Wikipedia

L'irredentismo italiano fu un movimento d'opinione, espressione dell'aspirazione italiana a perfezionare territorialmente la propria unità nazionale, liberando le terre soggette al dominio straniero. Il movimento fu attivo principalmente in Italia tra la seconda metà del diciannovesimo secolo e la prima del secolo successivo, a favore dell'integrazione nel Regno d'Italia di tutti i territori, compresi nella regione geografica italiana o popolati da italofoni e collegati all'Italia da secolari legami storici, linguistici e culturali. Il movimento non aveva carattere unitario, essendo costituito da diversi gruppi ed associazioni, generalmente non coordinati tra loro.

Storia

Secondo alcuni autori, le radici dell'irredentismo possono essere trovate già nella seconda metà del XVIII secolo, come conseguenza del tentativo francese di annettere - oltre alla Corsica - anche regioni italiane come il Piemonte, la Liguria e la Toscana durante l'Impero napoleonico. Tuttavia è nella seconda metà del XIX secolo, sul finire del Risorgimento, che il fenomeno diventa rilevante; proprio in quel periodo nacquero infatti diversi movimenti che facevano propri gli ideali irredentisti: nel 1877 Matteo Renato Imbriani coniò il nuovo termine "terre irredente", e proprio nello stesso anno nacque l'Associazione in pro dell'Italia Irredenta; nel 1885 fu fondata la Pro Patria e nel 1891 nacque, nei territori ancora dell'Impero Austro-Ungarico, la "Lega Nazionale Italiana".

Le diverse associazioni vennero (in momenti diversi) prima tollerate, quindi avversate o addirittura chiuse dallo stato italiano (prima da Depretis e poi da Crispi), per motivi di opportunità di politica estera. Nel 1882 Guglielmo Oberdan progettava un attentato a Francesco Giuseppe I d'Austria nel tentativo di far crollare il progetto della Triplice alleanza. Importante, per quello che riguarda la Venezia Giulia è stato l'apporto degli intellettuali triestini come Scipio Slataper, Carlo e Giani Stuparich.

I vari movimenti irredentisti proponevano (pur se con diverse sfumature) l'annessione delle terre, considerate italiane, che dopo la terza guerra di indipendenza italiana del 1866 si trovavano ancora in mano straniera, quali in particolare il Trentino, Trieste e Istria occidentale, ma in seguito anche territori quali il resto della Venezia Giulia, la Dalmazia, la Contea di Nizza, la Corsica e Malta o parte di altre realtà politiche come il Canton Ticino e le valli italofone del Canton Grigioni. I territori considerati irredenti erano definiti tali secondo criteri variabili: a volte si considerava il criterio linguistico-culturale, ossia la presenza di italofoni, altre volte quello geografico, cioè l'appartenenza ai confini naturali, altre ancora quello storico, ossia l'appartenenza del territorio, in passato, a uno degli antichi stati italiani, ma non il criterio di tipo coloniale.

Storicamente vi sono stati due irredentismi italiani: uno risorgimentale ed uno fascista. Il primo era relativamente moderato e voleva l'unione al Regno d'Italia di tutti i territori con popolazione a maggioranza italiana rimasti fuori dall'unificazione nel 1870 (come ad esempio Trieste, l'Istria ed il Trentino). Il secondo era aggressivo e portò - in parte - al disastro della seconda guerra mondiale. Infatti dopo la prima guerra mondiale il movimento fu egemonizzato, manipolato e stravolto dal fascismo, che ne fece uno strumento di propaganda nazionalista. Il fascismo considerò irredenti anche territori quali la Savoia e Corfù, anche se quasi prive di abitanti italofoni.

