CAPITOLO II.

IL MUTUO APPOGGIO NEGLI ANIMALI
(seguito)

Migrazione di uccelli. – Associazione per l'allevamento. – Società autunnali. – Mammiferi; piccolo numero di specie non socievoli. – Associazioni per la caccia presso i lupi, i leoni, ecc. – Società di roditori, di ruminanti, di scimmie. – Aiuto reciproco nella lotta per la vita. – Argomenti di Darwin per provare la lotta per la vita in una stessa specie. – Ostacoli naturali alla soverchia popolazione. – Il supposto sterminio delle specie intermedie. – Eliminazione della concorrenza nella natura.

Quando la primavera ritorna nelle zone temperate, miriadi d'insetti dispersi nelle calde regioni del sud si riuniscono in stormi innumerevoli, e, pieni di vigore e di gioia, se ne volano verso il nord per allevare la loro prole. Ogni nostra siepe, ogni nostro boschetto, ogni scogliera dell'Oceano, tutti i laghi e tutti gli stagni di cui l'America del nord, il nord dell'Europa ed il nord dell'Asia sono disseminati, ci mostrano in questo periodo dell'anno ciò che il mutuo appoggio significa per gli uccelli; quale forza, quale energia e quale protezione esso dia ad ogni essere vivente, per quanto debole e senza difesa possa essere. Prendete, ad esempio, uno degli innumerevoli laghi delle steppe russe, o siberiane. Le rive sono popolate da miriadi d'uccelli acquatici appartenenti almeno ad una ventina di specie diverse, sovente tutte in pace perfetta, proteggentisi le une con le altre.

«A parecchie centinaia di metri dalla riva l'aria è piena di gabbiani, di rondini di mare come fiocchi di neve in un giorno d'inverno. Migliaia di pivieri e di beccacce percorrono la spiaggia, cercando il loro cibo, fischiando e godendo della vita. Più lontano quasi su ogni onda un'anitra si dondola, mentre al di sopra si possono vedere dei branchi di anitre casarka. Ovunque abbonda la vita esuberante».1

Ed ecco i briganti, i più forti, i più abili, quelli che «sono organizzati in un modo ideale per la rapina». Voi potete udire i loro gridi affamati, irritati e lugubri, mentre per ore intere essi spiano l'occasione di portar via in questa massa di esseri viventi, un solo individuo senza difesa. Ma, appena si avvicinano, la loro presenza viene segnalata da una dozzina di sentinelle volontarie, e centinaia di gabbiani e di rondini di mare si mettono a scacciare il predatore. Reso pazzo per la fame, trascura ben presto le sue consuete precauzioni; si precipita improvviso sulla massa vivente, ma assalito da ogni parte è di nuovo forzato a ritirarsi. Disperato si getta ancora sulle anitre selvatiche, ma questi uccelli intelligenti e socievoli, si uniscono rapidamente in gruppi e prendono il volo se il predatore è un'aquila, si tuffano nel lago, se è un falco; oppure sollevano una nube di spruzzi d'acqua e stordiscono l'assalitore, se è un nibbio.2 E mentre la vita continua a pullulare sul lago, il predatore fugge con grida di collera, e cerca se può trovare qualche carogna, o qualche giovane uccello, o un topo campagnuolo che non sia ancora abituato ad ubbidire a tempo agli avvisi dei suoi compagni. In presenza di questi tesori di vita esuberante il predatore idealmente armato è ridotto ad accontentarsi dei rifiuti.

Più lontano, verso il nord, negli arcipelaghi artici, «se si naviga lungo la costa per parecchie leghe si vedono tutte le scogliere, tutti i nascondigli dei pendii delle montagne, fino ad una altezza di duecento a cinquecento piedi, letteralmente coperti da uccelli di mare dei quali i petti bianchi risaltano sulle rocce oscure, come se queste fossero disseminate di macchie di gesso molto fitte. Vicino e lontano l'aria è, per così dire, piena di uccelli».3

Ciascuna di queste «montagne di uccelli» è un vivente esempio del mutuo appoggio, come della infinita varietà dei caratteri individuali e specifici che risultano dalla vita in società. L'ostrolega è citata per la sua disposizione ad assalire gli uccelli rapaci. La pantana è nota per la sua vigilanza e diventa facilmente il capo di altri uccelli più placidi. Il voltapietre quando è circondato da compagni appartenenti a specie più energiche è un uccello piuttosto timoroso, ma si incarica di vegliare sulla comune sicurezza, quando è circondato da uccelli più piccoli. Qui avete i cigni dominatori, là i gabbiani tridattili estremamente socievoli tra i quali le liti sono rare e brevi, le Uria Troile polari così amabili e che si accarezzano continuamente l'un l'altra. Se un'oca egoista à ripudiato gli orfani di una compagna uccisa, a fianco di essa, qualche altra femmina adotta tutti gli orfani che si presentano, ed essa guazza circondata da cinquanta a sessanta piccoli, che conduce e sorveglia come se fossero tutti la sua vera covata.

Financo a fianco dei pinguini che si rubano reciprocamente le uova, si vedono i pivieri minori le cui relazioni familiari sono così «incantevoli e commoventi» che anche dei cacciatori appassionati si trattengono dall'uccidere una femmina circondata dai suoi piccini; od anche gli edredoni, presso i quali (come presso le grandi folaghe o presso i coroyas delle Savane), diverse femmine covano insieme nel medesimo nido, o gli Uria Troile che covano a turno una covata comune. La natura è la varietà stessa, offrente tutte le possibili sfumature dei caratteri, dal più basso al più alto; per questo non può essere ritratta da asserzioni troppo generali. Ancor meno può essere giudicata dal punto di vista del moralista, poichè le vedute di questo sono esse stesse un risultato, in gran parte incosciente, dell'osservazione sulla natura.4

Tanto è comune alla maggior parte degli uccelli riunirsi nella stagione dei nidi che nuovi esempi sono appena necessari. I nostri alberi sono coronati da gruppi di nidi di corvi; le nostre siepi sono piene di nidi di uccelli più piccoli, le nostre masserie ospitano colonie di rondini; le nostre vecchie torri sono il rifugio di centinaia di uccelli notturni e si potrebbero dedicare delle pagine intere alle più incantevoli descrizioni della pace e della armonia che regnano in quasi tutte queste associazioni. In quanto alla protezione che gli uccelli più deboli trovano in questa unione è evidente. Il Dr. Couës, questo eccellente osservatore, vide, per esempio, delle piccole rondini delle scogliere fabbricare il nido in vicinanza immediata ad un falco delle praterie (Falco polyargus). Questo aveva il suo nido sulla cima di uno di quei minareti di argilla che sono così comuni nei cañons del Colorado, mentre una colonia di rondini aveva il nido proprio al disotto. I piccoli uccelli pacifici non temevano affatto il loro rapace vicino; non lo lasciavano mai avvicinare alla loro colonia, lo circondavano immediatamente e lo scacciavano in modo che era obbligato a svignarsela al più presto.5

La vita in società non cessa col finire del periodo dei nidi; essa ricomincia sotto altra forma. Le giovani covate si riuniscono in società di giovani, comprendenti generalmente diverse specie. In questo periodo la vita in società è praticata sopra tutto per se stessa ed in parte per la sicurezza, ma principalmente per i piaceri che essa procura. Così noi vediamo nelle nostre foreste società formate da giovani sitelle blu (Sitta caesia) unite alle cianciallegre, ai fringuelli, ai reattini, ai rampichini e ad alcuni picchi.6 Nella Spagna si incontra la rondine in compagnia dei cheppi, dei piglia mosche ed anche dei colombi. Nel Far West americano le giovani allodole vivono in società con i passeri delle savane, e parecchie specie di verdoni e di francolini.7 In realtà sarebbe più facile il descrivere le specie che vivono isolate che il nominare soltanto le specie che si riuniscono in società autunnali di giovani uccelli, non con lo scopo di cacciare o di nidificare, ma semplicemente per godersi la vita in comune e per passare il tempo in giuochi e distrazioni, dopo aver dato qualche ora ogni giorno alla ricerca del cibo.

Abbiamo, infine, quest'altro meraviglioso esempio di mutuo appoggio tra gli uccelli: le loro migrazioni, soggetto così ampio che oso appena affrontarlo qui. Basterà il dire che gli uccelli che ànno vissuto durante dei mesi in piccoli gruppi disseminati su un vasto territorio si riuniscono a migliaia; essi si radunano in un posto determinato per parecchi giorni di seguito, prima di mettersi in cammino, e discutono manifestamente i particolari del viaggio. Alcune specie si dedicano, ogni pomeriggio, a voli preparatori della lunga traversata. Tutti aspettano i ritardatari, ed infine si slanciano in una data direzione bene scelta, risultante da esperienze collettive accumulate. I più forti volano alla testa dello stormo e si danno il cambio in questo difficile compito. Essi attraversano i mari in grandi stormi comprendenti grossi e piccoli uccelli e quando ritornano, nella primavera seguente, tornano nello stesso luogo, e ciascuno di essi riprende il possesso del nido stesso che aveva costruito o riparato nell'anno precedente.8

Questo argomento, così vasto e ancora così imperfettamente studiato, offre molti esempi notevoli di abitudini solidariste, conseguenza del fatto principale della migrazione, ciascuno dei quali richiederebbe un particolare studio, sì che debbo astenermi dall'entrare in maggiori dettagli. Non posso che ricordare di sfuggita le riunioni numerose ed animate che ànno luogo, sempre nello stesso posto, prima della partenza per i lunghi viaggi verso il nord o verso il sud, così pure quelle che si vedono nel nord, dopo che gli uccelli sono giunti ai loro luoghi di covata sul Yenisei o nelle contee settentrionali dell'Inghilterra. Per diversi giorni di seguito, qualche volta per un mese intero, si riuniscono un'ora ogni mattina, prima di prendere il volo per cercare il cibo, discutendo forse il luogo dove stanno per costruire i loro nidi.9 Se, durante la migrazione, le loro colonne sono sorprese da una tempesta, gli uccelli delle specie più diverse sono portati ad avvicinarsi a causa della comune sventura. Gli uccelli che non appartengono propriamente alle specie dei migratori, ma che si trasferiscono lentamente verso il nord o verso il sud, secondo le stagioni, compiono anch'essi questo spostamento a stormi. Ben lontani dall'emigrare isolatamente, al fine che ogni individuo separato si assicuri i vantaggi di un nutrimento o di un rifugio migliore nella nuova regione, si aspettano sempre gli uni con gli altri e si riuniscono in stormi prima di cominciare a muoversi verso il nord o il sud, secondo la stagione.10

Quanto ai mammiferi, la prima cosa che ci colpisce in quest'immensa classe del regno animale è l'enorme preponderanza numerica delle specie sociali su alcune specie carnivore che non si associano. Gli altipiani, le regioni alpine e le steppe del nuovo e dell'antico continente sono popolate di branchi di cervi, di antilopi, di gazzelle, di daini, di bisonti, di caprioli e di montoni selvatici, che sono tutti degli animali socievoli. Quando gli Europei andarono a stabilirsi in America, vi trovarono una quantità così considerevole di bisonti che i pionieri erano costretti a fermarsi nella loro marcia quando una colonna di questi animali in migrazione si trovava ad attraversare la strada che essi percorrevano. La sfilata delle loro colonne serrate durava qualche volta due o tre giorni. E quando i Russi presero possesso della Siberia, la trovarono così abbondantemente popolata di caprioli, di antilopi, di scoiattoli e di altri animali socievoli, sì che la conquista della Siberia non fu che una spedizione di caccia che durò duecento anni. Le pianure erbose dell'Africa Orientale sono ancora coperte di branchi di zebre, di bufali e di antilopi.

