APPENDICE

I. Sciame di farfalle, di libellule, etc. – Necrofori.

M. C. Piepers à pubblicato nel Natuurkunding Tijdschrift voor Neederlandsch Indie, 1891, Deel L. pag. 198 (analizzato nel Naturwissenschaftliche Rundschau, 1891, volume VI, pag. 573) ricerche interessanti sui grandi voli delle farfalle che si osservano nelle Indie orientali olandesi. Pare che questi voli debbano la loro origine alle grandi siccità, causate dal monsone occidentale. Essi generalmente avvengono nei primi mesi nei quali comincia a soffiare il monsone, e vi si incontrano generalmente individui dei due sessi delle Catopsilia (Callidryas) crocale, Cr., ma talvolta lo sciame si compone d'individui appartenenti a tre specie differenti del genere Euphoea. L'accoppiamento sembra pure essere lo scopo di tali voli. È d'altronde molto probabile che questi voli non siano il risultato di un'azione concertata, ma piuttosto effetto della imitazione, o di un desiderio di seguirsi a vicenda.

Bates à veduto, sulle Amazzoni, la Callidryas gialla e la Callidryas aranciata «raccogliersi in massa densa e compatta, talvolta su due o tre metri di circonferenza, tenendo le ali alzate, in modo che la riva sembra screziata di aiole di croco». Le loro colonne migratorie, traversanti il fiume da nord a sud, «seguivansi senza interruzione, dal cominciare del giorno fino al tramonto del sole». (Naturalist on the River Amazons, pag. 131).

Le libellule nelle loro grandi migrazioni attraverso le Pampas, si riuniscono in sciami innumerevoli, e questi immensi sciami si compongono di individui appartenenti a diverse specie (Hudson, Naturalist on the Plata, pagina 130 e seg.).

Uno dei caratteri delle cavallette (Zoniopoda tarsata) è pure quello di vivere in sciami (Hudson, loc. cit., pag. 125).

J. H. Fabre di cui i Souvenirs entomologiques (Parigi, 1879-1890) sono molto noti, si è dato molta pena per mettere in dubbio ciò che egli chiama con maggiore veemenza che giustizia «l'aneddoto di Clairville» su quattro necrofori chiamati per aiutare il seppellimento. Egli non contesta evidentemente il fatto che parecchi necrofori collaborino al seppellimento; ma non può riconoscere (in questo caso come in altri analoghi contesta l'intelligenza negli animali e non ammette che «l'istinto») che vi sia stato un concorso cosciente. «Sono dei lavoratori occasionali, dice egli, mai dei requisiti. Vengono accolti senza entusiasmo, ma anche senza gratitudine. Non vengono chiamati, vengono tollerati».

Lasciando da parte la questione di sapere se vi sia «convocazione o no» rileviamo nello stesso autore questo fatto interessante, che la collaborazione, almeno tra i necrofori, è interamente disinteressata. Tre o quattro maschi e una femmina avendo aiutato al seppellimento di una talpa, non restano per approfittarne che due necrofori. Ogni volta non è che una coppia che si trova nella fossa mortuaria. Dopo aver prestato man forte gli altri si sono ritirati.

Non insisto sopra le obiezioni appassionate che Fabre fa contro l'osservazione di Gledditsch. Secondo me le esperienze del Fabre confermano pienamente l'idea che Gledditsch s'era fatta dell'intelligenza dei necrofori.

Si sa che spessissimo due scarabei s'aiutano a rotolare una palla, fatta con sterco bovino, per trarla fino alla tana di uno dei due. Allorchè si tratta di spingerla su un pendio, l'aiuto del compagno diventa prezioso. Si è lungamente pensato che questa associazione avesse per scopo di deporre un uovo nella palla e di preparare così il nutrimento alla larva. Tuttavia risulta dalle osservazioni dello stesso naturalista (Souvenirs entomologiques) che la palla molto spesso non contiene uova e serve semplicemente di nutrimento per l'uno o per i due scarabei. L'aiuto, in questo caso, sarebbe interessato da parte del compagno che viene ad aiutare nel rotolare la palla, ed esso è intelligentemente accettato da quello dei due scarabei stercorari che à formato la palla. Qualche volta, vi è stato un tentativo di furto da parte del camerata.

Aggiungiamo che, dopo aver letto attentamente quest'opera del sapiente entomologo, non si può che convincersi maggiormente che il mutuo aiuto è la essenza stessa della vita nella grande divisione della classe degli insetti.

II. Le formiche.

Le Recherches sur les moeurs des fourmis, di Pierre Huber (Ginevra, 1810) di cui il Cherbuliez ha pubblicato nel 1861 un'edizione popolare (Les fourmis indigènes) nella Bibliothèque Genevoise, e della quale dovrebbero esservi edizioni popolari in tutte le lingue, non è soltanto la migliore opera sopra questo argomento, ma anche un modello di ricerche veramente scientifiche. Darwin aveva ragione di considerare Pierre Huber come un naturalista superiore anche a suo padre. Questo libro dovrebbe essere letto da tutti i giovani naturalisti, non solamente per i fatti che contiene, ma come una lezione di metodo nelle ricerche. L'allevamento delle formiche nei formicai artificiali di vetro, e le esperienze positive fatte dagli osservatori che seguirono, compreso il Lubbock, si trovano già nell'ammirabile opera dell'Huber. Quelli che ànno letto le opere del Forel e del Lubbock sanno che tanto il professore svizzero come lo scrittore inglese cominciarono i loro libri con la intenzione critica di rifiutare le affermazioni dell'Huber relative agli istinti ammirabili di reciproco aiuto delle formiche, ma dopo attente ricerche non poterono che confermarle. Sventuratamente è un tratto caratteristico della natura umana il vedere volentieri che l'uomo sia capace di cambiare a sua posta l'azione delle forze della natura, ma di rifiutare l'ammissione di fatti scientificamente stabiliti tendenti a ridurre la distanza tra l'uomo ed i suoi fratelli animali.

Si vede facilmente che M. Sutherland (Origin and Growth of Moral instinct) cominciò il suo libro con la intenzione di provare che tutti i sentimenti morali sono nati dall'affetto dei genitori e dall'amore familiare, sentimenti che sono il monopolio degli animali a sangue caldo; così si sforza di menomare la importanza della simpatia e della cooperazione delle formiche. Cita il libro del Büchner «La vita fisica delle bestie» e conosce le esperienze del Lubbock. Quanto alle opere del Huber e del Forel, egli se ne sbarazza con la frase seguente: «Ma tutto o quasi tutto (gli esempi del Büchner trattanti della simpatia tra le api) è falsato da una cert'aria di sentimentalismo... che fa di queste opere piuttosto dei libri scolastici che delle vere opere scientifiche e si può fare lo stesso rimprovero (i corsivi sono miei) ad alcuni degli aneddoti più conosciuti del Huber e del Forel» (vol. I, pag. 298).

Il Sutherland non specifica a quali aneddoti egli alluda, ma sembra che non abbia mai avuto occasione di leggere i lavori del Huber e del Forel. I naturalisti che conoscono queste opere non vi trovano affatto degli aneddoti.

Qui si può menzionare l'opera recente del professore Gottfried Adlerz sopra le formiche nella Svezia (Myrmecologiska Studier: Svenska Myror och des Lefnadförhâllanden, nel Bihang til Swenska Academiens Handlingar, volume XI, n. 18, 1886). È appena necessario dire che il professore svedese conferma pienamente tutte le osservazioni del Huber e del Forel relative al mutuo appoggio nella vita delle formiche, compresa quella spartizione del cibo che à tanto meravigliato quelli che non avevano saputo vederla (pagine 136-137).

