CAPITOLO IV.

IL MUTUO APPOGGIO PRESSO I BARBARI

La grande migrazione dei popoli. – Una nuova organizzazione resa necessaria. – La comunità rurale. – Il lavoro in comune. – La procedura giudiziaria. – La legge intertribale. – Esempi tratti dalla vita dei nostri contemporanei. – Buriati. – Cabili. – Montanari del Caucaso. – Razze africane.

Non si può studiare studiare l'uomo primitivo senz'essere colpiti profondamente dalla socievolezza della quale esso dà prova fin dai primi passi nella vita. L'esistenza di società umane, è dimostrata dalle vestigia che troviamo dell'età paleolitica e neolitica; e quando studiamo i selvaggi contemporanei, il cui genere di vita è ancora quello dell'uomo neolitico, li troviamo strettamente uniti dalla organizzazione, estremamente antica, del clan, che permette loro di associare le forze individuali, ancora così deboli, di godere della vita in comune e di progredire.

L'uomo non è un'eccezione nella natura, ma egli pure si conforma al grande principio del mutuo appoggio, che dà le migliori probabilità di sopravvivenza su quelli che sanno meglio aiutarsi nella lotta per la vita. Tali sono le conclusioni alle quali siamo giunti nel precedente capitolo.

Tuttavia, quando arriviamo ad un grado più alto della civiltà ed attingiamo alla storia, che à già qualche cosa da dire su questo periodo, siamo colpiti dalle lotte e dai conflitti che essa rivela. Gli antichi legami sembrano essere interamente spezzati. Si vedono razze combattere altre razze, tribù contro tribù, individui contro individui; e dal caos e dall'urto di queste forze ostili, l'uman genere esce diviso in caste, asservite a despoti, separato in Stati sempre pronti a farsi guerra. Il filosofo pessimista, basandosi su questa storia del genere umano, ne conclude che la guerra e l'oppressione sono l'essenza stessa della natura umana; che gli istinti di guerra e di rapina dell'uomo possono essere contenuti in certi limiti soltanto da una potente autorità che lo costringe alla pace e che solo qualche raro uomo di «élite» à l'occasione di preparare una vita migliore per il genere umano nei tempi futuri.

Invece, da che la vita giornaliera condotta dagli uomini durante il periodo storico, è sottoposta ad analisi più accurata, ed è ciò che è stato fatto recentemente in numerosi e pazienti studî relativi alle istituzioni dei tempi remotissimi, questa vita appare sotto un aspetto del tutto differente.

Se lasciamo da parte le idee preconcette della maggior parte degli storici e la loro marcata predilezione per gli aspetti drammatici della storia, vediamo che i documenti stessi che studiano, sono quelli che esagerano la parte della vita umana votata alle lotte e ne trascurano i lati pacifici. I giorni sereni e soleggiati sono perduti di vista nelle tormente e negli uragani. Anche nell'epoca nostra, i voluminosi documenti che prepariamo ai futuri storici con la nostra stampa, i nostri tribunali, i nostri uffici governativi, ed anche i romanzi e le opere poetiche, sono macchiati dalla stessa parzialità. Trasmettono alla posterità le più minuziose descrizioni d'ogni guerra, di ogni battaglia o scaramuccia, di ogni contestazione, di ogni atto di violenza, di ogni specie di sofferenza individuale; ma appena rilevano qualche traccia degli innumerevoli atti di solidarietà e di devozione che ognuno di noi conosce per propria esperienza; tengono appena conto di ciò che forma l'essenza stessa della nostra vita quotidiana – i nostri istinti sociali ed i nostri costumi sociali.

Non c'è da stupire se le testimonianze del passato furono così inesatte. Gli annalisti, infatti, non ànno mai mancato di raccontare le più piccole guerre e le calamità delle quali i loro contemporanei ebbero a soffrire; ma essi non prestavano nessuna attenzione alla vita delle masse, benchè queste abbiano vissuto lavorando pacificamente, mentre soltanto un piccolo numero di uomini guerreggiavano fra di loro. I poemi epici, le iscrizioni sui monumenti, i trattati di pace – quasi tutti i documenti storici ànno il medesimo carattere; ànno trattato della violazione della pace, non della pace stessa. Cosicchè lo storico, anche meglio intenzionato, fa inconsciamente un quadro inesatto dell'epoca che si sforza di illustrare. Per trovare la proporzione reale tra i conflitti e l'unione, occorre ricorrere all'analisi minuziosa di migliaia di piccoli fatti e di indicazioni incidentali, conservate per caso tra le reliquie del passato; occorre poi interpretarle con l'aiuto dell'etnologia comparata, e, dopo aver tanto udito parlare di tutto quanto à diviso gli uomini, abbiamo da ricostruire pietra su pietra le istituzioni che li tenevano uniti.

Ben presto occorrerà riscrivere la storia con un nuovo piano, al fine di tener conto di quelle due correnti della vita umana e di apprezzare la parte rappresentata da ciascuna di esse nella evoluzione. Ma, in attesa, possiamo trarre profitto dall'immenso lavoro preparatorio che è stato fatto recentemente con l'intento di ritrovare le linee principali della seconda corrente, così trascurata fino ad ora.

Dai tempi meglio conosciuti della storia, possiamo già trarre qualche esempio della vita delle masse, e rilevare la parte rappresentatavi dal mutuo appoggio; e per non estendere troppo il lavoro, possiamo dispensarci dal risalire fino agli Egiziani od anche fino all'antichità greca o romana. Infatti l'evoluzione del genere umano non à avuto il carattere di una successione ininterrotta. Parecchie volte ebbe fine in una data regione, in una certa razza, ed à ricominciato altrove, tra altre razze. Ma ad ogni nuovo inizio ricomincia con le stesse istituzioni del clan che abbiamo vedute già presso i selvaggi. Così che, se prendiamo l'ultima rinascenza, quella della nostra civiltà attuale ai suoi inizi, nei primi secoli dell'era nostra, tra quelli che i Romani chiamavano i «barbari», avremo tutta la scala dell'evoluzione, cominciando dalle gentes e terminando con le istituzioni dei tempi attuali. Le pagine seguenti saranno consacrate a tale studio.

I dotti non ànno ancora stabilite bene le cause che, circa due mila anni fa, spinsero dall'Asia in Europa, nazioni intere, e produssero delle grandi migrazioni di barbari che posero fine all'Impero romano d'occidente. Una causa si presenta non di meno allo spirito del geografo, quando considera le rovine di città popolose nei deserti dell'Asia centrale, o segue il letto dei fiumi oggi asciutti e le depressioni riempite in altri tempi da grandi laghi dei quali non restano più ora che dei semplici stagni. È la siccità; una siccità recente, la quale à cominciato con il periodo post-glaciale ed è continuata nei tempi storici con una rapidità che non eravamo, in altri tempi, pronti ad ammettere.1 Contro questo fenomeno della natura l'uomo è impotente. Quando gli abitanti del nord-ovest della Mongolia e del Turkestan orientale videro che l'acqua li abbandonava, non ebbero altra via che scendere verso le larghe valli conducenti alle terre più basse e di respingere verso l'ovest gli abitanti delle pianure.2

Popolazioni su popolazioni furono così riversate in Europa, forzando altri popoli a spostarsi e ad avanzare sempre per varî secoli verso l'ovest, o verso l'est, alla ricerca di nuove dimore più o meno stabili. Durante l'emigrazione, le razze si mescolarono: gli aborigeni con gli immigrati; gli Ariani con gli Uralo-Altaici; e non vi sarebbe stato niente di stupefacente, se le istituzioni sociali che le avevano tenute unite nelle loro contrade d'origine fossero completamente sparite durante le stratificazioni di razze che si formarono nell'Europa e nell'Asia. Ma non fu così. Queste istituzioni subirono unicamente le modificazioni richieste dalle nuove condizioni di esistenza.

Quando i Teutoni, i Celti, gli Scandinavi ed altri entrarono per la prima volta in contatto con i Romani, erano in uno stato di organizzazione sociale di trapasso. Le unioni per clans, basate su un'origine comune, supposta o reale, li avevano mantenuti uniti durante parecchie migliaia di anni. Ma queste unioni non rispondevano al loro scopo, in quanto che non vi erano famiglie separate nel seno della gens o del clan. Tuttavia, per cause che abbiamo già ricordate, la famiglia patriarcale separata si sviluppava già, lentamente, ma sicuramente, all'interno del clan: ed alla lunga ciò significava evidentemente l'accumularsi individuale della ricchezza e del potere e la loro trasmissione ereditaria. Le frequenti migrazioni dei barbari e le guerre, che ne erano le conseguenze, non fecero che affrettare la divisione delle genti in famiglie separate, mentre che la dispersione delle diverse popolazioni e la loro mescolanza con stranieri offrivano nuove facilità per l'ultima disintegrazione delle unioni, basate fin allora sulla comune origine. I barbari erano, così, nella alternativa, o di vedere i loro clans dispersi in gruppi sparsi di famiglie, tra le quali le più ricche, sopra tutto, se potevano unire alle loro ricchezze le funzioni sacerdotali o la gloria militare, dovevano riuscire ad imporre la loro autorità ad altri; oppure di scoprire qualche nuova forma d'organizzazione, basata su nuovi principî.

