CAPITOLO I.

IL MUTUO APPOGGIO NEGLI ANIMALI

La lotta per l'esistenza. – Il mutuo appoggio, legge della natura e principale fattore dell'evoluzione progressiva. – Invertebrati. – Formiche ed Api. – Uccelli: associazioni per la caccia e per la pesca. – Socievolezza. – Protezione reciproca fra i piccoli uccelli. – Gru; pappagalli.

Il concetto della lotta per l'esistenza come fattore dell'evoluzione, introdotto nella scienza da Darwin e dal Wallace, ci à messi in grado di abbracciare un vasto insieme di fenomeni in una sola categoria, che divenne ben presto la base stessa delle nostre speculazioni filosofiche, biologiche e sociologiche. Un'immensa varietà di fatti: adattamenti, di funzione e di struttura, degli esseri organizzati al loro ambiente; evoluzione fisiologica ed anatomica; progresso intellettuale ed anche sviluppo morale, che noi spiegavamo una volta con tante altre cause diverse, furono riuniti da Darwin in un'unica concezione generale. Egli vi riconobbe uno sforzo continuo, una lotta contro le circostanze sfavorevoli, per lo sviluppo degli individui, delle razze, delle specie e delle società, tendente al massimo della pienezza, della varietà e dell'intensità di vita. Può darsi che, da principio, lo stesso Darwin non si rendesse perfettamente conto dell'importanza generale del fattore che egli allegò a bella prima per spiegare una sola serie di fatti, relativi alla somma delle variazioni individuali all'origine di una specie. Ma egli prevedeva che il termine che introduceva nella scienza avrebbe perso il suo significato filosofico, il solo vero, se fosse stato impiegato esclusivamente nel suo stretto senso – quello di una lotta fra individui isolati, per la semplice conservazione della propria esistenza. Nei primi capitoli della sua opera memorabile, egli insisteva già perchè il termine fosse preso nel «senso largo e metaforico, comprendente la dipendenza degli esseri fra di loro, e comprendente inoltre (ciò che è più importante) non soltanto la vita dell'individuo ma anche il successo della sua discendenza» (Origine delle specie, cap. III).

Benchè egli stesso, per i bisogni della sua tesi speciale, abbia impiegato principalmente il termine nel suo senso stretto, à messo in guardia i suoi continuatori contro l'errore (che pare abbia commesso una volta anche lui) di esagerare la portata di questo ristretto significato. Nella Origine dell'uomo à scritto alcune pagine potenti per spiegare il senso proprio, quello largo. Vi rileva come, nelle innumerevoli società animali, la lotta per l'esistenza fra gli individui isolati sparisca, come la lotta sia sostituita dalla cooperazione, e come questa sostituzione metta capo allo sviluppo delle facoltà intellettuali e morali che assicurano alla specie le migliori condizioni di sopravvivenza. Dichiara che, in tal caso, i più atti non sono i più forti fisicamente, nè i più scaltri, ma coloro che imparano ad unirsi in modo di sostenersi reciprocamente, tanto i forti quanto i deboli, per la prosperità della comunità. «Le comunità, egli scrive, che racchiudono il più gran numero di membri più simpatici gli uni agli altri, prosperano meglio e allevano il più gran numero di rampolli» (2a ed. ingl., pag. 163). L'idea della concorrenza di ciascuno contro tutti, sorta dalla ristretta concezione malthusiana, perdeva così la sua ristrettezza nello spirito di un osservatore che conosceva la natura.

Disgraziatamente, questi rilievi, che avrebbero potuto divenire base di ricerche molto feconde, erano tenuti nell'ombra dal cumulo di fatti che Darwin aveva riuniti col proposito di dimostrare le conseguenze di una reale competizione per la vita. Inoltre, egli non provò mai a sottomettere ad una più rigorosa indagine l'importanza relativa dei due aspetti sotto i quali si presenta la lotta per l'esistenza nel mondo animale, e non à mai scritto l'opera, che si proponeva di scrivere, sugli ostacoli naturali alla sovrariproduzione animale, opera che sarebbe stata la pietra di paragone dell'esatto valore della lotta individuale. Molto più, nelle pagine stesse delle quali abbiamo parlato testè, fra i fatti confutanti la ristretta concezione malthusiana della lotta, il vecchio spirito malthusiano riappare, per esempio, nelle osservazioni di Darwin sui pretesi inconvenienti che presenterebbe il mantenere «i deboli di spirito e di corpo» nelle nostre società civili (cap. V). Come se le migliaia di poeti, di sapienti, di inventori, di riformatori, deboli di corpo od infermi, e così pure le altre migliaia dei così detti «pazzi» o «entusiasti, deboli di spirito» non fossero fra le armi più preziose delle quali l'umanità à fatto uso nella sua lotta per l'esistenza – armi intellettuali e morali, come lo stesso Darwin à dimostrato in quegli stessi capitoli de La Origine dell'Uomo.1

La teoria di Darwin ebbe la sorte di tutte le teorie che trattano dei rapporti umani. Invece di svilupparla secondo gli indirizzi a lei propri, i suoi continuatori la restrinsero vieppiù. E mentre Herbert Spencer, partendo da osservazioni indipendenti, ma molto analoghe, tentava allargare la discussione mettendo innanzi questo grande problema: «Quali sono i più adatti?» (in modo particolare nell'appendice della 3a ed. dei Principî di Etica), gli innumerevoli continuatori di Darwin riducevano la nozione della lotta per l'esistenza al suo più ristretto significato. Essi giunsero a concepire il mondo animale come un mondo di eterna lotta fra individui affamati, assetati di sangue. E fecero risonare la letteratura moderna del grido di guerra Guai ai vinti,2 come se fosse quella l'ultima parola della biologia moderna. E, per degli interessi personali, elevarono la «lotta senza pietà» all'altezza di un principio biologico, al quale l'uomo deve sottomettersi sotto pena di soccombere in un mondo fondato sul reciproco sterminio.

Lasciando da parte gli economisti, che non sanno delle scienze naturali che qualche parola presa a prestito dai volgarizzatori di seconda mano, bisogna che riconosciamo che anche i più autorevoli interpreti di Darwin fecero del loro meglio per mantenere queste idee false. Infatti, se prendiamo Huxley, che è considerato come uno dei migliori interpreti della teoria dell'evoluzione, ci insegna, nel suo articolo «Struggle for Existence and its Bearing upon Man», che: «giudicato dal punto di vista morale, il mondo animale è presso a poco al livello di un combattimento di gladiatori. Le creature sono trattate molto bene e mandate al combattimento; nel quale le più forti, le più vivaci e le più astute sopravvivono per combattere un altro giorno. Lo spettatore non à nemmeno da abbassare il pollice, perchè non è dato alcun quartiere».

E, più avanti, nello stesso articolo, ci dice che, come fra gli animali, anche fra gli uomini primitivi, «i più deboli e i più stupidi erano schiacciati, mentre sopravvivevano i più resistenti e i più astuti, coloro che erano i più adatti a trionfare delle circostanze, ma non i migliori sotto altri rapporti. La vita era una perpetua lotta aperta, e, a parte i legami familiari, limitati e temporanei, la guerra di ciascuno contro tutti, della quale parla Hobbes, era lo stato normale dell'esistenza». (Nineteenth Century, febbr. 1888, pag. 165)».

Il lettore vedrà dai dati che gli saranno presentati nel resto di quest'opera, a qual punto questo modo di vedere la natura sia poco confermato dai fatti, in ciò che riguarda il mondo animale e l'uomo primitivo. Ma possiamo notare fin d'ora che il modo di vedere di Huxley aveva così poco diritto ad essere considerato come una conclusione scientifica, quanto la teoria contraria del Rousseau che non vedeva nella natura che amore, pace ed armonia, distrutti dall'avvento dell'uomo.

