Gross, dice «che qualsiasi specie di merci, di qualsiasi natura fossero... dovevano essere comperate dal sindaco e dai podestà che, essendo compratori del comune (a nome della città) per quel dato momento, dovevano ripartirle tra gli uomini liberi della città (eccezione fatta dei beni propri dei cittadini liberi e degli abitanti)».53

Non si può guari spiegare questa ordinanza altro che ammettendo che tutto il commercio esterno della città fosse fatto dai suoi agenti. Di più abbiamo la prova diretta che tale era il caso a Novgorod ed a Pskov. Erano «la sovrana Novgorod» e la «sovrana Pskov» che mandavano le loro carovane di mercanti verso i paesi lontani.

Sappiamo pure che in quasi tutte le città del Medioevo del centro e dell'ovest d'Europa, le gilde dei mestieri avevano l'uso di comprare in comune le materie prime necessarie e di far vendere il prodotto del loro lavoro dai loro commessi. È probabile che la stessa cosa sia avvenuta per il commercio estero, tanto più che, fino al secolo XIII, non soltanto i mercanti d'una stessa città erano considerati, fuori territorio, come responsabili in corpo dei debiti contratti da uno di essi, ma la città intera era responsabile dei debiti di ciascuno dei suoi mercanti. Non fu che nel XII e XIII secolo che le città del Reno abolirono questa responsabilità con trattati speciali.54 Infine abbiamo il notevole documento d'Ipswich pubblicato dal Gross, dal quale sappiamo che la gilda dei mercanti di quella città era composta di tutti quelli che avevano la franchigia della città, e che pagavano il loro tributo («leur hanse») alla gilda, il comune intero discutendo le misure da prendere per il bene della gilda dei mercanti ed assegnandole certi privilegi. La gilda mercantile d'Ipswich sembra essere stata così, più che una gilda privata, un corpo di commessi della città.

Insomma, meglio conosciamo la città del Medioevo, più vediamo che essa non era una semplice organizzazione politica per la difesa di date libertà politiche, ma un tentativo su ben più vasta scala di quella del comune rurale, per organizzare una stretta unione di aiuto e di appoggio mutuo per il consumo, la produzione e la vita sociale nel suo insieme, senza porre gli impedimenti dello Stato, lasciando piena libertà di espressione al genio creatore di ciascun gruppo, nelle arti, mestieri, scienze, commercio e politica. Vedremo meglio fino a qual punto riuscì questo tentativo quando avremo analizzato, nel capitolo seguente, l'organizzazione del lavoro nella città del Medioevo e le relazioni delle città con la popolazione delle campagne che le circondavano.

1 W. Arnold, nel Wanderungen und Ansiedelungen der deutschen Stämme, pag. 431, afferma pure che la metà delle terre lavorabili oggidì nel centro della Germania deve essere stata dissodata dal sesto al nono secolo. Nitzsch (Geschichte des deutschen Volkes, Leipzig, 1883, vol. I), condivide questa opinione.

2 Leo e Botta, Storia d'Italia (ediz. francese), 1844, t. I, pag. 37.

3 La somma da sborsare per il furto di un semplice coltello era di 15 solidi, e per le ferrature di un mulino, 45 solidi (vedere su questo soggetto Lamprecht, Wirthschaft und Recht der Franken, in Raumer, Historischen Taschenbuch, 1883, pag. 52). Secondo la legge ripuaria, la spada, la lancia o l'armatura di ferro d'un guerriero raggiungeva il valore di almeno 25 vacche, o di due anni di lavoro d'un uomo libero. Una corazza sola corrispondeva nella legge salica (Desmichels, citato dal Michelet) a 36 staia di frumento.

4 La principale ricchezza dei capi consistette durante lungo tempo in dominî personali popolati in parte di schiavi prigionieri, ma sopra tutto di uomini liberi condotti a stabilirvisi nel modo da noi descritto. Sull'origine della proprietà, vedere Inama Sternegg Die Ausbildung der grossen Grundherrschaften in Deutschland in Forschungen di Schmoller, vol. I, 1878; F. Dahn, Urgeschichte der germanischen und romanischen Völker, Berlino, 1881; Maurer, Dorfverfassung; Guizot, Essais sur l'histoire de France; Maine, Village community; Botta, Histoire d'Italie, Seebohm, Vinogradov, J. R. Green, ecc.