Non molto tempo fa i piccoli corsi d'acqua del nord dell'America e del nord della Siberia erano popolati da colonie di castori, e fino al XVII secolo tali colonie abbondavano nel nord della Russia. Le pianure di quattro grandi continenti sono ancora coperte d'innumerevoli colonie di topi, di scoiattoli, di marmotte e di altri roditori. Nelle basse distese dell'Asia e dell'Africa, le foreste sono ancora le dimore di numerose famiglie di elefanti, di rinoceronti e di una profusione di società di scimmie. Nel nord, le renne si riuniscono in innumerevoli branchi, e verso l'estremo nord, troviamo dei branchi di buoi muschiati ed innumerevoli bande di volpi polari. Le coste dell'Oceano sono animate da branchi di foche e di trichechi, l'Oceano stesso da una moltitudine di cetacei socievoli; e perfino nel centro del grande altipiano dell'Asia centrale troviamo dei branchi di cavalli, asini, cammelli, montoni selvaggi. Tutti questi mammiferi vivono in società e in colonie contanti qualche volta delle centinaia di migliaia di individui, benchè attualmente, tre secoli dopo l'introduzione del fucile, non troviamo più che gli avanzi degli immensi aggregati di un tempo. Quanto insignificante è, invece, il numero dei carnivori! E, di conseguenza, com'è falsa l'opinione di coloro che parlano del mondo animale come vi si dovesse vedere solo dei leoni e delle iene che affondano i loro denti sanguinosi nelle carni delle loro vittime! Si vorrebbe anche pretendere che tutta la vita umana non sia che una successione di guerre e di massacri. L'associazione e il mutuo appoggio sono la regola presso i mammiferi. Troviamo delle abitudini socievoli anche presso i carnivori, e non possiamo citare che la tribù dei felini (leoni, tigri, leopardi, ecc.) i cui membri preferiscono l'isolamento alla società e non si riuniscono che raramente in piccoli gruppi. Tuttavia anche fra i leoni «è un'abitudine frequente quella di cacciare in compagnia».11 Le tribù degli zibetti (Viverridae) e delle donnole (Mustelidae) possono anch'esse essere caratterizzate dalla loro vita isolata; ma si sa che nel secolo scorso lo zibetto comune era più socievole di quel che sia oggi; lo si vedeva allora in aggruppamenti molto più numerosi nella Scozia e nel cantone di Unterwalden, nella Svizzera.

Quanto alla grande tribù canina, essa è eminentemente socievole, e l'associazione per la caccia può essere considerata come un tratto caratteristico delle sue numerose specie. È ben noto, infatti, che i lupi si riuniscono in bande per cacciare, e Tschudi ci à perfettamente descritto come essi si dispongano in semicerchio, per circondare una mucca passante sul pendio di una montagna, e si slancino all'improvviso, emettendo grandi ululati e così la facciano cadere in un precipizio.12 Audubon, verso il 1830, vide anche dei lupi del Labrador cacciare in bande, e una banda, seguire un uomo fino alla sua capanna e uccidere i cani. Durante gli inverni rigidi le bande dei lupi diventano così numerose da costituire un pericolo per gli uomini; questo caso avvenne in Francia cinquantacinque anni or sono. Nelle steppe russe essi non assalgono mai i cavalli che a bande; e tuttavia ànno da sostenere dei combattimenti accaniti, durante i quali i cavalli (secondo la testimonianza di Kohl) prendono talvolta l'offensiva; in tal caso, se i lupi battono in ritirata con sufficiente prontezza, corrono il rischio di essere circondati dai cavalli ed uccisi a calci. Si sa che i lupi delle praterie (Canis latrans) si uniscono in bande da venti a trenta individui quando danno la caccia ad un bisonte accidentalmente isolato dal suo branco.13 Gli sciacalli, che sono estremamente coraggiosi e possono essere considerati come i rappresentanti più intelligenti delle tribù dei cani, cacciano sempre a bande; così uniti non temono i più grossi carnivori.14

Quanto ai cani selvatici dell'Asia (Kholzuns o Dholes), Williamson vide le loro bande numerose attaccare tutti i grossi animali, ad eccezione degli elefanti e dei rinoceronti, e vincere gli orsi e le tigri. Le iene vivono sempre in società e cacciano a bande, e le associazioni per la caccia delle cynhyènes peintes sono altamente lodate da Cumming. Perfino le volpi, che abitualmente sono isolate nei nostri paesi civili, si uniscono talvolta per la caccia.15 Quanto alla volpe polare è – o piuttosto lo era al tempo dello Steller – uno degli animali più socievoli, e quando si legge la descrizione che lo Steller ci à lasciata della lotta che si ingaggiò fra lo sventurato equipaggio di Behring e questi intelligenti piccoli animali, non si sa di che cosa stupirci di più: della intelligenza straordinaria di queste volpi e del mutuo aiuto che si prestavano dissotterrando del cibo nascosto sotto dei cumuli di pietre o nascosto su di un pilastro (una volpe arrampicatasi lassù gettava il cibo alle sue compagne che erano di sotto) o della crudeltà dell'uomo, spinto alla disperazione da questi predatori. Vi sono anche alcuni orsi che vivono in società, là dove non sono disturbati dall'uomo. Così Steller à visto l'orso bruno del Kamtchatka in branchi numerosi e si trovano qualche volta gli orsi polari in piccoli gruppi. Anche i non intelligenti insettivori non disdegnano sempre l'associazione. (Vedi appendice IV).

Tuttavia è principalmente fra i roditori, gli ungulati e i ruminanti che troviamo il mutuo appoggio molto sviluppato. Gli scoiattoli sono molto individualisti. Ognuno di essi costruisce il proprio nido per sua propria comodità ed accumula le proprie provvigioni. Le loro tendenze li portano verso la vita di famiglia, e Brehm à osservato che una famiglia di scoiattoli non è tanto felice come quando le due nidiate dello stesso anno possono riunirsi coi loro genitori in un remoto angolo della foresta. Non di meno conservano dei rapporti sociali. Gli abitanti dei diversi nidi sono in stretti rapporti, e quando le pine diventano rare nella foresta da loro abitata, emigrano in gruppi. Gli scoiattoli del Far-West, poi, sono socievolissimi. Al di fuori di qualche ora impiegata ogni giorno a cercare il cibo, essi passano la loro vita a giocare in grandi branchi. E quando sono troppo numerosi in una regione, si riuniscono in bande, numerose quasi come quelle delle cavallette, e s'avanzano verso il sud, devastando le foreste, i campi ed i giardini; tanto che delle volpi, delle puzzole, dei falchi e degli uccelli da preda notturni seguono le loro fitte colonne e si nutrono degli scoiattoli che restano indietro, isolati. I tamias, genere molto prossimo, sono ancora più socievoli. Sono economi, ed accumulano nei loro sotterranei delle grandi quantità di radici commestibili e delle noci, di cui l'uomo li spoglia, generalmente in autunno. Secondo alcuni osservatori essi conoscono alcune gioie degli avari. E tuttavia restano socievoli. Vivono sempre in grandi villaggi; Audubon aprì d'inverno delle dimore di «hackee» e trovò diversi individui nello stesso sotterraneo, che avevano certamente approvvigionato in comune.

La grande famiglia delle marmotte, con i suoi tre generi degli Arctomys, Cynomys e Spermophilus, è ancor più socievole ed intelligente. Questi animali preferiscono anch'essi vivere ognuno nella propria dimora particolare; ma vivono in grandi villaggi. I terribili nemici dei raccolti della Russia del sud – i sousliks – dei quali qualche decina di milioni sono sterminati ogni anno dall'uomo, vivono in innumerevoli colonie; e mentre le assemblee provinciali russe discutono gravemente i mezzi per sbarazzarsi di questi nemici della società, essi, a migliaia, godono la vita nel modo più gaio. I loro giochi sono così incantevoli che tutti gli osservatori non possono fare a meno di pagar loro un tributo di lodi, e parlano dei concerti melodiosi che formano i fischi acuti dei maschi e i fischi melanconici delle femmine; poi, riprendendo i loro doveri di cittadini, questi osservatori cercano d'inventare i mezzi più diabolici atti a sterminare quei ladruncoli. Tutte le specie di uccelli rapaci e tutte le specie di bestie da preda essendosi dimostrate impotenti, l'ultima parola della scienza in questa lotta è l'inoculazione del colera! I villaggi dei cani delle praterie in America sono uno fra i più incantevoli spettacoli. A vista d'occhio nella prateria, si vedono dei piccoli monticelli e su ognuno di essi sta un cane della prateria che sostiene con dei brevi abbaiamenti un'animata conversazione coi suoi vicini. Quando è segnalato l'avvicinarsi di un uomo, in un momento tutti si cacciano nelle loro dimore e spariscono come d'incanto. Ma quando il pericolo è passato, le piccole creature riappaiono ben presto. Delle intere famiglie escono dalle loro gallerie e si mettono a giocare. I giovani si strofinano gli uni contro gli altri, attaccano briga e spiegano la loro agilità tenendosi in piedi, mentre i vecchi fanno la guardia. Si fanno visita reciprocamente, e i sentieri battuti che uniscono tutti i loro monticelli testimoniano la frequenza delle loro visite. I migliori naturalisti ànno consacrato alcune delle loro più belle pagine alla descrizione delle società dei cani nelle praterie dell'America, delle marmotte dell'antico continente e di quelle polari e delle regioni alpestri. Non di meno debbo fare riguardo alle marmotte le stesse osservazioni che ò fatto parlando delle api. Esse ànno conservato i loro istinti combattivi, che riappaiono nella prigionia. Ma nelle loro grandi associazioni, davanti alla libera natura, gli istinti anti-sociali non ànno occasione di svilupparsi, e ne risultano una pace ed una armonia generali.