Basta, del resto, una passeggiata nella foresta, uno sguardo gettato su una qualsiasi società animale, od anche la lettura di una qualsiasi opera seria che tratti della vita animale (d'Orbigny, Audubon, Le Vaillant, o di chiunque altro), per portare il naturalista a tener conto del posto che occupa la sociabilità nella vita degli animali, per impedirgli, sia di non vedere nella natura che un campo di strage, sia per non scoprirvi che pace ed armonia. Se Rousseau à commesso l'errore di sopprimere dalla sua concezione la lotta «col becco e con le unghie», Huxley à commesso l'errore opposto; ma nè l'ottimismo del Rousseau, nè il pessimismo di Huxley possono essere accettati come un'imparziale interpretazione della natura.

Quando studiamo gli animali, non soltanto nei laboratori e nei musei, ma nelle foreste e nelle praterie, nelle steppe e su le montagne, ci accorgiamo subito che, benchè vi sia nella natura una somma enorme di guerra fra le specie diverse, e sopra tutto fra le differenti classi di animali, vi è altrettanto, o fors'anche più, del mutuo sostegno, dell'aiuto reciproco e della mutua difesa tra gli animali appartenenti alla medesima specie o, almeno, alla stessa società. La sociabilità è una legge della natura tanto quanto la lotta tra simili. Sarebbe senza dubbio molto difficile valutare, anche approssimativamente, la importanza numerica relativa a queste due serie di fatti. Ma se ci appelliamo ad una testimonianza indiretta, e domandiamo alla natura: «Quali sono i più atti: coloro che sono continuamente in lotta tra loro, o coloro che si aiutano l'un l'altro?» vediamo che i più atti sono, senza dubbio, gli animali che ànno acquisito delle abitudini di solidarietà. Essi ànno maggiori probabilità di sopravvivere, e raggiungono, nelle loro rispettive classi, il più alto sviluppo di intelligenza e di organizzazione fisica. Se gl'innumerevoli fatti che possono esser citati per sostenere questa tesi sono presi in considerazione, possiamo dire con certezza che il mutuo appoggio è tanto una legge della vita animale quanto lo è la lotta reciproca, ma che, come fattore dell'evoluzione, la prima à probabilmente un'importanza molto maggiore, in quanto favorisce lo sviluppo delle abitudini e dei caratteri eminentemente atti ad assicurare la conservazione e lo sviluppo della specie; essa procura inoltre, con minor perdita di energia, una maggiore somma di benessere e di felicità a ciascun individuo.

Di tutti i continuatori di Darwin, il primo, per quanto so, che comprese l'importanza del mutuo appoggio in quanto legge della natura e principale fattore dell'evoluzione progressiva, fu uno zoologo russo ben noto: il decano dell'Università di Pietrogrado, il prof. Kessler. Egli sviluppò le proprie idee in un discorso pronunciato nel gennaio 1880, qualche mese prima della sua morte, davanti un congresso di naturalisti russi; ma, come tante altre buone cose pubblicate solo in russo, questa notevole allocuzione rimase quasi sconosciuta.3

«Nella sua qualità di vecchio zoologo», egli ritenne doveroso protestare contro l'abuso dell'espressione – la lotta per l'esistenza – applicata alla zoologia, o, almeno, contro l'esagerata importanza che viene attribuita a quell'espressione. In zoologia, diceva, e in tutte le scienze che trattano dell'uomo, si insiste incessantemente su quella che viene chiamata la legge spietata della lotta per la vita. Ma si dimentica l'esistenza di un'altra legge, che può esser detta legge del mutuo appoggio, e questa legge, almeno per quanto riguarda gli animali, è molto più importante della prima. Egli faceva notare che il bisogno di allevare la propria prole riunisce gli animali, e che «più gl'individui s'uniscono, più si sostengono reciprocamente, e più grandi sono, per la specie, le possibilità di sopravvivenza e di progresso nello sviluppo intellettuale». «Tutte le classi di animali – aggiungeva – e sopra tutte le più elevate, praticano l'aiuto reciproco», ed egli forniva, in appoggio alla sua idea, degli esempi tolti dalla vita dei necrofori e dalla vita in comune degli uccelli e di alcuni mammiferi. Gli esempi erano poco numerosi, come conviene ad una prolusione, ma i punti principali erano chiaramente fissati; e, dopo aver indicato che nell'evoluzione dell'umanità l'aiuto reciproco à una funzione ancora più importante, Kessler concludeva in questi termini: «Certo, non nego la lotta per l'esistenza, ma sostengo che lo sviluppo progressivo del regno animale, e particolarmente dell'umanità, è favorito molto più dal mutuo appoggio che dalla lotta reciproca... Tutti gli esseri organizzati ànno due essenziali bisogni: quello della nutrizione e quello della propagazione della specie. Il primo conduce alla lotta e allo sterminio reciproco, mentre che il bisogno di conservare la specie li spinge ad avvicinarsi gli uni agli altri e a sostenersi reciprocamente. Ma sono portato a credere che nell'evoluzione del mondo organico – nella modificazione progressiva degli esseri organici – il mutuo aiuto fra gli individui abbia una funzione ben più importante della lotta reciproca».4

La giustezza di queste vedute colpì la maggior parte degli zoologi presenti, e Siévertsoff, il cui nome è ben noto agli ornitologi e ai geografi, le confermò e le convalidò con qualche nuovo esempio. Egli citò certe specie di falchi, che praticano il mutuo appoggio. «D'altra parte – egli disse – considerate un uccello socievole, l'anitra; il suo organismo è lontano dall'essere perfetto, ma egli pratica il mutuo appoggio, ed invade quasi tutta la terra, come se ne può giudicare dalle innumerevoli varietà e specie».

L'accoglienza benevola che le vedute del Kessler ebbero da parte degli zoologi russi era molto naturale, poichè quasi tutti avevano avuto l'occasione di studiare il mondo animale nelle grandi regioni disabitate dell'Asia settentrionale e della Russia orientale; ora è impossibile studiare simili regioni senza esser condotti alle stesse idee.

Mi ricordo l'impressione che mi diede il mondo animale della Siberia quando esplorai la regione del Vitim, in compagnia di quel compiuto zoologo, che era il mio amico Poliakoff. Eravamo tutti e due sotto la recente impressione dell'Origine delle specie, ma cercammo invano delle prove dell'aspra concorrenza tra gli animali della stessa specie che la lettura dell'opera di Darwin ci aveva preparato a trovare, anche tenendo conto delle osservazioni del terzo capitolo (ed. inglese, pag. 54). Constatavamo una certa quantità di adattamenti per la lotta – molto spesso per la lotta in comune – contro le avverse circostanze del clima, o contro svariati nemici; e Poliakoff scrisse diverse ed eccellenti pagine sulla reciproca dipendenza dei carnivori, dei ruminanti e dei roditori, in ciò che concerne la loro distribuzione geografica. Constatai, d'altra parte, un gran numero di fatti di aiuto reciproco, specialmente durante le migrazioni di uccelli e di ruminanti, ma anche nelle regioni dell'Amùr e dell'Ussuri, ove pullula la vita animale, non potei che molto di rado, nonostante l'attenzione che vi prestavo, notare dei fatti di una reale concorrenza, di una vera lotta tra gli animali superiori di una stessa specie. La stessa impressione si à dalle opere della maggior parte degli zoologi russi, e questo spiega indubbiamente perchè le idee del Kessler furono così bene accolte dai darwinisti russi, mentre queste stesse idee non ebbero nessun seguito presso i discepoli di Darwin dell'Europa occidentale.