L'Adlerz cita pure delle esperienze molto interessanti che confermano ciò che Huber aveva già osservato: che le formiche di due differenti formicai non si assalgono sempre tra loro. Egli fece un esperimento con la formica Tapinoma erraticum. Un'altra prova fu fatta con la formica comune, Rufa. Messo un formicaio in un sacco, egli lo vuotò a sei piedi da un altro formicaio. Non vi fu battaglia, ma le formiche del secondo formicaio si misero a trasportare le larve del primo. In generale ogni volta che il signor Adlerz mise in presenza delle operaie con le loro larve, prese le une e le altre in due differenti formicai, non vi fu battaglia; ma se le operaie erano senza le loro larve, un combattimento incominciava (pag. 185-186).

Il signor Adlerz completa anche le osservazioni del Forel e di Mac Cook sopra le «colonie» di formiche, composte di molti formicai differenti, e che secondo i suoi calcoli, che arrivano ad una media di 300.000 Formica exsecta in ogni formicaio, conclude che tali «nazioni» possono contare delle ventine ed anche delle centinaia di milioni di individui.

Il libro del Maeterlinck sulle api, scritto mirabilmente, sarebbe utilissimo, benchè non contenga affatto delle osservazioni nuove, se non fosse guastato da tante parole metafisiche.

III. Associazioni di nidificazione.

Il giornale di Audubon (Audubon and his Journals, New York, 1898, pag. 35), sopra tutto nelle parti dove narra la sua vita sulle coste del Labrador e del fiume San Lorenzo verso il 1830, contiene eccellenti descrizioni sulle associazioni di nidificazione formate da uccelli acquatici. Nel parlare di «Rocher», una delle isole della Maddalena o isole d'Amherst, egli scrive: «A undici ore, trovandomi sul ponte, distinsi nettamente la cima dell'isola e la credetti coperta di neve: sembrava ce ne fosse su ogni rilievo, su ogni sporgenza della scogliera». Ma non era neve; erano dei gabbiani bianchi posati quietamente sopra le loro uova o sopra la loro covata appena dischiusa, le loro teste volte al vento, toccandosi quasi tra loro ed in linea regolare. L'aria su uno spazio di centinaia di metri, a qualche distanza intorno allo scoglio «era piena di gabbiani volanti, come se una tormenta di neve fosse al di sopra di noi. Dei gabbiani kittawacke e delle Uriatroile vivevano sul medesimo scoglio» (Journals, vol. I, pag. 360-363).

In vista dell'isola d'Anticosti, il mare «era letteralmente coperto dalle Uriatroile e dai pinguini comuni (Alca torva). Più lontano, l'aria era piena di anitre vellutate. Sopra gli scogli del Golfo dei martin pescatori, delle rondini di mare (la grande specie, la specie artica ed anche probabilmente la specie di Foster) delle Tringa pusilla, dei gabbiani, dei pinguini, delle macrose nere, delle oche selvatiche (Anser canadensis), degli smerghi minori, dei marangoni, ecc., vivevano tutti insieme. I gabbiani erano estremamente abbondanti; essi molestavano senza posa tutti gli altri uccelli, divorandone le uova ed i piccoli; essi rappresentano la parte delle aquile e dei falchi».

Sul Missouri, al di sopra di Saint-Louis, Audubon vide, nel 1843, degli avvoltoi e delle aquile che avevano fatto i loro nidi in colonie. Così egli menziona «un lungo seguito di coste alte, sovrastate da enormi scogli calcarei, forati da molte buche di strano aspetto, dove vedemmo, verso il crepuscolo, entrare degli avvoltoi e delle aquile» e forse delle Cathartes aura e delle aquile di mare dalla testa bianca (Haliäetus leucocephalus), come rileva E. Couës in una nota (vol. I, pag. 458).

Uno dei luoghi più propizî alle covate sulle coste inglesi si trova nelle isole Farne.

L'opera di Charles Dixon, Among the Birds in Northern Shires offre una animata descrizione di queste terre, dove migliaia di grossi gabbiani, di starne, di anitre dal piumino, di marangoni, di corrieri piccoli, di beccacce di mare, di polcinelle di mare, si riuniscono ogni anno. «Quando ci si avvicina a certe isole, la prima impressione è che il gabbiano (il gabbiano dal mantello bruno) monopolizzi tutto il terreno, tanto lo si vede in gran numero. L'aria ne sembra piena; il terreno e le rocce ne sono ingombre; e quando finalmente il nostro battello tocca la scogliera e noi saltiamo vivacemente sulla riva, tutto risuona e si agita intorno a noi: è un terribile schiamazzo di gridi di protesta prolungati con insistenza, fino a che non lasciamo il posto» (pag. 219).

IV. Socievolezza degli animali.

Il fatto che la sociabilità degli animali si manifestava di più allorchè erano meno cacciati dall'uomo è confermato da molti esempi mostranti che gli animali che vivono oggi isolati nei paesi abitati dall'uomo, continuano a vivere in branchi nelle regioni disabitate. Così sugli altopiani deserti ed aridi dei nord del Tibet, Prjevalsky trovò degli orsi viventi in società. Egli parla di numerose «mandrie di buoi, di asini selvatici, d'antilopi ed anche di orsi». Questi ultimi, dice egli, si nutrono di piccoli roditori che s'incontrano in quantità in queste regioni, e sono così numerosi, che «gli indigeni m'ànno affermato averne trovato cento o centocinquanta dormenti nella stessa caverna». (Rapporto annuale della Società geografica russa del 1885, pag. II, in russo). Le lepri (Lepus Lehmani) vivono in grandi società sul territorio transcaspiano (N. Zaroudnyi, «Ricerche zoologiche nella regione transcaspiana», nel Bollettino della Società dei naturalisti di Mosca, 1889, 4). Le piccole volpi di California che, secondo E. S. Holden, vivono nei dintorni dell'osservatorio di Lick ed ànno «un regime composto a metà di bacche di manzanita e a metà di polli dell'osservatorio» (Nature, nov. 5, 1891) sembra pure siano esseri molto socievoli.

Alcuni esempi molto interessanti dell'amore per la società presso gli animali sono stati citati ultimamente dal signor C. J. Cornish (Animals at Work and Play, London, 1896). Tutti gli animali, osserva giustamente, detestano la solitudine. Egli cita anche un divertente esempio delle abitudini dei cani delle praterie di porre delle sentinelle. Quest'abitudine è così inveterata che ne ànno sempre uno di guardia, anche al Giardino Zoologico di Londra e al Giardino di acclimazione di Parigi (pag. 46).

Kessler aveva ben ragione di far notare che le giovani covate di uccelli, riunendosi in autunno, contribuiscono allo sviluppo del sentimento di socievolezza.

M. Cornish (Animals at Work and Play) à dato molti esempi di giochi di giovani mammiferi, come degli agnelli giocanti «marchons à la queue leu-leu,» o «al re detronizzato» ed esempi del loro gusto per «la corsa con gli ostacoli» (steeple-chases); egli cita anche dei cerbiatti giocanti ad una specie di «chat-coupé» colpentisi l'un l'altro con una musata. Noi abbiamo, inoltre, l'eccellente opera di Karl Groos, The Play of Animals.

V. Ostacoli alla superpopolazione.

Hudson, nel suo libro «Naturalist on the La Plata» (cap. III), narra in modo molto interessante la moltiplicazione rapida di una specie di sorci e le conseguenze di questa improvvisa «onda di vita».