Anche animali così bellicosi come sono i topi, che si battono continuamente nelle nostre cantine, sono abbastanza intelligenti per non litigare quando saccheggiano la nostra credenza, ma si aiutano gli uni con gli altri nelle loro spedizioni di saccheggio e nelle loro migrazioni; essi nutrono anche i loro malati. Quanto ai topi castori o topi muschiati del Canadà, sono estremamente socievoli. Audubon non può che ammirare «le loro comunità pacifiche, che non chiedono che di esser lasciate in pace per vivere gioiosamente». Come tutti gli animali socievoli, essi sono gai e amanti del giuoco, si riuniscono facilmente a delle altre specie e ànno raggiunto uno sviluppo intellettuale molto elevato. Nei loro villaggi, che sono sempre situati sulle rive dei laghi e dei fiumi, tengono conto del livello variabile dell'acqua; le loro capanne in forma di cupole, costruite di argilla battuta e di canne, ànno dei ripostigli separati per i rifiuti organici e le loro sale son ben tappezzate d'inverno; esse sono calde e ben ventilate. Quanto ai castori, che sono dotati, come ognuno sa, d'un carattere completamente socievole, le loro dighe meravigliose e i loro villaggi nei quali delle generazioni vivono e muoiono senza conoscere altri nemici al di fuori della lontra e dell'uomo, dimostrano mirabilmente ciò che il mutuo appoggio può compiere per la sicurezza della specie, per lo sviluppo delle abitudini sociali e l'evoluzione dell'intelligenza; così i castori sono noti a tutti coloro che si interessano della vita animale. Io voglio soltanto far notare che presso i castori, i topi muschiati e qualche altro roditore, troviamo già ciò che sarà anche il tratto caratteristico delle comunità umane: il lavoro in comune.

Non parlo delle due grandi famiglie che comprendono la gerboa, la cincilla, il roditore delle Pampas e la lepre sotterranea della Russia meridionale, benchè si possa considerare tutti questi piccoli roditori come degli eccellenti esempi dei piaceri che gli animali possono trarre dalla vita in società.16 Io dico i piaceri; perchè è estremamente difficile determinare se ciò che trae gli animali ad unirsi in società sia il bisogno di reciproca protezione, o semplicemente il piacere di sentirsi circondati da congeneri. In tutti i casi, le lepri, che non vivono in società, e che inoltre non sono dotate di vivi sentimenti verso la famiglia, non possono vivere senza riunirsi per giuocare insieme. Dietrich de Winckell, che è considerato come uno degli autori che conoscono meglio le abitudini delle lepri, le descrive come giuocatrici appassionate, eccitantesi a tal segno ai loro giuochi che si è visto una lepre prendere una volpe che s'avvicinava per una delle sue camerate.17 Quanto al coniglio, esso vive in società e la sua vita di famiglia è ad immagine della vita di famiglia patriarcale; i giovani sono tenuti all'ubbidienza assoluta al padre ed anche al nonno.18 Abbiamo in ciò un esempio di due specie, prossime parenti, che non possono soffrirsi, non perchè si nutrano pressochè del medesimo cibo, – spiegazione data troppo spesso in casi simili – ma molto probabilmente perchè la lepre vivacissima ed eminentemente individualista, non può legarsi d'amicizia con questa creatura placida, tranquilla, e sottomessa, quale è il coniglio. I loro temperamenti sono troppo profondamente differenti per non essere un ostacolo alla loro amicizia.

La vita in comune è pure regola per la grande famiglia dei cavalli, che comprende i cavalli selvaggi e gli asini selvaggi d'Asia, le zebre, i mustang, i cimarones delle Pampas e quelli semi-selvaggi della Mongolia e della Siberia. Essi vivono tutti in numerose associazioni, composte di numerosi branchi, ognuno dei quali costituiti da un certo numero di giumente sotto la guida di uno stallone. Questi innumerevoli abitanti dell'antico e del nuovo Continente, male organizzati per resistere sia ai loro numerosi nemici che alle diverse condizioni del clima, sarebbero ben presto spariti dalla faccia della terra senza il loro spirito di socievolezza. All'avvicinarsi di una bestia da preda parecchi gruppi si uniscono immediatamente, la respingono e, qualche volta, le danno la caccia; e nè il lupo, nè l'orso e neppure il leone non possono catturare nè un cavallo, e neanche una zebra fino a che l'animale non si è distaccato dal branco. Quando la siccità brucia l'erba delle praterie, essi si riuniscono in branchi comprendenti talvolta diecimila individui ed emigrano. Quando si scatena nelle steppe una tormenta di neve, tutti i branchi si tengono serrati gli uni agli altri e si rifugiano in un burrone riparato. Ma se la reciproca fiducia sparisce, o se il branco è colto dal panico e si disperde, i cavalli periscono in gran numero, ed i sopravvissuti sono ritrovati dopo l'uragano mezzo morti di stanchezza. L'unione è la loro arma principale nella lotta per la vita, e l'uomo è il loro principale nemico. Davanti alla invadenza dell'uomo, l'antenato del nostro cavallo domestico (l'Equus Przewalskii, così chiamato dal Poliakoff) à preferito di ritirarsi verso gli altipiani più selvaggi e meno accessibili dell'estremità del Thibet, ove continua a vivere circondato da carnivori, sotto un clima tanto cattivo quanto quello delle regioni artiche, ma in una regione inaccessibile all'uomo.19

Molti notevoli esempi di vita in società potrebbero essere tratti dai costumi della renna e particolarmente di questa grande categoria dei ruminanti che potrebbe comprendere i caprioli, il daino rossiccio, le antilopi, le gazzelle, lo stambecco, e tutti i componenti delle tre numerose famiglie delle Antilopi, dei Capridi e degli Ovidi. La loro vigilanza per impedire l'attacco ai loro branchi da parte dei carnivori, la ansietà che mostrano tutti gli individui di un branco di camosci, fino a che tutti non siano riusciti a valicare un passo difficile di rocce a picco, l'adozione di orfani, la disperazione della gazzella il cui maschio od anche un compagno dello stesso sesso è stato ucciso, i giuochi dei giovani, e tanti altri fatti possono essere ricordati. Ma probabilmente l'esempio di mutuo appoggio più notevole si riscontra nelle migrazioni dei caprioli quali ne vidi una volta sul fiume Amùr. Quando, recandomi dalla Transbaicalia a Merghen, attraversai l'alto piano e la catena del Gran Klingan che lo cinge, e, più lontano, verso l'est, le alte praterie situate tra Nonni e l'Amùr, constatai che i caprioli erano poco numerosi in quelle regioni disabitate.20 Due anni più tardi, io risalii l'Amùr e verso la fine d'ottobre raggiunsi la estremità inferiore di quella gola pittoresca che attraversa l'Amùr nel Dôoussé-alin (Piccolo Khingan), prima d'entrare nelle basse terre dove incontra il Sungari. Trovai i Cosacchi dei villaggi di questa gola nella maggiore agitazione, perchè migliaia e migliaia di caprioli erano in procinto di traversare l'Amùr nel punto dove era più stretto, allo scopo di giungere alle terre più basse. Durante parecchi giorni consecutivi, sopra una lunghezza di una sessantina di chilometri lungo il fiume, i Cosacchi fecero una carneficina di caprioli, mentre questi attraversavano l'Amùr che cominciava già a portare dei ghiaccioli in gran numero. Migliaia erano uccisi tutti i giorni e tuttavia l'esodo continuava. Di simili migrazioni non se ne sono mai vedute nè prima nè dopo; e quella deve esser stata causata dalle nevi precoci ed abbondanti nel Grandkhingan, forzando quegli intelligenti animali a tentare uno sforzo per arrivare alle basse terre dell'est delle montagne Dôoussé. Infatti qualche giorno più tardi il Dôoussé-alin fu ricoperto da una distesa di neve da due a tre piedi di spessore. Ora, quando ci si presenta l'immenso territorio (quasi grande quanto la Gran Bretagna) nel quale erano sparsi i branchi di caprioli che avevano dovuto riunirsi per una migrazione intrapresa in circostanze eccezionali, e ci si figuri quanto fosse difficile a quei branchi intendersi per traversare l'Amùr in un dato punto, più al sud, là dove si restringe di più, non si può che ammirare lo spirito di solidarietà di questi intelligenti animali. Il fatto non è meno meraviglioso se consideriamo che i bisonti dell'America del nord mostrarono un tempo le stesse qualità solidariste. Si vedevan pascolare in gran numero nelle pianure, ma questi grandi assembramenti erano composti di un'infinità di piccoli branchi che non si mescolavano mai. Tuttavia quando la necessità si faceva sentire, tutti i gruppi, quantunque sparsi sopra un immenso territorio, si riunivano, come ò precedentemente accennato, e formavano quelle immense colonne composte di migliaia di individui.

Dovrei dire qualche parola almeno delle «famiglie composte» degli elefanti, del loro reciproco attaccamento e del modo accorto con cui pongono le loro sentinelle, e dei sentimenti di simpatia sviluppantisi in una tale vita di stretto sostegno reciproco.21 Potrei menzionare i sentimenti socievoli dei cinghiali e trovare una parola di lode per la loro capacità di associazione nel caso di un attacco da parte di un animale da preda.22 L'ippopotamo ed il rinoceronte potrebbero pure trovare il loro posto in un'opera dedicata alla socievolezza tra gli animali. Parecchie pagine interessanti potrebbero descrivere il reciproco affetto e la socievolezza delle foche e dei trichechi, ed in fine si potrebbero ricordare i sentimenti così eccellenti che esistono tra i cetacei socievoli. Ma bisogna dire ancora qualche cosa della società delle scimmie che presentano molto interesse, poichè sono il trait d'union che ci porta alla società degli uomini primitivi.

Quasi superfluo è il dire che questi mammiferi, che si trovano in cima alla scala del mondo animale e rassomigliano di più all'uomo per la loro struttura e la loro intelligenza, sono eminentemente socievoli. Certo dobbiamo aspettarci di incontrare ogni sorta di varietà di caratteri e di abitudini in questa grande divisione del regno animale la quale comprende centinaia di specie. Ma, tutto considerato, si può dire che la socievolezza, l'azione in comune, la reciproca protezione ed un grande svolgimento dei sentimenti, che sono un risultato della vita sociale, caratterizzano la maggior parte delle specie delle scimmie: presso le più piccole specie come presso le più grandi la socievolezza è una regola alla quale conosciamo poche eccezioni. Le scimmie notturne preferiscono la vita isolata; i cappuccini (Cebus capucinus), i monos e le scimmie urlatrici vivono soltanto in piccole famiglie. A. R. Wallace non à mai veduti gli orangutan che solitari od in piccoli gruppi di tre o quattro individui; pare che i gorilla non si riuniscano mai in branchi. Ma tutte le altre specie della tribù delle scimmie – scimpanzè, sajous, sakis, mandrilli, babbuini, ecc. – sono socievoli al massimo grado. Essi vivono in grandi branchi e si uniscono anche ad altre specie diverse dalle loro. Le aquile stesse non osano assalirle. La maggior parte di esse sono del tutto infelici quando sono nella solitudine. Le grida di dolore di una di loro fanno accorrere immediatamente tutto il branco ed esse respingono audacemente gli attacchi della maggior parte dei carnivori e degli uccelli rapaci. Sempre in branchi saccheggiano i nostri campi, e le vecchie prendono cura della sicurezza della comunità. Le piccole ti-tis, la dolce figura delle quali colpì tanto Humboldt, si abbracciano e si proteggono vicendevolmente quando piove, attorcigliando la loro coda attorno al collo delle compagne tremanti di freddo. Parecchie specie mostrano la massima sollecitudine per i loro feriti, e non abbandonano una compagna ferita durante la ritirata, fino a che non si sono accertate che è morta e che sono impotenti a richiamarla in vita.