Ciò che colpisce subito, quando si comincia a studiare la lotta per l'esistenza sotto i suoi due aspetti, – nel senso proprio e in quello metaforico, – è l'abbondanza dei fatti di aiuto reciproco, non soltanto per l'allevamento della prole, come riconosce la maggior parte degli evoluzionisti, ma anche per la sicurezza dell'individuo, e per assicurargli il nutrimento necessario. In molte categorie del regno animale l'aiuto reciproco è la regola. Si scopre il mutuo appoggio anche fra gli animali più inferiori, e bisogna aspettarsi che, un giorno o l'altro, gli osservatori che studiano al microscopio la vita acquatica ci mostrino dei fatti di mutuo appoggio incosciente fra i microrganismi. Vero è che la nostra conoscenza degli invertebrati, ad eccezione delle termiti, delle formiche e delle api, è estremamente limitata; e tuttavia, anche in ciò che concerne gli animali inferiori, possiamo raccogliere alcuni fatti, dovutamente verificati, di cooperazione. Le innumerevoli associazioni di cavallette, di farfalle, di cicindelle, di cicale, ecc., sono in realtà pochissimo conosciute; ma il fatto stesso della loro esistenza indica che esse debbono essere organizzate press'a poco secondo gli stessi principî delle associazioni temporanee delle formiche e delle api per le migrazioni.5 Quanto ai coleotteri, abbiamo dei fatti di mutuo appoggio perfettamente osservati fra i necrofori. Abbisogna loro della materia organica in decomposizione per deporvi le uova, e per assicurare il nutrimento alle larve; ma questa materia organica non deve decomporsi troppo rapidamente: così essi ànno l'abitudine di sotterrare nel suolo dei cadaveri di ogni specie di piccoli animali che essi incontrano sul proprio cammino. D'ordinario, vivono isolati; ma quando uno di loro à scoperto il cadavere di un topo o di un uccello che gli riuscirebbe difficile seppellire da solo, chiama quattro o sei altri necrofori per venire a fine dell'operazione, riunendo gli sforzi; se ciò è necessario, trasportano il cadavere in un terreno molle, e lo seppelliscono, dando prova di molto buon senso, senza litigare per la scelta di colui che avrà il privilegio di deporre le uova nel corpo sepolto. E quando Gledditsch attaccò un uccello morto ad una croce fatta con due bastoni, o sospese un rospo ad un bastone piantato nel suolo, vide i piccoli necrofori unire amichevolmente le loro intelligenze per aver ragione dell'artifizio dell'uomo.6

Anche fra gli animali che sono ad un bassissimo grado di organizzazione possiamo trovare esempi analoghi. Certi granchi di terra delle Indie occidentali e dell'America del nord, si riuniscono in grandi branchi per andare fino al mare, ove depongono le uova. Ognuna di queste migrazioni suppone accordo, cooperazione e mutua assistenza. In quanto al grande granchio delle Molucche (Limulus), fui colpito (nel 1882, nell'acquario di Brighton) di vedere fino a qual punto questi animali così goffi siano capaci di dar prova di aiuto reciproco per soccorrere un compagno in pericolo. Uno di essi era caduto sul dorso in un angolo del serbatoio, e il suo pesante guscio, della forma di casseruola, gli impediva di rimettersi nella posizione naturale, tanto più che vi era in quell'angolo una sbarra di ferro che aumentava ancor più la difficoltà dell'operazione. I suoi compagni gli vennero in aiuto, e per un'ora intera osservai come si sforzavano di aiutare il loro compagno di prigionia.

Essi vennero due alla volta, spinsero il loro amico dal disotto, e, dopo sforzi energici, riuscirono a sollevarlo tutto diritto; ma allora la sbarra di ferro impediva di completare il salvataggio, e il granchio cadeva pesantemente sul dorso. Dopo parecchi tentativi si vedeva uno dei salvatori discendere al fondo del serbatoio e ricondurre altri due granchi, che cominciarono con forze fresche gli stessi sforzi per spingere e sollevare il loro compagno impotente. Restai nell'acquario più di due ore, e, al momento di andar via, ritornai a dare un'occhiata nel serbatoio: il lavoro di soccorso continuava ancora! Dopo che ò veduto questo, non potei rifiutarmi di credere a quest'osservazione citata dal dottor Erasmus Darwin, che «il granchio comune, durante la stagione della muta, pone di guardia un granchio dal guscio duro non ancora mutato, per impedire agli animali marini ostili di nuocere agli individui in muta, che sono senza difesa».7

I fatti che mettono in luce l'aiuto reciproco fra le termiti, le formiche e le api sono così ben conosciuti attraverso le opere del Forel, del Romanes, di L. Büchner e di John Lubbock, che posso limitarmi ad alcune indicazioni.8 Se, per esempio, prendiamo in esame un formicaio, non soltanto vi vediamo che ogni specie di lavoro, – allevamento della prole, approvvigionamenti, costruzioni, allevamento degli afidi, ecc., – è compiuto seguendo delle regole di mutuo appoggio volontario, ma bisogna anche che riconosciamo con Forel che le caratteristiche principali, fondamentali, della vita di molte specie di formiche è il fatto, o piuttosto l'obbligo, per ogni formica, di spartire il proprio nutrimento, già inghiottito e in parte digerito, con ogni membro della comunità che gliene chieda. Due formiche appartenenti a due specie diverse o a due formicai nemici, quando per caso si incontrano, si evitano. Ma due formiche appartenenti allo stesso formicaio, od alla stessa colonia di formicai, si avvicinano l'una all'altra, scambiano qualche movimento delle antenne, e «se una di esse à fame o sete, e sopra tutto se l'altra à lo stomaco pieno..., essa gli domanda immediatamente del nutrimento».9 La formica, così sollecitata non rifiuta mai; essa apre le sue mandibole, si mette in posizione e rigurgita una goccia di liquido trasparente che è tosto leccato dalla formica affamata. Questo rigurgito dell'alimento fatto per gli altri è un tratto caratteristico della vita delle formiche in libertà, ed esse vi ricorrono così costantemente per nutrire delle compagne affamate e per alimentare le larve, che Forel considera il tubo digestivo delle formiche come formato di due parti distinte, delle quali l'una, la posteriore, serve all'uso speciale dell'individuo, e l'altra, l'anteriore, serve principalmente ad uso della comunità. Se una formica che à il gozzo pieno è stata tanto egoista da rifiutarsi di nutrire una compagna, essa sarà trattata come una nemica o ancor peggio. Se il rifiuto è stato fatto mentre le sue compagne si accingevano a battersi contro qualche altro gruppo di formiche, esse ritorneranno e si getteranno sulla formica ingorda con una violenza ancor più grande di quella usata sulle stesse nemiche. E se una formica non à rifiutato di nutrirne un'altra, appartenente ad una specie diversa, essa sarà trattata da amica delle compagne di quest'ultima. Tutti questi fatti sono confermati dalle più accurate osservazioni e dalle più definitive esperienze.10

In questa immensa categoria del regno animale che comprende più di mille specie, ed è così numerosa che i Brasiliani pretendono che il Brasile appartenga alle formiche e non agli uomini, la concorrenza fra i membri di uno stesso formicaio, o di una stessa colonia di formicai, non esiste. Per quanto terribili siano le guerre tra le diverse specie, e nonostante le atrocità commesse in tempo di guerra, il mutuo appoggio nella comunità, l'abnegazione dell'individuo passata allo stato di abitudine, e molto spesso il sacrificio dell'individuo per il benessere comune, sono la regola. Le formiche e le termiti ànno ripudiato la «legge di Hobbes» sulla guerra, e se ne trovano più che bene. Le loro meravigliose abitazioni, le loro costruzioni relativamente più grandi di quelle dell'uomo; le loro sale e granai speciali; i loro campi di grano, i loro raccolti, i loro preparativi per trasformare i grani in malto;11 i loro metodi razionali per curare le uova e le larve, e per costruire nidi speciali destinati all'allevamento degli afidi, che Linneo à descritti così pittorescamente come le «vacche delle formiche»; infine il loro coraggio, la loro prontezza e la loro alta intelligenza, tutto ciò è il naturale risultato del mutuo appoggio, che esse praticano in tutti i gradi della loro vita attiva e laboriosa. Inoltre, questo modo di vivere à avuto necessariamente per risultato un altro tratto essenziale della vita delle formiche: il grande sviluppo dell'iniziativa individuale che, a sua volta, à messo capo allo sviluppo di questa intelligenza elevata e varia della quale ogni osservatore rimane colpito.12