L'irredentismo, portato a livelli nazionalistici estremi, fu infatti al centro della politica imperiale di Mussolini, concretizzandosi nelle aspirazioni fasciste per una Grande Italia col suo Impero; con l'avvento del fascismo, l'irredentismo risorgimentale iniziò a diventare irredentismo nazionalista. Questo secondo irredentismo mirava ad annettere al Regno d'Italia ed italianizzare popolazioni con minoranze italiane talora anche esigue e si dimostrò fallimentare. A tutt'oggi, in seguito alla cessione di gran parte della Venezia Giulia all'ex Jugoslavia, l'irredentismo italiano non ha, per alcuni, ancora completato il suo programma. In generale il governo italiano dal secondo dopoguerra ha cessato del tutto la politica irredentistica, considerando come definitivi i propri confini nazionali dopo il trattato di Parigi del 1947, il memorandum di Londra del 1954 e il trattato di Osimo del 1975.

Attualmente, in Italia, a differenza di altri paesi europei che hanno subito mutilazioni territoriali, quasi solo i movimenti della destra radicale propugnano l'irredentismo come rivendicazione territoriale. Esistono gruppi nella città di Trieste e piccoli nuclei in altre città d'Italia che sostengono l'italianità della Venezia Giulia oltreconfine. Ricordiamo le manifestazioni triestine per un nuovo irredentismo del 6 ottobre 1991 promosse dal Movimento Sociale Italiano, che vide la partecipazione di migliaia di persone in piazza della Borsa e per le vie della città. La dissoluzione della Jugoslavia fece riemergere vecchi sentimenti nazionalistici. Il MSI chiese la rivisitazione dei trattati di pace; il Governo italiano allora in carica, invece, si affrettò a riconoscere la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia senza neppure curarsi di chiedere impegni in ordine alle garanzie di unità della comunità etnica italiana sancite perfino dall'iniquo "Diktat di Parigi".

I territori considerati "irredenti" prima della Grande Guerra

Territori compresi nell'Italia geografica:

   * l'antica Contea di Nizza (città principali: Nizza Marittima, Mentone, Monaco, Poggetto Tenieri);
   * la Corsica (città principali: Ajaccio, Bastia, Corte, Bonifacio, Calvi);
   *  la Svizzera italiana, cioè l'intero Canton Ticino e le parti cisalpine del Vallese, e del Canton Grigioni (città principali: Lugano, Bellinzona, Locarno, Poschiavo, Mendrisio);
   * il Trentino con l'Alto Adige (città principali: Trento, Rovereto, Bolzano, Merano, Bressanone, Cortina d'Ampezzo);
   * la Venezia Giulia, tra il basso Isonzo e le Alpi Giulie, comprendente gli altopiani a sud dell'Idria (Carso proprio / Bainsizza / Selva di Tarnova / Selva di Piro), l'Istria, la costa liburnica di Fiume e le Isole del Quarnaro (città principali: Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Monfalcone, Capodistria, Parenzo, Rovigno d'Istria, Pisino), con il Friuli orientale e, in particolare, l'altro Isonzo e la Carnia orientale (centri principali: Tarvisio, Plezzo, Caporetto, Tolmino);
   * l'arcipelago di Pelagosa;
   * l'arcipelago maltese (Malta e isole vicine; città principali: La Valletta).

Territori al di fuori dei confini della regione geografica italiana:

   * la Dalmazia (città principali: Zara, Sebenico, Traù, Spalato, Ragusa, Cattaro);
   * Isole del Quarnaro, o quarnerine, (città principali: Veglia, Lussinpiccolo, Cherso); alcuni autori considerano, le isole di Cherso e Lussino comprese nell'Italia geografica, mentre altri la escludono ed altri ancora escludono solo Veglia dalla regione italiana.