James Forbes narra nelle sue Memorie d'Oriente che alcune di queste scimmie mostrarono una tale perseveranza nel reclamare dai suoi compagni cacciatori il cadavere d'una femmina, che si comprende bene perchè «i testimoni di questa scena straordinaria risolvessero di mai più tirare sopra nessuna specie di scimmie».23 Presso certe specie si vedono parecchi individui unirsi per rivoltare le pietre e cercare le uova di formiche che possono trovarvisi sotto. Le amadriadi non solamente pongono le sentinelle, ma sono state vedute fare la catena per trasportare il bottino in luogo sicuro; ed il loro coraggio è molto noto. La descrizione del Brehm sulla battaglia campale che la sua carovana ebbe da sostenere contro le amadriadi per poter continuare la sua strada nella vallata del Mensa, in Abissinia, è divenuta classica.24 La piacevolezza delle scimmie dalla lunga coda e l'affetto reciproco che regna nelle famiglie degli scimpanzè sono note alla maggior parte dei lettori. E se troviamo tra le scimmie più elevate due specie, l'orangutan ed il gorilla, che non sono socievoli, occorre rammentare che ambedue – limitate d'altronde a piccolissimi spazi, l'una nel centro dell'Africa, l'altra nelle due isole di Borneo e Sumatra – sono, secondo ogni apparenza, gli ultimi rappresentanti di due specie in altri tempi molto più numerose. Il gorilla almeno sembra essere stato socievole nei tempi remoti, se le scimmie menzionate nel Periplo erano proprio dei gorilla.

Così vediamo, anche con questo breve esame, che la vita in società non è l'eccezione nel mondo animale. Essa è la regola, la legge della natura, che raggiunge il suo completo sviluppo negli animali vertebrati più elevati. Le specie che vivono isolate od in piccole famiglie sono relativamente in piccolissimo numero ed i loro rappresentanti sono rari. Di più, sembra molto probabile che al di fuori di qualche eccezione, gli uccelli ed i mammiferi che non si riuniscono oggidì in branchi, vivessero in società prima che l'uomo invadesse il globo, precedentemente alla guerra permanente che à intrapresa contro di essi e la distruzione delle loro prime fonti di nutrimento. «Non ci si associa per morire», fu la osservazione profonda dell'Espinas; e l'Houzeau, che conosceva la fauna di certe regioni dell'America, quando questo paese non era ancora stato modificato dall'uomo, à scritto nel medesimo senso.

L'associazione si riscontra nel mondo animale in tutti i gradi dell'evoluzione, e, secondo la grande idea di Herbert Spencer, così brillantemente sviluppata nelle Colonie animali del Périer, essa è all'origine stessa dell'evoluzione nel regno animale. Ma, a misura che l'evoluzione progressiva si compie, vediamo l'associazione divenire man mano più cosciente. Essa perde il suo carattere semplicemente fisico, cessa di essere unicamente istintiva, diventa ragionata. Nei vertebrati superiori, è periodica, ossia gli animali vi ricorrono per la sodisfazione di un bisogno speciale, la propagazione della specie, le migrazioni, la caccia o la reciproca difesa. Si produce anche accidentalmente, quando degli uccelli, per esempio, s'associano contro un saccheggiatore, o quando dei mammiferi si uniscono sotto la pressione di eccezionali circostanze per emigrare. In quest'ultimo caso è una vera deroga volontaria ai costumi abituali. L'unione appare qualche volta a due o più gradi – la famiglia, da prima, poi il gruppo, ed infine l'associazione dei gruppi, abitualmente sparpagliati, ma che si uniscono in caso di necessità, come abbiamo veduto presso i bisonti e presso altri ruminanti. L'associazione può prendere anche una forma più elevata, assicurando maggiore indipendenza all'individuo senza privarlo dei vantaggi della vita sociale. Tra quasi tutti i roditori, l'individuo à la sua dimora particolare nella quale può ritirarsi, quando preferisce di restar solo; ma queste dimore sono disposte in villaggi e in città, in guisa da assicurare a tutti gli abitanti i vantaggi e le gioie della vita sociale. Infine, presso varie specie, come quelle dei topi, delle marmotte, delle lepri, ecc., la vita sociale è mantenuta in onta al carattere litigioso e ad altre tendenze egoistiche dell'individuo isolato. Così l'associazione non è imposta, come nel caso delle formiche e delle api, dalla struttura fisiologica degli individui; essa è osservata per i benefici del mutuo appoggio, o per i piaceri che essa procura. Questo, naturalmente, si mostra in tutti i gradi possibili e con la maggiore varietà dei caratteri individuali e specifici, e la varietà stessa degli aspetti che assume la vita in società è una conseguenza e, per noi, una prova di più della sua generalità.25

La sociabilità – vale a dire il bisogno dell'animale di associarsi con i suoi simili, – l'amore della società per la società stessa e per la «gioia di vivere» sono dei fatti che cominciano solamente ora a ricevere dagli zoologi l'attenzione che si meritano.26

Sappiamo che tutti gli animali, dalle formiche agli uccelli ed ai mammiferi più elevati, amano giuocare, lottare, muoversi, cercare di acchiapparsi l'un l'altro, attaccar briga, ecc. E mentre molti giuochi sono per così dire una scuola dove i giovani apprendono il modo di condursi nella vita, altri, oltre ai loro scopi utilitari, sono, come la danza e i canti, delle semplici manifestazioni di un eccesso di forza. È la «gioia di vivere», il desiderio di comunicare in una maniera qualunque con altri individui della stessa specie od anche di un'altra specie; sono delle manifestazioni della socievolezza, nel senso proprio della parola, tratto distintivo di tutto il regno animale.27 Che il sentimento sia venuto dal timore provato all'avvicinarsi d'un uccello da preda, o da un «accesso di gioia» che prorompe quando gli animali sono in buona salute e particolarmente quando sono giovani, o che sia semplicemente il bisogno di dare libero corso ad un eccesso d'impressioni e di forza vitale, la necessità di comunicare le impressioni, di giuocare, di schiamazzare, o soltanto di sentire la prossimità di altri esseri simili si fa sentire in tutta la natura ed è, come ogni altra funzione fisiologica, un tratto distintivo della vita e della facoltà di ricevere delle impressioni. Questo bisogno giunge al più alto grado di svolgimento e ad una più bella manifestazione nei mammiferi, particolarmente tra i giovani, e sopra tutto tra gli uccelli; ma si fa sentire in tutta la natura ed è stato accuratamente osservato dai migliori naturalisti, compreso Pietro Huber, anche nelle formiche. Lo stesso istinto spinge le farfalle a formare quelle immense colonie delle quali abbiamo già parlato.

L'abitudine di riunirsi per ballare, e di decorare i luoghi dove gli uccelli eseguiscono le loro danze è bene illustrata dalle pagine che Darwin à scritto su questo soggetto nella Origine dell'uomo (cap. XIII). I visitatori del Giardino Zoologico di Londra conoscono pure il «berceau» del Ptilonorhynchus holosericeus dell'Australia. Ma questa abitudine di danzare sembra molto più diffusa che non si credesse un tempo, e W. Hudson dà, nel suo libro ammirabile su La Plata, una interessantissima descrizione (occorre leggerla nell'originale) delle danze complicate eseguite da gran numero di uccelli: francolini, jacanas, vanelli, ecc.

L'abitudine di cantare in coro, che si trova in diverse specie di uccelli, appartiene alla stessa categoria di istinti sociali. Questa abitudine è sviluppata nel modo più stupefacente nel chakar (Chauna chavarria), che gli Inglesi ànno così male soprannominato «urlone dal ciuffo». Questi uccelli si adunano talvolta in branchi immensi, e cantano allora spesso tutti in coro. W. Hudson li trovò una volta in branchi innumerevoli, disposti tutti intorno ad un lago delle pampas, in gruppi ben determinati di circa cinquecento uccelli ciascuno.

«Ben presto, scrive egli, un gruppo vicino a me cominciò a cantare e sostenne il suo canto per tre o quattro minuti; quando cessò, il gruppo vicino riprese lo stesso canto e dopo questo seguirono gli altri man mano, fino a che le note dei gruppi posti sull'altra riva ritornarono ancora una volta a me, chiare e potenti, ondeggiando nell'aria al di sopra del lago – poi svanirono, divenendo via via flebili fino a che il suono si riavvicinò di nuovo a me vicino».

In altra occasione, lo stesso scrittore vide una intera pianura coperta da una quantità innumerevole di rigoli col ciuffo, non in ordine serrato, ma in coppie sparse, ed in piccoli gruppi. Verso le ventidue, «d'improvviso, l'intera moltitudine che copriva la palude per una estensione di parecchie miglia intonò con grande voce uno straordinario canto della sera... Era un concerto tale, che si sarebbe meritato una cavalcata di centinaia di miglia per ascoltarlo».28 Aggiungiamo che, come tutti gli animali socievoli, il rigolo si addomestica facilmente e diventa affezionato all'uomo. «Essi sono uccelli molto dolci e pochissimo litigiosi», ci dice, quantunque formidabilmente armati. La vita in società rende inutili le loro armi.

