PËTR ALEKSEJEVIC KROPOTKIN
A cura di Silvia Ferbri
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Introduzione
Pëtr Kropotkin è stato un rivoluzionario anarchico russo
(possiamo considerarlo uno dei "padri fondatori" dell'anarchismo e
dell'anarcocomunismo in particolare), ma anche uno scienziato e un
filosofo. Il suo è però un pensiero poco conosciuto,
pur essendo ricco e fecondo. La sua vita e la sua collocazione
politica hanno probabilmente contribuito a metterlo in ombra, al
punto che è praticamente ignorata anche la sua intensa opera
geografica (a Kropotkin dobbiamo l'esatta conoscenza dell'orografia
asiatica e delle varie fasi dell'era glaciale in Europa;
compì infatti diverse esplorazioni nella prima parte della
sua vita) così come il suo notevole contributo
all'antropologia e all'etologia. Le sue ricerche e le sue
riflessioni spaziano dall'analisi critica dell'evoluzionismo
darwiniano (in occasione della quale emerge il concetto del "mutuo
appoggio" come fondamentale fattore evolutivo) alle riflessioni
sull'etica (proponendo un'etica solidale, dopo aver esaminato i vari
stadi dello "sviluppo" etico); dall'anarchia e l'autogestione a
un'approfondita e profetica analisi sociale ed economica; dalla
ricerca di una filosofia anarchica della storia fino all'ipotesi di
un fondamento scientifico vero e proprio per la teoria anarchica, da
contrapporre al socialismo scientifico marxista; dalla sua
particolare concezione antropologica a una sensibilità
ecologica difficile da riscontrare ai suoi tempi.
Dal punto di vista filosofico rivestono un particolare interesse i
suoi scritti sulla storia e la storiografia (quindi il suo concetto
di rivoluzione e la sua teoria, sostenuta e messa in pratica con la
sua stessa vita, dell'agire umano, che illustreremo più
avanti), il concetto del "mutuo appoggio", e senz'altro la sua opera
incompiuta sull'Etica. Ugualmente notevoli, anche se riguardano
altre discipline, sono la sua analisi e la sua concezione economica
(un'opera come Campi, fabbriche e officine era estremamente
all'avanguardia per l'epoca in cui è stata scritta) e, come
abbiamo accennato, la sua attività di geografo. Le sue opere
e i suoi studi spaziano quindi in svariati campi, a dimostrazione
del suo amore per il conoscere e per il sapere, oltre a quello,
altrettanto intenso, per la vita e per la lotta.
Kropotkin nei suoi lavori fa un costante riferimento alla scienza
naturale, ponendo la scienza come base per le sue argomentazioni,
approccio che venne spesso criticato da altri pensatori o attivisti
anarchici. Se non può essere considerato quindi un
"idealista", come vedremo, neppure è corretto definirlo un
"empirista" tout court. Potremmo qualificarlo come "naturalista", ma
se il suo naturalismo si basa sull'evoluzionismo, come vedremo
meglio in seguito, neppure lo si può considerare del tutto un
precursore dell'attuale epistemologia evoluzionistica di Campbell,
Lorenz, Riedl e altri, in quanto l'evoluzionismo moderno, a
differenza di Kropotkin, manifesta solo raramente un interesse
sociale e politico. Interessante è poi la questione
dell'individualismo e del rapporto individuo-società in
Kropotkin, che analizzeremo tra breve, e che allo stesso modo il
più delle volte non è stata valutata e compresa
pienamente. Ma ciò che è più importante
rilevare è che il suo pensiero e il suo punto di vista non
hanno perduto oggi la loro attualità e meritano di essere
tutt'ora conosciuti e ricordati. Il suo ottimismo e il suo
entusiasmo, nonostante le mille difficoltà che ha dovuto
affrontare nel corso della sua vita, affascinano e coinvolgono, in
particolare la sua descrizione di un uomo davvero libero e capace di
vivere sul serio la libertà, un uomo in grado di gestire
totalmente l'intera organizzazione sociale ed economica, oltre alla
sua vita privata, senza delegare alcunché a politici di
mestiere o a veri o presunti esperti. Descrizione che non muove da
una qualche teoria formulata astrattamente, ma dalla sua esperienza,
diretta o indiretta, che egli costantemente pone non soltanto come
concreto esempio da seguire ma anche come obiettivo da continuare a
raggiungere. La sua ricerca di modelli di comunità
autogestita, basata sulla conoscenza della natura sociale dell'uomo,
può fornire importanti stimoli per la società intera,
non soltanto per le varie reti o quei gruppi politicamente impegnati
che provano al giorno d'oggi (di fronte alle attuali sfide poste
dalla crescente emergenza ecologica e dall'espansione
dell'imperialismo, da alcuni definito "globalizzazione") a
sperimentare al loro interno l'autogestione e il mutuo appoggio
tentando di escludere qualsiasi rapporto di potere. E' anche
fondamentale, nell'attuale crisi della politica e a seguito dei
cambiamenti dovuti alla cosiddetta "fine delle ideologie" e al
crollo del comunismo sovietico, tentare finalmente (e non solo per
la "sinistra" nelle sue varie componenti) di arrivare ad una fondata
conoscenza dell'uomo, soprattutto riguardo la sua capacità di
convivere pacificamente e in libertà, di cooperare e
autoorganizzarsi in uguaglianza, senza costrizione esterna
(capacità non riconosciuta da Marx e dai suoi discepoli, ma
che andrebbe seriamente rivista, al fine di non ripetere i ben noti
vecchi errori).
Non ultimo, il pensiero di Kropotkin può farci riflettere se
sia ancora valido (come ritengono invece molti neokantiani e
idealisti) continuare ad insistere sulla divisione tra naturale e
sociale. Il materialismo di Kropotkin a questo proposito è
ancora qualcosa d'altro e di più: egli non fu solo un seguace
del principio antropologico di Cernysevskij, ma fu come abbiamo
visto un geografo, esponente pertanto di una scienza che allora si
definiva interdisciplinare, ovvero proprio una sintesi tra il
sociale e il naturale. Le componenti del pensiero e dell'esperienza
di Kropotkin sono quindi variegate e complesse, e la sintesi che ne
deriva è particolarmente ricca e feconda, un patrimonio da
non disperdere, ma da cui attingere e non da un unico punto di
vista.