5 Vedere sir Enrico Maine, International Law, London, 1888.

6 Ancient Laws of Ireland, Introduzione; E. Nys. Études de droit international, t. I, 1896, pag. 86 e seg. Tra gli Osseti gli arbitri di tre dei più vecchi villaggi godono di una reputazione speciale (M. Kovalevsky, Costumi moderni e leggi antiche, Mosca, 1886, II, pag. 217, in russo).

7 È permesso di pensare che questo concetto (che si collega a quello della «tanistry») tenga un posto importante nella vita di quell'epoca; ma non sono ancora state fatte delle ricerche in questo senso.

8 È espressamente dichiarato nella carta di San Quintino dell'anno 1002 che il riscatto delle case condannate ad essere demolite come condanna doveva essere destinato alle mura della città. La stessa destinazione era data all'Ungeld nelle città tedesche. A Pskov, la cattedrale era la banca delle ammende, e si prendeva del denaro a questo fondo per le mura.

9 Sohm, Fränkische Rechts und Gerichtsverfassung, pag. 23, pure Nitzsch, Geschichte des deutschen Volkes. I, 788.

10 Vedere le eccellenti osservazioni su questo soggetto nelle Lettres sur l'histoire de France d'Augustin Thierry, 7a lettera. Le traduzioni barbare di certe parti della Bibbia sono molto istruttive su questo punto.

11 Trentasei volte più di un nobile, secondo la legge anglo-sassone. Nel codice di Rothari l'uccisione di un re è tuttavia punita con la morte; ma (senza voler richiamare l'influsso romano) questa nuova disposizione fu introdotta (nel 646) nella legge longobarda – come fanno rilevare Leo e Botta – per proteggere il re contro la legge del taglione. Il re essendo lui stesso in questo momento l'esecutore delle sue sentenze (come lo fu altra volta la tribù) doveva essere protetto da una disposizione speciale tanto più che parecchi re longobardi, prima di Rothari, erano stati uccisi uno dopo l'altro. (Leo e Botta, op. cit., I, 66-90).

12 Kaufmann, Deutsche Geschichte, vol. I, «Die Germanen der Urzeit», pag. 133.

13 Dr. F. Dahn, Urgeschichte der germanischen und romanischen Völker, Berlino, 1881, vol. I, 96.

14 Se io seguo così le teorie difese da lungo tempo dal Maurer (Geschichte der Städteverfassung in Deutschland, Erlangen, 1869) è perchè egli à chiaramente dimostrato come il comune rurale si sia trasformato in città medioevale per una evoluzione ininterrotta e che solamente questa maniera di vedere può esplicare l'universalità del movimento comunalista. Savigny e Eichhorn, ed i loro continuatori ànno certamente provato che le tradizioni dei municipî romani non erano mai sparite; ma essi non fanno nessun conto del periodo dei comuni rurali che, presso i barbari, precedettero le città. Il fatto è che, ogni volta che la civiltà cominciò di nuovo, in Grecia, a Roma, o nell'Europa centrale, essa passò per le identiche fasi – la tribù, il comune rurale, la città libera, lo Stato – ciascuno rappresentante una evoluzione naturale della fase precedente. Ben inteso, l'esperienza di ciascuna civiltà non va perduta. La Grecia (influenzata essa medesima dalle civiltà orientali) influenzò Roma, e Roma à influito sulla nostra civiltà; ma ciascuna di queste civiltà cominciò del pari con la tribù. Se non possiamo dire che i nostri Stati sono la continuazione dello Stato romano, non possiamo nemmeno dire che le città del Medioevo in Europa (comprese la Scandinavia e la Russia) furono una continuazione delle città romane. Esse erano una continuazione dei comuni rurali barbari, influenzati fino ad un certo punto dalle tradizioni delle città romane.

15 M. Kovalesky, Modern Customs and Ancient Laws of Russia (Ilchester lectures, Londra, 1891. Lettura 4a).

16 Occorsero molte ricerche prima di poter stabilire questo carattere del periodo che è stato chiamato il periodo oudielnyi; queste ricerche si trovano nelle opere del Bielaieff, Resoconti tratti dalla storia russa; Kostomarof, Gli inizi dell'autocrazia in Russia, e particolarmente in quella del professor Serghievitch, Il Viétché ed il Principe. Si troveranno delle indicazioni su questo periodo: in inglese, nell'opera del M. Kovalevsky, già citato in francese nella Histoire de la Russie del Rambaud; e in un breve riassunto dell'articolo «Russie» della ultima edizione della Chamber's Encyclopedia.