Inoltre, pur oggetto di minore rivendicazione da parte italiana, talvolta venivano considerati irredenti anche i seguenti territori al di fuori dei confini naturali:

    * la Savoia già ceduta alla Francia nel 1860 (città principali: Chambéry, Annecy);
   * alcuni paesi del Canton Grigioni di lingua italiana: Bivio, San Maurizio, Pontresina, Silvaplana, Celerina;
   * alcuni paesi del Vallese che un tempo erano stati di lingua italiana e sotto la diocesi di Novara, quali Briga, nella vallata del Sempione. La redenzione di queste frazioni del Vallese, fu lungamente dibattuta sulle pagine del giornale nazionalista "La Voce" edito da Giuseppe Prezzolini, a partire dal 1912.;
   * le isole Ionie (città principali: Corfù);
   * Distretto di Valona con il Capo Linguetta e l'isola di Saseno;
   * le Isole Cherchenna e La Galita in Tunisia.

Le popolazioni italiane dell'Italia irredenta

Vennero portate, come argomentazioni a supporto delle tesi irredentiste di rivendicazione, diversi punti, come l'appartenenza geografica di quelle terre alla Penisola italiana o la presenza di più o meno numerose comunità di italiani o italofoni.

Agli inizi del Novecento la situazione delle terre irredente era la seguente:

    * italiani e italofoni nella Contea di Nizza: circa 4.000 (stima);
   * italofoni nel Canton Ticino e nei Grigioni (Svizzera): circa 230.000;
   * italiani e italofoni nella Dalmazia dell'ex-Iugoslavia: circa 60.000;
   * italiani e italofoni a Malta: circa 200.000 stimati;
   * italiani e italofoni in Corsica: circa 200.000 stimati.

Attualmente, gli italofoni sono aumentati nella Contea di Nizza (principalmente per immigrazione), sono rimasti invariati nel Canton Ticino, hanno conosciuto una leggera flessione nei Grigioni, mentre sono diminuiti a Malta (per effetto dell'assorbimento della cultura italiana a quella più propriamente maltese) e in Venezia Giulia (per effetto dell'esodo istriano) e quasi scomparsi in Dalmazia (sempre a causa dell'esodo).

Riguardo alla Corsica, la lingua italiana è compresa dalla quasi totalità della popolazione, ma viene usata molto marginalmente, di contro vi è una più larga concessione sull'utilizzo ufficiale del corso, che si considera a tutti gli effetti un dialetto italiano. Infine, riguardo alle isole Ionie, le ultime tracce del dialetto veneziano locale – specialmente a Corfù – sono scomparse negli anni Sessanta (comunque vi resta marginalmente l'uso dell'italkian, un lingua mista di matrice ebraica con molti termini veneti e pugliesi).

*

L' Irredentismo italiano in Corsica è un movimento d'opinione relativo a quei còrsi che si identificano come italiani, rifiutando l'appartenenza alla Francia fin dai tempi di Pasquale Paoli.

Caratteristiche

La Corsica si trova nella regione fisica italiana, a poco più di un centinaio di km da Roma, ed ha storicamente fatto parte di diversi Stati italiani fino a quando la Repubblica di Genova, a seguito di una pluridecennale rivolta indipendentista còrsa, guidata da Pasquale Paoli, fu costretta a cederla di fatto ai francesi con il Trattato di Versailles del 1768.

La conquista francese della Corsica, proclamatasi stato indipendente, fu contrastato da Pasquale Paoli, che aveva fondato a Corte, nel cuore dell'isola, una Università in lingua italiana per la preparazione delle classi dirigenti còrse (che facevano storicamente capo all'Università di Pisa quale sede di istruzione superiore) e confermato l'uso già lungamente stabilito della lingua italiana come lingua colta ed ufficiale dell'isola.

Del resto fin dall'anno mille la situazione etnico-linguistica della Corsica era stata fortemente influenzata (specie nella parte settentrionale dell'isola) dal contatto diretto con i dialetti toscani di tipo pisano, anche a seguito degli ingenti tentativi di ripopolamento effettuati dai dominatori pisani favoriti dalla notevole vicinanza geografica.