«Durante l'estate del 1872-73, egli scrive, avemmo molti giorni di sole, e nello stesso tempo frequenti temporali, in modo che durante i mesi caldi noi non mancavamo di fiori campestri, come avveniva generalmente gli altri anni». La stagione fu così molto favorevole ai topi, e «queste piccole creature prolifiche furono in breve talmente abbondanti che i cani e i gatti se ne nutrivano quasi esclusivamente. Le volpi, le donnole, le sarighe si rimpinzavano; anche l'armadillo insettivoro si mise a dar la caccia ai topi».

Le galline diventavano del tutto rapaci, i «tiranni gialli (Pitangus) e i Guiras non si nutrivano che di topi». Nell'autunno innumerevoli cicogne e gufi brachyotes arrivarono per prendere anch'essi parte al generale festino. Poi venne un inverno di siccità continua; l'erba secca fu mangiata o si ridusse in polvere; e i topi privi di rifugio e di nutrimento, morirono in massa. I gatti rientrarono nelle case, i gufi brachyotes – che sono viaggiatori – abbandonarono la regione; mentre le piccole civette terriere furono costrette ad un regime così ridotto che diventarono appena capaci di volare «e s'aggiravano attorno alle case tutto il giorno alla ricerca di qualche nutrimento». I montoni ed il bestiame perirono in numero incredibile in quell'inverno, durante un mese di freddo che seguì la siccità. Quanto ai topi, Hudson scrive che «appena qualche miserabile avanzo ne sussistette per perpetuare la specie dopo questa grande strage».

Quest'esempio offre pure un altro interesse: mostra come nelle pianure e negli altipiani, l'accrescimento improvviso di una specie, attiri immediatamente dei nemici venuti di fuori, e come le specie che non trovano protezione nella loro organizzazione sociale debbono necessariamente soccombere.

Lo stesso autore ci dà un altro eccellente esempio osservato nella Repubblica Argentina. Il coypou (Myopotamus coypù), è, in questo paese, un roditore molto comune: à la forma di un topo, ma pure è tanto grosso quanto una lontra. Esso è acquatico e molto socievole. «La sera, scrive Hudson, si vedono nuotare e giocare nell'acqua, conversando tra loro mediante strani suoni, che sembrano gemiti e pianti di uomini feriti. Il coypou che à una bella pelle fine sotto i suoi peli grossolani, fu oggetto di grande esportazione nell'Europa; ma circa sessanta anni fa, il dittatore Rosas promulgò un decreto che vietava la caccia a questi animali. Il risultato fu che si moltiplicarono eccessivamente; abbandonarono le loro abitudini acquatiche, divennero terrestri e migratori, e branchi di coypous si sparsero per tutte le coste in cerca di nutrimento. D'improvviso una malattia s'abbattè sopra di essi, e li sterminò rapidamente; la specie fu quasi spenta» (pag. 12).

Da una parte lo sterminio per opera dell'uomo, dall'altra le malattie contagiose, ecco gli ostacoli principali che impediscono lo sviluppo d'una specie, e non la lotta per i mezzi di sussistenza, che può non manifestarsi affatto.

Si potrebbe citare un gran numero di fatti che provano come regioni che godono di un clima molto migliore della Siberia siano tuttavia poco popolate di animali. Così, nell'opera ben conosciuta del Bates, troviamo la stessa osservazione riguardo le rive del fiume Amazzoni: «Vi si trova, scrive Bates, una grande varietà di mammiferi, d'uccelli e di rettili, ma sono molto sparsi e tutti molto timorosi davanti all'uomo. La regione è così vasta e così uniformemente coperta di foresta, che non è che a lunghi intervalli che si vedono degli animali in abbondanza in qualche luogo più attraente degli altri» (Naturalist on the Amazon, 6a ediz., pag. 31).

Il fatto è tanto più notevole in quanto la fauna del Brasile, che è povera di mammiferi, non è affatto povera di uccelli, come si è visto in una precedente citazione, relativa alle società di uccelli. E però, non è l'eccesso di popolazione, bensì il contrario, che caratterizza le foreste del Brasile, come quelle dell'Asia e dell'Africa. La stessa cosa è vera per le pampas dell'America del sud; Hudson rileva che è del tutto meraviglioso che non si trovi che un solo piccolo ruminante su quest'immensa distesa erbosa, la quale mirabilmente converrebbe a quadrupedi erbivori. Milioni di montoni, di bestiame e di cavalli, introdotti dall'uomo, pascolano ora sopra una parte di queste praterie. Nelle pampas anche gli uccelli terrestri sono poco numerosi, tanto come specie che come individui.

VI. Adattamenti per evitare la concorrenza.

Numerosi esempi di adattamento sono menzionati nelle opere di tutti i naturalisti esploratori. Uno tra gli altri, molto interessante, è quello dell'armadillo velloso, del quale l'Hudson dice: «egli à saputo crearsi una vita a sè, e ciò fa sì che egli prosperi, mentre i suoi congeneri spariscono rapidamente. Il suo cibo è dei più vari. Divora ogni specie di insetti, scoprendo vermi e larve a parecchi pollici sotto terra. È ghiotto di uova e di giovani uccelli; si nutre di carogne volentieri come un avvoltoio; e quando manca di cibo animale, si mette a regime vegetale: trifoglio ed anche grano di mais. Così, mentre altri animali soffrono la fame, l'armadillo chiomato è sempre grasso e vigoroso» (Naturalist on the La Plata, pag. 71).

La facoltà di adattamento dei vanelli li mette nel numero delle specie delle quali l'area di propagazione è molto ampia. In Inghilterra, «il vanello s'adatta così bene sui terreni coltivati come sui terreni aridi». Ch. Dixon dice pure nel suo libro «Birds of Northern shires» (pag. 67): «la varietà di nutrimento è ancor più la regola negli uccelli da preda». Così, ad esempio, apprendiamo dallo stesso autore (pag. 60-65) «che l'abuzzago delle lande della Gran Bretagna si nutre non solo di uccellini, ma anche di talpe, di topi, di rane, di lucertole e d'insetti, e che la maggior parte dei piccoli falchi si nutrono largamente di insetti».

Il capitolo così interessante che W. H. Hudson consacra alla famiglia dei rampicanti dell'America del sud è un altro eccellente esempio dei mezzi cui ricorre un grande numero di animali per evitare la concorrenza, cosicchè infatti si moltiplicano in certe regioni, senza possedere nessuna delle armi, considerate generalmente come essenziali nella lotta per l'esistenza. La famiglia che abbiamo or ora citata si incontra sopra una immensa estensione dal Messico meridionale alla Patagonia. Se ne conoscono non meno di 290 specie, ripartite in circa 46 generi, ed il loro carattere più notevole è la differenza delle singole abitudini. Non solo i differenti generi e le differenti specie ànno abitudini loro particolari, ma la stessa specie à abitudini di vita diverse secondo le differenti località. «Certe specie di Xenops e di Magarornis, s'arrampicano come i picchi, verticalmente lungo i tronchi d'alberi per cercare degli insetti, ma, alla maniera delle cingallegre, esplorano pure i piccoli rami ed il fogliame all'estremità dei rami, in modo che l'intero albero dalla radice fino alle foglie della sua cima, è loro terreno di caccia. Lo Sclerurus, benchè abiti nelle foreste più cupe e possieda degli artigli molto ricurvi, non cerca mai il suo nutrimento sugli alberi, ma esclusivamente sul terreno, tra le foglie morte; e, ciò che sembra abbastanza bizzarro, quando è spaventato, vola verso un tronco dell'albero più vicino, vi si attacca in una posizione verticale e resta senza muoversi, silenzioso, sfuggendo agli sguardi in grazia del suo colore scuro». In quanto alle abitudini di nidificare, esse variano molto. Così, in un solo genere, tre specie costruiscono un nido d'argilla in forma di forno, una quarta lo fa con ramicelli sugli alberi, una quinta si scava un buco sul pendio d'una ripa, come il martin pescatore.