La vita e le opere
Pëtr Aleksejevic Kropotkin nacque a Mosca il 9 dicembre 1842,
da una famiglia dell'aristocrazia russa. Fin da piccolo
sviluppò quindi un rapporto molto intenso con i
servi-contadini della famiglia paterna e un'istintiva empatia per le
loro drammatiche condizioni di vita. Frequentò una esclusiva
scuola militare (il corpo dei Paggi di Alessandro II, avendo
così un contatto diretto con la famiglia imperiale e il mondo
dell'autocrazia russa), quindi, nel 1862, rinunciando
temporaneamente per motivi di rapporti familiari agli studi
universitari, entrò a far parte del corpo dei Cosacchi e si
recò in Siberia, esperienza determinante sia per i suoi studi
di geografia, geologia e zoologia (che avranno in seguito
un'influenza fondamentale nello sviluppo del suo pensiero
filosofico), sia per i suoi primi atteggiamenti critici verso la
società zarista e le sue enormi ingiustizie, stimolati
proprio dal soggiorno siberiano. Restò inoltre
particolarmente impressionato dall'organizzazione semicomunista
della popolazione autoctona. "Gli anni che passai in Siberia",
scrisse in Memorie di un rivoluzionario, "mi insegnarono molte cose
che non avrei potuto imparare altrove. Mi convinsi ben presto
dell'assoluta impossibilità di fare qualcosa di veramente
utile per il popolo servendosi del meccanismo amministrativo. Mi
liberai per sempre di quella illusione. Incominciai poi a capire non
solo gli uomini e la natura umana, ma anche le intime origini della
vita della società. Il lavoro costruttivo delle masse
ignorate, di cui così poco si parla nei libri, e l'importanza
di quel lavoro costruttivo nello sviluppo delle forme sociali, mi si
delineò con chiarezza.". Kropotkin qui si riferisce a una
comunità che si era stabilita nella regione dell'Amur.
"Vedere gli immensi vantaggi della loro organizzazione fraterna
semicomunista e constatare i buoni risultati della loro
colonizzazione in mezzo ai tanti falliti della colonizzazione di
stato, fu una lezione che avrei cercato inutilmente nei libri. E
poi, vivere con gli indigeni, osservare le forme complesse di
organizzazione sociale che essi hanno elaborato lontano
dall'influenza di qualsiasi società, era fare provvista di
una luce che avrebbe poi rischiarato i miei studi futuri.".
Dopo essere rientrato in Russia e aver intrapreso finalmente gli
studi universitari nella facoltà di scienze (successivamente
verrà nominato segretario della sezione geofisica della
Società russa di geografia), nel 1872, dopo una spedizione in
Finlandia, feconda e determinante soprattutto per la sua riflessione
sulle scelte future, si recò in Svizzera, avendo nel
frattempo maturato la decisione di impegnarsi nell'attività
politica. La decisione di rinunciare all'offerta della
Società geografica maturò in seguito al seguente
quesito: "Ma quale diritto avevo io a queste gioie profonde, mentre
intorno a me non vi era che miseria e lotta per un tozzo di pane
ammuffito; quando tutto quello di cui io potevo aver bisogno per
poter vivere in questo mondo di altissime emozioni doveva essere
tolto dalla bocca di quelli che fanno crescere il grano e non hanno
abbastanza pane per i loro bambini?" Vediamo così da subito
qual'è il suo metodo di studio (partire sempre dalla
realtà concreta, dalla vita vissuta, mai da teorie o principi
astratti) e il suo atteggiamento di uomo, fortemente intriso fin
dalla più giovane età di un profondo senso di
giustizia. A Ginevra aderì alla corrente bakuniana della I
Internazionale, ed entrò a far parte della Federazione del
Jura. Abbracciò gli ideali di fratellanza socialisti e
anarchici, e si impegnò per la partecipazione anarchica ai
movimenti sindacali e rivoluzionari. Tornato nel suo paese, dove si
unì al Circolo Cajkovskij, vivendo una delle sue esperienze
più straordinarie in condivisione con tutti quei giovani, in
gran parte ragazze, che rinunciarono a tutto, in molti casi alla
loro stessa vita, per dedicarsi anima e corpo all'emancipazione del
popolo, nel 1874 venne arrestato e rinchiuso (senza processo) nella
fortezza di S. Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Durante la
prigionia continuò, nonostante le difficoltà, a
scrivere i suoi lavori sulla glaciazione in Europa. Nel 1876
riuscì ad evadere con una fuga spettacolare e con l'aiuto dei
suoi compagni di lotta, e raggiunse la Svizzera sotto pseudonimo,
dopo un breve ma intenso soggiorno in Inghilterra. Diventò
segretario generale del IX Congresso generale dell'Internazionale
dei Lavoratori, prima di essere costretto a fuggire ancora in
Inghilterra. Effettuò numerosi viaggi attraverso l'Europa,
sostò a Parigi, dove conobbe Turgheniev, tornando poi a
Ginevra nel 1878, dove l'anno successivo fondò e diresse
«Le Révolté» (dal 1887 «La
Révolte», poi dal 1895, «Les Temps
Nouveaux»). La Federazione del Jura era stata ridotta al
silenzio dalle persecuzioni, e Guillaume, che da otto anni teneva in
vita il «Bollettino della Federazione», aveva dovuto
abbandonare la Svizzera e rifugiarsi in Francia. Nel 1880
collaborò con Elisée Reclus, un grande geografo
francese di idee anarchiche, anch'egli ingiustamente dimenticato,
con il quale instaurò un rapporto di profonda amicizia, alla
stesura della sua Geografia Universale.
Espulso nel 1881 dalla Svizzera (a seguito dell'uccisione dello zar
Alessandro II), venne poi processato e condannato in Francia l'anno
seguente per attività sovversiva. In carcere scrisse Paroles
d'un révolté, (Parole di un ribelle). Victor Hugo
presentò al ministro della giustizia francese una petizione
per la sua liberazione, firmata da numerosi intellettuali. Nel 1886
Kropotkin ottenne la grazia e dopo un breve soggiorno a Parigi si
trasferì in Inghilterra, dove fondò la rivista
«Freedom». Seguì un periodo di intensa produzione
letteraria, durante il quale scrisse alcune tra le sue opere
più importanti, tra cui La conquête du pain, (La
conquista del pane), La morale anarchiste in «La
Révolte», (La morale anarchica), Fields, Factories and
Workshops, (Campi, fabbriche e officine), Memoires of a
Revolutionist, (Memorie d'un rivoluzionario), Mutual Aid. A Factor
of Evolution, (Il mutuo appoggio), La grande révolution.
1789-1793, (La grande rivoluzione. 1789-1793).
I tentativi rivoluzionari in Russia nei primi anni del XX secolo
risvegliarono l'interesse di Kropotkin per il suo paese d'origine;
nel 1914 prese posizione in favore della guerra contro la Germania
(nel 1916 aderì al Manifesto dei Sedici) suscitando numerose
polemiche all'interno del movimento anarchico e una lite piuttosto
aspra con l'amico Errico Malatesta. Nel 1917, allo scoppio della
rivoluzione, Kropotkin tornò in Russia, dove prese
immediatamente posizione contro la piega autoritaria che il
movimento rivoluzionario stava assumendo, in particolare contro i
bolscevichi; entrò in contatto con Alexander Kerenskij (dal
quale rifiutò un ministero); e con Lenin, al quale scrisse
denunciando il regime, quindi si stabilì a Dmitrov, dove
scrisse la Lettera ai lavoratori d'occidente e dove visse i suoi
ultimi anni in un isolamento che non poteva essergli proprio.