Parecchie tribù non ebbero la forza di resistere allo scioglimento; esse si disgregarono e furono perdute per la storia. Ma le più vigorose serbarono la loro coesione ed uscirono da questa prova con una nuova organizzazione – il comune rurale – che le mantenne unite durante quindici secoli successivi ed anche più. La concezione di un comune territorio, acquistato e protetto dagli sforzi comuni, nacque e sostituì le tradizioni in decadenza di una origine comune.

Gli dèi comuni perdettero gradatamente il loro carattere antico e furono dotati di carattere territoriale e locale. Divennero gli dèi o i santi d'un determinato luogo; la terra fu identificata con i suoi abitanti. Delle unioni territoriali si svolsero al posto delle unioni consenguinee del passato; e questa nuova organizzazione offriva certi vantaggi incontestabili nelle nuove circostanze. Essa riconosceva l'indipendenza della famiglia ed insieme l'accresceva; – il comune rurale rinunciava al diritto degli affari interiori nel seno di ogni famiglia; dava maggiore libertà all'iniziativa personale; non era da principio ostile all'unione tra individui di ceppo differente, e, nello stesso tempo, manteneva la coesione necessaria d'azione e di pensiero; infine, era abbastanza forte per opporsi alle tendenze dominatrici della minoranza di stregoni, di preti o di guerrieri di professione. Il comune rurale divenne così la cellula fondamentale della futura organizzazione, ed in molte nazioni à conservato lo stesso carattere fino ai giorni nostri.

Ora, si sa, e non lo si contesta quasi più, che il comune rurale non era un carattere specifico degli Slavi e neppure degli antichi Teutoni. Esisteva nell'Inghilterra durante il periodo sassone così bene come sotto la dominazione normanna, esso è sopravvissuto in parte fino al diciannovesimo secolo;3 era alla base della organizzazione sociale dell'antica Scozia,4 dell'antica Irlanda, e dell'antico paese di Galles. In Francia, i possedimenti comunali e le distribuzioni di terre arabili dell'assemblea dei villaggi persistettero dai primi secoli dell'era nostra fino al Turgot, il quale trovò le assemblee rurali «troppo rumorose» e ne cominciò l'abolizione.5 Il comune rurale sopravvisse alla dominazione romana in Italia, e riapparve dopo la caduta dell'impero romano. Essa era la regola presso gli Scandinavi, gli Slavi, i Finni (nella pittäyä, come pure, probabilmente, nella kihlakunta) presso i Curi ed i Livi. Il villaggio rurale nell'India antica e moderna, ariana e non ariana, è reso noto dalle opere del baronetto Enrico Maine, che ànno fatto epoca; Elphinstone l'à descritto fra gli Afgani. Lo troveremo ugualmente negli oulous dei Mongoli, la thaddart dei Cabili, la dessa dei Giavanesi, la kota o tofa dei Malesi, e sotto altri nomi nell'Abissinia, nel Sudan, nell'interno dell'Africa, presso gli indigeni delle due Americhe, fra tutte le grandi e le piccole tribù dell'arcipelago del Pacifico.6 In breve, noi non conosciamo una sola razza umana od una sola nazione che non abbia avuto il suo periodo di villaggio rurale. Questo solo fatto distrugge la teoria secondo la quale il villaggio rurale in Europa sarebbe stato un risultato del servaggio. Esso è anteriore al servaggio, ed anche la sottomissione al servaggio fu impotente a spezzarlo. Esso fu una base universale della evoluzione, una inevitabile trasformazione dell'organizzazione per clans, almeno per tutti i popoli che ànno rappresentato, od ancora rappresentano, qualche parte nella storia.7

Il villaggio rurale era una produzione naturale, e per questa ragione una assoluta uniformità nella sua struttura non era possibile. In generale era una unione tra famiglie considerate come di origine comune e possedenti un certo territorio in comune. Ma presso certi popoli, per il favore di varie circostanze, le famiglie non si affrettarono a ramificarsi in famiglie nuove e, quantunque diventate numerosissime, restarono indivise. Cinque, sei ed anche sette generazioni continuarono allora a vivere sotto il medesimo tetto, o entro il medesimo recinto, tenendo casa in comune, possedendo in comune il loro bestiame e prendendo i loro pasti insieme, al focolare familiare. In questo caso erano sotto il regime che in etnologia si chiama «famiglia composta» o «famiglia indivisa» come la vediamo ancora in tutta la Cina, nell'India, nella zadrouga degli Slavi meridionali, nella Danimarca, ed occasionalmente nella Russia del nord e nell'ovest della Francia.8 Presso altri popoli o in altre circostanze che non sono ancora bene determinate, le famiglie non raggiunsero le stesse proporzioni; i nipoti e qualche volta i figli stessi lasciano la casa appena sono ammogliati, e ciascuno di essi crea una nuova famiglia. Ma, indivise o no, raggruppate o sparse nei boschi, le famiglie dimorano unite in villaggi comuni; parecchi villaggi si raggruppano in tribù e le tribù in federazioni. Tale fu l'organizzazione che si svolse fra i pretesi «barbari», quando essi incominciarono a stabilirsi in un modo più o meno duraturo in Europa.

Occorse una lunghissima evoluzione prima che le gentes o clans riconoscessero l'esistenza distinta della famiglia patriarcale in una capanna separata; ma anche dopo che ciò era stato riconosciuto, il clan fu lento nell'ammettere l'eredità personale dei beni. Alcuni oggetti che erano appartenuti personalmente all'individuo venivano distrutti su la sua tomba, o sotterrati con lui. Il comune rurale, al contrario, riconosceva pienamente l'accumularsi privato della ricchezza nella famiglia e la sua trasmissione ereditaria. Ma la ricchezza era concepita esclusivamente sotto forma di beni mobili, comprendenti il bestiame, gli utensili, le armi e la casa d'abitazione, la quale, come tutte le cose che possono essere distrutte dal fuoco, rientrano nella stessa categoria.9

In quanto alla proprietà fondiaria, il comune rurale non la conosceva; esso non poteva conoscere niente di simile, e, in generale, non la riconobbe fino ai giorni nostri. La terra era la proprietà comune della tribù, o del popolo intero, ed il comune rurale stesso possedeva la sua parte di territorio per lungo tempo, finchè la tribù non reclamasse una novella ripartizione dei lotti assegnati ai diversi villaggi. Il dissodamento delle foreste e del suolo vergine, essendo quasi sempre opera dei comuni, od almeno di parecchie famiglie insieme – sempre con il consenso del comune, – le parti dissodate diventavano proprietà di ciascuna famiglia per un periodo di quattro, dodici o vent'anni; dopo di che si consideravano come facenti parte delle terre coltivabili che si possedevano in comune. La proprietà privata o il possesso «perpetuo» era anche incompatibile con i principî e i concetti religiosi del comune rurale, come lo era con i principî della gens; così che occorse un lungo influsso della legge romana e della chiesa cristiana, che accettò ben presto i principî romani, per abituare i barbari all'idea della proprietà fondiaria individuale.10 Tuttavia, anche allora che questo modo di proprietà o di possesso per un tempo illimitato fu riconosciuto, il possessore d'un dominio separato restò comproprietario dei terreni incolti, delle foreste e dei pascoli. Di più vediamo continuamente, in particolare nella storia della Russia, che allorchè alcune famiglie, agendo separatamente, si impadronirono di terre appartenenti a tribù considerate come straniere, queste famiglie non tardarono ad unirsi, a costituirsi in villaggio rurale che, alla terza, o quarta generazione, cominciava a professare la comunità di origine.

Ogni serie d'istituzioni, in parte ereditate dal periodo dei clans, sono sorte su questa base fondamentale, la proprietà in comune della terra, durante la lunga successione di secoli che occorsero per condurre i barbari sotto il dominio degli Stati ordinati secondo il sistema romano o bizantino. Il comune rurale non era unicamente un'unione per garantire a ciascuno una parte equa della terra comune; esso rappresentava pure una unione per la coltivazione della terra in comune, per il mutuo appoggio sotto tutte le forme possibili, per la protezione contro la violenza e per un accrescimento ulteriore del sapere, dei concetti morali come dei vincoli nazionali. Nessun mutamento nei costumi riguardo la giustizia, la difesa armata, l'educazione, o i rapporti economici, poteva essere fatto senza esser stato deciso dall'assemblea del villaggio, dalla tribù o dalla confederazione. Il comune, essendo una continuazione della gens, ereditò tutte le sue funzioni. Era una universitas, un mir – un mondo a sè.11

La caccia in comune, la pesca in comune e la coltivazione degli ortaggi e delle piantagioni di alberi fruttiferi erano regola per le antiche gentes. L'agricoltura in comune diventò regola nei comuni rurali dei barbari. È vero che ci sono poche testimonianze dirette su questo punto, e nella letteratura antica abbiamo i passi di Diodoro e di Giulio Cesare relativi agli abitanti delle isole Lipari (una tribù di Celtiberi) e agli Svevi. Ma non manchiamo di testimonianze indirette per provare che l'agricoltura in comune era praticata da certe tribù dei Teutoni, dei Franchi e da quella degli antichi Scozzesi, dagli Irlandesi e dai Galli.12 Le sopravvivenze di quest'abitudine sono innumerevoli. Anche nella Francia, completamente romanizzata, la coltura in comune era ancora abituale circa venticinque anni fa, e in Bretagna, nel Morbihan.13 L'antico cyvar gallo, o associazione di lavoratori, come la coltivazione in comune della terra attribuita all'epoca del villaggio, sono affatto comuni tra le tribù del Caucaso meno toccate dalla civiltà.14