Ora, questa immensa famiglia, della quale Hudson dice che «essa occupa tutta l'America del sud; poichè non c'è clima, nè suolo, nè vegetazione dove non se ne trovi qualche specie adatta, questa famiglia appartiene – per adoperare le sue parole – agli uccelli i più privi di armi naturali». Come le anitre rammentate dallo Sièvertoff (vedere il testo), essi non posseggono nè artigli, nè becco potente: «essi sono esseri timorosi, senza resistenza, senza forza, e senz'armi; i loro movimenti sono meno vivaci e meno vigorosi di quelli d'altra specie, ed il loro volo è debole». Ma essi possiedono – osservano l'Hudson e l'Asara – «disposizioni sociali in un grado eminente», benchè «le abitudini sociali siano contrastate in essi dalle condizioni di una vita che loro rende necessaria la solitudine». Non possono riunirsi in grandi associazioni per covare, come fanno gli uccelli di mare, perchè si nutrono degli insetti degli alberi ed è loro necessario esplorare separatamente ogni albero, il che fanno con grande cura, ciascuno per sè; ma di continuo si chiamano gli uni gli altri nei boschi «conversando insieme a grandi distanze»; e si associano per formare degli «stormi viaggiatori» che sono molto bene conosciuti per le pittoresche descrizioni del Bates. Hudson, da parte sua, pensa «che in tutta l'America del sud i Dendrocolaptidae sono i primi ad unirsi per agire di concerto, e che uccelli di altre famiglie li seguono e si associano con essi, sapendo per esperienza che potranno così procurarsi un ricco bottino». Occorre appena aggiungere che Hudson loda altamente anche la loro intelligenza. La socievolezza e la intelligenza camminano sempre alla pari.

VII. Origine della famiglia.

Mentre scrivevo il capitolo sui selvaggi, un certo accordo sembrava essersi stabilito tra gli antropologi circa l'apparizione relativamente tardiva, nelle istituzioni umane, della famiglia patriarcale, quale la vediamo presso gli Ebrei, o nella Roma imperiale. Tuttavia sono state pubblicate poi delle opere nelle quali si contestano le idee sostenute dal Bachofen e Mac Lennan, sistemate particolarmente dal Morgan e ulteriormente svolte e confermate dal Post, Massimo Kovalevsky e Lubbock. Le più importanti di queste opere sono quella del professore danese C. N. Starcke (La Famille primitive, 1889) e quella del professore d'Helsingfors, Edoardo Westermarch (The History of human Marriage, 1891, 2a ediz., 1894). Così è accaduta la stessa cosa per questa questione delle forme primitive del matrimonio e per la questione delle istituzioni primitive della proprietà fondiaria. Quando le idee di Maurer e di Nasse sul comune rurale, sviluppate da tutta una scuola di esploratori di valore, come le idee degli antropologi moderni sulla costituzione comunista primitiva del clan, ebbero ottenuto un consenso quasi generale – provocarono l'apparizione di opere quali quelle di Fustel de Coulanges in Francia, di Federico Seebohm in Inghilterra e parecchie altre, nelle quali ci si sforzava – con maggiore splendore che con reale profondità – di screditare queste idee, di metter in dubbio le conclusioni alle quali le moderne ricerche erano arrivate (vedere la prefazione del professore Vinogradov alla sua notevole opera, Villainage in England).

Così pure, quando le idee sopra la inesistenza della famiglia nella primitiva epoca del clan cominciarono ad essere accettate dalla maggioranza degli antropologi e degli studiosi del diritto antico, provocarono dei libri come quelli dello Starke e del Westermarck, nei quali l'uomo è rappresentato, secondo la tradizione ebraica, come avesse incominciato con la famiglia patriarcale, e non fosse mai passato per gli stati descritti da Mac Lennan, Bachofen o Morgan. Queste opere, in particolare la splendida Histoire du mariage humaine, sono state molto lette ed ànno prodotto un certo effetto; quelli che non avevano letto le voluminose opere sostenenti la tesi opposta divennero esitanti, mentre che alcuni antropologi, conoscitori profondi di questo soggetto, come il professore francese Durkheim, presero un atteggiamento conciliante ma non molto netto.

Questa controversia esce un poco dal soggetto d'un'opera sul mutuo appoggio. Il fatto che gli uomini ànno vissuto in tribù dalle prime età del genere umano non è contestato, neppure da coloro che sono urtati all'idea che l'uomo abbia potuto passare un periodo nel quale la famiglia, quale la comprendiamo, non esisteva. Tuttavia il soggetto à il suo interesse e merita d'essere mentovato. Aggiungiamo soltanto che occorrerebbe un volume per trattarlo a fondo.

Quando ci sforziamo di sollevare il velo che ci nasconde le antiche istituzioni, e particolarmente quelle che datano dalla prima comparsa di esseri del tipo umano, ci occorre – in assenza di testimonianze dirette – compiere un lavoro dei più difficili, il quale consiste nel risalire all'origine di ciascuna istituzione, notando accuratamente le più tenui tracce che essa ha lasciato nelle consuetudini, nei costumi, nelle tradizioni, nei canti, nel folklore, ecc.; poi, raccogliendo i diversi risultati di ciascuno di questi studî, occorre ricostruire mentalmente una società nella quale tutte queste istituzioni sarebbero coesistite. Si capisce il formidabile insieme di fatti ed il numero enorme di studî minuziosi sui punti particolari, necessari per condurre a conclusioni certe.

È ben questo che si trova tuttavia nell'opera monumentale del Bachofen e dei suoi continuatori, ma ciò manca nelle opere della scuola avversa. Il cumulo dei fatti raccolti dal Westermarck è senza dubbio grande, e l'opera sua è certamente molto pregevole come saggio critico; ma egli non potrà indurre coloro che ànno studiato le opere del Bachofen, del Morgan, di Mac Lennan, di Post, di Kovalevsky, ecc., e che ànno familiari le opere della scuola del comune rurale, a cambiare opinione e ad ammettere la teoria della famiglia patriarcale.

Gli argomenti tratti dal Westermarck dalle abitudini familiari dei primati non ànno affatto, a nostro parere, il valore che loro s'attribuisce. Ciò che sappiamo delle relazioni di famiglia nelle specie socievoli delle scimmie contemporanee è molto incerto, invece le due specie non socievoli degli orangutang e dei gorilla devono essere messe fuori di discussione, perchè tutte e due sono, come ò indicato nel testo, specie che vanno sparendo. Ne sappiamo ancora meno sulle relazioni tra i maschi e le femmine presso i primati sul finire del periodo terziario. Le specie che vivevano allora sono probabilmente tutte estinte ed ignoriamo assolutamente quale fu la forma ancestrale dalla quale l'uomo è venuto. Tutto ciò che possiamo dire con qualche apparenza di probabilità è che una grande varietà di relazioni sessuali è senza dubbio esistita nelle differenti specie di scimmie, estremamente numerose in tale epoca; e che grandi cambiamenti ci son dovuti essere da allora nelle abitudini dei primati: cambiamenti come se ne sono prodotti durante i due ultimi secoli nelle abitudini di molte altre specie di mammiferi.