Se non conoscessimo altri fatti della vita animale di quelli che sappiamo delle formiche e delle termiti, potremmo già concludere con certezza che il mutuo appoggio (che conduce alla reciproca fiducia, prima condizione del coraggio) e l'iniziativa individuale (prima condizione del progresso intellettuale) sono due fattori infinitamente più importanti della lotta reciproca nell'evoluzione del regno animale. Ed infatti la formica prospera senza aver alcuno degli organi di protezione dei quali si possono valere gli animali che vivono isolati. Il suo colore la rende molto visibile ai suoi nemici, e gli alti formicai che molte specie costruiscono sono molto in vista nelle praterie e nelle foreste. La formica non è protetta da un guscio duro, e il suo pungiglione, benchè dannoso quando centinaia e centinaia di punture forano la carne di un animale, non è di grande valore come difesa individuale; tanto che le uova e le larve delle formiche sono un cibo per un gran numero di abitanti delle foreste. Tuttavia le formiche, unite in società, sono poco distrutte dagli uccelli, e nemmeno dai formichieri, e sono temute da insetti molto più forti. Forel, vuotando un sacco pieno di formiche in una prateria, vide i grilli fuggire, abbandonando le loro tane al saccheggio delle formiche; le cicale, i grilli, ecc., salvarsi in tutte le direzioni; i ragni, gli scarabei e gli stafilini abbandonare la loro preda per non diventare prede essi stessi. Anche i nidi di vespe furono occupate dalle formiche, dopo una battaglia nella quale molte formiche perirono per la comune salvezza. Anche gli insetti più vivaci non possono sfuggire, e Forel vide più volte delle farfalle, delle zanzare, delle mosche, ecc., sorprese ed uccise dalle formiche. La loro forza è nella mutua assistenza e nella reciproca fiducia. E se la formica – a parte le termiti, di uno sviluppo ancora più elevato – si trova alla cima di tutta la classe degli insetti per le sue capacità intellettuali; se il suo coraggio non è eguagliato che da quello dei più coraggiosi vertebrati; e se il suo cervello – per usare le parole di Darwin «è uno dei più meravigliosi atomi di materia del mondo, forse ancor più del cervello dell'uomo», non è ciò dovuto a questo fatto che il mutuo appoggio à interamente sostituita nella comunità delle formiche la lotta reciproca?

Le stesse cose si riscontrano nelle api. Questi piccoli insetti che potrebbero così facilmente divenir preda degli uccelli ed il cui miele à tanti amatori in tutte le classi di animali, dal coleottero fino all'orso, non ànno più delle formiche di quei mezzi di protezione dovuti al mimetismo o ad altra cosa, senza i quali un insetto che vive isolato potrebbe a malapena sfuggire ad una completa distruzione. Tuttavia, in grazia al mutuo appoggio, esse giungono alla grande diffusione che conosciamo e all'intelligenza che ammiriamo.13 Con il lavoro in comune, esse moltiplicano le forze individuali; per mezzo di una temporanea divisione del lavoro e della attitudine che ogni ape à a compiere ogni specie di lavoro quando questo sia necessario, esse giungono ad un grado di benessere e di sicurezza che nessun animale isolato può raggiungere, per quanto forte o ben armato. Spesso esse riescono nelle loro associazioni meglio dell'uomo, quando questi trascura di mettere a profitto un aiuto reciproco ben combinato. Così, quando un nuovo sciame è sul punto di lasciare l'alveare per andare alla cerca di una nuova dimora, un certo numero di api fanno una ricognizione preliminare delle vicinanze, e se scoprono una dimora conveniente – un vecchio paniere o qualche cosa del genere – ne prendono possesso, lo puliscono e lo sorvegliano talvolta per un'intera settimana, fino a che lo sciame viene a stabilirvisi. Quanti coloni umani, meno previdenti delle api, periscono in paesi nuovi, per l'errore di non aver compreso la necessità di unire i loro sforzi! Associando le loro intelligenze, riescono a trionfare delle circostanze sfavorevoli, anche nei casi completamente imprevisti e straordinari. All'Esposizione di Parigi (1869), le api erano state poste in un alveare munito di una lastra di vetro, che permetteva al pubblico di vedere nell'interno, aprendo uno sportello attaccato alla lastra; siccome la luce prodotta dall'apertura dello sportello le disturbava, finirono per saldare lo sportello alla lastra per mezzo della propoli resinosa. D'altra parte, non mostrano nessuna di quelle inclinazioni sanguinarie nè quell'amore per i combattimenti inutili che molti scrittori attribuiscono così violenti agli animali. Le sentinelle che sorvegliano l'entrata dell'alveare uccidono senza pietà le api ladre che cercano di penetrarvi; ma le api straniere che vengono all'alveare per errore non sono attaccate, sopra tutto se vengono cariche di polline, o se sono delle giovani api che possono facilmente sbagliarsi. La guerra non esiste che nei limiti strettamente necessari.

La sociabilità delle api è tanto più istruttiva in quanto gli istinti del saccheggio e della pigrizia esistono anche fra di loro, e vi appaiono ogni volta che il loro sviluppo è favorito da qualche circostanza. Si sa che vi è sempre un certo numero di api che preferiscono una vita di saccheggio alla vita laboriosa delle operaie; e i periodi di carestia, così come i periodi di straordinaria abbondanza portano ad una recrudescenza di questa classe di saccheggiatrici. Quando i nostri raccolti sono stati ritirati e resta poco da succhiare nelle nostre praterie e nei nostri campi, le api ladre si notano più facilmente; d'altra parte, intorno alle piantagioni di canne da zucchero delle Indie occidentali e delle raffinerie d'Europa il furto, la pigrizia e molto spesso l'ubbriachezza diventano nelle api completamente abituali. Vediamo così che gli istinti antisociali esistono fra le portatrici di miele; ma la selezione naturale deve costantemente eliminarle, poichè alla lunga la pratica della solidarietà si mostra ben più vantaggiosa per la specie che lo sviluppo degli individui dotati di istinti predatori. «Le più astute e le più aggressive» sono eliminate a favore di quelle che capiscono i vantaggi della vita sociale e del mutuo appoggio.

Certo, nè le formiche, nè le api, e neppure le termiti si sono elevate alla concezione di una più alta solidarietà comprendente l'insieme della specie. A questo riguardo esse non ànno raggiunto un grado di sviluppo quale non lo troviamo del resto nelle nostre sommità politiche, scientifiche e religiose. I loro istinti sociali non si estendono punto al di là dei limiti dell'alveare o del formicaio. Tuttavia, delle colonie che non contano meno di duecento formicai, e appartenenti a due specie diverse di formiche (Formica exsecta e F. pressilabris) sono state descritte dal Forel che le à osservate sul monte Tendre e sul monte Salève. Forel afferma che i membri di queste colonie si riconoscono tutti fra di loro, e che partecipano tutti alla comune difesa. In Pensilvania il signor Mac Kook vide anche una colonia di 1600 a 1700 formicai, viventi tutti in perfetto accordo; il signor Bates à descritto i monticelli delle termiti coprenti delle grandi superfici nei campos – alcuni di questi monticelli sono i rifugi di due o tre specie diverse, e la maggior parte legati tra loro da arcate e da gallerie.14

È così che si constatano anche presso gl'invertebrati alcuni esempi di associazione di grandi masse d'individui per la protezione reciproca.

Passando subito agli animali più elevati, noi troviamo un maggior numero di esempi di mutuo appoggio incontestabilmente cosciente; ma bisogna che riconosciamo subito che anche la nostra conoscenza della vita stessa degli animali superiori è ancora molto imperfetta. Un gran numero di fatti sono stati raccolti da eminenti osservatori, ma vi sono intere categorie del regno animale delle quali non conosciamo quasi nulla. Delle informazioni degne di fede per ciò che si riferisce ai pesci sono estremamente rare, ciò è in parte dovuto alle difficoltà dell'osservazione ed in parte al fatto che non si è ancora studiato sufficientemente questo argomento. In quanto ai mammiferi, Kessler à già fatto notare come conosciamo poco il loro modo di vivere. Molti fra essi sono notturni, altri si nascondono sotto terra e quei ruminanti di cui la vita sociale e le migrazioni offrono il più grande interesse, non permettono all'uomo di avvicinare i loro branchi. Intorno agli uccelli abbiamo il maggior numero di notizie, e tuttavia la vita sociale di molte specie non è ancora conosciuta che imperfettamente. Ma non abbiamo da rammaricarci per la mancanza di fatti ben constatati, come vedremo in quello che segue.