17 Ferrari, Storia delle rivoluzioni d'Italia, I, 257; Kallsen, Die deutschen Städte im Mittelalter, vol. I, Halle, 1891.

18 Vedere le pregevoli osservazioni del signor G. L. Gomme sulle Assemblee popolari a Londra (The Literature al Local Institutions, Londra, 1886, pag. 76). Occorre però rilevare che nelle città regie, le assemblee del popolo non ottennero mai l'indipendenza che ebbero altrove. È anche certo che le città di Mosca e di Parigi furono scelte dai re e dalla Chiesa come le culle della futura autorità regia nello Stato, perchè queste città non possedevano la tradizione di assemblee popolari avvezze ad agire sovranamente in ogni cosa.

19 Luchaire, Les communes françaises; così Kluckohn, Geschichte des Gottesfrieden, 1857. L. Semichon (La paix et la trève de Dieu, 2 vol., Paris 1869), à cercato di rappresentare il movimento comunale come risultato da questa istituzione. In realtà, la tregua di Dio, ed anche la lega formata sotto Luigi il Grosso a scopo protettivo contro il brigantaggio dei nobili e, a un tempo, contro le invasioni normanne, fu un movimento assolutamente popolare. Il solo storico che richiami quest'ultima lega – Vitalis – la descrive come un «comune popolare». («Considerazioni sulla storia di Francia» nel vol. IV delle opere di Agostino Thierry, Parigi, 1868, pag. 191 e nota).

20 Ferrari, I, 152, 263, ecc.

21 Perrens, Historie de Florence, I, 188; Ferrari, op. cit., I, 283.

22 Agostino Thierry, Essai sur l'histoire du Tiers-Etat, Paris, 1875, pag. 414, nota.

23 F. Rocquain, La Renaissance au XII siècle, negli Etudes sur l'histoire de France, Paris, 1875, pag. 55-117.

24 N. Kostomaroff, I razionalisti del XII secolo, nelle sue Monografie e ricerche (in russo).

25 Si troveranno dei fatti molto interessanti relativi all'universalità delle corporazioni nel Two Thousand Years of Guild life del Rev. J. N. Lambert, Hull. 1891. Sugli Amkari della Georgia, vedasi S. Eghiazarov, Gorodiskiye Tsekhi (Organizzazione degli Amkari transcaucasici, nelle Memorie della Società geografica del Caucaso, XIV, 2, 1891.

26 J. D. Wunderer, Reisebericht nel Fichard Frankfurter Archiv, II, 245; citato da Jansen, Geschichte des deutschen Volkes, I, 335.

27 Sul compagnaggio vedi la poderosa opera del Martin-Saint Leon, Le compagnonnage. (N. d. T.).

28 Dr. Leonard Ennen, Der Dom zu Köln, Historische Einleitung, Colonia, 1871, pag. 46-50.

29 Vedere il precedente capitolo.

30 Kofod Ancher, Om gamle Danske Gilder og deres Undergang, Copenhagen, 1875. Statuto d'una Knu gilda.

31 Sulla condizione delle donne nelle gilde, vedere le osservazioni nell'introduzione di miss Toulmin Smith all'opera di suo padre, English Guilds. Uno degli statuti di Cambridge (pag. 281) dell'anno 1503 è formale nella frase seguente: Thys Statute is made by the comyne assent of all the bretherne and sisterne of alhallowe yelde. (Questo statuto è fatto con l'assenso comune di tutti i fratelli e le sorelle della gilda di Tutti i Santi).

32 Nel medioevo solamente l'aggressione segreta era considerata come assassinio. La vendetta del sangue compiuta nella piena luce, era giustizia; uccidere in una disputa non era assassinio, purchè l'aggressore attestasse il suo desiderio di emendarsi e di riparare il male che aveva fatto. Tracce profonde di questa distinzione essenziale esistono ancora nei codici penali moderni, particolarmente in Russia.

33 Kofod Ancher. Questo vecchio libriccino contiene molte notizie che sono state perdute di vista dai ricercatori più recenti.