La discussione deve dunque essere limitata alle istituzioni umane. Nell'esame minuzioso delle diverse tracce di ciascuna istituzione primitiva, ravvicinata a ciò che sappiamo di tutte le altre istituzioni dello stesso popolo e della stessa tribù, risiede la forza principale di quelli che sostengono che la famiglia patriarcale è una istituzione di origine relativamente tarda.

Esisteva infatti, tra gli uomini primitivi, tutto un ciclo d'istituzioni che ci diventano comprensibili se accettiamo le idee di Bachofen e di Morgan, ma che sono completamente incomprensibili nell'ipotesi contraria. Tali sono: la vita comunista del clan, tanto che non fu distrutta dalle famiglie paterne separate; la vita nelle lunghe case e in classi occupanti le lunghe case separate secondo l'età e il grado d'iniziazione delle giovani persone (Maclay, H. Schurz); le restrizioni all'accumulamento personale dei beni dei quali ò dato parecchi esempi nel testo; il fatto che le donne prese da un'altra tribù appartenevano alla tribù intera prima di divenire possesso particolare; e molte altre istituzioni simili analizzate dal Lubbock. Tutte queste istituzioni che decaddero e finalmente sparirono durante il periodo del comune rurale, s'accordano perfettamente con la teoria del «matrimonio tribale»; ma i partigiani della famiglia patriarcale le trascurano.

Non è questo certamente il modo migliore di discutere il problema. Gli uomini primitivi non avevano istituzioni sovrapposte od aggiunte, come ne abbiamo oggi. Essi non avevano che una istituzione, il clan, che comprendeva tutte le relazioni reciproche dei membri del clan. Le relazioni matrimoniali e quelle della proprietà sono relazioni che concernono il clan. E ciò che i difensori della teoria della famiglia patriarcale dovrebbero almeno dimostrarci, è come il ciclo delle istituzioni sovracitate (e che sono sparite più tardi) abbia potuto esistere in una agglomerazione di uomini viventi sotto un sistema contradittorio a tali istituzioni: il sistema delle famiglie separate, governate dal pater familias.

Il modo col quale certe serie difficoltà sono messe da parte dai promotori della teoria della famiglia patriarcale non è certo molto scientifico. Così Morgan à mostrato con un gran numero di prove che esiste presso molte tribù primitive un sistema strettamente osservato di «classificazione di gruppi», e che tutti gli individui della stessa categoria si rivolgono scambievolmente la parola come se fossero fratelli e sorelle, mentre gli individui d'una categoria più giovane si rivolgono alle sorelle della loro madre come ad altre madri, e così via. Dire che ciò non è che un semplice modo di parlare – un modo di esprimere il rispetto alle persone più attempate – è uno sbarazzarsi facilmente della difficoltà di spiegare perchè questo modo speciale d'esprimere del rispetto, e non un altro, abbia prevalso tra tanti popoli di differente origine, al punto di esistere presso molti tra essi anche oggi. Si può ammettere che ma e pa sono le sillabe più facili a pronunciarsi da un piccino, ma la questione è: Perchè questi vocaboli del linguaggio infantile sono impiegati dagli adulti, ed applicati ad una data categoria ben definita di persone? Perchè presso tante tribù dove la madre e le sorelle sono chiamate ma, il padre è chiamato per tiatia (analogo a diadia – zio), dad, da o pa? Perchè l'appellativo di madre, dato alle zie materne è sostituito più tardi da un nome distinto? E così di seguito. Ma quando apprendiamo che presso molti selvaggi la sorella della madre assume una responsabilità nelle cure date al fanciullo grande quanto quella della madre stessa, e che se la morte rapisce il bambino amato, l'altra «madre» (la sorella della madre) si sacrifica per accompagnarlo nel suo viaggio verso l'altro mondo, noi vediamo in questi nomi qualche cosa di più profondo che un semplice modo di parlare, o un modo di mostrare del rispetto. E ciò tanto più quando apprendiamo l'esistenza di tutto un ciclo di sopravvivenze che il Lubbock, Kovalevsky, Post ànno accuratamente esaminate e che ànno tutte lo stesso significato. Si può dire, senza dubbio, che la parentela viene riconosciuta dal lato materno «perchè il bambino resta maggiormente con sua madre», oppure si può spiegare col fatto che i figli d'un uomo e di più donne di tribù differenti appartengono al clan delle madri a cagione della «ignoranza dei selvaggi in fisiologia»; ma questi argomenti sono lontano dall'essere abbastanza seri per questioni di questa importanza, sopra tutto quando sappiamo che l'obbligo di portare il nome della madre implica che si appartiene sotto tutti i rapporti al clan di essa; vale a dire conferisce diritto a tutta la proprietà del clan materno, come pure alla protezione del clan, l'assicurazione di non venir mai assalito da nessuno dei suoi membri ed il dovere di vendicare le ingiurie fatte a ciascun membro del clan.

Anche se ammettessimo un momento queste spiegazioni come sodisfacenti, vedremmo presto che occorrerebbe trovare una spiegazione diversa per ogni categoria di fatti di questa natura – e sono molto numerosi. Per non citarne che alcuni: la divisione dei clan in classi in un'epoca nella quale non c'era nessuna divisione relativa alla proprietà o condizione sociale; l'esogamia e tutti i costumi che ne sono la conseguenza, enumerati dal Lubbock; il patto del sangue ed una serie di costumi analoghi destinati a mostrare l'unità della discendenza; l'apparizione degli dei della famiglia, venenti dopo gli dèi dei clan; lo scambio delle donne che non esiste soltanto presso gli Eschimesi, in tempi di calamità, ma è un'abitudine molto diffusa fra molte altre tribù di tutt'altra origine; il legame matrimoniale tanto più debole quanto più si discende ad un livello basso della civiltà; i matrimoni «compositi»: parecchi uomini che sposano una sola donna che loro appartiene a turno; la abolizione delle restrizioni al matrimonio durante le feste, o durante tutto il quinto, il sesto od altri giorni; la coabitazione nelle «lunghe case»: l'obbligo di allevare l'orfano imposto, anche in un'epoca avanzata, allo zio materno; il numero considerevole delle forme transitorie mostrano il passaggio graduale della filiazione materna a quella paterna; la limitazione del numero dei figli per clan – non per famiglie – e l'abolizione di questa limitazione rigorosa in tempo di abbondanza; le restrizioni della famiglia appaiono dopo le restrizioni del clan; il sacrificio dei vecchi nell'interesse della tribù; la legge del taglione incombente sulla tribù, e molte altre abitudini e costumi che non diventano «affari di famiglia» che quando troviamo la famiglia, nel senso moderno della parola, infine costituita; le cerimonie nuziali e pre-nuziali, delle quali trovansi esempi caratteristici nell'opera di Giovanni Lubbock e in quelle di parecchi autori russi moderni; l'assenza della solennità del matrimonio là dove la linea di filiazione è materna, e l'apparizione di queste cerimonie nelle tribù dove la linea di filiazione diventa paterna: questi fatti e molti altri ancora1 mostrano, come osserva Durkheim, che il matrimonio propriamente detto «non è che tollerato e che delle forze antagoniste vi si oppongono»; la distruzione, alla morte d'un individuo, di tutto ciò che gli apparteneva personalmente; e, infine la grande quantità di tradizioni2 di miti (vedere Bachofen ed i suoi numerosi discepoli), di folklore, ecc... tutto parla nello stesso senso.