Non ò bisogno d'insistere sulle associazioni del maschio e della femmina per allevare i loro piccoli, per nutrirli nella prima età, o per cacciare in comune; notiamo di sfuggita che queste associazioni sono le regole, anche fra i carnivori meno socievoli e presso gli uccelli da preda. Ciò che dà loro un interesse speciale, è che esse sono il punto di partenza di certi sentimenti di tenerezza anche negli animali più crudeli. Si può anche aggiungere che la rarità di associazioni più larghe di quella della famiglia fra i carnivori e gli uccelli da preda, benchè sia dovuta in gran parte allo stesso modo di nutrirsi, può anche essere considerata fino ad un certo punto come una conseguenza del cambiamento prodotto nel mondo animale dal rapido aumentare degli uomini. Bisogna notare, infatti, che gli animali di certe specie vivono isolati nelle regioni ove gli uomini sono numerosi, mentre che queste stesse specie, o le loro congeneri più prossime, vivono in branchi nei paesi disabitati. I lupi, le volpi e molti uccelli da preda ne sono un esempio.

Tuttavia le associazioni che non si estendono al di là dei legami della famiglia sono relativamente di piccola importanza riguardo a ciò che ci interessa, tanto più che conosciamo un gran numero di associazioni per dei fini più generali, quali la caccia, la reciproca protezione ed anche semplicemente per godere la vita.

Audubon à già menzionato che certe volte le aquile si associano per la caccia; il suo racconto delle due aquile calve, maschio e femmina, caccianti sul Mississipì, è ben noto. Ma una delle osservazioni più concludenti in questo ordine d'idee è dovuta a Siévertsoff. Mentre studiava la fauna delle steppe russe vide una volta un'aquila appartenente ad una specie della quale i membri vivono generalmente in branchi (l'aquila dalla coda bianca, Haliaëtos albicilla) elevarsi alto nell'aria durante una mezz'ora; essa descrisse i suoi larghi cerchi in silenzio quando d'improvviso fece sentire un grido penetrante; al suo grido rispose ben presto un'altra aquila che si avvicinò alla prima e fu seguita da una terza, una quarta e così di seguito fino a che nove o dieci aquile furono riunite e poi disparvero. Nel pomeriggio Siévertsoff si recò nel luogo verso il quale aveva visto le aquile dileguarsi; nascosto da una delle ondulazioni della steppa, s'avvicinò ad esse e scoprì che s'erano riunite attorno al cadavere d'un cavallo. Le anziane che, secondo l'abitudine, cominciarono il loro pasto per prime, – poichè queste sono le loro regole di convivenza – erano già appollaiate sui mucchi di fieno nella vicinanza e facevano la guardia, mentre le più giovani continuavano il loro pasto circondate da bande di corvi. Da questa osservazione e da altre simili Siévertsoff concluse che le aquile dalla coda bianca si uniscono per la caccia; quando si sono tutte inalzate ad una certa altezza esse possono, se sono dieci, sorvegliare una superficie d'una quarantina di chilometri quadrati ed appena una di esse à scoperto qualche cosa avverte le altre.15

Si può senza dubbio obiettare che un semplice grido istintivo della prima aquila, od anche i suoi movimenti potrebbero avere lo stesso effetto di condurre parecchie aquile verso la preda, ma vi è una forte obiezione in favore di una reciproca segnalazione, poichè le dieci aquile si riuniscono prima di discendere sulla preda e Siévertsoff ebbe in seguito parecchie occasioni di constatare che le aquile dalla coda bianca si riuniscono sempre per divorare un cadavere, e che alcune fra di esse (le più giovani da prima) fanno la guardia mentre le altre mangiano. Infatti l'aquila dalla coda bianca, che è uno dei più bravi e migliori cacciatori, vive generalmente in branco, e Brehm dice che quando essa è tenuta in prigionia sente ben presto affetto per i suoi guardiani.

La sociabilità è un carattere comune a molti altri uccelli da preda. Il nibbio del Brasile, uno dei più «impudenti» ladri, è tuttavia un uccello molto socievole. Le sue associazioni per la caccia sono state descritte da Darwin e da altri naturalisti, ed è un fatto constatato che quando si è impadronito di una preda troppo grossa chiama cinque o sei amici per aiutare a portarla. Dopo una giornata attiva, quando questi nibbi si ritirano per il loro riposo notturno su d'un albero o su dei cespugli, si riuniscono tutti in branchi percorrendo qualche volta per questo una distanza di quindici chilometri e più, e sono spesse volte raggiunti da molti altri avvoltoi, particolarmente dai percnoptères, loro fedeli amici, come dice d'Orbigny. Nel nostro continente, nei deserti transcaspiani ànno, secondo Zaroudnyi, la stessa abitudine di nidificare insieme. L'avvoltoio socievole, uno degli avvoltoi più forti, deve il suo stesso nome al suo amore per la società. Questi uccelli vivono in branchi numerosi, e si compiacciono di essere insieme; essi amano riunirsi in molti per il piacere di volare insieme a grandi altezze. «Essi vivono in ottima amicizia, dice Vaillant, e nella medesima caverna io ò trovato fino a tre nidi l'uno vicino all'altro».16 Gli avvoltoi Urubus del Brasile sono tanto socievoli quanto le cornacchie e fors'anche di più.17 I piccoli avvoltoi egiziani vivono in stretta amicizia. Essi giocano per l'aria in stormi e si riuniscono per passare la notte, e al mattino se ne vanno tutti insieme per cercare il loro nutrimento; mai il più piccolo dissidio si manifesta fra di essi, – tale è la testimonianza di Brehm che à avuto parecchie occasioni di osservare la loro vita. Il falco dal collo rosso si trova pure in stormi numerosi nelle foreste del Brasile, ed il gheppio (Tinnunculus cenchris) quando lascia l'Europa e raggiunge in inverno le praterie e le foreste dell'Asia, forma delle numerose compagnie. Nelle steppe del sud della Russia questi uccelli sono (o piuttosto erano) così socievoli che Nordmann li vedeva in stormi numerosi con degli altri rapaci (Falco Tinnunculus, F. aesulon et F. Subbuteo), si riunivano tutti i pomeriggi verso le quattro e si divertivano fino a tarda sera. Prendevano il volo tutti insieme in linea perfettamente diritta, verso qualche punto determinato e quando lo avevano raggiunto ritornavano immediatamente, seguendo il medesimo tragitto per ricominciare di nuovo.18 Presso tutte le specie di uccelli si trovano molto comunemente di questi voli in stormi per il semplice piacere di volare. «Nel distretto di Humber, particolarmente, scrive Ch. Dixon, dei grandi voli di tringers si mostrano spesso sui bassifondi verso la fine di agosto e vi soggiornano l'inverno. I movimenti di questi uccelli sono dei più interessanti, in grossi stormi fanno evoluzioni, si disperdono o si riuniscono con la previsione di soldati esercitati; si trovano tra loro, delle allodole di mare, dei sarderlings e dei pivieri dal collare.19

Sarebbe impossibile enumerare qui le diverse associazioni di uccelli cacciatori, ma le associazioni dei pellicani per la pesca meritano di essere citate a causa del notevole ordine e dell'intelligenza di cui dànno prova questi uccelli tardi e goffi.