La sua morte, avvenuta l'8 febbraio 1921 a causa di una polmonite,
gli impedì di completare L'etica (Etika, I), quella che lui
stesso considerava la sua opera più importante.
La filosofia kropotkiniana della storia
Kropotkin,
interrogandosi sul ruolo del popolo durante la Rivoluzione francese,
si mise in contrasto con la maggior parte degli storici del tempo,
sia per il suo approccio che per le conclusioni a cui giunse. Nel
suo libro La grande rivoluzione riscopre ed esalta infatti il ruolo
del popolo e della dimensione collettiva, svalutando invece la
volontà rivoluzionaria della borghesia.
La borghesia per Kropotkin è controrivoluzionaria, ciò
a cui mira è togliere il governo all'aristocrazia cortigiana
ma non andare oltre; le sue aspirazioni non sono quelle del popolo;
la borghesia ha le idee ben chiare ed è più forte: il
popolo, senza il quale la rivoluzione non sarebbe avvenuta, viene
utilizzato e sacrificato. L'unione della corrente delle idee con la
corrente dell'azione è stata fondamentale, ma quest'ultima
proveniva espressamente dalle masse popolari, dai contadini e dai
proletari delle città. "E quando queste due correnti si
incontrarono in un obiettivo inizialmente comune, quando praticarono
per un certo periodo un appoggio mutuo, il risultato fu la
rivoluzione." Le idee dei filosofi del XVIII secolo, i principi di
uguaglianza, libertà, sovranità della ragione da soli
non potevano essere sufficienti: per provocare la rivoluzione,
occorreva "dare inizio alla realizzazione dell'ideale." E questo
poteva avvenire soltanto, secondo l'analisi di Kropotkin, con
l'azione rivoluzionaria proveniente dal popolo. Ma poi la
rivoluzione autentica venne fermata, e la vera storia popolare della
rivoluzione non venne mai scritta. Per Kropotkin, quest'ultima
è la storia dei primi sintomi della corrente di pensiero e
azione che nel secolo successivo prenderà il nome di
anarchismo, è l'origine dei principi comunisti, socialisti,
anarchici, la "nostra madre comune"; appartiene alla storia di tutti
i libertari, che da sempre, secondo la visione di Kropotkin,
è contrapposta a quella degli autoritari, i loro eterni
nemici. Giacobini, quindi, contro antigiacobini (hebertisti,
"arrabbiati", anarchici..). E' la storia delle istanze egualitarie
del popolo, degli esperimenti di democrazia diretta e di vero
socialismo dal basso e autogestionario. La storia che è
sempre stata raccontata dagli storici, reazionari, liberali o
marxisti, ritiene Kropotkin, è invece quella dell'involuzione
rivoluzionaria compiuta dall'autoritarismo dietro la mistificazione
della "necessità".
L'anima della rivoluzione era nelle Comuni, realtà ben
diverse dai corpi municipali realizzati in seguito, dove "i
cittadini, dopo pochi giorni di eccitamento dovuto alle elezioni,
ingenuamente affidano l'amministrazione di tutti i propri affari,
senza occuparsi più di niente. La folle fiducia nel governo
rappresentativo che caratterizza la nostra epoca non esisteva
durante la Grande Rivoluzione. La Comune nata dai movimenti popolari
non si separerà mai dal popolo."
Kropotkin esaltava la meravigliosa attitudine del popolo per
l'organizzazione rivoluzionaria, e la capacità delle masse di
fare a meno dei corpi rappresentativi e di mettere in pratica
l'autogoverno. L'unità dell'azione era cercata non
sottomettendosi a un comitato centrale, ma all'interno di una
confederazione. La Comune era una, composta dall'insieme di tutti i
suoi distretti, ma il governo rappresentativo era ridotto al minimo
indispensabile: era ai cittadini riuniti in assemblea che
apparteneva il diritto ultimo di legiferare e amministrare nella
Comune.
Kropotkin descriveva poi l'energia interiore che si era accumulata
nei villaggi, a dispetto del lungo periodo di guerra seguito alla
rivoluzione, e quindi la ricchezza e la produttività, dovute
all'amore per la terra. "La rivoluzione ha portato un mutamento
profondo, e il vecchio regime non verrà più
restaurato.".
Kropotkin illustrava il momento in cui ci si trova di fronte ad una
svolta: riforma o rivoluzione. C'è sempre un momento,
sosteneva, in cui la riforma è ancora possibile, ed è
di quel momento che è necessario approfittare.
"Una riforma è sempre un compromesso con il passato, mentre
il progresso ottenuto tramite una rivoluzione è sempre una
promessa di progresso futuro.".
Evoluzione e rivoluzione, libertà e dominio
Secondo la teoria di Kropotkin, sia i cambiamenti nel cosmo e nella
natura vivente, che quelli nella società umana, sono un
susseguirsi complementare di evoluzione e rivoluzione. (Intendendo
la rivoluzione come conseguenza di un percorso evolutivo, o,
più precisamente, un periodo di evoluzione accelerata).
Questo è stato il cammino della storia.
Ma non abbiamo a che fare con una teoria astratta: le conclusioni a
cui Kropotkin giunge, in questo, come negli altri casi, sono dovute
sia ad uno studio approfondito che, in primo luogo, alla sua
esperienza personale (non solo e non tanto una verifica, quanto una
frequente e reale scoperta). La meravigliosa attitudine del popolo
per l'azione rivoluzionaria, ad esempio, cui fa spesso riferimento,
deriva dai suoi contatti e dai suoi rapporti, prima con i
rivoluzionari russi, poi con il movimento dei lavoratori in
Occidente.
Lo schema evoluzione-rivoluzione non è dato per scontato, e
nulla può assicurare che continui: se per tutto un insieme di
circostanze e di scelte (o non-scelte) si va verso la regressione,
l'involuzione o la stagnazione, ecco che una rivoluzione non
seguirà.
"Tutta la storia della nostra cultura è attraversata da due
tradizioni, da due correnti opposte: la tradizione romana e quella
popolare, l'imperiale e la confederativa, la tradizione autoritaria
e quella libertaria." Uno sviluppo, quindi, lungo la linea di
conflitto tra libertà e dominio. Quella di Kropotkin è
una concezione antagonistica della storia, che non si basa
però esclusivamente sulla lotta di classe o sullo scontro
delle varie élite per il potere: questo conflitto tra
libertà e dominio attraversa e contiene anche gli elementi
culturali e soprattutto quelli mentali e psichici.