34 Esse rappresentano una parte importante nelle rivolte dei servi, e furono, a causa di ciò, proibite parecchie volte di seguito nella seconda metà del IX secolo. Naturalmente le interdizioni del re restarono lettera morta.

35 I pittori italiani del Medioevo erano pure organizzati in gilde, le quali in un'epoca posteriore divennero le Accademie d'arte. Se le opere dell'arte italiana di tale epoca sono impresse da un carattere che permette ancor oggi di distinguere le varie scuole di Padova, Bassano, Treviso, Verona, ecc., quantunque fossero tutte sotto l'influsso di Venezia, ciò è dovuto – come I. Paul Richter l'aveva rilevato – al fatto che i pittori di ogni città appartenevano ad una gilda distinta, in buoni rapporti con le gilde delle altre città, ma conducenti una vita propria. Il più antico statuto che conosciamo è quello di Verona, che data dal 1303, ma è certamente copiato da qualche statuto più antico. Tra le obbligazioni dei membri, si trova: «Assistenza fraterna in ogni specie di necessità», «ospitalità verso gli stranieri quando attraversano la città, chè così si possono ottenere delle informazioni su certe cose che si può desiderare di conoscere» e «obbligo di offrire soccorso in caso di debolezza». (Nineteenth Century, novembre 1890 ed agosto 1892).

36 Le principali opere sugli Artels sono citate nell'articolo «Russie» dell'Enciclopedia Britannica, 9 ed., pag. 84.

37 Vedere, ad esempio, i testi delle gilde di Cambridge dati da Toulmin Smith (English Guilds, Londra, 1870, pag. 274-276) dove si vede che «il giorno generale e principale» era quello delle «elezioni», od anche Ch. M. Clode, The Early History of the Guild of the Merchants Taylors, Londra, 1888, I, 45, ecc. Per il rinnovamento della alleanza, vedere la Saga di Jomsviking, citata da Pappenheim, Altdänische Schutzgilden, Breslavia, 1885, pag. 167. Sembra molto probabile che quando le gilde cominciarono ad essere perseguitate, molte di esse non inscrissero nei loro statuti che il giorno del pasto, o quello delle cerimonie religiose e non fecero allusioni alle funzioni giudiziarie della gilda che in termini vaghi; ma queste funzioni non sparirono che in un'epoca molto posteriore. La domanda «Chi sarà il mio giudice?» non à più senso oggi, dacchè lo Stato si è appropriato l'ordinamento giudiziario, confidato ora alla sua burocrazia; ma era di importanza grandissima nel Medioevo tanto più che l'auto giurisdizione significava auto-amministrazione. Occorre pure rilevare che la traduzione delle parole sassoni e danesi «guild-bretheren» o «brödrae», dal vocabolo latino convivii deve aver concorso alla confusione che abbiamo testè segnalata.

38 Vedere le eccellenti osservazioni stilla «frith guilde» di F. R. Green e signora Green nel The conquest of England, Londra, 1883, pag. 229-230.

39 «Tutti quelli che appartengono all'amicizia della città – si legge in una «carta» data nel 1188 ai cittadini d'Aire da Filippo, conte di Fiandra – ànno promesso e confermato con la fede e il giuramento, che s'aiuteranno l'un l'altro come fratelli in ciò che è utile ed onesto. Che se uno commette contro l'altro qualche delitto con parole o con azioni, quello che sarà stato offeso non farà vendetta per sè o per i suoi, ma presenterà querela, ed il colpevole farà ammenda del delitto secondo l'arbitrato di dodici giudici eletti. E se colui che ha fatto il torto e chi l'ha ricevuto, avvertito per tre volte, non vuol sottomettersi a questo arbitrato, sarà escluso dall'amicizia, come cattivo e spergiuro.

«Ciascuno conserverà in ogni occasione fedeltà al suo giurato e gli darà aiuto e consiglio secondo ciò che avrà dettato la giustizia», dicono le carte d'Amiens e d'Abbeville. «Entro i confini del comune tutti gli uomini si aiuteranno reciprocamente, secondo il loro potere, e non tollereranno in nessun modo che chicchessia tolga qualche cosa o faccia pagare taglia ad uno di essi», leggiamo nelle carte di Soissons, Compiègne, Senlis, e in molte altre dello stesso tipo ed innumerevoli varianti sullo stesso tema. (Recueil des ordonnances des rois de France, t. XII, 563, citato da Agostino Thierry in Considérations sur l'histoire de France, pag. 241, t. VII della decima edizione delle Opere complete). Vedi anche Guilbert de Nogent, De vita sua, citato da Luchaire.