Fatti simili si incontrano costantemente tra i contadini russi. Si sa anche che parecchie tribù del Brasile, dell'America centrale e del Messico avevano l'abitudine di coltivare in comune i loro campi e che questa stessa abitudine è molto diffusa presso i Malesi, nella Nuova Caledonia, fra parecchie razze e presso altri popoli.15 Insomma, l'agricoltura in comune è così abituale presso gli Ariani, gli Uralo-Altaici, i Mongoli, i Negri, i Pellirosse, i Malesi e i Melanesi che possiamo considerarla come una forma di agricoltura primitiva che, senza essere la sola possibile, fu una forma universale.16

La coltivazione in comune non implica però necessariamente il pasto generale in comune. Già sotto il regime dei clans noi vediamo spesso che quando i battelli carichi di frutta o di pesci entrano nel villaggio, il cibo che recano è diviso fra tutte le capanne e le «lunghe case» abitate sia da parecchie famiglie, sia da giovani; questo cibo è cotto separatamente in ogni focolare. Così l'abitudine di mangiare in un cerchio più intimo di parenti o di associati esisteva già nel periodo primitivo della organizzazione per tribù. Essa diventa regola nel comune rurale. Anche gli alimenti prodotti in comune erano generalmente divisi tra le diverse case dopo che una parte era stata messa in serbo per l'uso collettivo. Però la tradizione del pasto in comune fu pienamente conservata. Si profittò di qualsiasi occasione, quali la commemorazione degli antenati, le feste religiose, l'inizio e la fine dei lavori dei campi, le nascite, i matrimoni e i funerali, per far partecipare la comunità ad un pasto in comune. Ancora oggi questo uso, conosciuto bene in Inghilterra sotto il nome di «cena della raccolta», è uno degli ultimi a sparire. D'altra parte, anche quando si era cessato da molto tempo di lavorare e seminare i campi in comune, diversi lavori agricoli continuarono e continuano ancora ad essere compiuti dalla comunità. Certe parti del terreno sono in molti casi coltivate in comune, sia a beneficio degli indigenti, sia per riempire i granai comunali, sia per servirsene nelle feste religiose. I canali irrigatori sono scavati e riparati in comune. Le praterie comunali vengono falciate in comune; e lo spettacolo d'un comune russo falciante una prateria – gli uomini che rivaleggiano d'ardore nel falciare mentre le donne rivoltano l'erba e la raccolgono in mucchi – è molto impressionante; si vede là che cosa il lavoro umano potrebbe e dovrebbe essere.17

In queste circostanze il fieno viene diviso tra le diverse case, ed è evidente che nessuno à diritto di prendere del fieno dal mucchio del suo vicino senza il suo permesso. Presso gli Osseti del Caucaso, quando il cucùlo canta annunciando la primavera e che i prati saranno ben presto rivestiti d'erba, tutti quelli che ne ànno bisogno, ànno il diritto di prendere nel mucchio del vicino il fieno necessario per il bestiame.18 Ciò è una specie di affermazione di antichi diritti comunali, che sembra mostrare come l'individualismo sfrenato sia contrario alla natura umana.

Allorchè un viaggiatore europeo sbarca in qualche piccola isola del Pacifico e, vedendo a qualche distanza un gruppo di palme, s'incammina in quella direzione, è stupito di scoprire che i piccoli villaggi sono riuniti da strade selciate da grosse pietre, molto comode per i piedi nudi degl'indigeni e molto simili alle «vecchie strade» delle montagne svizzere. Strade simili furono tracciate dai «barbari» in tutta l'Europa; e occorre avere viaggiato nei paesi non civilizzati e poco popolosi, lontano dalle principali vie di comunicazione, per raffigurarsi bene l'enorme lavoro che deve essere stato compiuto dalle comunità barbare al fine di conquistare le immense foreste e le paludi che coprivano l'Europa or sono duemila anni. Isolate, famiglie deboli e senza utensili non sarebbero mai riuscite; la natura selvaggia avrebbe avuto il sopravvento. Solamente dei comuni rurali, lavorando in comune, potevano rendersi padroni delle foreste vergini, delle paludi impraticabili e delle steppe sconfinate. Le strade primitive, le chiatte per traversare i fiumi, i ponti di legno tolti nell'inverno e ricostruiti dopo le grandi piene, i recinti e le palizzate dei villaggi, i forti e le torricelle di cui il territorio era disseminato, tutto ciò fu opera dei comuni barbari. Ed allorquando un comune diventava troppo numeroso, un nuovo pollone si distaccava da esso. Un nuovo comune si formava a qualche distanza dall'antico, sottomettendo man mano i boschi e le steppe al potere dell'uomo. Il sorgere stesso delle nazioni europee non fu che un germogliare dei comuni rurali. Ancora oggi i contadini russi, se non son del tutto abbattuti dalla miseria, emigrano in comunità, e coltivano il terreno e costruiscono delle case in comune quando si stabiliscono sulle rive del fiume Amùr o nel Canadà. Gli Inglesi, quando incominciarono a colonizzare l'America, ritornarono all'antico sistema; si raggrupparono in comuni rurali.19

Il comune rurale fu ausilio principale dei barbari nella loro penosa lotta contro una natura ostile. Esso fu pure la forma di unione che opposero agli abili ed ai forti, dai quali l'oppressione avrebbe potuto facilmente svilupparsi in quelle epoche agitate.

Il barbaro immaginario – l'uomo che si batte e che uccide per semplice capriccio – non è esistito più che il selvaggio «sanguinario». Il vero barbaro, al contrario, viveva sotto un regime di istituzioni numerose e complesse, nate dal considerare ciò che poteva essere utile, o nocivo, alla tribù, o alla confederazione, e queste istituzioni erano religiosamente trasmesse di generazione in generazione, sotto forma di versi, di canzoni, di proverbi, di triadi, di sentenze e d'insegnamenti. Più studiamo queste istituzioni dell'epoca barbara, più scopriamo come erano stretti i legami che univano gli uomini nei loro villaggi. Qualunque lite fosse sorta tra due individui, veniva trattata come un affare pubblico; anche le parole offensive che potevano essere state pronunciate durante una lite erano considerate come un'offesa verso la comunità e i suoi antenati. Si doveva riparare con le scuse, fatte ad un tempo all'individuo ed al comune;20 e se una lite si terminava con colpi e ferite, colui che aveva assistito e non si era intromesso tra i combattenti veniva trattato come se egli stesso avesse inferto le ferite.21

La procedura giudiziaria era imbevuta dello stesso spirito. Ogni disputa era dapprima trattata davanti dei mediatori e arbitri, e generalmente essi la appianavano, avendo l'arbitraggio una parte molto importante nelle società barbare. Ma se il caso era troppo grave per essere risolto in questo modo, veniva portato davanti all'assemblea del comune che doveva «trovare la sentenza» e che la pronunciava sotto una forma condizionale; vale a dire: «tale compenso era dovuto, se il male fatto ad un altro era provocato»; e il male doveva essere provato, o negato, da sei o dodici persone, confermanti o neganti il fatto con giuramento. Nel caso di contraddizione tra le due serie di «congiurati», si sarebbe ricorso alla prova (con il duello, il fuoco od in altro modo).

Una tale procedura, che restò in vigore durante più di duemila anni, dice abbastanza da se stessa; mostra come stretti fossero i legami tra i membri del comune. Per di più, non v'era altra autorità per appoggiare le decisioni dell'assemblea comunale che la sua propria autorità morale. La sola minaccia possibile era di mettere fuori legge il ribelle, ma quella stessa minaccia era reciproca. Un uomo, scontento dell'assemblea, poteva dichiarare che abbandonava la tribù e passava ad un'altra tribù, – minaccia terribile, perchè chiamava ogni specie di sciagure sulla tribù che s'era mostrata ingiusta verso uno dei suoi membri.22 La ribellione contro una giusta decisione della legge della consuetudine era semplicemente «inconcepibile» come l'à così ben detto Enrico Maine, «perchè la legge, la moralità ed i fatti non si distinguevano gli uni dagli altri in quel tempo».23 L'autorità morale del comune era tanto forte, che anche in epoca molto posteriore, allorchè i Comuni rurali caddero in potere dei signori feudali, essi conservarono i loro poteri giudiziari: essi permettevano soltanto al signore od al suo mandatario di «trovare» la sentenza condizionale secondo la legge del costume che egli aveva giurato di osservare, e di riscuotere a favore proprio l'ammenda (o fred) dovuta al comune. Ma per lungo tempo il signore stesso, se restava comproprietario dei terreni incolti del comune, doveva sottomettersi alle decisioni del comune per gli affari pubblici. Nobile, od ecclesiastico, doveva ubbidire all'assemblea del popolo – Wer daselbst Wasser und Weid genusst, muss gehorsam sein –. «Chi fa uso qui del diritto dell'acqua e dei pascoli, deve ubbidienza», tale era la vecchia legge. Anche quando i contadini diventarono servi di un signore, questi doveva presentarsi davanti l'assemblea del popolo quando gli veniva intimato.24