Gli esempi citati mostrarono già che la vita in società è l'arma più potente nella lotta per la vita, presa nel senso più largo del termine, e sarebbe agevole darne ancora altre prove, se fosse necessario insistere. La vita in comune rende i più deboli insetti, i più deboli mammiferi, capace di lottare e di proteggersi contro i più terribili carnivori e contro gli uccelli rapaci; essa favorisce la longevità; essa rende le diverse specie capaci di allevare la loro prole con un minimo di perdita di energia. L'associazione fa sussistere certe specie di animali, benchè sia scarsissima la natalità loro. In grazia dell'associazione, gli animali che vivono in branchi possono emigrare in cerca di nuove dimore. Dunque, pur ammettendo pienamente che la forza, la sveltezza, i colori protettori, la furberia, la resistenza alla fame ed alla sete, ricordati dal Darwin e dal Wallace, siano tante qualità che favoriscono l'individuo e la specie in certe circostanze, noi affermiamo che la socievolezza rappresenta un grande vantaggio in tutte le condizioni di lotta per la vita. Le specie che, volontariamente o no, abbandonano quest'istinto di associazione, sono condannate a sparire; invece gli animali che meglio sanno unirsi ànno le maggiori probabilità di sopravvivenza e di evoluzione più completa, quantunque possano essere inferiori ad altri animali in ciascuna delle facoltà enumerate da Darwin e da Wallace, al di fuori di quella intellettuale. I vertebrati più elevati e particolarmente gli uomini sono prova di quest'asserzione. Quanto all'intelligenza, se tutti i darwinisti sono d'accordo con Darwin nel pensare che è l'arma più possente nella lotta per la vita ed il fattore più potente di progressiva evoluzione, essi ammetteranno pure che l'intelligenza è una qualità eminentemente sociale. Il linguaggio, l'imitazione e le esperienze accumulate sono altrettanti elementi di progresso intellettuale del quale l'animale insocievole è privo. Così noi troviamo alla testa delle differenti classi d'animali le formiche, i pappagalli, le scimmie, che uniscono tutti la maggiore socievolezza al più alto grado di svolgimento dell'intelligenza. I meglio dotati per la vita sono dunque gli animali più socievoli, e la socievolezza appare come uno dei principali fattori dell'evoluzione, sia direttamente, assicurando il benessere della specie, e diminuendo nel contempo l'inutile dispendio di energia, sia indirettamente, favorendo lo sviluppo dell'intelligenza.

Si aggiunga, essere evidente che la vita in società sarebbe assolutamente impossibile senza un corrispondente incremento dei sentimenti sociali, e particolarmente di un certo senso di giustizia collettiva tendente a diventare una abitudine. Se ciascun individuo abusasse costantemente dei suoi personali vantaggi, senza che gli altri intervenissero in favore di chi ne vien leso, nessuna vita sociale sarebbe possibile. Sentimenti di giustizia si sviluppano quindi, più o meno, presso tutti gli animali che vivono a gruppi.

Qualunque sia la distanza da cui vengono le rondini o le gru, ognuna ritorna al nido che essa costruì o riparò l'anno precedente. Se un passero pigro vuole appropriarsi di un nido che un compagno sta costruendo, o cerca di portar via da quello qualche fuscello di paglia, il gruppo dei passeri interviene contro il poltrone, ed è chiaro che se quest'intervento non fosse regola, mai gli uccelli potrebbero, come fanno, associarsi per nidificare. Gruppi distinti di pinguini ànno ciascuno posti distinti dove si riposano ed altri dove pescano, e non se li disputano. Gli armenti di bestiame in Australia ànno dei posti fissi che ogni gruppo occupa e dai quali non si discostano mai; e così di seguito.29

Vi è un gran numero di osservazioni relative alla concordia che regna tra le associazioni di nidi degli uccelli, nei villaggi dei roditori e nei branchi di erbivori; d'altra parte noi non conosciamo che pochissimi animali socievoli che litighino continuamente come fanno i topi nelle cantine, o i trichechi che si battono per il posto al sole sulla riva. La socievolezza mette così un limite alla lotta fisica e lascia posto allo svolgimento dei migliori sentimenti morali. Il grande sviluppo dell'amore materno in tutte le classi degli animali, anche nel leone e nella tigre, è molto noto. Quanto agli uccelli giovani ed ai mammiferi che vediamo associarsi costantemente, la simpatia – e non l'amore – giunge ad un grande sviluppo nelle loro associazioni. Lasciando da parte i fatti veramente commoventi di affetto reciproco e di compassione che sono stati riferiti di animali domestici e di animali in prigionia, abbiamo un gran numero di esempi verificati di compassione fra gli animali selvaggi in libertà. Max Perty e L. Büchner ànno fornito gran numero di fatti di quest'ordine.30 Il racconto di J. C. Wood a proposito di una donnola che accorse a sollevare ed a trasportare una compagna ferita gode di una popolarità ben meritata.31 È altrettanto della osservazione del capitano Stansbury durante il suo viaggio verso Utah (osservazione citata da Darwin); vide un pellicano cieco nutrito, e nutrito bene, da altri pellicani che gli portavano dei pesci da una distanza di quarantacinque chilometri.32 Più di una volta, durante il suo viaggio nella Bolivia e nel Perù, H. A. Wedell vide che quando un branco di vigogne era inseguito dappresso da dei cacciatori, i maschi più forti rimanevano indietro con lo scopo di proteggere la ritirata del branco. Quanto agli episodi di compassione per i compagni feriti, gli zoologi esploratori ne citano continuamente. Tali fatti sono del tutto naturali, essendo la compassione un risultato necessario della vita in società. La compassione prova pure un grado molto alto di generale intelligenza e di sensibilità. Essa è il primo passo verso lo svolgimento dei più alti sentimenti morali. È pure un fattore potente di ulteriore evoluzione.

Se i sunti che sono stati svolti nelle pagine precedenti sono giusti, s'impone una domanda necessaria: fino a qual punto questi fatti sono compatibili con la teoria della lotta per la vita, quale l'ànno esposta Darwin, Wallace e i loro discepoli? Voglio rispondere brevemente a questa domanda. Anzitutto non vi è naturalista che possa dubitare che l'idea di una lotta per la vita, estesa a tutta la natura organica, non sia la più grande generalizzazione del nostro secolo. La vita è lotta; ed in questa lotta il più adatto sopravvive. Ma le risposte alle domande: – Con quali armi questa lotta è meglio sostenuta? e quali sono le più atte per questa lotta? – differiranno grandemente secondo l'importanza data ai due differenti aspetti della lotta: l'uno diretto, la lotta per il nutrimento e la sicurezza d'individui separati, e l'altro – la lotta che Darwin descriveva come «metaforica», lotta molto spesso collettiva – contro le circostanze avverse. Nessuno può negare che vi sia, in seno a ciascuna specie, una certa lotta reale per il nutrimento, – meno in certi periodi. Ma la questione è il sapere se la lotta à le proporzioni ammesse da Darwin o anche dal Wallace, e se questa lotta à esercitato nell'evoluzione del regno animale il compito che le si attribuisce.

L'idea della quale l'opera di Darwin è imbevuta, è certamente quella di una reale competizione che si raggiunge in seno ad ogni gruppo animale, per la nutrizione, la sicurezza dell'individuo e la possibilità di lasciare una discendenza. Il grande naturalista parla spesso di regioni che sono così piene di vita animale che non potrebbero contenerne di più; da questa superpopolazione egli deriva la necessità della lotta.33 Ma quando noi cerchiamo nella sua opera delle prove reali di questa lotta, dobbiamo confessare che non ne troviamo che possano convincerci. Se ci riferiamo al paragrafo intitolato: «La lotta per la vita è tanto più aspra quanto più à luogo tra gli individui e le varietà della stessa specie», non vi riscontriamo quell'abbondanza di prove e di esempi che di solito troviamo negli scritti di Darwin. La lotta tra individui della medesima specie non è confermata, in questo paragrafo, da nessun esempio; è ammessa come un assioma; e la lotta tra le specie strettamente imparentate non è provata che da cinque esempi, di cui l'uno almeno (concernente due specie di tordi) sembra ora da porsi in dubbio.34 Ma quando cerchiamo maggiori particolari per stabilire fino a qual punto il decrescere d'una specie è stata prodotta dall'accrescimento di un'altra specie, Darwin con la sua buona fede abituale, ci dice: «Noi possiamo vagamente intravedere il perchè la competizione debba essere più implacabile tra le specie le quali occupano quasi la stessa area nella natura; ma probabilmente in nessun caso potremmo dire esattamente, perchè una specie trionfi, anzichè un'altra, nella grande battaglia della vita».

Quanto al Wallace, che cita gli stessi fatti sotto un titolo leggermente modificato: «La lotta per la vita tra gli animali e le piante strettamente imparentati è spesso delle più aspre», fa l'osservazione seguente (i corsivi sono miei) che dà tutt'altro aspetto ai fatti qui sopra citati:

«In certi casi, senza dubbio, vi à la vera guerra tra le due specie, la più forte uccidendo la più debole, ma questo non è in nessun modo necessario, e vi possono essere dei casi nei quali la specie più debole fisicamente trionferà per il suo potere di riproduzione più rapida, per la sua maggiore resistenza ai mutamenti del clima, o per la sua più grande abilità nello sfuggire ai comuni nemici».

In tali casi ciò che vien chiamata competizione può non essere affatto una vera competizione. Una specie soccombe, non perchè sia sterminata, od affamata, da un'altra specie, ma perchè non s'adatta bene alle nuove condizioni, mentre l'altra vi si adatta. Di nuovo qui la espressione di «lotta per la vita» è impiegata in senso metaforico, e non può averne altro. In quanto ad una reale competizione tra individui della stessa specie, della quale si è dato esempio in un altro passo relativo ai bestiami dell'America del sud durante un periodo di siccità, il valore di quell'esempio è diminuito dal fatto che si tratta di animali domestici. In condizioni simili i bisonti emigrano allo scopo di evitare la lotta. Per quanto dura sia la lotta delle piante – e questo è abbondantemente provato – non possiamo che ripetere la osservazione del Wallace, il quale fa osservare che «le piante vivono dove possono», mentre gli animali ànno in larga misura la possibilità di scegliere la loro residenza. Cosicchè ci domandiamo di nuovo: fino a qual segno la competizione esiste realmente in ogni specie animale? Su che cosa viene basata questa opinione?

Occorre fare la stessa osservazione riferendoci all'argomento indiretto a favore di una implacabile competizione ed una lotta per la vita in seno ad ogni specie, argomento che è tratto «dallo sterminio delle varietà transitorie», rammentato così di frequente dal Darwin. Si sa che, per lungo tempo, egli fu tormentato dalla difficoltà che egli vedeva nell'assenza di una continuata catena di forme intermedie tra le specie prossime, e che egli trovò la soluzione di questa difficoltà nel presupposto sterminio di forme intermedie.35 Tuttavia un'attenta lettura dei differenti capitoli nei quali Darwin e Wallace parlano di tale soggetto, ci trae ben presto alla conclusione che non bisogna intendere «sterminio» nel senso proprio della parola; l'osservazione che fece Darwin sulla espressione «lotta per la vita» s'applica pure alla parola «sterminio». Non deve essere presa nel senso letterale, bensì dev'essere capita «nel senso metaforico».