Naturalmente ciò non prova che vi sia stato un periodo nel quale la donna fu considerata come superiore all'uomo, o fosse «alla testa» del clan; questa è una questione affatto diversa, e la mia opinione personale è che un tale periodo non esistette mai. Ciò non prova neppure che vi sia stato un tempo nel quale non esistette nessuna restrizione tribale all'unione dei sessi: ciò sarebbe affatto contrario a tutto quello che si conosce. Ma quando si consideri nelle loro relazioni reciproche il cumulo dei fatti recentemente messi in luce, bisogna ben riconoscere che se coppie isolate, con i loro figli ànno potuto esistere ancora nei clan primitivi, queste famiglie esordienti non furono che eccezioni tollerate e non una istituzione di quell'epoca.

VIII. Distruzione della proprietà privata sulle tombe.

In un libro notevole, «I sistemi religiosi della Cina», pubblicato nel 1892-97 da J. M. de Groot a Leyda, troviamo la conferma di questa idea. Vi è stata un'epoca in Cina (come altrove), nella quale tutti i beni personali di un morto erano distrutti sulla sua tomba: i suoi beni mobili, i suoi schiavi ed anche i suoi amici e vassalli, e naturalmente, la sua vedova. Occorse un'azione energica dei moralisti contro questo costume per mettervi fine. Presso gli zingari (gipsies) dell'Inghilterra il costume di distruggere sulla sua tomba tutto quanto aveva appartenuto ad uno di essi è sopravvissuto fino ad oggi. Tutti i beni personali della regina gipsy che morì nel 1896, nelle vicinanze di Slough, furono distrutti sulla sua tomba. Dapprima fu ucciso il suo cavallo, e fu mangiato; poi si bruciò la sua casetta mobile e i finimenti del cavallo e vari oggetti che avevano appartenuto alla regina. Parecchi giornali raccontarono questo fatto.

IX. La «famiglia indivisa».

Dalla pubblicazione del presente libro, un certo numero di buone opere sono apparse riguardanti la Zadrouga della Slavonia meridionale o la «famiglia composta», paragonata ad altre forme d'organizzazione della famiglia; tra gli altri da Ernesto Miler, nel Jahrbuch der Internationaler Vereinung für vergleichende Rechtswissenschaft und Volkswirthschaftslehre, 1897, e da I. - E. Geszow, La Zadrouga in Bulgaria e La proprietà, il lavoro, i costumi, l'organizzazione della Zadrouga in Bulgaria. È necessario citi anche lo studio ben conosciuto del Bogisic (De la forme dite «inokosna» de la famille rurale chez les Serbes et les Croats, Paris, 1884). Questo studio è stato omesso nel testo.

X. L'origine delle gilde.

L'origine delle gilde è stata il soggetto di molte discussioni. L'esistenza delle corporazioni di mestiere, o «collegi» d'artigiani, nell'antica Roma non offre nessun dubbio. Si vede, infatti, in un passo di Plutarco, che Numa le regolamentò. «Divise il popolo, vi è detto, i corpi di mestieri... ordinando loro di avere delle confraternite, delle feste e delle riunioni ed indicando il culto che dovevano celebrare davanti agli dèi, secondo la dignità di ogni mestiere». Tuttavia è quasi certo che non fu il re romano che inventò od istituì i «collegi di mestiere»: essi esistevano già nella Grecia antica. Secondo ogni probabilità, egli non fece che sottometterli alla legislazione regia, come Filippo il Bello, quindici secoli più tardi, sottopose le arti della Francia, con loro grande detrimento, alla sorveglianza ed alla legislazione reale. Si dice pure che uno dei successori di Numa, Servio Tullio, promulgasse certe leggi concernenti i collegi.3

È dunque naturale che gli storici si siano domandati se le gilde, che presero un così grande sviluppo nel XII secolo, ed anche nel X e nell'XI secolo, erano una rinascenza degli antichi «collegi» romani: tanto più che questi ultimi, come abbiamo testè veduto nella citazione precedente, corrispondevano del tutto alle gilde del Medio Evo.4

Si sa infatti che corporazioni sul modello romano esistettero nella Gallia meridionale fino al V secolo. Oltre a ciò, una iscrizione trovata in scavi fatti a Parigi, mostra che una corporazione di nautoe esisteva sotto Tiberio; ed in uno statuto concesso ai «mercanti d'acqua» di Parigi nel 1170, i loro diritti sono citati come esistenti ab antiquo (stesso autore, pag. 51). La conservazione delle corporazioni durante il principio del Medio Evo in Francia dopo le invasioni barbariche non avrebbe dunque niente di straordinario.

In onta a ciò, non si saprebbe sostenere che le corporazioni olandesi, le gilde normanne, gli artels russi, gli amkari georgiani, ecc., abbiano necessariamente un'origine romana od anche bizantina. Certo le relazioni tra la Normandia e la capitale dell'Impero Romano d'Oriente erano attive, e gli Slavoni (come lo ànno provato degli storici russi e particolarmente Rambaud) vi presero viva parte. I Normanni e i Russi ànno dunque potuto importare l'organizzazione romana delle corporazioni dei mestieri nei loro rispettivi paesi. Ma quando vediamo che l'artel era l'essenza stessa della vita quotidiana di tutti i Russi, già al X secolo, e che questo artel, quantunque nessuna specie di legislazione l'abbia mai sottoposto a regolamenti fino ai tempi moderni, à gli stessi tratti caratteristici del «collegio» dei Romani o della gilda dei paesi occidentali, siamo ancor più tratti a considerare le gilde dei paesi orientali come aventi una origine ancora più antica dei collegi romani. I Romani sapevano molto bene, infatti, che i loro sodalitia e collegia erano «ciò che i Greci chiamavano hetairiai» (Martin-Saint Léon, pag. 2), e, da quanto sappiamo della storia dei paesi orientali, noi possiamo concludere, con poca probabilità di errore, che le grandi nazioni dell'est, come l'Egitto, ànno avuto pure la organizzazione delle gilde. I caratteri essenziali di queste organizzazioni restano gli stessi ovunque li incontriamo. È un'unione d'uomini della stessa professione e dello stesso mestiere. Quest'unione, come il clan primitivo, à i suoi propri dèi ed il suo proprio culto, comprende sempre certi misteri, particolari a ciascuna unione distinta; l'unione considera tutti i suoi membri come fratelli e sorelle: forse (in origine) con tutte le conseguenze che una tale parentela implicava nella gens, o, almeno con le cerimonie le quali indicavano o simboleggiavano le relazioni che esistevano nel clan tra fratelli e sorelle; infine tutti gli obblighi di mutuo appoggio che esistevano nel clan si trovano in quest'unione: tra le altre, l'esclusione della possibilità di omicidio in seno alla confraternita, la responsabilità di tutto il clan davanti alla giustizia, e l'obbligo, in caso d'una disputa di poca importanza, di portare l'affare davanti ai giudici, o piuttosto agli arbitri, della gilda. Si può quindi dire che la gilda è modellata sul clan.