40 «Comune! nome nuovo, nome detestabile! Per esso i censuari (capite censi) sono liberati da ogni servitù mediante un semplice censo annuale; per esso essi non sono condannati, per infrazione alle leggi, che ad un'ammenda legalmente determinata; per esso cessano di essere sottoposti ad altre gravezze pecuniarie delle quali sono oppressi i servi». (A. Luchaire, Les communes françaises, pag. 45-46).

41 Lebret, Histoire de Venise, I, 393; vedere pure Marin, citato da Leo e Botta nella Histoire de l'Italie, ediz. franc. 1844, t. I, 500.

42 Dr. W. Arnold, Verfassungsgeschichte der deutschen Freistädhe, 1854, vol. II, 227 e seg.; Ennen, Geschichte der Stadt Koeln, vol. I, 228-229; ed anche i documenti pubblicati da Ennen e Eckert.

43 Conquest of England, 1883, pag. 453.

44 Bielaeff, Histoire de Russie, vol. II e III.

45 W. Gramich, Verfassungs und Werwaltungsgeschichte der Stadt Würzburg im 13. bis zum 15. Jahrhundert, Würzburg, 1882, pag. 34.

46 Quando un battello portava un carico di carbone a Würzburg, il carbone doveva essere venduto al minuto durante gli otto primi giorni, ogni famiglia non avendo diritto a più di cinquanta panieri. Il resto del carico poteva essere venduto all'ingrosso, ma il mercante al minuto non poteva ricavarne che un profitto onesto (zittlicher), il profitto disonesto (unzittlicher) essendo strettamente proibito (Gramich, op. cit.). La stessa cosa era a Londra (Liber albus, citato da Ochenkowski, pag. 161) e, di fatto, dappertutto.

47 Vedere Fagniez, Études sur l'industrie et la classe industrielle à Paris au XIII et XIV siècle, Paris, 1877, pag. 155 e seg. Occorre aggiungere che la tassa sul pane, come sulla birra, non si stabiliva che dopo esperimenti accurati relativi alla quantità del pane e della birra che si poteva ottenere da una data quantità di grano. Gli archivi d'Amiens possedevano i particolari di queste esperienze (A. De Calonne, op. cit., pag. 77-93). Gli archivi di Londra pure (Ochenkowski, Englands wirthschaftliche Entwickelung, ecc.), Jena, 1879, pag. 165.

48 Ch. Gross. The Guild Merchant, Oxford, 1890, I, 135. Questi documenti provano che questo uso esisteva a Liverpool (II, 148-150), a Waterford in Irlanda, a Neath nel paese di Galles, e a Linlithgow e a Thurso nella Scozia. I volumi del Gross mostrano pure che le compre erano fatte in vista della distribuzione, non solo tra i cittadini mercanti, ma «upon all citisains and commynalte» (pag. 136, nota) o, come dice il regolamento di Thurso del XVII secolo, per «offrire ai mercanti, artigiani, e habitants del detto borgo, affinchè possano averne la loro parte secondo i loro bisogni e le loro abilità».

49 The early History of the Guild of Merchant Taylors, di Carlo M. Clode, Londra 1882, I, 361, appendice 10; ed anche l'appendice successiva che mostra che le stesse compre erano fatte nel 1546.

50 Cibrario, Les conditions économiques de l'Italie au temps de Dante, Paris, 1865, pag. 44.

51 A. de Calonne, La vie municipale au XV siècle dans le Nord de la France, Paris, 1880, pag. 12-16. Nel 1485, la città autorizzava la esportazione ad Anversa di una certa quantità di grano, «gli abitanti d'Anversa erano sempre pronti a favorire i mercanti ed i cittadini di Amiens» ibid., pag. 73-77 ed i testi.

52 A. Babeau, La ville sous l'ancien règime, Paris, 1880.

53 «That all manere of marchandis what so ever kynde thei be of... shal be bought by the Maire and balives which bene commene biers for the time being, and to distribute the same on freemen of the citie (the propre goods of free citisains and inhabitans only excepted)».

54 Ennen, Geschichte der Stadt Köln, I, 491-492, così nei testi.