Se partiamo dalla supposizione che un dato spazio è popolato da animali in così grande numero da non poterne contenere altri e che, di conseguenza, si manifesta un'aspra concorrenza tra tutti gli abitanti, essendo ogni animale costretto a combattere contro tutti i suoi congeneri per assicurarsi il cibo quotidiano, – allora l'apparizione di una nuova varietà trionfatrice significherebbe in molti casi (benchè non sempre) l'apparizione di individui capaci di appropriarsi più della loro porzione dei mezzi di sussistenza; ed il risultato sarebbe che questi individui trionferebbero per la fame, prima su la varietà primitiva che non possiede le nuove modificazioni e poi su le varietà intermedie che non le posseggono al medesimo grado. È possibile che da principio Darwin si sia rappresentato in questo modo l'apparizione di nuove varietà; almeno l'impiego frequente della parola «sterminio» dà questa impressione. Ma Darwin e Wallace conoscevano troppo bene la natura per non accorgersi che questo processo di cose non è il solo possibile, e che esso non è affatto necessario.

Se le condizioni fisiche e biologiche d'una data regione, l'estensione dell'area occupata da una specie, e le abitudini dei membri di questa specie restassero invariabili – in queste condizioni l'apparizione subitanea d'una nuova varietà potrebbe significare infatti l'annientamento per fame e l'esterminio di tutti gli individui non dotati in grado sufficente delle nuove qualità, caratteristiche della nuova varietà. Ma un tale concorso di circostanze è precisamente ciò che noi non vediamo nella natura. Ogni specie tende continuamente a estendere il suo territorio; le migrazioni verso nuovi dominî sono la regola, tanto presso la pigra lumaca, quanto presso il rapido uccello; le condizioni fisiche si trasformano incessantemente in ogni data regione; e le nuove varietà d'animali si formano in un gran numero di casi – forse nella maggioranza dei casi – non per lo sviluppo di nuove armi capaci di strappare il nutrimento ai loro simili – il nutrimento non è che una delle centinaia di varie condizioni necessarie alla vita, – ma, come lo stesso Wallace mostra in un attraente paragrafo sulla «divergenza dei caratteri» (Darwinism, pag. 107), queste differenti varietà si formano per l'adozione di nuove abitudini, lo spostamento verso nuove dimore e l'avvezzarsi a nuovi alimenti. In tali casi non vi sarà sterminio e neppure competizione, poichè il nuovo adattamento viene ad attenuare la competizione, se pur essa è mai esistita. Tuttavia vi sarà, dopo un certo tempo, assenza di forme intermedie, semplicemente per effetto della sopravvivenza dei meglio dotati alle nuove condizioni – e ciò sempre certamente nell'ipotesi dello sterminio della forma ancestrale. È appena necessario aggiungere che se ammettiamo, con Spencer, con tutti i Lamarckiani e con Darwin stesso, l'influsso moderatore degli ambienti sulle specie, diventa ancor meno necessario l'ammettere lo sterminio delle forme intermedie.

L'importanza della migrazione e dell'isolamento dei gruppi animali, che ne è la conseguenza, per l'evoluzione delle nuove varietà ed in seguito delle nuove specie, fu accennata da Moritz Wagner e pienamente riconosciuta dallo stesso Darwin. Le ricerche fatte dopo non ànno fatto che accentuare l'importanza di questo fattore, esse ànno mostrato come una grande estensione dell'area occupata da una specie – estensione che Darwin considerava con ragione come una condizione importante per l'apparizione di nuove varietà – può combinarsi con l'isolamento di certi gruppi, risultando da mutamenti geologici locali, o da ostacoli topografici. Qui è impossibile entrare nella discussione di questa importante questione, ma qualche osservazione potrà rilevare l'azione combinata di queste differenti cause. Si sa che dei gruppi di una data specie d'animali s'avvezzano spesso ad una nuova specie d'alimenti. Per esempio, gli scoiattoli, quando vi è carestia di pine nelle foreste di larici, si trasferiranno nelle foreste di abeti, ed il cambiamento di nutrizione à su di loro certi effetti fisiologici ben noti. Se questo mutamento di condizioni non dura, se l'anno seguente le pine si troveranno di nuovo in abbondanza nelle fitte foreste di larici, è evidente che nessuna nuova specie di scoiattoli sarà stata prodotta da questo fatto.

Ma se una parte del vasto spazio occupato da essi subisce un cambiamento di condizioni fisiche, se, per esempio, il clima diventa dolce o vi è una siccità locale (due cause che produrrebbero un accrescimento delle foreste di abeti rispetto alle foreste di larici), e se qualche altra circostanza viene a spingere gli scoiattoli a stabilirsi nel limite della regione inaridita, avremo allora una nuova varietà, vale a dire una specie novella principiante, senza che sia avvenuto niente che meritasse il nome di sterminio tra gli scoiattoli. Un accrescimento sempre più grande di scoiattoli della nuova varietà, meglio adatti alle circostanze, avverrebbe ogni anno e gli anelli intermedi della catena sparirebbero col passar del tempo, senza essere stati affamati da dei rivali malthusiani. È ciò precisamente che vediamo prodursi in conseguenza di grandi cambiamenti che avvengono nei vasti spazî dell'Asia centrale, e che risultano dalla progressiva siccità in queste regioni dopo il periodo glaciale.

Prendiamo un altro esempio. Dei geologi ànno dimostrato che l'attuale cavallo selvaggio (Equus Przewalski) è il prodotto di una tenta evoluzione che si è compiuta durante le epoche plioceniche e quaternarie, ma che durante questo periodo gli antenati del cavallo non furono confinati in limitato spazio del globo. Essi ànno fatto invece parecchie e lunghe migrazioni nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, ritornando, secondo ogni probabilità, dopo un certo tempo, ai pascoli che avevano precedentemente abbandonati.36 Di conseguenza, se non troviamo ora, in Asia, le catene intermedie tra il cavallo selvaggio attuale e i suoi antenati asiatici della fine dell'epoca terziaria, ciò non significa affatto che quegli anelli siano stati distrutti. Nessun sterminio di questo genere è mai avvenuto. Non si è neppure forse avuta una eccessiva mortalità tra le specie originarie; gli individui appartenenti alle specie e varietà intermedie sono morti in modo molto comune – spesso in mezzo a pascoli abbondanti ed i loro resti sono seppelliti nel mondo intero.

Insomma, se accuratamente esaminiamo questo soggetto e se rileggiamo attentamente ciò che Darwin stesso scrisse, vediamo, che se vogliamo impiegare la parola «sterminio» parlando delle varietà di transizione, occorrerà prenderla in senso metaforico. Quanto alla «competizione», anche questo termine continuamente è usato da Darwin (vedete, per esempio, il paragrafo «Sulla estinzione») in un senso figurato, come un modo di dire, piuttosto che con l'intenzione di dare un'idea d'una reale lotta tra due gruppi della stessa specie per i mezzi d'esistenza. Comunque sia, l'assenza di forme intermedie non è argomento che provi questa competizione.

In realtà il principale argomento in favore di un'aspra competizione, per i mezzi di sussistenza, succedutasi incessantemente in seno ad ogni specie animale, per servirmi della espressione del prof. Geddes, è «l'argomento aritmetico» preso a prestito dal Malthus. Ma questo argomento non è affatto sicuro. Potremmo pur esaminare un certo numero di villaggi nella Russia del sud-est, i cui abitanti godono di una reale abbondanza di nutrimento, ma non ànno nessuna organizzazione sanitaria; e, vedendo che durante gli ultimi ottant'anni, nonostante un tasso di nascite di sessanta per mille, la popolazione è restata stazionaria, si potrebbe concludere che tra gli abitanti ci sia stata una terribile competizione per la vita. Tuttavia la verità è che se di anno in anno la popolazione è rimasta la stessa, ciò è avvenuto per la semplice ragione che un terzo dei nuovi nati morì prima di aver raggiunto i sei mesi, la metà nei quattro anni successivi, e, su cento bambini soltanto diciassette o diciotto raggiunsero l'età di vent'anni. I nuovi venuti se ne andavano prima di raggiungere l'età in cui avrebbero potuto diventare dei concorrenti. È evidente che se tale è il corso delle cose fra gli uomini, deve essere ben peggio tra gli animali. Nel mondo degli uccelli la distruzione delle uova avviene in terribili proporzioni, a tal punto che le uova sono il principale nutrimento di diverse specie al principio dell'estate; e che cosa dire dei temporali, delle inondazioni che distruggono in America ed in Asia milioni di nidi, e dei subitanei cambiamenti di temperatura che uccidono in massa giovani mammiferi? Ogni uragano, ogni inondazione, ogni sbalzo della temperatura, ogni visita di topo ad un nido di uccelli, porta via questi concorrenti che sembrano, in teoria, così terribili.

Quanto ai fenomeni di moltiplicazione estremamente rapida di cavalli e di bestiame in America, di maiali e di conigli nella nuova Zelanda ed anche di animali selvaggi importati dall'Europa (in questa il loro accrescimento è limitato dall'uomo non dalla concorrenza), fatti che si citano per provare la sovrapopolazione, ci sembrano invece opposti a tale teoria. Se i cavalli ed il bestiame ànno potuto moltiplicarsi così rapidamente in America, ciò prova semplicemente che, nonostante il grande numero dei bisonti e di altri ruminanti che vi erano in altri tempi nel Nuovo Mondo, la popolazione erbivora era ancora al di sotto di quella che le praterie avrebbero potuto nutrire. Se milioni di nuovi venuti ànno trovato un nutrimento abbondante, senza perciò affamare la primitiva popolazione delle praterie, noi dobbiamo desumerne che gli Europei trovarono gli erbivori in troppo piccolo, non in troppo grande numero. E abbiamo buone ragioni per credere che la mancanza di popolazione animale sia lo stato naturale delle cose nel mondo intero, con pochissime eccezioni temporanee a questa regola. Infatti il numero degli animali in una data regione è determinato, non dalla maggiore quantità di nutrimento che questa regione può fornire, ma dai prodotti delle annate più cattive. Per questa ragione, la competizione non può essere una condizione normale; ma altre cause intervengono ancora per abbassare la popolazione animale anche al di sotto di questo livello. Se prendiamo i cavalli ed il bestiame che passano tutto l'inverno nelle steppe della Transbaicalia, li troviamo magri e sfiniti alla fine dell'inverno. Tuttavia sono sfiniti non per insufficienza di nutrimento – l'erba seppellita sotto un lieve strato di neve c'è dappertutto abbondante – bensì a causa della difficoltà di raggiungere l'erba sotto la neve, e questa difficoltà è la stessa per tutti i cavalli. Per giunta i giorni di nevischio sono frequenti al principio della primavera, e se sopravviene una serie di questi giorni i cavalli si spossano sempre più. Poi si scatena una tempesta di neve che obbliga gli animali già sfiniti a privarsi di cibo per parecchi giorni ed allora muoiono in gran numero. Le perdite durante la primavera sono così enormi che, se la stagione è stata più cruda del solito, queste perdite non sono neppure coperte dalle nuove nascite, e, dato lo spossamento di tutti i cavalli, i giovani puledri nascono deboli. In questo modo il numero dei cavalli e del bestiame rimane sempre al di sotto di quello che potrebbe essere. Tutto l'anno vi è dell'alimento per un numero di animali cinque o dieci volte superiore, e tuttavia il loro numero non cresce che molto lentamente. Ma per poco che il proprietario faccia provvista di fieno, per quanto piccola sia, e ne distribuisca agli animali durante i giorni di nevischio, o di neve troppo abbondante, constata l'accrescimento del suo gregge.