Nel loro concetto della giustizia, i barbari poco differivano dai selvaggi. Essi ritenevano che un assassinio dovesse essere seguito dalla morte dell'uccisore; che le ferite dovessero essere punite con ferite assolutamente uguali, e che la famiglia oltraggiata fosse tenuta ad eseguire la sentenza della legge. Era un dovere sacro, un dovere verso gli antenati, che doveva venir compiuto in piena luce, mai in segreto, e che doveva essere messo a conoscenza pubblica. I passi più ispirati delle saghe e dei poemi epici in generale sono quelli che glorificano ciò che supponevano essere la giustizia. Gli dèi stessi aiutavano. Tuttavia il carattere predominante della giustizia dei barbari è di limitare il numero di quelli che possono essere implicati in un dissenso, e di estirpare l'idea che il sangue chieda sangue, che una ferita chiami la stessa ferita, sostituendo il sistema del compenso. I codici barbari, che erano raccolte di regole del diritto del costume riunite per uso dei giudici, permisero dapprima, indi incoraggiarono ed infine resero obbligatorio, il compenso in luogo della vendetta.25 Ma coloro che ànno presentato il compenso come un'ammenda, come una specie di licenza data al ricco di fare quello che voleva, si sono completamente ingannati. Il compenso (Wergeld) del tutto differente dall'ammenda o dal fred26 era generalmente così elevato per ogni specie di lesioni, che certamente non incoraggiava all'offesa. In caso d'omicidio esso eccedeva generalmente ciò che potevano essere le sostanze dell'assassino. «Dieci volte diciotto vacche» è il compenso presso gli Osseti, i quali non sanno contare al di là di diciotto; invece presso le tribù africane esso arriva a 800 vacche od a 100 cammelli con i loro piccini, od a 416 montoni nelle tribù più povere.27 Nella grande maggioranza dei casi l'omicida non poteva pagare il compenso, cosicchè non aveva altra uscita, che quella di decidere, col suo pentimento, la famiglia lesa ad adottarlo. Ancor oggi, presso certe tribù del Caucaso, quando un'inimicizia tra due famiglie, implicante vendetta, à termine, l'aggressore tocca con le sue labbra il seno della più vecchia donna della tribù e diventa un «fratello di latte» per tutti gli uomini della famiglia lesa.28 Presso parecchie tribù africane egli deve dare sua figlia o sua sorella in matrimonio ad uno dei membri della famiglia offesa; presso altre tribù deve sposare la donna che à reso vedova; e in tutti i casi diventa un membro della famiglia, e viene consultato negli affari importanti.29

Lungi dal fare poco conto della vita umana, i barbari non conoscevano niente, proprio niente, degli orribili castighi introdotti in epoca posteriore dalle leggi laiche o canoniche sotto l'influenza romana, o bizantina. Poichè, se il codice sassone ammetteva assai facilmente la pena di morte, anche in caso d'incendio o di saccheggio armato, gli altri codici barbari la pronunciavano esclusivamente in caso di tradimento verso il proprio comune o la propria tribù, e di sacrilegio contro gli dèi del comune; era il solo mezzo per placarli.

Tutto ciò, come si vede, è ben lontano dalla morale «dissoluta» che si attribuiva ai barbari. Al contrario, non possiamo che ammirare i profondi principî morali elaborati dagli antichi comuni rurali, quali sono stati espressi nelle triadi galliche, nelle leggende del re Arturo, nei commentari di Brehon,30 nelle vecchie leggende tedesche ecc., o ancora più manifesti nei proverbi dei barbari moderni.

Nella sua introduzione al The story of Burnt Njal, Giorgio Dasent riassume così, con molta esattezza, le qualità di un Normanno quali si mostrano nelle saghe: «Fare apertamente ciò che si deve compiere, come un uomo che non teme nè nemici, nè demoni, nè destino;... essere libero ed ardito in tutte le proprie azioni; essere dolce e generoso verso gli amici e tutti quelli del proprio clan; essere severo minaccioso verso i propri nemici (quelli che sono sotto la legge del taglione) ma anche verso di essi compiere tutti i doveri obbligatori... Non rompere un armistizio, non maledire, non calunniare. Non dir nulla contro un uomo, che non si oserebbe ripetergli in faccia. Non respingere mai un uomo che cerca un rifugio o il cibo, fosse egli un nemico».31

Gli stessi principî, ed anche migliori, si rivelano nella poesia epica e nelle triadi galliche. Agire «secondo uno spirito di dolcezza e principî di equità», sia verso nemici o amici, e «riparare i torti», sono i più alti doveri dell'uomo: «il male è la morte, il bene è la vita», grida il poeta legislatore.32 «Il mondo sarebbe follìa se le convenzioni fatte dalle labbra non dovessero essere rispettate» – dice la legge di Brehon. E l'umile shamaniste Mordoviano, dopo aver lodate le stesse qualità, aggiungerà ancora, nei suoi principî di diritto del costume, che «tra vicini la vacca e la scodella del latte sono in comune»; che «la vacca deve essere munta per voi, e per colui che può aver bisogno di latte; che «il corpo di un fanciullo arrossa sotto i colpi, ma che il volto di chi colpisce arrossisce di vergogna»33 e così di seguito. Molte pagine potrebbero essere riempite di principî simili, espressi e seguiti dai «barbari».

Ancora un carattere degli antichi comuni rurali merita speciale nota. È la estensione graduale dei legami di solidarietà in associazioni sempre più numerose. Non soltanto le tribù si federavano in colonie, ma anche le colonie, benchè di differente origine, si riunivano in confederazioni. Certe unioni erano così strette che, presso i Vandali, per esempio, una parte della loro confederazione essendosi separata per andare verso il Reno, e di là in Spagna e in Africa, quelli che erano rimasti rispettarono, durante quarant'anni consecutivi, le divisioni della terra e i villaggi abbandonati dai loro antichi confederati, e non ne presero possesso, fino a che non furono assicurati, da degli inviati, che i loro confederati non avevano più l'intenzione di tornare. Presso altri barbari, il suolo veniva coltivato da una parte del gruppo, mentre l'altra parte combatteva alle frontiere, o al di là, del territorio comune. Quanto alle leghe tra parecchie nazioni, esse erano molto frequenti. I Sicambri s'erano uniti con i Charuschi e gli Svevi, i Quadi con i Sarmati; i Sarmati con gli Alani, i Carpi con gli Unni. Più tardi vediamo anche il concetto di nazione svilupparsi gradatamente in Europa, molto tempo prima che qualche organizzazione somigliante ad uno Stato si fosse costituita in qualche parte del continente occupato dai barbari. Queste nazioni – poichè è impossibile ricusare il nome di nazione alla Francia merovingia od alla Russia dell'XI e del XII secolo – erano mantenute unite dal comune linguaggio e dal tacito accordo tra le piccole repubbliche per eleggere i loro duci in una famiglia speciale.

Certo le guerre erano inevitabili: migrazione significa guerra; ma Enrico Maine à già pienamente dimostrato, nel suo pregevole studio sulle origini della legge internazionale nelle relazioni tra le tribù, che «l'uomo non è mai stato abbastanza feroce od abbastanza stupido per sottomettersi ad un male quale la guerra senza fare un certo sforzo per impedirla», ed egli à dimostrato come sia considerevole il numero delle antiche istituzioni che ebbero per iscopo d'impedire o di attenuare la guerra.34 In realtà l'uomo è ben lontano dall'essere la creatura bellicosa come si pretende, a tal punto che quando i barbari si furono stabiliti perdettero rapidamente le loro guerresche abitudini e furono costretti a conservare dei «duchi» speciali seguiti dalle «scholae» o bande di guerrieri incaricati di proteggerli contro le intrusioni possibili. Essi preferirono i lavori tranquilli alla guerra; così il carattere pacifico dell'uomo fu la causa dello specializzarsi del mestiere di guerriero, specializzazione che condusse più tardi alla servitù e a tutte le guerre del «Periodo degli Stati» della storia del genere umano.

Lo storico trova quindi difficoltà nel mettere in luce le istituzioni dei barbari. Ad ogni passo s'incontrano delle piccole indicazioni che non si saprebbero spiegare con soli documenti storici. Ma si proietta piena luce sul passato, quando si risale alle istituzioni delle numerosissime tribù che vivono ancora con una organizzazione sociale quasi identica a quella dei nostri antichi barbari. Qui, non abbiamo l'impaccio della scelta, poichè le isole del Pacifico, le steppe dell'Asia, e gli altopiani dell'Africa sono veri musei storici, contenenti esemplari di tutti gli stati intermedi possibili che à attraversato l'uman genere per passare dalle gentes selvagge alla organizzazione statale. Esaminiamo qualcuno di questi esemplari.