Dal XIII al XVIII secolo i pisani vennero sostituiti dai genovesi, i quali insediarono interi borghi di lingua ligure (Bonifacio e Calvi) ma, pur introducendo un qualche influsso genovese nei dialetti locali, di fatto proseguirono nell'utilizzo del toscano illustre come lingua scritta e di cultura. Questo spiega il motivo per cui nel Rinascimento, e fino alla conquista francese ,in Corsica l'unica lingua utilizzata nelle comunicazioni scritte è stato l'italiano, restando impiegata nei documenti ufficiali e poi solo notarili sino alla sua totale proibizione sotto Napoleone III all'indomani della conclusione della seconda guerra d'indipendenza italiana.

Gli irredentisti corsi hanno cercato attivamente l'unificazione all'Italia solo a partire dai primi decenni del XX secolo, e con maggiore intensità quando l'irredentismo fu promosso dal Fascismo.
Storia

Sul finire del XVIII secolo iniziò a crearsi in Corsica una sensibilità identitaria che, di fronte al montare della cultura francofona, si coagulò attorno alla valorizzazione della lingua italiana e del suo dialetto corso.

I primi chiari segnali di questo risveglio risalivano alla metà dell'Ottocento, in coincidenza con la crisi del movimento bonapartista. Saltando volutamente il secolo francese dominato da Napoleone sino ad allora trascorso, il movimento rivendicativo si ispirava al recupero della tradizione nazionale còrsa del XVIII secolo ispirata a Pasquale Paoli.

Un gruppo di còrsi, prima esiguo e poi sempre più folto, slegato dalle formazioni politiche, aveva però iniziato un'attività di base che puntava alla difesa della lingua, dell'identità e della storia locali già almeno dal 1838-1839, periodo del soggiorno sull'isola (soprattutto in veste di filologo) di Niccolò Tommaseo.

Tommaseo, con l'aiuto del poeta e magistrato di Bastia Salvatore Viale (1787-1861), studiò il vernacolo còrso e ne celebrò la ricchezza e la purezza (lo definì come il più puro dei dialetti italiani), contribuendo al nascere dei primi germi di una coscienza linguistica e letteraria autonoma ed irredentista nell'ambito della élite isolana raccolta attorno a Viale.

Salvatore Viale, nella sua premessa all'edizione del 1843 dei Canti popolari corsi, stampato a Bastia ed esplicitamente dedicata "ai lettori corsi", stila un vero e proprio manifesto ideologico nel quale egli - magistrato dello Stato francese - rivendica con chiarezza e libertà l'identità còrsa come antitetica a quella francese e la sua naturale appartenenza all'area culturale italiana. Eccone il passaggio più significativo:
   
« Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l'italiana. Il fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d'essere e di sentire: cose tutte nelle quali l'uomo côrso essenzialmente differisce da quello del continente francese e soprattutto dal prototipo dell'uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi stessi principj; e la lingua côrsa è pure italiana; ed anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d'Italia. »

In quei decenni - e lo resterà sino alla fine dell'Ottocento - il vernacolo corso era considerato adatto solo a soggetti "giocosi", "farseschi" (come la Dionomachìa) o "popolareschi" (le canzoni), mentre per i soggetti "seri" la scelta di chi rifiutava l'assimilazione francese era istintivamente quella dell'italiano.

Nel 1889 furono fatte rientrare in Corsica da Londra, dopo un esilio di 82 anni, le ossa di Pasquale Paoli. Nell'austera cappella ricavata nella sua casa natale, l'iscrizione della lapide che ne sigilla la tomba è significativamente scritta in italiano.

Del resto la Corsica fu coinvolta solo superficialmente nel Risorgimento, il processo unitario italiano, salvo l'eccezione di alcuni intellettuali locali legati al Tommaseo ed al Viale che consideravano, come nei secoli passati, "terraferma" l'Italia piuttosto che il continente francese.