Le osservazioni che ò fatte nel testo sull'origine del villaggio rurale si applicano dunque alla gilda, a l'artel ed alle confraternite di mestiere o di buon vicinato. Quando i legami che univano altra volta gli uomini nei loro clan furono rilassati in conseguenza delle emigrazioni, dell'apparizione della famiglia paterna e della diversità crescente delle occupazioni, un nuovo legame territoriale venne creato, il comune rurale; ed un legame di occupazioni unisce gli uomini nel seno di una nuova confraternita, il clan immaginario. Quando si trattava soltanto di due, di tre, o diversi uomini questo clan immaginario fu la «confraternita della unione dei sangui» (il probatimstvo degli Slavi); e quando occorse unire un numero più grande di uomini di differenti origini, vale a dire discendenti da diversi clan, ma abitanti lo stesso villaggio o la stessa città (qualche volta anche delle città e dei villaggi differenti), ciò fu la phratrie, l'hétairie, l'amkari, l'artel, la gilda.5

Quanto all'idea ed alla forma di una tale organizzazione, i suoi elementi esistevano già dal periodo selvaggio. Sappiamo infatti che in tutti i clan dei selvaggi vi sono organizzazioni segrete di guerrieri, di stregoni, di giovani, ecc., e dei «misteri» di mestieri, nei quali si trasmette la scienza concernente la caccia o la guerra: in una parola dei «club» come li descrive Miklukho - Maclay. Questi «misteri» furono, secondo ogni probabilità, i prototipi delle future gilde.6

Quanto al libro che ò citato più su, di E. Martin-Saint Léon, aggiungerò che contiene preziose informazioni sulla organizzazione dei mestieri in Parigi – quale è descritta nel «Libro dei mestieri» del Boileau – e un buon riassunto di informazioni relative ai comuni delle diverse parti della Francia, con indicazioni bibliografiche. Ma occorre rammentare che Parigi era una «città regia» (come Mosca o Westminster) e che, per conseguenza, le istituzioni della libera città del Medioevo non ànno mai potuto prendervi lo sviluppo che raggiunsero nelle città libere. Lontano dal rappresentare «l'immagine di una corporazione tipica» le corporazioni di Parigi «nate e svoltesi sotto la tutela diretta della sovranità», per questa stessa ragione non poterono mai conseguire la meravigliosa espansione e l'influsso su tutta la vita della città, che esse raggiunsero nel nord-est della Francia, come a Lione, Montepellier, Nimes, ecc., o nelle città libere dell'Italia, delle Fiandre, della Germania, ecc. L'autore considera questa tutela come una causa di superiorità, ma era al contrario una causa d'inferiorità, poichè mostra chiaramente lui stesso in varie parti del suo libro, come l'ingerenza del potere imperiale a Roma e del potere regio in Francia distrusse e paralizzò la vita delle gilde operaie.

XI. Il mercato e la città del Medioevo.

In un libro sulla città del Medioevo (Markt und Stadt in ihrem rechtlichen Verhältnis, Leipzig, 1896), Rietschel à svolto l'idea che l'origine dei comuni tedeschi del Medioevo deve essere cercata nel mercato. Il mercato locale, posto sotto la protezione di un vescovo, d'un monastero o di un principe, raggruppava tutta una popolazione di commercianti e di artigiani, ma non una popolazione di contadini. La divisione abituale delle città in sezioni, diramantesi attorno alla piazza del mercato e popolate d'operai dei differenti mestieri, ne è una prova; queste sezioni formavano generalmente la Vecchia Città, mentre la Nuova Città era un villaggio rurale appartenente al principe o al re. Le due città erano rette con leggi differenti.

È certo che il mercato à avuto una parte importante nello svolgimento primitivo di tutte le città del Medioevo, contribuendo ad accrescere la ricchezza dei cittadini e dando loro idee di indipendenza; ma come à fatto rilevare Carlo Hegel – l'autore molto noto di una buona opera generale sulle città tedesche del Medioevo (Die Entstehung des deutschen Städtewesens, Leipzig, 1898) – la legge della città non è la legge del mercato, e la conclusione di Hegel è che la città del Medioevo à avuto una doppia origine (ciò che conferma le opinioni emesse in questo libro). Vi si trovano «due popolazioni viventi fianco a fianco: l'una rurale e l'altra puramente urbana»; la popolazione rurale dapprima viveva sotto l'organizzazione dell'Almende, o comune rurale, che si trova incorporato nella città.

Per ciò che concerne le gilde mercantili, l'opera dell'Herman van den Linden (Les gildes marchandes dans les Pays-Bas au moyen âge, Gand, 1896, nella Recueil de Travaux publiés par la faculté de Philosophie et Lettres) merita speciale menzione. L'autore ritrae lo svolgimento graduale del loro potere politico e dell'autorità che acquistarono poco a poco sulla popolazione industriale, particolarmente sui pannaioli, e descrive la lega formata dagli operai per opporsi al crescente potere. L'idea che è stata svolta più sopra, nel testo, relativa all'apparizione della gilda mercantile in un periodo posteriore che corrisponde il più delle volte al declinare delle libertà della città, sembra dunque essere confermata dalle ricerche di H. van den Linden.

XII. Organizzazione del mutuo appoggio in qualche
villaggio del nostro tempo: la Svizzera; i Paesi Bassi.

Le sopravvivenze della proprietà comune ànno assunto in Svizzera certe forme interessanti sulle quali il Dr. Brupbacher à avuto la bontà di attirare la mia attenzione inviandomi le opere citate qui sotto.

Il cantone di Zug comprende due vallate, quella d'Argeri e il fondo della vallata di Zug. Dieci «comuni politici», come il Dr. Rüttimann li designa, entrano nella composizione di questo cantone; e «in tutti questi comuni politici del cantone di Zug – ad eccezione di Menzingen, Neuheine e Risch – a lato delle terre di possesso privato, vi sono parti considerevoli di territori (campi e terreni boscosi) che appartengono a corporazioni d'Allmends, grandi e piccole, i membri delle quali amministrano in comune queste terre. Queste unioni d'Allmends sono oggidì note nel cantone di Zug sotto il nome di corporazioni. Nei comuni politici di Oberägeri, Unterägeri, Zug, Walchwil, Cham, Steinhausen e Hünenberg, vi è una corporazione per ogni comune, ma ve ne sono cinque nel comune di Baar».

Il fisco valuta le proprietà di queste corporazioni 6.786.000 franchi. (Pari a circa lire italiane odierne: 1.015.000.000. N. d. Ed.).

Gli statuti di queste corporazioni riconoscono che le proprietà delle Allmends sono «loro proprietà comuni, inalienabili, indivisibili, e non possono essere ipotecate».

Le antiche «famiglie» di burgers sono membri di queste corporazioni. Tutti gli altri cittadini del comune che non appartengono a queste famiglie, non appartengono affatto alla corporazione. Per giunta, alcune famiglie di certi comuni del cantone di Zug sono burgers del comune rurale di Zug. In altri tempi c'era anche una classe di stranieri stabiliti (Beissassen) i quali occupavano una posizione intermedia tra i burgers ed i non burgers, ma ora questa classe non esiste più. Soli, i burgers possiedono dei diritti sopra l'Allmend (o diritti di corporazione) i quali variano in quanto alla loro estensione, ed in qualche comune si applicano al possesso di una casa costruita sul terreno comunale. Questi diritti, chiamati Gerechtigkeiten possono oggidì venir comprati, anche da stranieri.

L'affluenza degli stranieri à così prodotto nella repubblica di Zug lo stesso fenomeno che il Miaskowski ed il Kovalewky segnalavano in altre parti della Svizzera. Solamente i discendenti di antiche famiglie ànno il diritto al patrimonio comunale (restato ancora abbastanza considerevole). In quanto agli attuali abitanti di ogni comune, rappresentano un «comune politico» che, come tale, non è l'erede dei diritti dell'antico comune.

Circa il modo con cui, alla fine del XVIII secolo, le terre furono divise tra gli abitanti, come pure le forme complicate che ne risultarono, se ne troverà la particolareggiata descrizione nell'opera del Dr. Carlo Rüttiman, Die Zugerischen Allmend Korporationen, negli Abhandlungen zum schweizerischen Recht, del P. Massimo Gaiür, 2 fascicoli, Berna, 1904 (contenente una bibliografia del soggetto).