Se prendiamo il comune rurale dei Buriati (Mongoli), particolarmente della steppa Koudinsk sul Lena superiore, che sono maggiormente sfuggiti all'influenza russa, troviamo in essi dei fedeli rappresentanti dello stato barbaro che segna la transizione tra l'allevamento del bestiame e l'agricoltura.35 Questi Buriati vivono ancora in «famiglie indivise» cioè, quantunque ogni figlio quando si ammoglia si stabilisca in una capanna separata, tuttavia le capanne di tre generazioni almeno restano nello stesso recinto, ed i membri della famiglia indivisa lavorano in comune i loro campi e possiedono in comune i focolari, il bestiame, ed anche i loro «parchi dei vitelli» (piccoli tratti di terreno circondati da palizzata, nel quale si fa crescere l'erba tenera per l'allevamento dei vitelli). In generale, i pasti sono presi separatamente in ciascuna capanna; ma quando si mette della carne ad arrostire, tutti i membri della famiglia indivisa, da venti a sessanta, prendono parte, in compagnia, al festino. Parecchie famiglie indivise stabilite in uno stesso luogo, come le famiglie più piccole che abitano lo stesso villaggio (avanzi in maggior parte di antiche famiglie indivise) formano l'oulous, od il comune rurale; parecchi oulous formano una tribù, e le quarantasei tribù, o clans, della steppa Koudinsk sono unite in una confederazione. Delle federazioni più strette sono composte da una parte delle tribù per scopi speciali in caso di necessità. La proprietà fondiaria privata è sconosciuta, essendo la terra posseduta in comune da tutti i membri degli oulous o dalla confederazione; se diventa necessario, la terra viene distribuita tra i differenti oulous dalla assemblea popolare della tribù, e tra le quarantasei tribù dall'assemblea della confederazione. Notevole è che la stessa organizzazione prevale presso i 250.000 Buriati della Siberia orientale, benchè vivano da tre secoli sotto l'autorità russa, e siano al corrente delle istituzioni russe.

In onta a tutto ciò, delle ineguaglianze di beni si sviluppano rapidamente tra i Buriati, particolarmente da che il governo russo dà una esagerata importanza ai loro taïchas (principi eletti), considerati come i ricevitori responsabili delle imposte ed i rappresentanti delle confederazioni nelle loro relazioni amministrative ed anche commerciali con i Russi. Ciò procura ad alcuni numerose occasioni di arricchirsi, mentre l'impoverimento del gran numero coincide con l'appropriazione delle terre buriate da parte dei Russi. Ma è abitudine presso i Buriati, particolarmente quelli Koudinsk – ed una abitudine è più che una legge – che se una famiglia à perduto il bestiame, le più ricche famiglie le donino alcune vacche ed alcuni cavalli, affinchè possa risollevarsi. Quanto all'indigente, che non à famiglia, prende i suoi pasti nelle capanne dei suoi congeneri; entra in una capanna, s'asside presso il fuoco, – per diritto, non per carità –, prende parte al pasto che è sempre diviso in parti eguali e dorme dove à consumato il pasto della sera. In generale gli usi comunisti dei Buriati colpirono talmente i conquistatori Russi della Siberia, che dettero loro il nome di «Bratskiye» – «I fraterni» – e scrissero a Mosca: «Presso di loro tutto è in comune; tutto ciò che ànno lo dividono tra di loro». Ancor ora, presso i Buriati del Lena quando si tratta di vendere del grano, o di inviare alcune bestie per essere vendute ad un macellaio russo, le famiglie dell'oulous, o della tribù, riuniscono il loro grano e le loro bestie e li vendono come un sol tutto. Ogni oulous à, di più, del grano messo in serbo perchè sia pronto in caso di bisogno; à il suo forno comunale (il forno solito degli antichi comuni francesi) e il suo fabbro ferraio, il quale, come il fabbro dei comuni dell'India,36 essendo un membro del comune non è mai pagato per l'opera che fa per i suoi compagni del comune. Deve lavorare gratuitamente e se utilizza il suo tempo libero nel fabbricare piccole placche di ferro cesellato ed argentato delle quali i Buriati ornano i loro vestiti, può all'occasione venderne ad una donna di un altro clan, ma alle donne del suo proprio clan questi ornamenti devono essere dati in dono. Le vendite e le compere non devono avvenire nel comune, e la regola è così severa che allorchè una famiglia ricca prende un lavoratore, questo lavoratore deve essere preso in un altro clan o tra i Russi. Quest'abitudine non è evidentemente particolare ai Buriati, ed essa è così diffusa tra i barbari moderni, Ariani o Uralo-Altaici, che doveva essere stata universale presso i nostri antenati.

Il sentimento dell'unione all'interno della confederazione è mantenuto dagli interessi comuni della tribù, dalle assemblee comunali, e dalle feste che avvengono contemporaneamente alle assemblee. Questo sentimento è mantenuto puro da un'altra istituzione, l'aba, o caccia in comune, che è reminiscenza d'un passato antichissimo. Ogni autunno, le quarantasei tribù dei Koudinsk si riuniscono per questa caccia, il cui prodotto è diviso tra tutte le famiglie. Di più, delle abas nazionali sono convocate di tanto in tanto per affermare l'unità di tutta la nazione buriate. In questo caso, tutte le tribù buriate, che sono ripartite su centinaia di chilometri all'ovest ed all'est del lago Baikal, sono tenute ad inviare i loro cacciatori delegati. Migliaia di uomini si riuniscono, portando ciascuno delle provviste per un intero mese. La parte di ciascuno deve essere uguale, prima di essere mischiate le une con le altre, tutte le parti sono pesate da un antico eletto (sempre «con la mano»; le bilance sarebbero una profanazione dell'antico costume). Dopo ciò, i cacciatori si dividono in bande di venti, e ciascuna banda se ne va a cacciare seguendo un piano prestabilito. In queste abas tutta la nazione buriate rivive le tradizioni epiche d'un'epoca nella quale una potente lega riuniva tutti i suoi membri. Aggiungiamo che simili cacce comunali sono del tutto abituali presso i Pellirosse ed i Cinesi sulle rive dell'Ossuri (kada).37

I Cabili, i costumi dei quali sono stati così ben descritti da due esploratori francesi,38 ci mostrano dei «barbari» già più progrediti quanto all'agricoltura. I loro campi irrigati e concimati, sono coltivati con cura, e nei terreni montagnosi ogni pezzo di terra coltivabile è trattato con la vanga. I Cabili ànno conosciuto molte vicissitudini nella loro storia; ànno adottato per un certo tempo la legge musulmana per le eredità, ma si avvezzavano male e sono ritornati, cinquant'anni or sono, all'antica legge del costume delle tribù. Così il possesso dei terreni à presso di loro un carattere misto, e la proprietà privata fondiaria esiste a fianco del possesso comunale. Attualmente la base della loro organizzazione è il comune rurale, il thaddart, che è formato generalmente da parecchie famiglie composte (kbaroubas), rivendicanti una comune origine, ed anche da piccole famiglie straniere. Parecchi villaggi si raggruppano in clans o tribù (ârch); parecchie tribù formano la confederazione (thak'ebilt); e parecchie confederazioni possono talvolta costituire una lega, sopra tutto quando si tratta d'armarsi per la difesa.

I Cabili non riconoscono altra autorità che quella della djemmâa o assemblea dei comuni rurali. Tutti gli uomini d'età vi prendono parte, all'aria aperta, o in un edificio speciale fornito di sedili di pietra, e le decisioni della djemmàa sono prese all'unanimità: vale a dire che le discussioni continuano fino a che tutti quelli che sono presenti accettano di sottomettersi a qualche decisione. Poichè non vi sono affatto «autorità» in un villaggio rurale, per imporre una decisione, questo sistema è stato usato dal genere umano dappertutto dove si sono avuti dei comuni rurali, ed è ancora in vigore là ove i comuni rurali continuano ad esistere, cioè tra parecchie centinaia di milioni d'uomini. La djemmâa nomina il potere esecutivo – l'anziano, lo scriba e il tesoriere; essa fissa le imposte e dirige la ripartizione delle terre comuni, come pure ogni specie di lavori di utilità pubblica. Molti lavori sono eseguiti in comune; le strade, le moschee, le fontane, i canali d'irrigazione, le torri alte per proteggersi dai saccheggi, i recinti, ecc. sono fatti dal comune; invece le grandi strade, le grandi moschee e le grandi piazze del mercato sono opera della tribù. Molte vestigia di coltivazione in comune continuano ad esistere e le case sono ancora costruite dappertutto con l'aiuto di tutti gli uomini e di tutte le donne del comune. Gli «aiutanti» sono d'uso molto frequente, vengono chiamati per la coltivazione dei campi, per le messi, ecc. In quanto al lavoro professionale, ciascun comune à il suo fabbro, che gode della sua parte di terra del comune e lavora per il comune; quando la stagione dei lavori s'avvicina, quest'operaio visita ogni casa e ripara gli strumenti e gli aratri senza richiedere nessun compenso. La costruzione di nuovi aratri viene considerata come opera sacra che non si può in nessun modo retribuire con denaro, nè con nessuna altra forma di salario.