Per Kropotkin, il cambiamento della società parte dagli
individui: non vi sono "motori" esterni. L'agire umano è
fondamentale: da esso dipendono le diverse condizioni sociali.
Kropotkin si opponeva quindi alle concezioni deterministiche, pur
essendo stato sovente accusato del contrario. E respingeva anche la
«naturale necessità economica» chiamata
costantemente in causa dagli storici e dagli economisti politici,
sia borghesi che socialisti. Il «fattore umano» per lui
era significativo e determinante, soprattutto nei movimenti
rivoluzionari. (Lo «spirito della rivolta» descritto in
Paroles d'un révolté).
L'andamento di una autentica rivoluzione, secondo la sua analisi, si
svolge in tre fasi:
con l'immediata soddisfazione dei bisogni del popolo (e non
attraverso una «dittatura del proletariato»), quindi con
l'esproprio dei proprietari;
subito dopo, con una intensa produzione alla quale ciascuno
contribuisce volontariamente secondo le proprie possibilità;
terza fase, nelle comunità così costituite (autonome,
il più possibile autarchiche, in un equilibrio armonico tra
città e campagna circostante) si sviluppano liberi accordi
tra i membri che vi fanno parte. Liberi, senza costrizione alcuna.
Kropotkin non ipotizzava la costituzione di istituzioni di ordine
"superiore", che organizzino e controllino lo svolgimento delle
diverse fasi rivoluzionarie, e questo a causa della sua fiducia
nella maggiore età delle masse popolari. Fiducia nata e
rafforzata durante la sua vita in comune con così tanti
individui che lottarono e sacrificarono la propria vita per
costruire una nuova società e una vera libertà, come
egli ci racconta in Memorie di un rivoluzionario, che è molto
di più di un romanzo autobiografico. Diversamente dallo
scetticismo di altri pensatori anarchici, Kropotkin era
assolutamente convinto della grande forza rivoluzionaria del popolo,
e più precisamente del fatto che fosse lo spirito collettivo,
il cuore del popolo intero, a far emergere le grandi idee nella
storia, e non i concetti dei filosofi. "La ribellione proviene
sempre dagli oppressi, dal popolo.".
Chi è questo popolo, questa forza in grado di plasmare la
storia? Per Kropotkin non si trattava di una astratta e confusa
nozione generale, o di una specifica classe rivoluzionaria, ma di
comunità costituite da uomini, da singoli individui concreti:
quegli esseri umani che egli ha incontrato e con cui ha condiviso
gioie e dolori, speranze e sconfitte, nel corso delle sue
esplorazioni geografiche e nel corso delle vicende della sua vita.
La sua antropologia è autentica, perché si basa su
dati oggettivi. La sua è una conoscenza dell'uomo
"scientificamente" fondata. Qualcosa che è in qualche modo
mancato ai teorici del socialismo (per quanto definito
"scientifico") così come ad altri filosofi o pensatori che
non sono mai usciti dalle aule universitarie. Kropotkin a volte
è stato accusato di autoritarismo, in altri casi
riduttivamente considerato un "positivista". Il naturalismo di
Kropotkin si basa sull'evoluzionismo, su un individuo, come abbiamo
visto, formato via via dalla progressione delle sue conoscenze e da
una crescita dovuta all'esperienza, quella propria e quella di chi
l’ha preceduto, dotato pertanto sia di un certo numero di "a-priori"
che di una serie pressoché illimitata di "a-posteriori",
questi ultimi suscettibili di variazioni che non possono essere
previste o predeterminate. La libertà e la creatività
umana sono quindi fondamentali. Nessun innatismo, nessun
determinismo, né finalismi o teleologismi di alcun tipo.
Kropotkin ha vissuto un'esperienza molto vasta, che si potrebbe
definire "completa". Ha spaziato in quasi tutti i campi del sapere,
è stato uno scienziato, un geografo, un geologo, un
antropologo, un sociologo, un economista; ha avuto contatti
strettissimi sia con l'aristocrazia che con i contadini, gli operai,
gli studenti, gli esuli e gli emarginati; è stato un
rivoluzionario in mezzo ad altri rivoluzionari; è stato
probabilmente difficile valutare la sua opera per coloro che hanno
provato a farlo partendo però da esperienze o visioni molto
più circoscritte.
Egli ha esplorato la complessità e la molteplicità, ed
è queste (non l'uniformità, come hanno voluto
osservare alcuni critici) che ci descrive e su cui si basano i suoi
lavori.
La ricerca di Kropotkin sulla natura dell'uomo, ricerca seria,
ostinata, rigorosa, che ha impegnato tutta la sua vita, basata su
esperienze concrete e su costanti verifiche, trova conferme nella
psicologia del profondo e nell'antropologia culturale, così
come le sue analisi e le sue previsioni economiche in primo luogo
nei fatti.
Può essere difficile comprendere come possano coesistere la
dimensione rivoluzionaria e quella evoluzionistica (vedi più
avanti, ultimo capitolo), e si può ritenere, fraintendendo,
che per Kropotkin l'etica e la libertà (che implicano
coscienza e volontà) siano unicamente il risultato di
un'evoluzione organica universale, che trascende quindi l'ambito
della scelta e della conquista individuali, si può pensare
che la società ipotizzata da Kropotkin sia un ulteriore
esempio di oppressione del singolo individuo, che la
socialità non possa essere una scelta ma soltanto una
necessità della specie, ma leggendo le sue opere con piena
attenzione si scopre che egli non intendeva affatto questo, che la
sua visione è originale e svincolata dai consueti canali di
pensiero e di interpretazione, così come dalle correnti
filosofiche più accreditate. E non è mai una visione
slegata dalla realtà: appartiene piuttosto a una
realtà che è sempre molto rara, fragile, difficile da
difendere e da estendere, perché continuamente ostacolata dal
potere.
Individuo e società
Kropotkin non analizza il dualismo individuo/società come
altri pensatori hanno fatto (possiamo citare Fourier, seguito da
Freud, Marcuse, Foucault, quindi la problematica della repressione
esercitata dalla società sulle passioni umane), partendo
cioè dall'analisi di una società repressiva e
gerarchica; egli ha un'altra visione del mondo e da questa sceglie
di partire, pur non disconoscendo la realtà che lo circonda
(che anzi critica e combatte) e non ritiene che la libera
soddisfazione dei bisogni dell'uomo sia per forza incompatibile con
qualsiasi tipo di società "civile".