Né vi fu mai da parte del Regno d'Italia, molto legato alla Francia sin dalla sua concezione, il minimo accenno concreto ad entrare in rotta di collisione con Parigi per la Corsica. Neanche quando, con la caduta di Napoleone III, il Re Vittorio Emanuele II, non esitò a liquidare lo Stato Pontificio nel 1870, ma non fece alcun tentativo diplomatico-militare per recuperare la Corsica nonostante le continue pressioni di Giuseppe Garibaldi. Infatti alcuni Garibaldini corsi, come Leonetto Cipriani di Centuri (Capo Còrso) (che, protagonista alla battaglia di Curtatone (1848) e poi a quella di Novara, più tardi sarà governatore delle Legazioni pontificie (1860) e senatore del Regno d'Italia), erano pronti a ripetere una piccola "Spedizione dei Mille" in Corsica sotto gli ordini di Garibaldi, che si era ritirato proprio a Caprera (vicinissima alla Corsica).

Si giunse così al 1896 quando apparve il primo giornale in lingua còrsa, A Tramuntana (la Tramontana), fondato da Santu Casanova (1850-1936) e che, sino al 1914, si fece portavoce dell'identità còrsa.

Mentre l'italiano, ancora ben vivo nell'isola all'alba del Novecento, veniva sempre piu ostacolato dai Francesi (anche a seguito del mancato riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dalle Università italiane sin dai tempi di Napoleone III, che spinse quasi tutta l'intellighenzia còrsa verso quelle francesi), i còrsi iniziarono a valorizzare la loro lingua vernacolare come strumento di resistenza ai misfatti dell'acculturazione francese che minacciava di travolgere l'anima stessa della loro isola.
L'influenza della Repubblica di Pisa si evidenzia nello stile romanico pisano della Chiesa di Aregno

Accanto al processo di promozione del còrso, che lo porterà ad essere sentito sempre più come lingua autonoma e non più come livello "familiare" dell'italiano, scattava un'operazione di rivendicazione nazionale che portò successivamente alla richiesta pressante di autonomia amministrativa e di studio nelle scuole della storia còrsa.

Accanto A Tramuntana un'altra rivista, A Cispra (nome di un lungo fucile pietra focaia, usato sia dai montanari che dai banditi), si fece interprete di uno stato d'animo che coinvolse trasversalmente, sia a livello di convinzioni politiche individuale, sia a livello di strati sociali, tutta quella che oggi definiremmo la "società civile" dell'isola, mentre i politici settari, di qualsiasi partito nazionale francese, restarono fuori dal processo essendo fedeli al governo centrale e al nazionalismo francese.

La prima guerra mondiale (1914-1918) coinvolse pesantemente la Corsica rivelando ulteriormente il perdurare della disparità di trattamento verso la sua popolazione nel seno dello Stato francese. Secondo alcune stime, circa il 10% dell'intera popolazione dell'isola trovava la morte sui campi di battaglia. L'impatto demografico fu disastroso e spinse la popolazione affamata a ridursi ad un'agricoltura e ad un'economia arcaica, recuperando tecniche di coltivazione del XVIII secolo per sopravvivere.

La situazione in Corsica fu tanto disperata che molti reduci preferirono emigrare nelle colonie o trovare impieghi in continente piuttosto che tornare alle proprie case in una terra sempre più desertificata sotto ogni punto di vista. Questa diaspora sovrappose il suo effetto a quello delle pesantissime perdite umane ed economiche nell'isola.
Irredentismo

Tra quelli che restarono in Corsica e non parteciparono alla diaspora si fece strada la radicalizzazione del movimento rivendicativo e si riallacciarono i legami anche politici con l'Italia, che già con il governo Crispi perseguiva lo sviluppo dei movimenti irredentisti e una politica estera avversa alla Francia.