Poichè i Cabili conoscono di già la proprietà privata, vi sono i poveri ed i ricchi tra di loro. Ma come tutte le persone che vivono molto vicino le une alle altre e sanno come la povertà comincia, la considerano una disavventura che può colpire chiunque. «Non dire che non porterai mai il sacco del mendicante e che non andrai mai in prigione» dice un proverbio dei contadini russi. I Cabili lo mettono in pratica, e non si può scoprire nessuna differenza di contegno tra ricchi e poveri; quando il povero chiama un «aiutante», il ricco va a lavorarne il campo, precisamente come il povero, a sua volta fa.39 Per giunta, le djemmâas riserbano certi campi e giardini, qualche volta coltivati in comune, per i membri più poveri. Molti costumi simili continuano ad esistere. Poichè le famiglie povere non possono comprare la carne, essa viene comprata regolarmente con il denaro delle multe, o con i doni fatti alla djemmâa od anche col prodotto dei pagamenti fatti per l'uso dei tini comunali per fare l'olio d'oliva; questa carne viene distribuita in parti uguali a quelli che non ànno i mezzi di comprarne. Quando un montone od un bue giovane è ucciso da una famiglia per suo proprio uso e non è giorno di mercato, il fatto è annunciato per le strade dallo strillone del villaggio affinchè i malati e le donne incinte possano andare a prenderne quanta ne desiderano. Il mutuo appoggio si manifesta in tutta la vita dei Cabili; se uno di essi durante un viaggio all'estero, incontra un altro Cabilo in bisogno deve venirgli in aiuto, dovesse arrischiare la propria fortuna o la propria vita; venendo egli meno a ciò, la djemmâa di colui che non è stato soccorso può portare querela a quella dell'uomo egoista, ed essa riparerà immediatamente al danno.40

In ciò ritroviamo un costume familiare a quelli che ànno studiato le corporazioni dei mercanti nel Medio Evo. Ogni straniero che entra in un villaggio cabilo à diritto al riparo nell'inverno, e i suoi cavalli possono pascolare sulle terre comunali durante ventiquattro ore. Ma in caso di necessità può contare sopra un'assistenza quasi illimitata. Così durante la carestia del 1867-68, i Cabili accolsero e nutrirono tutti quelli che cercavano rifugio nei loro villaggi, senza distinzione d'origine. Nel distretto di Dellys, non vi sono state meno di 12.000 persone, provenienti da tutte le parti dell'Algeria, ed anche dal Marocco, nutrite così. Mentre si moriva di fame nell'Algeria, non vi fu un solo caso di morte dovuto a questa causa nel territorio dei Cabili. Le djemmâas, privandosi esse stesse del necessario, organizzarono dei soccorsi, senza mai chiedere nessun aiuto al governo, senza far intendere la più lieve lagnanza; esse consideravano ciò come un dovere naturale. Mentre tra i coloni europei ogni specie di misure di polizia erano prese per impedire i furti ed il disordine risultanti dall'affluenza degli stranieri, niente di simile fu necessario sul territorio dei Cabili: le djemmâas non avevano affatto bisogno nè di aiuto nè di protezione dal di fuori.41

Non posso che citare rapidamente due altri caratteri dei più interessanti della vita dei Cabili; l'anaya o protezione assicurata dei pozzi, dei canali, delle moschee, delle piazze del mercato, di certe strade, ecc., in caso di guerra, ed i çofs. – Nell'anaya abbiamo una serie di istituzioni tendenti a diminuire i mali della guerra ed a prevenire i conflitti. Così la piazza del mercato è anaya, sopra tutto se è situata su una frontiera e mette in comunicazione dei Cabili con degli stranieri; nessuno osa turbare la quiete del mercato, e se scoppia un tumulto è immediatamente sedato dagli stranieri che sono riuniti nella città del mercato. La strada che le donne percorrono per recarsi dal villaggio alla fonte è pure anaya in tempo di guerra, e così via. Quanto al çof è una forma molto diffusa di associazione, avente certi caratteri comuni con i Bürgschaften o Gegilden del Medioevo.

Esse sono società per la mutua protezione e per qualunque specie di svariati bisogni – intellettuali, politici e morali – i quali non possono essere sodisfatti dall'organizzazione territoriale del comune, del clan e della confederazione. Il çof non conosce limiti di territorio; recluta i suoi membri nei differenti villaggi, anche tra gli stranieri; e li protegge in tutte le eventualità possibili della vita. È uno sforzo per aggiungere al raggruppamento territoriale un raggruppamento estraterritoriale con l'intenzione di rispondere alle affinità reciproche di ogni specie che si producono, senza riguardo ai confini. La libera associazione internazionale, che consideriamo come uno dei grandi progressi del tempo nostro, à la sua origine nella antichità barbara.

I montanari del Caucaso ci offrono un grande numero di esempi dello stesso genere, estremamente istruttivi. Nello studiare i costumi presenti degli Osseti – le loro famiglie composte, la loro comunità ed i loro concetti della giustizia – Massimo Kovalevsky, in un'opera notevole: «Il costume moderno e la legge antica», à metodicamente rintracciate le disposizioni analoghe dei vecchi codici barbari ed à colto sul vivo le origini del feudalismo. Presso altri gruppi del Caucaso, intravvediamo talvolta come il comune rurale sia nato allorchè esso non discendeva dalla medesima tribù, ma si costituì per la volontaria unione di famiglie d'origine distinta. Ciò fu recentemente il caso di alcuni villaggi khevsuri i cui abitanti prestarono giuramento di «comunità e fraternità».42 In un'altra regione del Caucaso, il Daghestan, vediamo stabilirsi relazioni feudali tra due tribù tutte e due conservanti nello stesso tempo i loro comuni (ed anche delle tracce delle antiche «classi» della organizzazione per gens); è un esempio vivente di ciò che è accaduto al tempo della conquista dell'Italia e della Gallia da parte dei barbari. I Lezghini, i quali avevano conquistato parecchi villaggi georgiani e tartari nel distretto di Zakataly, non li ripartirono tra le famiglie dei conquistatori; costituirono un clan feudale che comprende oggi 12.000 focolari in tre villaggi e che possiede non meno di venti villaggi georgiani e tartari in comune.

I conquistatori divisero le proprie terre tra le loro tribù, e queste le divisero in parti uguali tra le proprie famiglie; ma non si immischiarono affatto nei djemmâa dei loro tributari i quali praticano ancora l'uso seguente, segnalato da Giulio Cesare: la djemmâa decide ogni anno quale parte di territorio comune deve essere coltivato, questo spazio è diviso in tante parti quante sono le famiglie, e le parti sono estratte a sorte.43 È degno di nota, che, mentre s'incontra un certo numero di proletari tra i Lezghini (i quali vivono sotto un regime di proprietà privata per le terre e di proprietà comune per i servi),44 essi sono rari tra i loro servi georgiani che continuano a possedere le loro terre in comune.

Il diritto abituale dei montanari del Caucaso è pressochè quello dei Longobardi, o dei Franchi Salici, e parecchie delle sue disposizioni servono a comprendere la procedura giudiziaria degli antichi barbari. Poichè ànno un carattere molto impressionabile, fanno tutto quanto possono per evitare che le liti abbiano una soluzione funesta. Così, presso i Khivsuri le spade sono subito snudate quando sorge una lite; ma se una donna si slancia e getta tra i combattenti il fazzoletto che porta sulla testa, le spade rientrano subito nel fodero e la lite cessa. L'acconciatura del capo della donna è anaya. Se una lite non viene troncata a tempo ed è terminata con un omicidio, la somma da sborsare in compenso è così considerevole, che l'aggressore è interamente rovinato per tutta la vita, a meno che non venga adottato dalla famiglia danneggiata; se à ricorso alla spada in una lite di nessuna importanza ed à inflitto ferite, perde per sempre la considerazione della sua tribù. In tutte le dispute vi sono intermediari che s'incaricano d'accomodare l'affare: essi scelgono i giudici tra i membri del clan: sei per le questioni piccole, e dieci o quindici per quelle più gravi. Gli osservatori russi attestano l'assoluta incorruttibilità dei giudici. Il giuramento à tale valore che tutti gli uomini che godono la stima generale sono dispensati dal prestarlo; basta una semplice affermazione, tanto più che nelle questioni gravi, il Khivsuro non esita mai a riconoscere la sua colpevolezza (io parlo, ben inteso, del Khivsuro che non è ancora stato toccato dalla civiltà). Il giuramento è riservato per certi casi quali le controversie relative alla proprietà, in cui si tratta di fare un certo apprezzamento, in più della semplice constatazione dei fatti; in queste occasioni gli uomini dei quali l'affermazione deve decidere della disputa, agiscono con la massima circospezione. Per regola generale, non è certamente la mancanza d'onestà o di rispetto dei diritti dei loro congeneri che caratterizza le società barbare del Caucaso.

Le popolazioni dell'Africa offrono una così grande varietà di società estremamente interessanti, comprendenti tutti i gradi intermedi dal comune rurale primitivo fino alle monarchie barbare e dispotiche, che mi è necessario abbandonare l'idea di dare qui i risultati, sia pure succinti, di uno studio comparato delle loro istituzioni.45 Basti il dire che, anche sotto il più orribile dispotismo dei loro piccoli re, le assemblee dei comuni, attenendosi al diritto del costume, restano sovrane per una parte degli affari importanti. La legge dello Stato permette al re di mandar a morte non importa chi, per un semplice capriccio, od anche semplicemente per sodisfare la sua ghiottoneria; ma il diritto del costume del popolo continua a mantenere la rete di istituzioni di mutuo appoggio che si ritrovano presso altri barbari o che sono esistite presso i nostri antenati. Presso alcune tribù più favorite (nel Bornu, Uganda, Abissinia e sopra tutto presso i Bogos) certe disposizioni del diritto del costume denotano dei sentimenti veramente improntati di gentilezza e di grazia.

I comuni rurali degli indigeni delle due Americhe ànno lo stesso carattere. Si è trovato che i Tupi del Brasile vivono nelle «lunghe case» occupate da clans interi coltivanti in comune i loro campi di frumento e di manioca. Gli Arani, di una civiltà molto più progredita, avevano pure l'abitudine di coltivare i loro campi in comune; ed è lo stesso per gli Oucaga, i quali, sotto un regime di comunismo primitivo e di «lunghe case», avevano imparato a costruire buone strade ed a coltivare varie industrie domestiche,46 sviluppate quanto quelle del principio del Medioevo in Europa.