Quasi tutti gli erbivori allo stato libero e molti dei roditori nell'Asia e nell'America essendo in simili condizioni, possiamo dire con certezza che il loro numero non è limitato dalla competizione, e che in nessuna epoca dell'anno ànno da lottare gli uni contro gli altri per il nutrimento, e che se restano molto lontano dalla superpopolazione, è il clima, non la competizione che ne è la causa.

L'importanza degli ostacoli naturali alla superpopolazione e la maniera con la quale essi infirmano l'ipotesi della competizione per la vita, ci sembra non siano state mai prese in sufficiente considerazione. Gli ostacoli, o piuttosto alcuni di essi, sono nominati, ma raramente viene studiata in particolare l'azione loro. Tuttavia se consideriamo gli effetti della competizione e gli effetti delle riduzioni naturali, dobbiamo subito riconoscere che questi ultimi sono molto più importanti. Così, Bates rileva il numero veramente spaventoso delle formiche alate che sono distrutte durante il loro esodo. I corpi morti o mezzo morti delle «formica de fuego» (Myrmica soevissima) che erano stati portati sul fiume durante la tempesta «erano ammucchiati in una colonna d'un pollice o due di altezza e di larghezza, colonna che continuava senza interruzione su parecchi chilometri lungo la riva».37 Delle miriadi di formiche sono così distrutte in mezzo ad una ricca natura che potrebbe nutrirne cento volte di più che non ne nutra attualmente. Il Dr. Altum, un naturalista tedesco che à scritto un libro interessantissimo sugli animali nocivi delle nostre foreste, riferisce molti fatti dimostranti l'immensa importanza degli ostacoli naturali. Dice che in conseguenza della tempesta o del tempo freddo ed umido durante l'esodo dei bombici del pino (Bombyx pini) furono distrutti in quantità incredibile, e nella primavera del 1871 tutti i bombici disparvero d'improvviso, probabilmente uccisi da un seguito di notti fredde.38

Molti altri esempi simili, relativi agli insetti, potrebbero essere citati. Il Dr. Altum cita anche gli uccelli nemici del bombice del pino e l'immensa quantità di uova di questa farfalla distrutte dalle volpi; ma aggiunge che i funghi parassiti che le infettano periodicamente sono dei nemici molto più temibili di qualsiasi uccello perchè distruggono i bombici su grandi spazi tutto in una volta.

Quanto a certe specie di topi (Mus sylvaticus, Arvicola arvalis e A. agrestis), lo stesso autore dà una lunga lista dei loro nemici, ma vi aggiugne questa osservazione: «Tuttavia i più terribili nemici dei topi non sono altri animali, bensì i bruschi mutamenti del tempo, quali avvengono quasi ogni anno». Le alternative dei geli e del calore li distruggono in innumerevole quantità; «un solo cambiamento brusco di temperatura può ridurre migliaia di topi ad alcuni individui». Un inverno caldo, od un inverno che viene gradatamente, li fa moltiplicare in proporzioni minacciose, a dispetto di qualsiasi nemico; tale fu il caso nel 1876 e nel 1877;39 così la competizione, nel caso dei topi, sembra un fattore di ben lieve importanza in paragone della temperatura. Dei fatti analoghi sono stati osservati per gli scoiattoli.

In quanto agli uccelli, si sa quanto soffrano per i bruschi cambiamenti di tempo. Le tempeste tardive di neve sono distruggitrici di uccelli tanto nelle lande inglesi che nella Siberia; e Ch. Dixon à visto i tetras così provati, durante certi inverni eccezionalmente rigidi, abbandonare le loro lande in gran numero; «è accertato che ne sono stati presi fino nelle strade di Sheffield. Le piogge persistenti sono loro quasi altrettanto fatali».

Le malattie contagiose, che colpiscono continuamente la maggioranza delle specie animali, le distruggono in tal numero che le perdite non possono essere riparate, durante parecchi anni, neppure tra gli animali che si riproducono più rapidamente. Così, circa sessant'anni fa, i souslicks disparvero improvvisamente nella regione della Sarepta, nella Russia del sud-est, a causa di qualche epidemia; e durante lungo tempo non si vide più nessun souslick in questa regione. Occorsero molti anni per tornare numerosi come erano prima.40

Dei fatti simili, tendenti tutti a menomare la importanza che si è data alla competizione, potrebbero essere citati in gran numero.41 Certo si potrebbe replicare, citando queste parole di Darwin, che tuttavia ciascun essere organizzato, «in qualche periodo della sua vita, durante qualche stagione dell'anno, in ogni generazione, o ad intervalli, à da lottare per la propria vita e deve subire grandi perdite»; ed i meglio dotati sopravvivono durante questi periodi di aspra lotta per la vita. Ma se l'evoluzione del mondo animale fosse fondata esclusivamente, od anche principalmente, sulla sopravvivenza dei meglio dotati durante i periodi di calamità; se la selezione naturale fosse limitata nella sua azione da periodi eccezionali di siccità o da improvvisi cambiamenti di temperatura o dalle inondazioni, la decadenza sarebbe la regola nel mondo animale. Coloro che sopravvivono ad una carestia, o ad una violenta epidemia di colera o di vaiolo spurio, o di difterite, quali noi li vediamo nei paesi non civilizzati, non sono nè i più forti, nè i più sani, nè i più intelligenti. Nessun progresso potrebbe essere basato su questa sopravvivenza tanto più che tutti i sopravvissuti escono abitualmente dalla prova con la salute indebolita, come, per esempio, quei cavalli della Transbaikalia che abbiamo testè ricordati, o gli equipaggi delle spedizioni artiche, o la guarnigione di una fortezza che, dopo aver vissuto per parecchi mesi a mezza razione, esce da questa prova con la salute rovinata, presentando in seguito una mortalità anormale. Tutto quello che la selezione naturale può fare durante le epoche calamitose, è di risparmiare gli individui dotati della più grande resistenza per qualsiasi specie di privazioni. Altrettanto è dei cavalli e del bestiame siberiani. Essi sono resistenti; possono in caso di necessità nutrirsi della betulla polare; resistono al freddo ed alla fame. Ma un cavallo siberiano non può portare la metà del peso che un cavallo europeo porta facilmente; una vacca siberiana non dà metà del latte di una vacca di Jersey, e gli indigeni dei paesi non civilizzati non potrebbero venir paragonati agli Europei. Essi tollerano di più il freddo e la fame, ma la loro forza fisica è inferiore a quella di un Europeo ben nutrito, ed i loro progressi intellettuali sono discretamente lenti. «Il male non può produrre il bene», come efficacemente dice Tchernychevsky in un notevole saggio sul Darwinismo.42

Molto fortunatamente la competizione non è la regola nel mondo animale nè nel genere umano. Essa è ristretta negli animali a periodi eccezionali, e la selezione naturale trova molte migliori occasioni per operare. Delle condizioni migliori sono create dalla eliminazione della concorrenza per mezzo del reciproco aiuto e del mutuo appoggio.43

Nella grande lotta per la vita – per la più grande pienezza e per la più grande intensità di vita, con la minore perdita di energia – la selezione naturale cerca sempre i mezzi di evitare la competizione quanto è possibile. Le formiche si uniscono in gruppi ed in colonie; esse accumulano delle provviste, allevano il loro bestiame; evitano così la competizione: e la selezione naturale sceglie tra le formiche le specie che sanno meglio evitare le competizioni con le loro conseguenze necessariamente perniciose. La maggior parte dei nostri uccelli si ritira lentamente verso il sud quando viene l'inverno, o si riunisce in innumerevoli società, ed intraprende lunghi viaggi, evitando così la competizione. Molti roditori cadono in letargo quando viene l'epoca nella quale comincerebbe la competizione, mentre altri roditori raccolgono del nutrimento per l'inverno e si riuniscono in grandi villaggi per assicurarsi la necessaria protezione al loro lavoro.

La renna emigra verso il mare quando i licheni sono troppo secchi nell'interno. I bisonti attraversano immensi continenti allo scopo di trovare nutrimento in abbondanza. I castori, quando diventano troppo numerosi sopra un fiume, si dividono in due branchi e si separano; i vecchi discendono il fiume ed i giovani lo risalgono – ed evitano la concorrenza. E quando gli animali non possono, nè addormentarsi, nè emigrare, nè ammassare provvigioni, nè allevare essi stessi quelli che li nutrono, come le formiche allevano gli afidi, fanno come quelle cincie, che Wallace (Darwinism, cap. V), à descritto in modo così attraente; esse ricorrono a nuove specie di nutrimento – e così ancora evitano la competizione (vedere la nostra Appendice VI).

«Niente competizione! La competizione è sempre nociva alla specie e vi sono numerosi mezzi per evitarla!». Tale è la tendenza della natura, non sempre pienamente realizzata, ma sempre presente. Essa è la parola d'ordine che ci danno il cespuglio, la foresta, il fiume, l'oceano. «Unitevi! Praticate il mutuo appoggio! Esso è il mezzo più sicuro per dare a ciascuno ed a tutti la maggiore sicurezza, la migliore garanzia di esistenza e di progresso fisico, intellettuale e morale ». Ecco ciò che la Natura ci insegna; ed è quanto fanno quegli animali che ànno raggiunto la più alta posizione nelle loro rispettive classi. È pure ciò che l'uomo, l'uomo primitivo, à fatto; ed è per questo che l'uomo à potuto raggiungere la posizione che occupa ora, come stiamo per vedere, nei seguenti capitoli, consacrati al mutuo appoggio nelle umane società.

1 Fenomeni periodici, di Sieverstoff (in russo), pag. 251.

2 Seyfferlitz, citato da Brehm, IV, 760.

3 The Arctic Voyages di A. E. Nordenskjold, Londres, 1879, pag. 135. Vedere anche l'eccellente descrizione delle isole Saint-Kilda di M. Dixon (citato da Seebohm), così come in quasi tutti i libri di viaggi nelle regioni artiche.