Un altro lavoro recente dà una chiara idea dell'antico comune rurale nel Jura bernese; esso è la monografia del Dr. Hermann Rennefahrt, Die Allmend im Berner Jura, Breslavia, 1905 (Untersuchungen zur Deutschen Staats-und Rechtgeschichte, del Dr. Otto Gierke, fascicolo 74, pag. 227, contiene una bibliografia). In quest'opera si trova un'eccellente esposizione dei rapporti che intercedevano tra il latifondista ed i comuni rurali e delle norme economiche che erano in uso in questi ultimi; vi si trova anche una esposizione estremamente interessante delle misure che furono prese al tempo della conquista francese per abolire il comune rurale e forzarlo a dividere le sue terre, al fine di affidarle, escluse le foreste, alla proprietà privata, e vi si apprende pure lo smacco completo che subirono queste leggi. Altra parte interessante di quest'opera mostra come i comuni del Jura bernese siano riusciti, durante questi ultimi cinquant'anni, a trarre miglior partito dalle loro terre e ad accrescerne la fecondità, senza ricorrere alla distruzione della proprietà collettiva.

La monografia del Dr. E. Graf, Die Auftheilung der Allmend in der Gemeinde Schaetz, Berna, 1890, narra la stessa storia del comune rurale e della forzata partizione delle terre nel cantone di Lucerna.

Il Dr. Brupbacher, che à analizzato queste importanti opere nella stampa svizzera, mi à pure inviato: Der Ursprung der Eidgenossenschaft und der Mark-Genossenschaft, di Carlo Bürkli, Zurigo, 1891; la conferenza di P. Karl Bücher, Die Allmende in ihrer wirthschaftlichen und socialen Bedeutung, Berlin, 1902 (Soziale Streitfragen, XII; e quella del Dr. Martin Fassbender, sullo stesso argomento (Leipzig, 1905).

Riguardo allo stato attuale della proprietà comunale nella Svizzera, si può consultare, tra gli altri, l'articolo «Feldgemeinschaft» nel Handwörterbuch der schweizerischen Volkwirthschaft, Sozialpolitik und Verwaltung, del Dr. Reichesberg, Bd. I, Berne, 1903.

La relazione della commissione agricola dei Paesi-Bassi contiene numerosi esempi di mutuo appoggio, ed il mio amico, K. Cornelissen, à avuto la cortesia di scegliere per me, in questi grossi volumi, i passi che vi si riferiscono (Uitkomste in van het Onderzoek naar den Toestand van den Landbouw in Nederland, 2 vol., 1890).

L'abitudine d'impiegare una trebbiatrice, passante in un gran numero di fattorie che l'affittano a turno vi è molto diffusa, come in tutti gli altri paesi oggigiorno. Ma si trova qua e là un comune che possiede una trebbiatrice per la comunità.

I coloni che non ànno un sufficiente numero di cavalli per lavorare prendono a prestito i cavalli dei loro vicini. L'usanza di mantenere un toro comunale od uno stallone comunale è molto diffusa.

Quando il villaggio deve fare dei trasporti di terra (nei distretti delle basse terre) allo scopo di costruire una scuola comunale o di costruire una nuova casa per uno dei contadini, è generalmente convocato un bede. La stessa cosa si fa, se uno dei coloni deve cambiare di casa. Il bede è un uso molto diffuso, e nessuno, ricco o povero, mancherà di recarvisi con il suo cavallo e la sua carretta.

La locazione in comune da parte di parecchi contadini, di una prateria per custodire le loro vacche, à luogo in parecchie regioni del paese; si vede anche frequentemente il fittavolo, che à un aratro e dei cavalli, lavorare la terra per i suoi operai salariati.

In quanto alle unioni dei fittavoli per comperare del grano, esportare ortaggi in Inghilterra, ecc., esse aumentano sempre. Lo stesso è nel Belgio. Nel 1890, sette anni dopo la fondazione delle gilde dei contadini nella parte fiamminga del paese, quattro anni soltanto dopo la loro introduzione nelle province vallonesi del Belgio, si vedevano già 207 di queste gilde, comprendenti 10.000 membri. (Annuaire de la Science Agronomique, vol. I, 1896, pag. 148 e 149).

1 Vedere Marriage Customs in many Lands, di H. N. Hutchinson, Londra, 1897.

2 Molte delle forme nuove ed interessanti di queste tradizioni sono state riunite da Guglielmo Rudeck, Geschichte der öffenthlichen Sittlichkeit in Deutschland, opera analizzata dal Durkheim nell'Annuaire sociologique, II, 312.

3 «A Servio Tullio populus romanus relatus in censum, digestus in classes, curiis atque collegiis distributus». (E. Martin-Saint Leon, Histoire des corporations de métiers depuis leurs origines jusqu'à leur suppressions en 1791, ecc. Parigi, 1897).

4 La sodalitia romana, da quanto possiamo giudicare (stesso autore, pag. 9) corrispondeva ai çofs dei Cabili.

5 Si è sorpresi nel vedere con quale evidenza questa medesima idea sia espressa nel passo di Plutarco concernente la legislazione dei «collegi di mestieri» di Numa: «E con questo mezzo, scrive Plutarco, egli fu il primo a bandire dalla città questo stato di spirito che spingeva il popolo a dire: "Sono un Sabino", o "Sono un Romano" o "sono un suddito di Tazio", o "sono un suddito di Romolo"»: in altri termini, ad escludere l'idea di differente discendenza.

6 L'opera di H. Schurz, consacrata alle «classi per grado d'età» ed alle unioni segrete durante le epoche barbare della civiltà (Altersklassen und Männerverbände: eine Darstellung der Grundformen der Gesellschaft, Berlino, 1902) che mi perviene mentre mi accingo a rileggere le bozze di queste pagine (la prima edizione inglese apparsa nel 1902, N. d. T.) contiene molti fatti confermanti l'ipotesi qui sopra enunciata sull'origine delle gilde. L'arte di costruire una grande casa comunale in modo di non offendere gli spiriti degli alberi abbattuti; l'arte di lavorare i metalli in modo da propiziarsi gli spiriti ostili; i segreti della caccia e delle cerimonie e danze mascherate, che la rendono fortunata; i mezzi segreti per preservarsi dalle malìe dei nemici, ed in conseguenza, l'arte della guerra; la costruzione dei battelli, delle reti da pesca, delle trappole per prendere gli animali, o i tranelli agli uccelli, ed infine l'arte delle donne concernente la tessitura e la tintura delle stoffe, erano nei tempi antichi tanti «artifici» e «misteri» (crafts), che richiedevano il segreto per essere effettivi. Così, dai tempi più antichi essi erano trasmessi mediante società segrete a quelli soli che avevano subìto una penosa iniziazione. H. Schurtz mostra che nella vita dei selvaggi vi è tutta una rete di società segrete e di «club» (di guerrieri, di cacciatori), che ànno origine tanto antica quanto le «classi matrimoniali» e contengono già tutti gli elementi della futura gilda: carattere segreto, indipendenza relativamente alla famiglia e qualche volta relativamente al clan, culto in comune di dèi speciali, pasto in comune, giurisdizione esercitata nel seno della società e confraternita. La fucina e la rimessa dei battelli sono abitualmente alla dipendenza dei club degli uomini; e le «lunghe case» o palabres sono costruite da artigiani speciali che sanno come si scongiurino gli spiriti degli alberi abbattuti.