Tutte queste popolazioni vivevano sotto il regime del diritto del costume simile a quello degli esempi dati nelle precedenti pagine. Ad un'altra estremità della terra troviamo il feudalismo malese, ma questa feudalità è impotente a sradicare i negarias, o comuni rurali dei quali ciascuno possiede in società una parte del terreno, e che, quando si presenta la necessità, fanno distribuzioni di terre fra i differenti negarias della tribù.47 Presso gli Alfuri di Minahasa troviamo l'avvicendamento comunale dei raccolti; presso le tribù indiane dei Wyandot abbiamo le ridistribuzioni periodiche delle terre nella tribù, e la coltivazione da parte dei clans; in tutte le parti di Sumatra dove le istituzioni musulmane non ànno totalmente distrutta l'antica organizzazione, troviamo la famiglia composta (souka) ed il comune rurale (kota) che conserva il suo diritto sulle terre, anche se una parte di questa terra è stata dissodata senza la sua autorizzazione.48 Vale a dire che in ciò ritroviamo tutti i costumi per proteggersi reciprocamente e per prevenire i litigi e le guerre, costumi, che sono stati brevemente indicati nelle precedenti pagine come caratteristici del comune rurale.

Si può dire anche che quanto più il costume del possesso in comune della terra è stato mantenuto nella sua integrità, più miti e migliori sono le abitudini. De Stuers afferma in modo positivo che presso le tribù nelle quali la istituzione del comune rurale è stata meno snaturata dai conquistatori, vi è minore disuguaglianza di condizione e minore crudeltà, anche nelle prescrizioni della legge del taglione. Al contrario, ovunque il comune rurale è stato dissolto, «gli abitanti ànno sofferto la più terribile oppressione dai loro padroni dispotici».49 Ciò è affatto naturale. Quando il Waitz rileva che le tribù che ànno conservato le loro confederazioni tribali posseggono uno sviluppo più elevato ed una letteratura più ricca delle tribù che ànno perduto i loro vincoli di unione, non fa che constatare quanto poteva essere preveduto.

Nuovi esempi ci indurrebbero a noiose ripetizioni, tanto è visibile la somiglianza tra le società barbare sotto tutti i climi e presso tutte le razze. Lo stesso processo evolutivo si è compiuto da tutto il genere umano con una meravigliosa analogia. Allorchè l'organizzazione in clans fu attaccata dall'interno dalla famiglia separata e dall'esterno dallo smembramento delle tribù emigranti e la necessità di ammettere degli stranieri di diversa discendenza, allora il comune rurale, basato su un concetto territoriale, fece la sua apparizione. Questa nuova apparizione che è derivata naturalmente dalla precedente – il clan – permise ai barbari di attraversare un periodo molto agitato della loro storia senza venir dispersi in famiglie isolate che avrebbero soggiaciuto nella lotta per la vita. Nuove forme di coltivazione si svilupparono sotto la nuova organizzazione; l'agricoltura raggiunse uno sviluppo raramente superato fino ad oggi; le industrie domestiche furono portate ad un alto grado di perfezione. I deserti furono conquistati, furono attraversati da strade e popolati da gruppi di gente usciti come degli sciami dalle comunità d'origine. Furono stabiliti dei mercati e furono costruite delle fortificazioni, come pure dei santuari per il culto comune. Il concetto di una più larga unione estesa ad intere popolazioni ed a parecchie popolazioni di diverse origini fu lentamente elaborato. L'antica concezione della giustizia, che non conteneva che un'idea di vendetta, subì una lenta e profonda modificazione: la riparazione del danno cagionato si sostituì alla vendetta. La legge del costume, che è ancora la legge della vita quotidiana per i due terzi e più del genere umano, fu elaborata sotto questa organizzazione, come pure un sistema di abitudini tendenti ad impedire l'oppressione delle masse da parte della minoranza, la potenza della quale ingrandiva in proporzione delle facilità offerte all'accumulazione delle ricchezze particolari. Tale fu la nuova forma che presero le tendenze delle masse verso il mutuo appoggio. E il progresso – economico, intellettuale e morale – che l'uman genere compì sotto questa nuova forma popolare di organizzazione fu così grande, che gli Stati, costituitisi più tardi, presero semplicemente possesso, nell'interesse della minoranza, di tutte le funzioni giudiziarie, economiche, amministrative esercitate precedentemente, nell'interesse di tutti, dal comune rurale.

1 S'incontrano nell'Asia centrale, occidentale e settentrionale innumerevoli tracce di laghi del periodo pliocenico ora scomparsi. Conchiglie, delle stesse specie di quelle che vivono oggidì nel mare Caspio, sono sparse sopra la superfice del suolo all'est di questo mare, fino a mezza strada del lago d'Aral; se ne trovano nei depositi recenti verso il nord, fino a Kazan, e tracce di golfi dipendenti dal mar Caspio, che si supponeva altre volte fossero antichi letti dell'Amur, solcano il territorio turcomanno. Dobbiamo naturalmente tener conto delle oscillazioni che non sarebbero che temporanee e periodiche. La siccità progressiva è evidente e procede con una inattesa rapidità. Anche le parti relativamente umide del sud-ovest della Siberia, la serie di monografie degne di fiducia pubblicate da Yadrintseff, mostrano che i villaggi sono stati costruiti su ciò che era, ottant'anni fa, il fondo dei laghi del gruppo Tchanì; mentre che gli altri laghi dello stesso gruppo che coprirono centinaia di chilometri quadrati circa cinquanta anni fa, sono ora semplici stagni. Insomma, il disseccamento del nord-ovest dell'Asia segue una marcia di cui noi possiamo contare le tappe per dei secoli, in luogo di servirci delle unità di tempo geologiche delle quali abbiamo l'abitudine di parlare.

2 Delle civiltà intere sono scomparse così, come è provato dalle notevoli scoperte fatte in Mongolia sull'Orkhon, nelle depressioni di Louktchoun, nei deserti di Taklamaklan, attorno al Lobnor, ecc. (Opere di Yadrintseff, Dmitri Clements, Sven Hedin, Kozloff, ecc.).

3 Se mi conformo in ciò alle opinioni di Nasse, Kovalevsky e Vinogradov (per non nominare che gli specialisti moderni) e non a quelle di M. Seebohm (il signor Denman Ross non può essere citato che a memoria) non è unicamente a causa della scienza profonda e della concordanza di vedute di questi tre scrittori, ma anche a causa della loro perfetta conoscenza del comune rurale sotto tutte le forme in Inghilterra come altrove – conoscenza il cui difetto si fa molto sentire nell'opera, nondimeno pregevole, di M. Seebhom. La stessa osservazione è maggiormente applicabile agli eleganti scritti di Fustel de Coulange, le cui opinioni e le appassionate interpretazioni degli antichi testi gli sono particolari.

4 Russel Garnier (Annals of British Peasantry, pag. 159) dice degli scozzesi del sec. XVIII: «il furto era la regola degli Highlanders non solo nella pianura vicina, ma anche tra i membri dello stesso clan. Essi esercitavano l'esorbitante potere ex lege coi propri compagni... erano astuti, pigri, vendicativi, rissosi». (N. del T.).

5 Il valore che il K. dava al comune rurale francese è manifesto in molti passi della sua ottima storia della rivoluzione francese: La Grande Rivoluzione, Ed. Risveglio, Ginevra, 1911. (N. del T.).

6 Su queste ed analoghe istituzioni comunali vedi: N. Colajanni, Di alcuni studî recenti sulla proprietà collettiva, Bologna, 1886; De Laveleye, De la propriété, et des ses formes primitives, III ed., 1882; Leroy-Beaulieu, art. nella Revue des Deux Mondes, 15 novembre 1876 (N. del T.).

7 I lavori concernenti i comuni rurali sono tanto numerosi che non si può che citarne qualcuno. Le opere di sir Enrico Maine, del Seebohm e del Walter (Das alte Wallis, Bonn, 1859) sono delle sorgenti di informazioni popolari e ben conosciute nella Scozia, nell'Irlanda e nel paese di Galles. Per la Francia, P. Viollet, Sommario della storia del diritto francese: Diritto privato, 1886, e parecchie delle sue monografie nella biblioteca della Scuola dei Codici; Babeau, Il villaggio sotto l'antico regime (il mir nel XVIII secolo), 3a edizione, 1881; Bonnemère, Doniol, ecc. Per l'Italia e la Scandinavia le principali opere sono citate nel libro di Laveleye, Propriété Primitive, traduzione tedesca di K. Bücher. Per i Finni, Rein, Föreläsningar, I, 16; Koskinen, Finnische Geschichte, 1874 e varie monografie. Per i popoli della Livonia e Curlandia il professore Loutchitzky in Severnyj Vestnik, 1891. Per i Teutoni oltre le opere ben conosciute di Maurer, Sohm (Altdeutsche Reich und Gerichts Verfassung) così pure Dahn, (Urzeit, Völkerwanderung, Langobardische Studien), Janssen, Wilhelm Arnold, etc. Per l'India oltre H. Maine e le opere che cita, sir John Phear, Aryan village. Per la Russia e gli Slavi del sud, vedasi Kavelin, Posnikoff, Soholowsky, Kovalevsky, Efimenko, Ivanicheff, Klaus, ecc. (un copioso indice bibliografico, fino al 1880, nello Sbornik svédenïï ob obschinye della Soc. Geog. Russa). Per conclusioni generali oltre Propriété Primitive di Laveleye, vedansi Morgan, Ancien Society; Lippert, Kulturgeschichte; Post, Dargun, ecc. Vedere anche le conferenze di M. Kovalevsky, Quadro delle origini e dell'evoluzione della famiglia e della proprietà, Stoccolma, 1890). Molte monografie speciali dovrebbero essere indicate; si possono trovare i loro titoli nelle eccellenti liste date da P. Viollet nel Droit privé et Droit public. Per gli altri popoli vedere le note più avanti.