Qual'è il suo presupposto? Una società senza individui
non può esistere: è chiaro perciò che sono gli
individui stessi a formarla. La società è quindi il
risultato, la somma, delle azioni e delle scelte degli individui che
la compongono. Se la società si basa su rapporti gerarchici,
di sfruttamento e dominazione, tutti coloro che sono dalla parte
degli sfruttati, dei dominati, o in ogni caso sono esclusi dalle
decisioni politiche, economiche e via di seguito, svilupperanno un
sentimento di estraneità, di avversione, o di accettazione
passiva. La società diviene un qualcosa di estraneo. Diviene
un elemento a sé, il simbolo stesso della coercizione
sull'individuo e della privazione della libertà (che in
effetti è ciò che si realizza).
Più le decisioni, le scelte, le gestioni sono accentrate e
autoritarie, e meno le singole persone sono in condizioni di
parteciparvi, più si sviluppa questo sentimento nei confronti
della società. Nello stato accentratore, con la sua
legislazione, i suoi corpi militari, la sua burocrazia
onnipervasiva, l'individuo, in quanto parte del corpo sociale, in
realtà ne occupa un posto infinitamente piccolo, in qualche
modo cessa quasi di esistere.
La convinzione che lo stato con le sue istituzioni sia assolutamente
necessario per la gestione del vivere sociale, per evitare il caos,
non essendo gli individui in grado di occuparsi delle questioni
"pubbliche", che pure li riguardano!, è un fatto ormai dato
per scontato, pur rappresentando una vera e propria contraddizione
in termini.
La società è vissuta come "aliena", né si
riesce ad ipotizzarla in altro modo, proprio per questa
"separazione", per questa frattura che è avvenuta nel corso
della storia.
In una società di tipo gerarchico, l'individuo non ha
occasione di sviluppare se stesso pienamente. Ma nessun essere umano
può svilupparsi pienamente, come tale, in solitudine.
Può farlo soltanto in unione con gli altri esseri umani. Lo
sviluppo individuale e quello sociale sono complementari, dipendono
uno dall'altro. Questo però non può avvenire
attraverso alcun tipo di imposizione dall'alto. La coercizione, a
qualsiasi livello e in qualsiasi grado venga subita, è del
tutto opposta allo sviluppo e alla crescita. L'autodeterminazione,
la capacità di assumere decisioni e responsabilità non
hanno modo di realizzarsi in una società gerarchica e
accentrata, tendono anzi ad esaurirsi e scomparire. (Cosa questa che
avviene in misura analoga in una relazione più circoscritta,
che siano rapporti familiari, di lavoro, personali; la gerarchia e
la dominazione, essendo ormai parte di noi stessi, non si esercitano
soltanto a livello politico o economico).
In una società non gerarchica, in una comunità libera,
sviluppata in modo armonico, formata da uomini liberi, che hanno
scelto da se stessi il proprio modo di vivere e di gestire la vita
comune, questa frattura tra individuo e società non avrebbe
ragione di esistere, non potrebbe probabilmente neppure venire
pensata.
Kropotkin intendeva questo (come tanti altri prima e dopo di lui).
Voleva ricostruire da cima a fondo la società (come ogni
rivoluzionario e come ogni utopista; qualità che vanno
necessariamente insieme), non abolirla del tutto.
Voleva una società libertaria, senza più
contrapposizione tra dominanti e dominati.
Voleva che gli uomini riacquistassero la loro piena capacità
di gestire ogni aspetto della vita sociale, e, prima ancora, la
fiducia in questa capacità, che ritrovassero il loro istinto
alla comunione e alla solidarietà, il loro antico se non
innato rifiuto verso ogni forma di ingiustizia, di sopruso, di
disuguaglianza. E' importante sottolineare che questa visione non
è astratta, idealizzata, "utopistica", ma basata su alcune
precise e circoscritte esperienze che Kropotkin stesso ha conosciuto
e vissuto oltre che sui suoi studi. Esperienze circoscritte e
limitate, abbiamo detto, ma non per questo meno vive e concrete, e
da queste egli scelse di partire proprio per permettere di
recuperare quello che era per lui l'autentico rapporto di ogni
individuo con i suoi simili, onde evitare di dovervi rinunciare per
sempre.
Kropotkin mirava ad una immediata realizzazione sociale (comprensiva
di ogni attività umana) del comunismo anarchico, ma senza
alcuna sottovalutazione dell'indipendenza individuale. La sua idea
di "pianificazione" era del tutto opposta alla tradizione
collettivistica autoritaria così come a quella comunista
statale, in quanto non imposta dall'alto, ma delineandosi in
risposta all'insorgenza dal basso, dal popolo.
La descrizione di Kropotkin nel Mutuo Appoggio e nell'Etica della
capacità di vivere in società come di una tendenza
naturale degli esseri viventi, quasi un qualcosa di innato, è
stata talvolta fraintesa, ma la socievolezza a cui si riferiva
Kropotkin non ha nulla a che vedere con la società deformata
e gerarchica che conosciamo e a cui ormai siamo fin troppo abituati,
è esattamente il suo contrario, ed è la negazione
dell'esistenza di una malvagità intrinseca dell'uomo,
pensiero centrale della filosofia politica dell'età moderna,
dai giusnaturalisti, da Machiavelli e da Hobbes fino a Kant. Anche
Kropotkin partiva dallo stato di natura (e dalle sue osservazioni
dirette sul campo, come abbiamo visto), negando però la
necessità di una forma di autorità al fine di
controllare l'"asocialità" umana e garantire la convivenza
"civile". La libera convivenza è possibile per Kropotkin;
anzi, l'irrinunciabile presupposto per lo sviluppo di ogni
potenzialità dell'uomo e per la felicità di tutti
è proprio l'abolizione di ogni forma di stato e di
centralizzazione. L'uomo, in quanto prodotto di una natura in cui la
cooperazione e il mutuo appoggio (e non la lotta e la
crudeltà, come vedremo meglio più avanti), sono
elementi determinanti al fine della conservazione e dell'evoluzione,
è dotato di forti istinti sociali o meglio solidali, anche se
questi possono venire meno per innumerevoli cause esterne. La natura
quindi non è qualcosa di estraneo (da dominare e sfruttare;
la lotta contro una natura avara e crudele è un altro mito da
cui dobbiamo liberarci). E la storia non è un semplice
prolungamento della natura, la storia dell'uomo aggiunge la
creatività, la responsabilità, la razionalità,
la scelta umana. L'uomo può ritrovare se stesso (riscoprendo
il valore della solidarietà, della cooperazione e della
complementarietà), e vivere pienamente la sua vita. Formando
quindi una società piena, con la quale coesistere in armonia.
Armonia che si compone del rispetto per la libertà e la
diversità individuale, incoraggiata a svilupparsi nella sua
ricchezza inestimabile, unito alla piena solidarietà,
un'unione solo a prima vista impossibile a realizzarsi.
Una società libertaria, sviluppata in modo armonico,
favorisce lo sviluppo dell'individualità, non lo inibisce. Si
tratta però di un individualismo ben diverso da quello
borghese, che è inevitabilmente egoistico, in quanto prodotto
di una società e di una sensibilità gerarchiche e
verticistiche.