Essi vanno sempre a pescare in branchi numerosi e dopo aver scelto una cala conveniente formano un largo semicerchio di faccia alla riva e lo restringono tornando a nuoto verso la riva, pigliando così in trappola il pesce che si trova racchiuso in questo cerchio. Sui canali ed i corsi d'acqua stretti si dividono ugualmente in due branchi; ciascuno si dispone a semicerchio per nuotare poi incontro all'altro, proprio esattamente come due squadre di uomini che si avvicinassero trascinando due lunghe reti per catturare il pesce compreso tra quelle, quando le due squadre s'incontrano. Venuta la sera, se ne volano verso un dato luogo, ove passano la notte – luogo sempre lo stesso per ogni branco – e nessuno li à mai visti battersi per il possesso della buca, nè dei posti di riposo. Nell'America del sud, essi si riuniscono in gruppi di quaranta e cinquanta mila individui; gli uni dormono mentre gli altri vegliano ed altri ancora vanno a pescare.20 Infine sarebbe far torto ai passeri franchi, così calunniati, il non ricordare l'abnegazione con la quale ognuno di essi spartisce il nutrimento che scopre con i membri della società alla quale appartiene. Il fatto era noto ai Greci e la tradizione riferisce che un oratore greco esclamò una volta (cito a memoria): «Mentre vi parlo un passero è venuto a dire ad altri passeri che uno schiavo à lasciato cadere a terra un sacco di grano, ed essi si recano tutti là per mangiare il grano». Per di più si è fortunati di trovare questa antica osservazione confermata in un piccolo libro recente del signor Gurney, il quale non mette in dubbio che il passero franco informi sempre gli altri passeri del luogo dove c'è del nutrimento da portar via. Egli aggiunge: «Quando un mucchio di grano è stato battuto per quanto questo sia lontano dal cortile ànno sempre il gozzo pieno di grano».21 È vero che i passeri sono molto rigorosi nell'escludere dai loro dominî qualsiasi invasione di estranei; così i passeri del giardino del Lussemburgo combattono con accanimento tutti gli altri passeri che vorrebbero approfittare alla loro volta del giardino e dei suoi visitatori; ma in seno alle loro proprie comunità essi praticano il mutuo appoggio, benchè qualche volta vi siano dei contrasti, com'è naturale, del resto, anche fra i migliori amici.

La caccia e il cibo in comune sono talmente abituali nel mondo dei volatili, che altri esempi sarebbero poco necessari; ciò è un fatto stabilito. In quanto alla forza che producono tali associazioni, essa è pienamente evidente. I più forti uccelli da preda sono impotenti contro le associazioni dei nostri più piccoli uccelli. Anche le aquile, anche la forte e terribile aquila calzata e l'aquila marziale che à tal forza da sollevare una lepre o una giovane antilope con i suoi forti artigli, tutte sono costrette ad abbandonare la lor preda a codeste bande di farfallini, i nibbi, che danno una caccia in piena regola alle aquile quando le vedono in possesso di una buona preda. I nibbi danno pure la caccia al rapido falco pescatore e gli tolgono il pesce che à catturato, ma nessuno li à mai veduti combattere tra di loro per il possesso della preda così carpita. Nelle isole Kerguelen, il Dott. Couës vide il Buphagus – la gallina di mare dei cacciatori di foche – inseguire dei gabbiani per far loro rigettare il cibo, mentre, da un'altra parte, i gabbiani e le rondini di mare si riunivano per disperdere le galline di mare, appena esse si avvicinavano alle loro dimore, particolarmente nel periodo dei nidi.22 I vannelli (Vanellus cristatus), tanto piccoli, ma tanto vivaci, attaccano audacemente gli uccelli da preda. Uno degli spettacoli più divertenti è il vederli aggredire un bozzagno, un nibbio, un corvo od un'aquila. Si capisce che sono sicuri della vittoria e si vede la rabbia dell'uccello da preda. In queste circostanze si aiutano mirabilmente gli uni con gli altri ed il loro coraggio cresce con il loro numero».23 Il vanello à ben meritato il nome di «buona madre» che i Greci gli davano, perchè non manca mai di proteggere gli altri uccelli acquatici contro gli attacchi dei loro nemici. Perfino le piccole cutrettole bianche (Motacilla alba) così comuni nei nostri giardini e la lunghezza delle quali raggiunge appena i venti centimetri, costringono lo sparviero ad abbandonare la sua caccia. Il vecchio Brehm scrive: «Ho di frequente ammirato il loro coraggio e la loro agilità e mi sono persuaso che occorrerebbe un falcone per catturare una di esse. Quando una banda di cutrettole à costretto un uccello da preda a battere in ritirata esse fanno risonare l'aria delle loro grida trionfali, poi si separano». Così si riuniscono con lo scopo determinato di dare la caccia al loro nemico; vediamo pure gli uccelli di una foresta riunirsi alla notizia che un uccello notturno è apparso durante il giorno e tutti insieme – uccelli rapaci e piccoli uccelli inoffensivi – danno la caccia a l'intruso per farlo entrare nel suo nascondiglio.

Quale differenza tra la forza di un nibbio, di un bozzongro o d'un falco e quella di piccoli uccelli come la cutrettola, e tuttavia questi piccoli uccelli per la loro azione in comune ed il loro coraggio si mostrano superiori a questi predatori dalle ali e dalle armi potenti! In Europa le cutrettole non cacciano soltanto gli uccelli rapaci che possono essere loro dannosi, ma danno la caccia anche al falco pescatore «piuttosto per divertirsi che per fargli del male»; nell'India, secondo la testimonianza del dottor Jerdon, le cornacchie cacciano il nibbio-govinda «semplicemente per divertirsi». Il principe Wied à veduto l'aquila brasiliana urubitinga circondata da innumerevoli bande di tucani e di rigoli col ciuffo (uccelli molto simili alle nostre cornacchie) che si prendevano gioco di lei. In tutti questi casi i piccoli uccelli, benchè molto meno forti dell'uccello da preda, gli si mostrano superiori per lo loro azione in comune.24

Nelle due grandi famiglie delle gru e dei pappagalli si constatano maggiormente i benefici della vita in comune per la sicurezza dell'individuo, il godimento della vita e lo sviluppo delle attività intellettuali. Le gru sono estremamente socievoli e vivono in eccellenti relazioni non soltanto con i loro congeneri, ma anche con la maggior parte degli uccelli acquatici. La loro prudenza è veramente stupefacente, così pure la loro intelligenza; in un momento si rendono conto delle nuove circostanze, ed agiscono in conseguenza di esse. Le loro sentinelle fanno sempre la guardia intorno al branco quando questo è in procinto di mangiare o di riposarsi, ed i cacciatori sanno quanto sia difficile avvicinarsi ad esse. Se l'uomo è riuscito a sorprenderle, esse non ritornano mai nello stesso luogo senza aver mandato prima un esploratore, poi un gruppo di esploratori, e quando questo gruppo di perlustrazione ritorna e riferisce che non vi è pericolo, un secondo gruppo di esploratori è inviato per verificare il primo rapporto prima che l'intero stormo si muova. Le gru stringono vere amicizie con le specie affini, e in prigionia non v'è nessun uccello (ad eccezione del pappagallo, così socievole ed estremamente intelligente) che nutra una così reale amicizia per l'uomo. «Esse non vedono nell'uomo un padrone, ma un amico e si sforzano di mostrarglielo» conclude Brehm, in seguito ad una lunga esperienza personale. La gru è in continua attività cominciando dalla mattina presto e finendo a tarda notte; ma essa non dedica che qualche ora alla ricerca del cibo, in gran parte vegetale. Tutto il resto del giorno è dedicato alla vita in comune. «Esse raccolgono dei piccoli pezzi di legno o delle piccole pietre, le gettano in aria e si provano ad acchiapparle; esse curvano il loro collo, aprono le loro ali, ballano, saltano, corrono e cercano di manifestare con tutti i mezzi le loro felici disposizioni di spirito, e sempre si conservano belle e graziose».25 Poichè vivono in società esse non ànno quasi nemici, e il Brehm che à avuto l'occasione di vedere una di esse catturata da un coccodrillo scrive che al di fuori di questo, non conosce alla gru altri nemici. Tutti sono giocati dalla loro proverbiale prudenza, ed esse raggiungono ordinariamente un'età molto avanzata. Così non è stupefacente che per la conservazione della specie la gru non abbia bisogno di un gran numero di figli; generalmente non cova che due uova. Quanto alla sua intelligenza superiore, basta dire che tutti gli osservatori sono unanimi nel riconoscere che le sue capacità intellettuali ricordano molto quelle dell'uomo.