8 Parecchie autorità sono disposte a considerare la famiglia come uno stato intermedio fra il clan e il comune rurale e non v'è dubbio che in molti casi i comuni rurali sono derivati da famiglie indivise. Tuttavia considero la famiglia composta come un fatto d'ordine differente. La troviamo all'interno delle gentes; e d'altra parte non possiamo affermare che la famiglia composta sia esistita in qualche periodo della storia senza appartenere, sia a una gens, sia ad un comune rurale, sia ad un Gau. Concepisco i primi villaggi rurali come nati lentamente ma in modo diretto dalle gentes, e componentisi, secondo le razze, secondo le condizioni locali, sia di parecchie famiglie composte, sia di famiglie semplici e di famiglie composte, sia, infine (particolarmente nel caso di nuovi collocamenti) di famiglie semplici solamente. Se questo modo di vedere è giusto, non si avrà il diritto di stabilire la serie: gens, famiglia composta, villaggio rurale, non avendo il secondo termine della serie lo stesso valore etnologico degli altri due. Vedere Appendice IX.

9 Stobbe, Beiträge zur Geschichte des deutschen Rechtes, pag. 62.

10 Nel primo periodo barbaro non s'incontra traccia di proprietà fondiaria individuale che presso i popoli (quali i Batavi ed i Franchi nella Gallia) stati per un certo tempo sotto l'influsso di Roma imperiale. Vedere Inama-Sterneg, Die Ausbildung der grossen Grundherrschaften in Deutschland, v, 1878. Vedere pure Besseler, Neubruch nach dem älteren deutschen Recht, pag. 11-12, citato da Kovalevsky, Costume moderno e legge antica (in russo), Mosca, 1886, I. 134.

11 Mir = universo, mondo.

12 Maurer, Markgenossenschaft; Lamprecht, Wirtschaft und Recht der Franken zur Zeit der Volksrechte nel Historischer Taschenbuch, 1883; Seebohm, The english Village Community, cap. VI, VII e IX.

13 Letourneau, nel Bulletin de la Société d'Anthropologie, 1888, vol. IX, p. 476.

14 Walter, Das alte Wallis, pag. 323; Dm. Bakradze e M. Khoudadoff (in russo), Atti della società geografica del Caucaso, tomo XIV, parte I.

15 Bancroft, Native Races; Waitz, Anthropologie, III, 423; Montrosier, nel Bulletin de la Société d'Anthropologie, 1870; Post, Studien, ecc.

16 Un certo numero di opere di Ory, Luro, Laudes e Sylvestre sul comune rurale nell'Annam, analizzate da M. Jobbé-Duval, nella Nouvelle Revue historique de droit français et étranger, ottobre e dicembre 1896, mostrano che il comune aveva in questo paese la stessa forma che in Germania e in Russia. Un buono studio sul comune rurale nel Perù, avanti lo stabilirsi del potere degli Incas, è stato pubblicato da Enrico Cunow, Die soziale Verfassung des Inka Reich, Stuttgart, 1896. Il possesso della terra in comune e la coltivazione in comune sono descritti in quell'opera.

17 Della falciatura del fieno fatta in comune, ne parla – per l'Inghilterra – anche William Morris in Terra promessa. È un romanzo, ma descrive un costume. (L'Ed.).

18 Kovalevsky, Il costume moderno e la legge antica, I, pag. 115.

19 Palfrey, History of New England, II, 13 cit. nel Village Communities di Maine, New York, 1876, pag. 201.

20 Kömigswarter, Études sur le développement des sociétés humaines, Paris, 1850.

21 Questa è almeno la legge dei Calmucchi, dei quali il diritto tradizionale mostra la maggiore somiglianza con le leggi dei Teutoni, degli antichi Slavoni, ecc.

22 Quest'abitudine è ancora in vigore presso molte tribù africane ed altre.

23 Village Communities, pag. 65, 68 e 199.

24 Maurer (Geschichte der Markverfassung, § 29, 97) è del tutto categorico su questo oggetto. Afferma che «tutti i membri del comune… i signori laici come il clero, spesso anche i comproprietari parziali (Markberechtigte) ed anche degli stranieri alla Mark (comune), erano sottoposti alla sua giurisdizione» (pag. 312). Questo concetto restò localmente in vigore fino al secolo XV.

25 Königswarter, op. cit., pag. 50; J. Thrupp, Historical Law Tracts, London, 1843, pag. 106.

26 Königswarter ha mostrato che il fred traeva la sua origine da un'offerta che si doveva fare per placare gli antenati. Più tardi lo si pagò al comune per violazione della pace; e, più tardi ancora, al giudice, al re, od al signore, quando si furono appropriati dei diritti del comune.

27 Post, Bausteine und afrikanische Jurisprudenz, Oldenburg, 1887, vol. I, pag. 64 e seg:; Kovalevsky, op. cit., II, 164-189.

28 O. Müller e M. Kovalesky, Nelle comunità di montanari della Kabardia nel Vestnik Europî, aprile 1884. Presso i Shakhsevens della steppa di Mougan, le liti sanguinose finiscono sempre con un matrimonio tra le due parti ostili. Markoff, nell'appendice degli Atti della Società Geografica del Caucaso, XIX, I, 21.

29 Post, in Afrikanische Jurisprudenz, cita una serie di fatti mostranti il concetto d'equità radicato presso i barbari africani. Si arriva alle stesse conclusioni dopo un serio esame del diritto comune presso i barbari.

30 Vedere il pregevole capitolo Le droit de la vieille Irlande (ed anche «Le Haut-Nord) negli Études de droit international et de droit politique, del professore E. Nys, Bruxelles, 1896.

31 Introduzione, pag. XXXV.

32 Das alte Wallis, pag. 343-350.

33 Mainoff, Saggio delle pratiche giudiziarie dei Mordovi, negli Atti etnografici della Società geografica russa. 1885, pag. 236, 257.

34 Enrico Maine, International Law, Londra, 1888, pag. 11-13; E. Nys, Les origines du droit international, Bruxelles, 1894.

35 Uno storico russo, il professore Schiapoff di Kazan, che fu esiliato in Siberia nel 1862, à fatto una efficace descrizione delle loro istituzioni negli Atti della Società geografica della Siberia orientale, vol. V, 1874.

36 Sir Enrico Maine, Village comnnunities, New York, 1876, pag. 193-196.

37 Nazaroff, Il territorio del nord dell'Ossuri (in russo), Pietrogrado, 1887, pag. 65. [La Rivoluzione avrà rispettato questi usi? (L'Ed.)].

38 Hanoteau e Letourneux, La Kabylie, III vol., Paris, 1883.

39 Quando si chiama un «aiuto», occorre offrire un pasto agli invitati. Uno dei miei amici del Caucaso mi disse che, in Georgia, quando un povero à bisogno d'un «aiuto» prende a prestito da un ricco un montone o due per preparare il pasto, i membri del comune forniscono, oltre il loro lavoro, tante provviste quante gliene occorrono per sodisfare il suo debito. Una simile abitudine esiste presso i Mordovi.

40 In un trattato di stenografia ò letto che un uso simile valeva fra i platonici. Uno di essi, non potendo pagare l'albergo ove aveva alloggiato, prima di andarsene scrisse sull'uscio il debito lasciato. Un platonico sopraggiunto, lesse e pagò. (L'Ed.).

41 Hanoteau e Letourneux, La Kabylie, II, 58. Lo stesso rispetto verso gli stranieri è la regola presso i Mongoli. Il Mongolo che à rifiutato ospitalità ad uno straniero deve pagare interamente il «prezzo del sangue» se lo straniero à sofferto per questa causa. Bastian, Der Mensch in der Geschichte, III, 31.

42 N. Khoudanoff, Note sopra i Khevsoures, negli Atti della società geografica del Caucaso, XIV, Tiflis, I, 1890, pag. 68. Fecero pure il giuramento di non sposare le fanciulle nate in seno alla loro unione; questo mostra un ritorno curioso alle antiche regole della gens.

43 A tale proposito, si possono vedere le «Partecipanze» nell'Emilia. (L'Ed.).

44 Dm. Bakradze, Note sul distretto di Zakataly negli stessi Atti, XIV, I, pag. 264. Le «squadre di operai in comune» sono molto frequenti presso i Lezghini come pure presso gli Osseti.

45 Vedere Post, Afrikanische Jurisprudenz, Oldenburg, 1887. Münzinger, Ueber das Recht und Sitten der Bogos, Wintherthur, 1859; Casalis, Les Pasoutos, Parigi, 1859; Maclean, Kafir Laws and Customs, Mount Coke, 1858, ecc.

46 Waitz, III, 423 e seg.

47 Post, Studien zur Entwcklungsgeschichte des Familien-Rechts, Oldenburgo, 1889, pag. 270 e seg.

48 Powel, Annual Report of the Bureau of Ethnography, Washington, 1881, citato negli Studien di Post, pag. 290.

49 De Stuers, citato da Waitz, V, 141.