In Corsica nacque, per impulso di Petru Rocca, A Muvra (1919), un periodico scritto prevalentemente in còrso e in italiano, con qualche articolo in francese. Attorno al giornale prese vita nel marzo 1922 il Partitu Corsu d'Azione (PCdA, autonomista, analogo al Partito Sardo d'Azione). Alla Muvra (il muflone isolano) si affiancarono altre pubblicazioni, in Corsica e in Italia, da dove il quotidiano livornese "Il Telegrafo" diffuse in Corsica, a partire dal 1927, un'edizione per l'isola, che ebbe ampia circolazione.

Oltre alla fioritura di giornali e i periodici si moltiplicarono studi linguistici (come l' Atlante Linguistico Etnografico Italiano della Corsica di Gino Bottiglioni) e storico-etnografici (Archivio Storico di Corsica e Corsica Antica e Moderna) dedicati all'isola, editi sia in Italia che in Corsica.

Altri corsi famosi che cercavano di rivitalizzare il rapporto con l'Italia furono Versini Maiastrale, Matteu Rocca ("I lucchetti" nel 1925), Dumenicu Carlotti ("Pampame corse" nel 1926), Ageniu Grimaldi ed Ugo Babbiziu ("Una filza di francesismi colti nelle parlate dialettali corse" nel 1930). Petru Giovacchini scrisse i poemi "Musa Canalinca" e "Rime notturne" nel 1933 in Corsica (ma successivamente -esule a Roma- compose "Aurore", "Poesie corse", "Corsica Nostra" e "Archiatri pontifici corsi").

Si realizzava così il passaggio dalla rivendicazione autonomista ed identitaria a quella più marcatamente indipendentista e nazionalista che, con l'avvento della propaganda mussoliniana, si venava d'irredentismo: il governo fascista non lesinava finanziamenti agli indipendentisti còrsi e s'istituirono molte borse di studio per ottenere che i giovani còrsi tornassero a frequentare le università italiane.

La storiografia e la propaganda politica francese hanno sfruttato abilmente (e con notevole successo) l'inquinamento fascista per screditare e obliterare il movimento "corsista" contrario alla "francesizzazione" nel suo complesso, operando una semplificazione che equipara l'autonomismo e l'indipendentismo isolano al fascismo, con tutto il carico di disprezzo che evoca l'implicita accusa di tradimento e di adesione ad un sistema dittatoriale sconfitto dalla Storia.

In verità l'avvento di Mussolini in Italia non fece che seguire, non anticipare - né generare - un diffuso e davvero mai del tutto sopito sentimento di estraneità dei còrsi alla nazione francese. La tradizionale ed antichissima tendenza degli isolani a invocare aiuti esterni (con Sampiero s'era cercato aiuto persino presso i Turchi) e a raccogliersi attorno a personaggi "forti" nella sfortunata coincidenza storica, spinse il movimento corsista verso un abbraccio quasi fatale con il Fascismo italiano. Tale deriva va letta piuttosto come un evento "incidentale" (ed anzi stimolato dall'indifferenza francese), che come un'adesione piena e realmente ideologica. Del resto Santu Casanova già invocava un "uomo del destino" sulle colonne della Tramuntana nel 1902, riferendosi a un novello Pasquale Paoli.

Oltre a Petru Rocca si distinserono nel movimento irredentista della Corsica altri personaggi, quasi tutti ad un tempo letterati (con produzioni poetiche in còrso e in italiano) e attivisti politici. Alcuni di essi, come i fratelli Ghjuvanni e Anton Francescu Filippini (quest'ultimo, considerato il maggior poeta còrso, fu segretario di Galeazzo Ciano), sceglieranno giovanissimi l'esilio in Italia; Bertino Poli, Domenico Carlotti ("Martinu Appinzapalu"), Petru Rocca, Pier Luigi Marchetti ed altri finiranno tragicamente per unire il loro destino pubblico a quello del regime fascista.

Lo stesso destino segnerà la vita di Marco Angeli e di Petru Giovacchini, condannati a morte in contumacia, in Francia, come disertori e traditori subito dopo la sconfitta d'Italia nella seconda guerra mondiale.