4 Vedi Appendice, III.

5 Elliot Couës nel Bulletin U. S. Geol. Survey of Territories, IV, num. 7, pag. 556, 579, ecc. Tra i gabbiani (larus argentatus) Poliakoff vide, in una palude della Russia del nord, che la regione dei nidi di un gran numero di quegli uccelli era sempre sorvegliata da un maschio il quale avvertiva la colonia all'avvicinarsi di un pericolo. In questo caso tutti gli uccelli accorrevano ed assalivano il nemico con gran vigore. Le femmine che avevano cinque o sei nidi su ciascuno dei poggetti della palude osservavano un certo ordine nell'abbandonare i nidi e andare a cercare il cibo. I giovani uccelli che da soli sono assolutamente incapaci di difesa e diventano facile preda dei rapaci non erano mai lasciati soli. (Abitudini di famiglia tra gli uccelli acquatici, nei Processi verbali della Sezione di Zoologia della Società dei naturalisti di Pietroburgo, 17 dicembre, 1874).

6 Brehm, padre, citato da A. Brehm, IV. 34 e seg. Vedere anche White; Natural History of Selborne, Lettera XI.

7 Dr. Couës, Oiseaux du Dakota et du Montana nel «Bulletin of the U. S. Survey of the Territories», IV, num. 7.

8 Si è detto più volte che i più grossi uccelli trasportano qualche volta alcuni dei più piccoli quando attraversano insieme il Mediterraneo, ma il fatto rimane dubbio. D'altra parte è certo che i piccoli uccelli si uniscono ai più grossi per le migrazioni; il fatto è stato notato più volte ed è stato recentemente confermato da L. Buxbaum a Raunheim. Egli vide diversi stormi di gru con allodole che volavano nel mezzo e sui fianchi delle loro colonne di migrazione (Der zoologische Garten, 1886, pag. 133).

9 H. Seebohm e Ch. Dixon ricordano questa abitudine.

10 Il fatto è notissimo a tutti i naturalisti esploratori, e per quanto riguarda l'Inghilterra si trovano molti esempi nel libro di Ch. Dixon, Among the Bird in Northern Shires. I fringuelli arrivano durante l'inverno in grandi stormi, e press'a poco contemporaneamente, vale a dire in novembre, arrivano degli stormi di fringuelli dalle montagne; i tordi sasselli frequentano gli stessi luoghi «in grandi compagnie simili», e così di seguito (pag. 165-166).

11 S. W. Baker, Wild Beasts, ecc., vol. I, pag. 316.

12 Tschudi, Thierleben der Alpenwelt, p. 404.

13 Houzeau, Ètudes, II, p. 463.

14 A proposito delle loro associazioni per la caccia, vedi Natural History of Ceylon di E. Tennant, citato nel Animal Intelligence del Romanes, p. 432.

15 Vedi la lettera di E. Huter nel Liebe di Büchner.

16 Per ciò che riguarda il roditore è interessante il notare che questi piccoli animali, eminentemente socievoli, non soltanto vivono pacificamente insieme in ciascun villaggio, ma durante la notte villaggi interi si scambiano visite reciprocamente. Così la socievolezza si estende a tutta l'intera specie, non solamente ad una società speciale, o ad una colonia come abbiamo veduto presso le formiche. Quando un fittavolo distrugge una tana di roditori, ci dice l'Hudson, essi vengono di lontano per dissotterrare quelli che sono sotterrati vivi», loc. cit., pag. 331. Questo è un fatto molto noto nella regione di La Plata ed è stato controllato dall'autore.

17 Handbuch fur Jäger und Jegdberechtigte, cit. da Brehm, n, 223.

18 Histoire naturelle del Buffon.

19 A proposito di cavalli, è da rilevare che la zebra couagga che non si unisce mai alla zebra dauw vive tuttavia in eccellenti relazioni, non solamente con gli struzzi, che sono ottime sentinelle, ma anche con le gazzelle e così pure con varie specie di antilopi e con i gnous. Abbiamo dunque un caso di antipatia fra il couagga e il dauw che non può spiegarsi con la loro competizione per lo stesso cibo. Il fatto che il couagga vive in buone relazioni con dei ruminanti che si nutrono della stessa erba esclude quest'ipotesi; deve esservi qualche incompatibilità di carattere, come nel caso della lepre e del coniglio. Cfr. tra altri, Big Game Shooting di Clive Phillips-Wolley (Badmington Library) che contiene ottimi esempi di specie differenti viventi insieme nell'est dell'Africa.

20 Il nostro cacciatore Tounguso, che stava per ammogliarsi, e che di conseguenza era spinto dal desiderio di procurarsi tante pellicce quanto più fosse possibile, percorreva i fianchi delle colline intere giornate alla ricerca dei caprioli. In compenso alle sue fatiche non arrivava neppure ad ucciderne uno per giorno; ed era un valente cacciatore.

21 Secondo Samuele W. Baker gli elefanti si uniscono in gruppi più numerosi delle «famiglie composte». «Ho frequentemente osservato, egli scrive, nella regione di Ceylan, conosciuta sotto il nome di Regione del Parco, delle tracce di elefanti in gran numero provenienti evidentemente da branchi considerevoli che s'erano uniti per compiere una generale ritirata da un territorio che essi consideravano pericoloso». (Wild Beasts and their Ways, vol. I, p. 102).

22 I maiali assaliti dai lupi fanno altrettanto. (Hudson, op. cit.).

23 L'intelligence des animaux del Romanes, pag. 472.

24 Brehm, I, 82; Origine dell'uomo di Darwin, cap. III. La spedizione di Kozloff del 1899-1901 ebbe da sostenere un combattimento simile nel nord del Tibet.

25 Appare molto strano leggere in un articolo, già citato, di Huxley la parafrasi seguente di una ben nota frase del Rousseau: «I primi uomini che sostituirono la pace reciproca alla guerra reciproca, qualunque sia stato il motivo che li costrinse a compiere questo progresso – crearono la società» (Nineteenth Century, febbraio 1888, pag. 165). La società non è stata creata dall'uomo, essa è anteriore all'uomo.

26 Delle monografie come il capitolo su «La musica e la danza nella natura» nel libro di Hudson: Naturalist on the Plata, e l'opera di Carl Gross: Les jeux des animaux ànno di già gettato una viva luce su questo istinto che è assolutamente universale nella natura.

27 Non solo delle numerose specie di uccelli ànno l'abitudine di riunirsi (spesso in un luogo determinato) per divertirsi e per danzare, ma secondo le osservazioni di W. H. Hudson, tutti i mammiferi e gli uccelli (non vi sono probabilmente delle eccezioni) si abbandonano frequentemente a serie di ricreazioni, canti, danze ed esercizi più o meno organizzati ed accompagnati da rumori e da canti (pag. 264).

28 Per i cori delle scimmie vedere Brehm.

29 Haygarth, Bush Life in Australia, pag. 58.

30 Per non citare che qualche esempio: un tasso ferito fu trasportato da un altro subito accorso; si sono visti dei topi nutrire una coppia di topi ciechi (Seelenleben der Thiere, pag. 64 e seguenti). Brehm vide egli stesso due cornacchie, le quali nutrivano nel cavo di un albero una terza cornacchia ferita; la ferita datava già da parecchie settimane (Hausfreund, 1874, 715; Liebe, del Büchner, 203). M. Blyth à veduto delle cornacchie dell'India nutrire due o tre loro compagne cieche, ecc.

31 Man and Beast, pag. 344.

32 L. H. Morgan, The American Beaver, 1868, p. 272; Origine dell'Uomo, cap. IV.

33 Darwin à tratto l'idea della selezione naturale dalla lettura del Saggio sulla popolazione del Malthus. Lo narra egli stesso: «Con lo spirito così disposto, egli scrive, ò avuto la fortuna di leggere il Saggio sulla popolazione di Malthus; immediatamente l'idea della selezione naturale mediante la lotta per l'esistenza s'è presentata al mio spirito».

34 Una specie di rondini è accusata di aver determinato il decrescimento d'un'altra specie di rondini dell'America del Nord; il recente accrescimento dei grossi tordi (muissel-thrush) nella Scozia à causato la decrescenza del tordo cantore (song-thrush); il topo bruno à rimpiazzato il topo nero in Europa; in Russia la piccola piattola à scacciato ovunque il suo grande congenere; ed in Australia l'ape sciamatrice, che vi è stata importata, stermina rapidamente la piccola ape senza pungiglione. Due altri casi, ma che sono relativi ad animali domestici, sono citati nel precedente paragrafo. Ma A. R. Wallace, che richiama gli stessi fatti, rileva in una nota sopra i tordi della Scozia: «Tuttavia il prof. A. Newton m'informa che queste specie non si nocciono nel modo qui raccontato». (Darwinism, pag. 34). Quanto al topo bruno si sa che in conseguenza delle sue abitudini di anfibio, resta di solito nelle parti basse delle nostre abitazioni (cantine, fogne, ecc.), come pure sulle rive dei canali e dei fiumi; esso intraprende anche lunghe emigrazioni in branchi innumerevoli. Il topo nero preferisce invece restare nelle nostre stesse case, sotto i soffitti e nelle scuderie o nei granai. Così è molto più esposto ad essere sterminato dall'uomo, ed è per questo che non si à il diritto di affermare che il topo nero vien sterminato, od affamato, dal topo bruno, e non dall'uomo.

35 «Ma si può affermare che quando parecchie specie prossime parenti abitano lo stesso territorio, dovremmo trovare senza dubbio oggidì molte forme di transizione. Secondo la mia teoria queste specie parenti discendono da un antenato comune, e durante il corso delle modificazioni, ciascuna s'è adattata alle condizioni di vita della propria regione ed à soppiantato e sterminato le varietà primitive e così pure tutte le varietà transitorie tra il suo stato passato e presente». (Sulla Origine delle Specie, capitolo sesto, e tutto il paragrafo «Su l'estinzione»).

36 Secondo la signora Maria Pavloff, la quale à fatto uno studio speciale sul soggetto, essi emigrano dall'Asia in Africa, vi restano un certo tempo e ritornano poi in Asia. Che questa doppia migrazione sia o no confermata, il fatto che gli antenati del nostro cavallo domestico siano vissuti in Asia, in Africa ed in America è stabilito in modo irrefutabile.

37 The naturalist on the River Amazons, II, 85-95.

38 Dr. B. Altum, Waldbeschädigungen durch Thiere und Gegenmittel (Berlin, 1889), pag. 207 e seg.

39 Dr. B. Altum, stessa opera, pag. 13 e pag., 187.

40 A. Becker, nel Bollettino della Società dei Naturalisti di Mosca, 1889, pag. 625.

41 V. Appendice V.

42 Russkaya Mysl, sept. 1888: «La teoria del beneficio della lotta per la vita, prefazione a diversi trattati sulla botanica, la zoologia e la vita umana», di Un Vecchio Trasformista.

43 «Uno dei più frequenti modi d'azione della selezione naturale è l'adattamento di alcuni individui d'una data specie ad un modo di vivere un poco differente, il che li rende capaci di occupare un nuovo posto nella natura», (Origine delle Specie, cap. IV).