Kropotkin non si arrogava il diritto e la capacità di
stabilire aprioristicamente e una volta per tutte quali fossero i
reali bisogni dell'uomo, la sua ricerca antropologica non era una
astratta teoria che giungeva a una valutazione valida per tutti..
Kropotkin infatti non ha mai smesso di confrontarsi con altri
uomini, vivi e reali, di imparare da loro e di condividere
interamente le loro condizioni di vita e di lotta, i loro bisogni,
le loro aspettative.
La storia, secondo l'analisi di Kropotkin, è colma di
dimostrazioni della disponibilità e della capacità
umana alla cooperazione, nonché dei continui tentativi di
realizzare l'utopia anarchica comunista, lottando contro tutte
quelle forme di potere che da sempre cercano di contrastarla. La
linea di conflitto tra libertà e dominio di cui abbiamo
già parlato.
Tutto questo non ha mai voluto dire però che la cooperazione
implicasse l'annullamento della libertà individuale o la
repressione delle differenze; ogni volta che si è cercato di
seguire la via cooperativa, gli autori di questi tentativi erano
proprio coloro che non si riconoscevano in alcun modo
nell'autoritarismo, anzi lo combattevano e si sforzavano di
realizzare il suo opposto.
Libertà non significa isolamento: significa essere liberi di
partecipare a qualcosa di più grande del nostro ristretto
spazio vitale; non subire, ma determinare in prima persona (e
insieme ad altri) le modalità di vita, di lavoro, di studio
della società di cui si è parte. E' una libertà
completa, quindi, ed è innanzitutto mentale e morale, per cui
non esiste più la necessità di isolarsi o
contrapporsi.
Kropotkin non riteneva di certo che tutte le persone fossero o
dovessero essere uguali tra loro, ma desiderava che riuscissero ad
unire in un tutto comune le loro molteplicità e le loro
differenze, che avrebbero così arricchito la comunità
tra di essi costituita. Comunità che non doveva
necessariamente avere determinate caratteristiche al posto di altre.
La sua convinzione che nessuna evoluzione può darsi
nell'isolamento e nella solitudine, è anch'essa dovuta ai
riscontri pratici e concreti delle sue numerose e variegate
esperienze. La sua critica alla divisione del lavoro, alla condanna
inflitta agli esseri umani a svolgere la stessa identica
attività per tutta la vita, all'impedimento per alcune classi
sociali a godere della bellezza dell'arte o della soddisfazione
dello studio e della ricerca scientifica, il suo desiderio che
ciascuno potesse avere l'occasione concreta di sviluppare al meglio
le sue inclinazioni e le sue capacità, smentiscono in pieno
simili affermazioni.
Solidarietà e fratellanza, inoltre, non significano affatto
appiattimento e perdita della propria individualità,
individualità che si perde molto più facilmente in una
società basata sulla gerarchia e sul dominio, all'interno di
uno stato accentratore, e sotto ogni tipo di oppressione.
Una libertà comune avrebbe favorito, e contenuto in
sé, sotto qualsiasi aspetto, l'autentica libertà
individuale. In altre parole, tante differenti libertà che si
uniscono a formare una libertà più grande, una
comunità libera e libertaria, realmente a "misura d'uomo".
Kropotkin ha dimostrato con la sua stessa vita l'importanza e il
valore che attribuiva all'autodeterminazione dell'individuo.
L'individualismo di Nietzsche, ad esempio, più che non
compreso da Kropotkin (come è stato affermato) diremmo
piuttosto che non poteva essere condiviso, in quanto Kropotkin
partiva dalla sua visione ideale di società (riscontrata per
altro nell'ambito delle sue ricerche antropologiche; più
reale, quindi, che ideale) e non dalla società
contraddittoria e distorta da cui partivano Nietzsche ed altri. Se
è esistita una critica dell'individualismo da parte di
Kropotkin, per comprenderla occorre innanzitutto riuscire a
distinguere tra individualismo borghese e individualismo anarchico.
E poi tra un individualismo estremo e un individualismo inteso come
libertà assoluta di spirito e di pensiero, ma non come
isolamento e rinuncia, o distruzione, al posto di una qualsiasi
progettualità.
L'individualismo borghese ed egoistico, l'individualismo degli
"oppressori", di chi vuole dominare i suoi simili, inoltre, è
ben altro che "autodeterminazione".
Kropotkin del resto si occupa ben poco di quell'individualismo che
porta al nichilismo estremo (a proposito del nichilismo russo dei
suoi tempi, così battezzato da Turgheniev in Padri e figli,
secondo Kropotkin in Europa venne frainteso, non trattandosi di
"terrorismo" ma di una guerra dichiarata a tutte le menzogne
convenzionali e alle ipocrisie della civiltà; Kropotkin
comunque non condannò mai totalmente la "propaganda del
fatto" o le azioni terroristiche, comprendendo la lotta a cui
dovette darsi la gioventù russa dopo averla rifiutata
fintanto che ciò fu possibile, "quando il calice delle sue
sofferenze fu troppo colmo."), proprio per il suo personale
approccio che è profondamente diverso da quello di un
Nietzsche o anche di uno Stirner, così come si è
interessato altrettanto poco della dialettica marxista. Egli non
muove infatti dalla dialettica di tipo hegeliano, prodotto della
cultura germanica e impregnata di metafisica, non essendosi svolta
la sua formazione nel solco dell'idealismo tedesco: Kropotkin si
basa sulle scienze naturali, sul metodo induttivo se vogliamo, sulla
conoscenza diretta ed empirica; in lui troviamo poi tracce di quegli
elementi così caratteristici del populismo e del romanticismo
rivoluzionario russo, che si fondono e si intrecciano in modo quasi
inscindibile e con particolare e feconda originalità allo
scientismo evoluzionista occidentale. Il marxismo e poi il
leninismo, inoltre, avrebbero ucciso la rivoluzione; questo fu un
grande dolore per Kropotkin. Nelle Memorie scrisse: "La lotta fra
bakunisti e marxisti (all'interno dell'Internazionale) non era una
questione di uomini. Era la lotta inevitabile fra i principi del
federalismo e quelli del centralismo, fra il Comune libero e
l'autorità paternalistica dello stato, fra l'azione libera
delle masse popolari e il miglioramento delle condizioni sociali
attraverso la legislazione, una lotta fra lo spirito latino e quello
tedesco." La scelta di conquistare il potere negli stati attuali,
spogliò i partiti socialisti del loro ideale originario e li
condusse verso il socialismo o meglio capitalismo di stato e al
tradimento delle masse lavoratrici. Il primato della società
sull'individuo (tratto ricorrente nelle critiche rivolte dagli
individualisti, anarchici e non, al pensiero di Kropotkin), è
senz'altro riscontrabile nel comunismo autoritario, ma ha ben poco a
che vedere con il comunismo anarchico e libertario propugnato da
Kropotkin nel corso di tutta la sua vita.