Un altro uccello estremamente socievole, il pappagallo, è, come si sa, alla testa di tutta la razza alata per lo sviluppo della sua intelligenza. Brehm à così bene riassunti i costumi del pappagallo, che io non posso fare di meglio che citare la seguente frase: «Eccetto durante la stagione degli amori, essi vivono in numerose società, o branchi. Essi scelgono un luogo nella foresta per dimorarvi e partono di là ogni mattina per la loro spedizione di caccia. I membri di uno stesso gruppo dimorano fedelmente uniti gli uni agli altri e dividono in comune la buona e la cattiva sorte. Si riuniscono tutti, il mattino, in un campo, in un giardino o su un albero per nutrirsi di frutta. Collocano delle sentinelle per vegliare sulla sicurezza del gruppo e sono attenti ai loro avvisi. In caso di pericolo tutti fuggono, aiutandosi gli uni con gli altri, e tutti insieme ritornano alle loro dimore. In una parola, essi sono sempre strettamente uniti». Essi amano inoltre la società di altri animali; nell'India, le gazze e i corvi vengono insieme da luoghi distanti parecchie miglia per passar la notte in compagnia dei pappagalli nel folto dei bambù. Quando i pappagalli si mettono alla caccia, danno prova di un'intelligenza, di una prudenza, di un'attitudine meravigliosa nel lottare contro le avversità.

Prendiamo, ad esempio, un branco di cacatoa bianchi di Australia. Prima di partire per saccheggiare un campo di grano, cominciano con l'inviare una pattuglia per ricognizione che occupa gli alberi più alti nelle vicinanze del campo, mentre altri esploratori si posano sugli alberi intermedi tra il campo e la foresta e trasmettono i segnali. Se l'avviso trasmesso è «tutto va bene» una ventina di cacatoa si separano dal grosso del gruppo, prendono il loro volo nell'aria, poi si dirigono verso gli alberi più vicini al campo. Questa avanguardia esamina anche lungamente le vicinanze e soltanto dopo che à dato il segnale di avanzare in tutta la linea la banda intera si slancia simultaneamente e saccheggia il campo in un momento. I coloni australiani provano la massima difficoltà nell'ingannare la scaltrezza dei pappagalli; ma se l'uomo, con tutti gli artifici e le armi, riesce ad ucciderne qualcuno, i cacatoa diventano così prudenti e così vigilanti che a partire da questo momento, essi sventano tutti gli stratagemmi.26

Senza dubbio, l'abitudine della vita in società permette ai pappagalli di raggiungere questo alto livello d'intelligenza quasi umana e quei sentimenti quasi umani che loro riconosciamo. La loro grande intelligenza à condotto i migliori naturalisti a descrivere qualche specie, particolarmente il pappagallo grigio, come «l'uccello uomo». Quanto al loro reciproco attaccamento, si sa che quando un pappagallo è stato ucciso da un cacciatore, gli altri volano al di sopra del cadavere del loro compagno con delle grida lamentose ed essi stessi «divengono vittime della loro amicizia», come dice l'Audubon; quando due pappagalli prigionieri, benchè appartenenti a due specie diverse, ànno contratta un'amicizia reciproca, la morte accidentale di uno dei due amici è seguita qualche volta dalla morte dell'altro che soccombe di dolore e di tristezza. Non è meno evidente che il loro stato di società fornisce loro una protezione infinitamente più efficace di qualsiasi sviluppo del becco e delle ali per quanto perfetto lo si immagini.

Pochissimi uccelli rapaci e pochissimi mammiferi osano venir alle prese con i pappagalli, eccetto con quelli delle più piccole specie, e Brehm à ben ragione di dire dei pappagalli, come dice pure delle gru e delle scimmie socievoli, che non ànno proprio altri nemici che l'uomo; ed aggiunge: «È molto probabile che i più grandi pappagalli muoiano di vecchiaia, anzichè soccombere sotto l'artiglio dei nemici». Soltanto l'uomo, grazie alle armi ed all'intelligenza superiore, che deve pure alla associazione, riuscì a distruggerli in parte. La loro stessa longevità appare così come un risultato della loro vita sociale. Non potremmo dire altrettanto della loro meravigliosa memoria, il cui sviluppo deve essere favorito dalla vita in società e dal pieno godimento delle loro facoltà mentali e fisiche fino ad un'età molto avanzata?

Come si vede da quello che precede, la guerra di ciascuno contro tutti non è la legge della natura. Il mutuo appoggio è tanto una legge della natura quanto la lotta reciproca, e questa legge ci apparirà ancor più evidente quando avremo esaminato qualche altra associazione presso gli uccelli e presso i mammiferi. Si può già intravedere l'importanza della legge del mutuo appoggio nell'evoluzione del regno animale, ma il significato di questa legge diverrà ancora più chiaro, dopo che avremo esaminato qualche altro esempio e saremo portati a concludere.

1 Tale tesi è stata ripresa da C. Lombroso, a proposito dell'uomo delinquente. (N.d.T.).

2 Sull'influsso esercitato dal Darwinismo sulle concezioni, filosofiche e politiche, pessimiste vedi: P. Pellacani, Darvinismo sociale e pessimismo, Bologna, 1906 (N.d.T.).

3 Senza parlare degli scrittori anteriori a Darwin, come Tussenel, Fée e tanti altri, molte opere contenenti un certo numero di notevoli esempi di mutuo appoggio, ma aventi principalmente rapporto con la intelligenza animale, erano apparse prima di questa data. Posso citare quelli di Houzeau, Les facultés mentales des animaux, 2 vol., Bruxelles, 1872; Aus dem Geistesleben der Thiere di L. Büchner, II ed. del 1877, e Ueber das Seelenleben der Thiere di Massimiliano Perty, Lipsia, 1876. Espinas pubblicò la sua notevolissima opera, Les sociétés animales, nel 1877; in quest'opera faceva risaltare l'importanza delle società animali per la conservazione delle specie ed ingaggiava una discussione interessantissima sull'origine delle società. In realtà il libro di Espinas contiene già tutto quello che è stato scritto in seguito sul mutuo appoggio, e molte altre buone cose. Tuttavia se faccio una menzione speciale della conferenza del Kessler, è perchè questi à elevato il mutuo appoggio all'altezza di una legge, molto più importante per l'evoluzione progressiva della legge della lotta reciproca. Le stesse idee furono esposte l'anno seguente (nell'aprile 1881), da I. de Lanessan, in una conferenza pubblicata nel 1882 con questo titolo: La lutte pour l'existence e l'association pour la lutte. L'importantissima opera di G. Romanes, Animal intelligence, comparve nel 1882 e fu seguita l'anno dopo dalla Mental Evolution of the Animals. Già dal 1879 Büchner aveva pubblicata un'altra opera molto notevole, Liebe und Liebes-Leben in der Thierwelt, della quale una seconda edizione, molto ampliata, apparve nel 1885. Come si vede, l'idea era diffusa.

4 Memorie della Società dei Naturalisti di Pietrogrado, vol. XI, 1880.

5 Vedi Appendice I.

6 Idem.

7 Animal Intelligence, di George J. Romanes, pag. 233.

8 Delle opere come Les fourmis indigènes di P. Huber, Ginevra, 1861 (rip. popolare delle sue Ricerche sulle formiche, Ginevra, 1810); Recherches sur les fourmis de la Suisse del Forel, Zurigo, 1874; e Harvesting Ants and Trapdoor Spiders di J. T. Moggridge, Londra, 1873-1874, dovrebbero essere nelle mani di tutti i giovani. Vedi anche Les métamorphoses des insectes, del Blanchard, Parigi, 1868; Les souvenirs entomologiques di J. H. Fabre, 8 volumi, Parigi 1879-1890; Les études des moeurs des fourmis, d'Ebrard, Ginevra, 1864; Ants, Bees and Wasps, di J. Lubbock ed altre analoghe.