Marco Angeli, di Sartena, collaborò al A Muvra dal 1919 al 1924, distinguendosi come polemista, poeta e come autore del primo romanzo in còrso (Terra corsa, Ajaccio, 1924): fu intensa anche la sua attività politica, come segretario del PCdA. Dal 1926, accusato di diserzione in Francia, fu esule in Italia, dove s'era laureato in medicina a Pisa.Fondò per primo il movimento irredentista per la Corsica italiana agendo di concerto con Francesco Guerri di Livorno che faceva parte del Comitato segreto "Corsica" fondato nel 1924 a Roma per volere espresso di Mussolini. L'Angeli fu, quindi, il primo in Italia ad organizzare la politica di rivendicazione della Corsica all'Italia secondo le progressive linee programmate in merito dal suddetto Comitato alle dipendenze dirette del Ministero degli Affari Esteri. Dal 1930 sviluppò dalla città toscana un'intensissima attività propagandistica di stampo via via sempre più apertamente irredentista. Angeli giunse a creare una rete capillare di attivisti che, raccolti nei Gruppi d'Azione Còrsa, contava migliaia di aderenti in tutta Italia negli anni trenta. Marco Angeli inoltre pubblicò a Milano Gigli di Stagnu e Liriche corse nel 1934, rivelandosi, di poi, oltreché poeta, articolista ed agitatore politico, anche lessicografo, per i suoi studi dedicati al dialetto corso sulla rivista "Corsica Antica e Moderna", di cui era anche redattore capo.

Nel 1932, con il temporaneo riavvicinamento politico tra Italia e Francia, condusse allo scioglimento dei Gruppi fondati e presieduti da Marco Angeli a Pisa il 2 maggio 1930. Essi risorsero per decisione governativa ad opera di Petru Giovacchini, che li rifondò sotto il nome di "Gruppi di Cultura Corsa" il 27 novembre 1933 a Pavia, diventandone il Presidente e conducendo un'azione di propaganda irredentista più riservata, rispetto a quella precedentemente attuata dall'Angeli, sino almeno allo scoppio della guerra nel 1940.

Alla fine degli anni trenta anche in Corsica la simpatia per l'Italia raggiungeva punte notevoli. Infatti Santu Casanova (che morirà esule in Italia, a Livorno) produsse scritti e poesie celebrative della guerra d'Etiopia e Bertino Poli scrisse "Il pensiero irredentista corso e le sue polemiche" a Firenze nel 1940.

Gli irredentisti corsi inoltre giunsero ad organizzare pubblici festeggiamenti, che ebbero notevole partecipazione popolare, in occasione della proclamazione dell'Impero italiano il 9 maggio 1936. Il loro capo era Petru Giovacchini, che in quei festeggiamenti esplicitamente rivendicava la "redenzione" della Corsica.

Molta parte della popolazione della Corsica, tuttavia, restava indifferente al richiamo annessionista al Regno d'Italia, anche se vi furono delle manifestazioni di giubilo per le imprese coloniali italiane (conquista dell'Etiopia e dell'Albania) nel 1936 e 1939. Nel 1938 vi fu anche la rivendicazione ufficiale del Regno d'Italia sulla Corsica pronunciata dal ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, salutata con enorme soddisfazione da Santu Casanova e dal suo gruppo di irredentisti corsi.