L'etica di Kropotkin non è un'etica della ragione (in senso
astratto): si basa sul risultato delle sue ricerche empiriche.
Kropotkin in tutto il suo lavoro si è distaccato nettamente e
coerentemente da ogni metafisica. Egli partiva dal fatto concreto e
tangibile; ad esso seguiva la formulazione teorica.
Egli conobbe e studiò le caratteristiche del mutuo soccorso,
della solidarietà, della fratellanza, dell'esperienza
comunitaria e autogestionaria, e riscontrò che erano
espressamente questi aspetti (piuttosto che i rapporti autoritari e
burocratici) a poter mutare profondamente la società. Non
giunse mai però ad affermare che queste caratteristiche
sarebbero emerse in modo inevitabile e che il percorso della storia
fosse segnato. Tutt'altro! E nessuno poteva saperlo meglio di lui.
Ma il "progresso" umano vero ed autentico, il "progresso" per tutti
(lo sviluppo integrale di ogni singolo uomo) non poteva passare che
di lì.
Se avesse creduto nel determinismo, non avrebbe compiuto tutta una
serie di scelte e non avrebbe ritenuto necessario scrivere
ciò che ha scritto. Le sue opere dovevano servire anche come
stimolo alla riflessione sulle diverse possibilità di
decisione. Egli sapeva bene che esistevano il rischio e una
possibilità estremamente concreta di optare per altre vie, di
non riuscire a contrastare la strada che la società stava
prendendo. Per Kropotkin era decisivo l'agire umano, l'agire di ogni
singolo individuo concreto, e non solo di coloro che condividevano
le sue idee politiche. Egli scrisse per tutti, perché ogni
coscienza si svegliasse. Per Kropotkin era anzi fondamentale che gli
appartenenti alle classi privilegiate dalla storia (egli stesso era
nato all'interno di una di quelle classi) arrivassero a condividere
le istanze delle classi sfruttate e oppresse o addirittura si
unissero a queste, mettendo a disposizione le loro forze migliori
per intelligenza ed energia (così come aveva visto fare a
molti giovani russi), affinché la società
potesse realmente trasformarsi.
Scienza, progresso, economia
La fiducia nella scienza e nel progresso era tipica dell'epoca in
cui visse Kropotkin. Si era inclini a pensare a una scienza al
servizio dell'uomo e della sua necessità di utilizzare al
meglio le risorse dell'ambiente naturale, piuttosto che a una
scienza al servizio del potere e del profitto. Oggi forse è
difficile per molti pensare alla scienza (e alla comunità
scientifica) in modo positivo e propositivo. Il progresso, in
maniera analoga, può essere inteso sia come aumento dei
profitti e dello sfruttamento del lavoro e dell'ambiente, che, come
lo intendeva Kropotkin, come miglioramento delle possibilità
di vita materiali, intellettuali e psichiche dell'uomo nella sua
interezza e di tutti gli uomini. Un progresso che abbraccia l'intera
vita umana, e che è ben altro rispetto al mito ingannevole in
cui erano indotti a credere tanti suoi contemporanei.
Un progresso che non può avere un percorso lineare (nessuno
spirito e nessuna ragione guidavano il mondo secondo Kropotkin);
l'antagonismo e la lotta, come abbiamo visto, sono inevitabili:
l'evoluzione positiva dell'uomo può arrestarsi, può
regredire; la lotta contro le tendenze autoritarie non avrà
mai fine fintanto che queste tendenze non saranno state sconfitte.
Se vincere questa lotta è possibile, non vi è
però alcuna garanzia che ciò avvenga.
Per Kropotkin, le aspirazioni fondamentali di ogni uomo sono la
sicurezza e il benessere, e la libertà individuale.
Libertà di pensare, di esprimersi, di associarsi, di gestire
la propria vita e il proprio lavoro. Come è possibile
ottenerle? Attraverso la socializzazione della produzione e del
consumo (a ciascuno secondo i suoi bisogni); attraverso l'abolizione
del sistema salariale e di ogni forma di sfruttamento e
disuguaglianza, attraverso liberi accordi tra gli individui o tra
gruppi di individui, attraverso la conoscenza scientifica messa a
disposizione di chiunque e vissuta come un dono, che nessuno
scienziato desidererebbe tenere soltanto per sé (qualcosa di
ben più ampio rispetto alla “comunità scientifica”,
concetto che emerge in seguito alla ”rivoluzione scientifica” del
seicento, che rimane però pur sempre ristretta ed
escludente). Kropotkin descriveva nel dettaglio una possibile
umanizzazione del lavoro, insistendo sull'abolizione della divisione
gerarchica tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, descriveva
l'integrazione del lavoro, la decentralizzazione, i vantaggi della
piccola produzione e della piccola industria, la socializzazione
della produzione e del consumo, una nuova e più completa
istruzione, che non scindesse mai la teoria dalla sua applicazione
pratica, che accogliesse l'innato desiderio dei giovani di "fare",
tutti argomenti ancora oggi di estrema attualità.
Studiò infatti a lungo un possibile nuovo ordine economico,
una nuova economia sociale, l'importanza dell'unità tra
sviluppo industriale e agricolo, occupandosi sempre dei bisogni
reali e concreti dell'uomo, rifiutando con rigore e coerenza ogni
idealismo e ogni costrizione dogmatica, ogni analisi che non
partisse dall'osservazione diretta della realtà, senza
rinunciare però alla indispensabile capacità di
previsione e alla costante preoccupazione per le conseguenze dei
nostri atti e quindi alla responsabilità nei confronti
del domani.
Il mutuo appoggio e l'etica
Come abbiamo già accennato, l'antropologia kropotkiniana
nasce dalla discussione critica del darwinismo e dei suoi successivi
sviluppi, o meglio delle sue successive falsificazioni. Si
occupò del darwinismo in una serie di saggi per la rivista
The Ninteenth Century, pubblicati nel 1902 nel volume Mutual Aid: a
factor of evolution. Continuerà ad occuparsi di questi
problemi fino ai capitoli introduttivi della sua Etica.
La teoria evoluzionistica di Darwin era stata accolta dalla
comunità scientifica e anche dalla società in modo
sorprendentemente rapido, ma molto spesso, anziché
accoglierla nel suo complesso, se ne erano privilegiati solo alcuni
aspetti parziali, in particolare il concetto di lotta per
l'esistenza, un fatto che non può sorprendere più di
tanto, considerate le condizioni socio-culturali del tempo. Il
"darwinismo sociale" diventava una possibile risposta alle esigenze
di emancipazione dei gruppi sociali sfruttati e forniva una "teoria"
in grado di legittimare le pratiche imperialistiche degli europei
nei territori d'oltremare. Non era facile, pena l'isolamento
scientifico, contrapporsi al darwinismo sociale dell'epoca.