9 A proposito di interpretazioni delle osservazioni dei naturalisti accettate dal K. credo necessaria una nota generale, ad uso dei profani di psicologia zoologica. Il Wundt nota i frequenti errori in cui sono caduti molti naturalisti nell'interpretare la vita degli insetti, e porta, come esempio, alcuni casi riferentisi alla vita delle formiche. Un reverendo inglese, a proposito delle così dette «cerimonie funebri» di questi insetti, raccontava di avere osservato, un giorno, in una colonia, un cimitero sotterraneo, in cui delle formiche erano intente a seppellire i loro morti, coprendoli di terra, e che in questo cimitero aveva notato una formica che, spinta da un violento moto di affetto, voleva disotterrare i cadaveri, ma ne fu impedita dai becchini. Il Wundt, domandandosi che cosa c'è di reale e che cosa è invece cornice fantastica, in questo racconto, nota che le formiche portano fuori del nido i cadaveri e li ricoprono di terra, come coprono del resto tutti quegli oggetti che recano incomodi, per potersi aggirare liberamente su di essi. Nel caso osservato dal reverendo inglese, quest'operazione fu disturbata da un'altra formica, e di qui la resistenza delle compagne che erano al lavoro. Il cimitero, i becchini, il gesto disperato non sono, per il W., che il prodotto della fantasia sentimentale dell'osservatore. Un altro osservatore delle formiche – narra lo stesso Autore – racconta di aver assistito ai giuochi di una dozzina di giovani regine. Esse si divertivano a saltare su di un grosso ciottolo e si spingevano e si rincorrevano, per giuoco, ed ognuna voleva occupare il posto migliore. Le operaie non prendevano parte a questo giuoco, ma sembravano sorvegliare, e di tempo in tempo riverivano le principesse con le loro antenne. Anche l'esattezza di quest'osservazione non può essere posta in dubbio, ma tutto il resto è frutto della fantasia dell'osservatore, che si è lasciato influenzare dall'associazione di idee provocata dai nomi di «regine» e «operaie ». Il W. cita anche un'opera sulla «Vita spirituale delle bestie», nella quale si parla di giovani formiche alle quali vengono insegnate le virtù domestiche, specie la cura delle larve (Vedi: W. Wundt, Vorlesungen über die Menschen und Thierseele, Zweite Auflage, Leipzig. 1892, pag. 381-382; cit. da F. De Sarlo, nel II vol. di Psicologia e Filosofia, Firenze, 1918, pag. 412-13). Poichè l'Huber è una delle fonti principali di questi capitoli, ricorderò che questo insigne studioso della vita delle formiche racconta di essersi assicurato che una formica, presa dal suo nido e riportatavi dopo quattro mesi, sia stata riconosciuta dalle sue antiche compagne ed accolta amichevolmente. L'H. considera questo fatto come una prova della memoria delle formiche e del loro sentimento di amicizia, ma un altro insigne entomologo, John Lubbock, à fatto oggetto di esperienza il racconto dell'H. Egli à tolto delle formiche dal loro nido allo stato di larve e ve le à rimesse dopo che si furono sviluppate. Esse vennero accolte… amichevolmente! Questo dimostra che non si trattava, nel caso raccontato dall'H. di un atto di riconoscimento individuale e di amicizia, ma di un segno distintivo di tutti gli individui di una colonia, probabilmente di un odore particolare, che determina le manifestazioni istintive. Bisogna notare che il Kropotkin considera le osservazioni dell'Huber come «le più accurate e le più decisive esperienze» (N. del T.).

10 Recherches di Forel, pag. 243-244, 279. La descrizione di questi costumi fatta dall'Huber è ammirabile. Vi si trovano anche delle indicazioni relative alla possibile origine dell'istinto (ed. popolare, pag. 158-160). Vedi Appendice II.

11 L'agricoltura delle formiche è così meravigliosa che per molto tempo non vi si è voluto credere. Il fatto è, tuttavia, comprovato da M. Moggridge, dal dr. Lincecum, da Mac Cook, dal colonnello Sykes e dal Dr. Jerdon, che non è possibile dubitarne. Vedi un eccellente riassunto che mette questi fatti in evidenza nell'opera di M. Romanes. Vedi anche Die Pilzgärten einiger Süd-Amerikanischen Ameisen, di A. Moeller, nelle Botanische Mitteilungen aus den Tropen, di Schimper, 1893.

12 Questo secondo principio non fu dapprima riconosciuto. I primi osservatori parlavano spesso di re, di regine, di capi, ecc.; ma dopo che Huber e Forel ànno pubblicato le loro minuziose osservazioni, non è possibile dubitare dell'estensione della libertà lasciata all'iniziativa individuale in tutto quello che fanno le formiche, anche nelle loro guerre.

13 Come à parlato di una «intelligenza elevata e varia» delle formiche, così il nostro autore parla dell'intelligenza delle api. Senza entrare nella questione dell'intelligenza negli insetti, credo necessario notare, ad esempio, che è stato dimostrato, cosa alla quale credevano i naturalisti consultati dal K., che non esiste nelle api un senso matematico, come farebbe supporre la regolarità delle celle esagonali che costituiscono i loro favi. Queste forme geometriche sono dovute alla forza di capillarità, quella forza che forma le bolle poliedriche quando si soffia con un tubo nell'acqua saponata. Le api incominciano a formare le celle rotonde, che in seguito diventano esagonali per la tensione superficiale delle pareti di cera, che è sempre molto molle dentro gli alveari, perchè vi si mantiene una temperatura di 37° C. E., come dimostrò il fisico Plateau (Statique expérimentable et théorique des liquides, Gand, 1873); in un sistema laminare le lamine liquide sono sempre riunite a tre a tre ad un medesimo spigolo, formando angoli diedri eguali di 120°. (N. d.T.).

14 W. Bates, The Naturalist on the Rives Amazons, II, 59 e seg.

15 Fenomeni periodici della vita dei mammiferi, degli uccelli e dei rettili di Voroneje, di N. Sieverstoff, Mosca, 1885 (in russo).

16 Le vie des animaux di A. Brehm, III, 477.

17 Bates, pag. 151.

18 Catalogue raisonné des oiseaux de la faune pontique, nel viaggio di Demidoff, riassunto da Brehm (III, 360). Durante la loro migrazione gli uccelli da preda, si associano spesso. Un volo che H. Seebohm vide attraversando i Pirenei presentava una curiosa riunione di «otto nibbi, una gru ed un falcone pellegrino» (Les oiseaux de Siberie, 1901, pag. 417.

19 Birds in the Northern Shires, pag. 207.

20 Max Perty, Ueber das Seelenleben der Thiere (Leipzig, 1876), pag. 87, 103.

21 The House-Sparrow, di G. H. Gurney (London, 1885, pag. 5).

22 Dr. Elliot Couës, Birds of the Kerguelen Islands, nella Smithsonian Miscellaneous Collections, vol. XIII, n. 2. pag. 11.

23 Brehm, IV, 567.

24 Ecco come un osservatore della Nuova Zelanda. M. T. W. Kirk descrive un assalto degli «impudenti» passeri contro un «disgraziato» falco. «Egli udì un giorno un rumore affatto insolito, come se tutti i piccoli uccelli del paese si fossero abbandonati ad una grande lite. Guardatosi attorno vide un grosso falco (C. Gouldi - un charognard) assalito da una banda di passeri. Essi si accanivano a precipitarsi su lui a ventine e da tutti i lati in una volta. Il disgraziato falco era sopraffatto, ed infine, avvicinandosi ad un cespuglio vi si nascose, mentre che i passeri si riunivano in gruppi attorno al cespuglio, continuando a far udire uno schiamazzo ed un frastuono incessanti». Comunicazione fatta all'Istituto della Nuova Zelanda, Nature, 10 ott. 1891.

25 Brehm, IV, pag. 671 e seg.

26 Lendenfeld, Der zoologische Garten, 1889.