Nel 1939 lo stesso Mussolini propose, in una seduta del Gran Consiglio del Fascismo dove prevedeva l'entrata in guerra dell'Italia non prima del 1942, di appoggiare l'autonomia della Corsica per poi renderla italiana in tre tempi: 1°. tempo: ravvivare le tendenze autonomistiche dei Corsi; 2°. tendere all'indipendenza della Corsica; 3°. annessione all'Italia.[4]
Occupazione della Francia durante la seconda guerra mondiale, con evidenziata anche l'occupazione italiana della Francia meridionale e della Corsica (novembre 1942-settembre 1943)

Durante i primi anni della seconda guerra mondiale, molti intellettuali corsi fecero propaganda a favore dell'Italia (specialmente i "Gruppi di Cultura Corsa"). Tra costoro primeggiavano Marco Angeli, Bertino Poli, Marchetti, Luccarotti, Grimaldi e Petru Giovacchini (che fu proposto come Governatore della Corsica se l'Italia avesse annesso l'isola nel 1942). Petru Giovacchini arrivò a dichiarare che Pasquale Paoli (l'eroe della Corsica) fu il precursore dell'irredentismo corso favorevole all'unificazione dell'isola all'Italia.

I "Gruppi di Cultura Corsa" di Giovacchini ebbero 72.000 membri nel 1940.

Tra il novembre 1942 ed il settembre 1943 la Corsica fu occupata militarmente dal Regno d'Italia e diversi corsi collaborarono attivamente nella speranza di una unificazione dell'isola all'Italia. Giovacchini e Poli scrissero di Redenzione della Corsica simile a quanto avvenuto in Dalmazia, ma lo stesso Mussolini si oppose all'annessione dell'isola all'Italia finché la guerra durava. Oltre 85.000 militari italiani mantennero il controllo dell'isola, che ha solo circa 300.000 abitanti.

Man mano che la Resistenza corsa si organizza, la repressione degli occupanti italiani si fa più dura. L'OVRA, la polizia politica fascista e le Camicie Nere arrestano, deportano e fucilano molti resistenti corsi, soprattutto nel periodo giugno-luglio 1943; Arrigoni  fornisce il dato di 172 partigiani uccisi o fucilati e 474 deportati in Italia, mentre Gambiez parla di 860 deportati. Il 10 luglio 1943, gli Alleati sbarcano in Sicilia e il 25 luglio Mussolini viene destituito. I Tedeschi, che iniziano a diffidare dell'alleato italiano, portano in Corsica a fine luglio la brigata d'assalto "SS Reichsfhürer" per affiancare le truppe d'occupazione italiane. Ma dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, come noto, tutto cambia: in Italia e in Corsica iniziano i 20 mesi di Resistenza antinazista e antifascista.

Dopo il 1945 un centinaio di Corsi filoitaliani furono processati dai tribunali militari francesi ed incolpati di tradimento e collaborazionismo con l'Asse. Otto furono condannati a morte, ma solo il colonnello Petru Cristofini fu fucilato.

Anche la moglie di Cristofini, la prima giornalista corsa Marta Renucci, che affermava apertamente idee filoitaliane, fu arrestata con la stessa accusa e condannata a 15 anni di prigione. Scontata la pena nelle carceri di Algeri, rientrò in Corsica, dove visse in isolamento fino alla morte (avvenuta nel 1997 al policlinico di Furiani).

Attualmente non esiste più l'irredentismo italiano in Corsica, praticamente scomparso con la morte di Petru Giovacchini, l'ultimo irriducibile sostenitore, nel 1951. Ma movimenti autonomisti della Corsica - ispirati anche alle idee dei Corsi italiani - sono attivi nell'isola, come nel caso del "Partitu di a Nazione Corsa" e del Fronte di Liberazione Naziunalista Corsu (quest'ultimo di matrice terrorista dal 1975).

Comunque negli anni novanta non sono mancate iniziative di affermazione di un'identità italiana dell'isola. Tra queste annoveriamo la rivista "A viva voce", animata da un gruppo di studiosi isolani che si proponeva di utilizzare, al posto del corso, la lingua italiana come lingua colta. Sullo stesso avviso un libro di Corso Donati, che nel suo saggio del 2000, Corsica amara, dibatteva sulla necessità per i corsi di riallacciarsi alla comune tradizione linguistica della penisola italiana anziché annaspare nel cercare di darsi una lingua propria, dal punto di vista letterario assai carente.