Kropotkin non fu il solo a contestare le concezioni proprie di tale
teoria, ma fu l'unico a farlo nel modo più completo.
Kropotkin non effettuò una critica ideologica: egli
accettò la teoria evoluzionistica darwiniana quale fondamento
"scientifico" dell'analisi della convivenza umana, ma ne
modificò da un lato il concetto di "lotta per l'esistenza" e
dall'altro aggiunse un secondo fattore, altrettanto importante,
proprio dell'evoluzione: il mutuo appoggio. Tradusse quindi
anch'egli il processo evoluzionistico (profondamente mutato) dalla
storia naturale a quella umana. Kropotkin, partendo dall'analisi
della lotta per l'esistenza come fattore evolutivo, arrivò a
criticare l'accento posto sulla lotta tra individui della medesima
specie (dimostrando che lo stesso Darwin si era distaccato in
seguito da questa concezione) fino a concludere che la specie
più adatta alla sopravvivenza non era quella caratterizzata
dalla lotta interna tra gli individui della specie stessa, ma quella
maggiormente capace di attuare al suo interno il mutuo soccorso e la
cooperazione. Lo stesso Darwin aveva definito l'uomo un "animale
sociale" e aveva affermato che il fondamento della socievolezza
animale e umana è di tipo biologico, aggiungendo che
l'istinto di reciproca simpatia negli animali sociali emerge
più spesso del mero impulso egoistico all'autoconservazione.
Queste concezioni darwiniane verranno ampliate da Kropotkin sino a
una Teoria del mutuo appoggio quale fattore dell'evoluzione, valida
non soltanto per la natura ma anche in ambito umano.
Con "mutuo appoggio" si intendono quindi due ambiti concreti:
nell'evoluzione della specie, mutuo appoggio e reciproco sostegno
costituiscono, accanto alla lotta per l'esistenza, un fattore di
grande rilevanza per la sussistenza della vita e lo sviluppo della
specie; nella storia dell'uomo, allo stesso modo, sono ugualmente
rilevanti per lo sviluppo progressivo delle istituzioni sociali. Per
Kropotkin il mutuo appoggio ha un'influenza predominante, e
l'istinto sociale ha un peso maggiore rispetto all'impulso
all'autoconservazione. Egli si impegnerà a dimostrarlo con
un'accurata e dettagliata analisi del mutuo appoggio nella storia
naturale e in quella umana, raccogliendo una grande quantità
di materiale tra gli animali e tra diverse culture umane (aborigeni
australiani, eschimesi) così come sulle comunità di
villaggio e le città medievali, quest'ultime, secondo la sua
analisi, la continuazione delle prime.
Proprio la teoria darwiniana dell'evoluzione costituirà per
Kropotkin il presupposto per una nuova etica. Egli sentiva
l'esigenza di un'etica scientificamente fondata, un'etica
realistica, come lo stesso Kropotkin la definì. Quest'etica
realistica si distingue da molti altri progetti etici per il fatto
che Kropotkin non intendeva fondarla su un qualche criterio
extranaturale o extraumano per la valutazione dell'agire umano buono
e giusto, ma voleva ricavare tale criterio dalla natura stessa,
partendo da ciò che è bene e male in natura. Il
concetto del bene e del male ovviamente cambia, quindi ciò
che Kropotkin si propone non è tanto di prescrivere, con
l'aiuto di teoremi normativi, un agire qualificabile come buono, ma
di osservare l'agire umano, di studiarlo, di valutarlo e di
spiegarlo. Per questo l'etica è per Kropotkin anche scienza
degli impulsi etici, scienza che esplora le fonti naturali del
sentimento etico dell'uomo. L'etica diventa efficace quando all'uomo
si dà un ideale: ma questo ideale, che guida quindi l'agire
etico dell'uomo, appartiene comunque al mondo reale, deve
cioè essere ottenuto per via empirica. Kropotkin non disdegna
la ragione, anzi ad essa attribuisce un ruolo fondamentale, ma
secondo il suo pensiero non è decisiva per il comportamento
etico dell'uomo. L'etica di Kropotkin non è un'etica della
ragione. Le motivazioni per l'agire etico, come abbiamo visto, sono
infatti ulteriori sviluppi degli impulsi e delle abitudini
propri degli animali sociali: la motivazione per l'agire umano
è in primo luogo condizionata dalla natura, essa è
cioè emozionale e impulsiva.
Kropotkin ritiene che la motivazione che sta alla base dell'agire
etico dell'uomo non consista né in un sentimento innato
né in un qualche vantaggio personale o generale razionalmente
compreso. L'etica è un percorso, un complicato sistema di
sentimenti e nozioni che si è sviluppato nella storia
dell'umanità. Egli individua tre stadi di questo sviluppo:
1)la socievolezza e il mutuo appoggio, 2)la giustizia nel senso
dell'uguaglianza dei diritti, 3)la generosità, la
benevolenza, la rinuncia a se stesso (l'etica nel senso più
stretto).
Si tratta quindi di una scala graduale dello sviluppo etico, non una
costruzione arbitraria, come abbiamo visto, ma il risultato di una
storia che si è svolta nel tempo, e soprattutto di una
necessità organica che ha trovato in se stessa la sua
giustificazione. La natura ci ha insegnato quindi qualcosa di
più della semplice socievolezza. Anche elementi del secondo
stadio dello sviluppo etico, quello della giustizia, sono infatti
osservabili in natura. Kropotkin conferma quindi l'ipotesi di
Herbert Spencer di una "giustizia preumana". Questa nozione di
giustizia si sviluppa gradualmente nel tempo (e l'evoluzione
dell'eticità avviene in dipendenza dai mutamenti della vita
sociale) fino ad arrivare al punto in cui solo la nozione
consapevolmente acquisita dell'uguaglianza dei diritti di tutti i
membri di una comunità garantisce la loro sopravvivenza. La
relazione tra dignità personale e dignità umana che si
viene a costituire nel corso di questo sviluppo (come già in
Proudhon, la cui nozione di giustizia è valutata da Kropotkin
come la più progredita, anche se egli non condivise in toto
le teorie proudhoniane) porta ad un'unione armonica degli interessi
comunitari con quelli individuali. Il punto estremo di arrivo
è la capacità di sacrificarsi per gli altri, che
Kropotkin ha visto mettere in atto con i suoi occhi nel corso della
sua vita. Tutto questo è espresso nella sua etica del
rivoluzionario, strettamente legata al discorso della giustizia
sociale, dove l'accento è posto sulle qualità
emozionali, sulla capacità di comprendere i sentimenti altrui
e di immedesimarsi in questi fino in fondo.