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L'irredentismo italiano fu un movimento d'opinione, espressione
dell'aspirazione italiana a perfezionare territorialmente la propria
unità nazionale, liberando le terre soggette al dominio
straniero. Il movimento fu attivo principalmente in Italia tra la
seconda metà del diciannovesimo secolo e la prima del secolo
successivo, a favore dell'integrazione nel Regno d'Italia di tutti i
territori, compresi nella regione geografica italiana o popolati da
italofoni e collegati all'Italia da secolari legami storici,
linguistici e culturali. Il movimento non aveva carattere unitario,
essendo costituito da diversi gruppi ed associazioni, generalmente
non coordinati tra loro.
Storia
Secondo alcuni autori, le radici dell'irredentismo possono essere
trovate già nella seconda metà del XVIII secolo, come
conseguenza del tentativo francese di annettere - oltre alla Corsica
- anche regioni italiane come il Piemonte, la Liguria e la Toscana
durante l'Impero napoleonico. Tuttavia è nella seconda
metà del XIX secolo, sul finire del Risorgimento, che il
fenomeno diventa rilevante; proprio in quel periodo nacquero infatti
diversi movimenti che facevano propri gli ideali irredentisti: nel
1877 Matteo Renato Imbriani coniò il nuovo termine "terre
irredente", e proprio nello stesso anno nacque l'Associazione in pro
dell'Italia Irredenta; nel 1885 fu fondata la Pro Patria e nel 1891
nacque, nei territori ancora dell'Impero Austro-Ungarico, la "Lega
Nazionale Italiana".
Le diverse associazioni vennero (in momenti diversi) prima
tollerate, quindi avversate o addirittura chiuse dallo stato
italiano (prima da Depretis e poi da Crispi), per motivi di
opportunità di politica estera. Nel 1882 Guglielmo Oberdan
progettava un attentato a Francesco Giuseppe I d'Austria nel
tentativo di far crollare il progetto della Triplice alleanza.
Importante, per quello che riguarda la Venezia Giulia è stato
l'apporto degli intellettuali triestini come Scipio Slataper, Carlo
e Giani Stuparich.
I vari movimenti irredentisti proponevano (pur se con diverse
sfumature) l'annessione delle terre, considerate italiane, che dopo
la terza guerra di indipendenza italiana del 1866 si trovavano
ancora in mano straniera, quali in particolare il Trentino, Trieste
e Istria occidentale, ma in seguito anche territori quali il resto
della Venezia Giulia, la Dalmazia, la Contea di Nizza, la Corsica e
Malta o parte di altre realtà politiche come il Canton Ticino
e le valli italofone del Canton Grigioni. I territori considerati
irredenti erano definiti tali secondo criteri variabili: a volte si
considerava il criterio linguistico-culturale, ossia la presenza di
italofoni, altre volte quello geografico, cioè l'appartenenza
ai confini naturali, altre ancora quello storico, ossia
l'appartenenza del territorio, in passato, a uno degli antichi stati
italiani, ma non il criterio di tipo coloniale.
Storicamente vi sono stati due irredentismi italiani: uno
risorgimentale ed uno fascista. Il primo era relativamente moderato
e voleva l'unione al Regno d'Italia di tutti i territori con
popolazione a maggioranza italiana rimasti fuori dall'unificazione
nel 1870 (come ad esempio Trieste, l'Istria ed il Trentino). Il
secondo era aggressivo e portò - in parte - al disastro della
seconda guerra mondiale. Infatti dopo la prima guerra mondiale il
movimento fu egemonizzato, manipolato e stravolto dal fascismo, che
ne fece uno strumento di propaganda nazionalista. Il fascismo
considerò irredenti anche territori quali la Savoia e
Corfù, anche se quasi prive di abitanti italofoni.
L'irredentismo, portato a livelli nazionalistici estremi, fu infatti
al centro della politica imperiale di Mussolini, concretizzandosi
nelle aspirazioni fasciste per una Grande Italia col suo Impero; con
l'avvento del fascismo, l'irredentismo risorgimentale iniziò
a diventare irredentismo nazionalista. Questo secondo irredentismo
mirava ad annettere al Regno d'Italia ed italianizzare popolazioni
con minoranze italiane talora anche esigue e si dimostrò
fallimentare. A tutt'oggi, in seguito alla cessione di gran parte
della Venezia Giulia all'ex Jugoslavia, l'irredentismo italiano non
ha, per alcuni, ancora completato il suo programma. In generale il
governo italiano dal secondo dopoguerra ha cessato del tutto la
politica irredentistica, considerando come definitivi i propri
confini nazionali dopo il trattato di Parigi del 1947, il memorandum
di Londra del 1954 e il trattato di Osimo del 1975.
Attualmente, in Italia, a differenza di altri paesi europei che
hanno subito mutilazioni territoriali, quasi solo i movimenti della
destra radicale propugnano l'irredentismo come rivendicazione
territoriale. Esistono gruppi nella città di Trieste e
piccoli nuclei in altre città d'Italia che sostengono
l'italianità della Venezia Giulia oltreconfine. Ricordiamo le
manifestazioni triestine per un nuovo irredentismo del 6 ottobre
1991 promosse dal Movimento Sociale Italiano, che vide la
partecipazione di migliaia di persone in piazza della Borsa e per le
vie della città. La dissoluzione della Jugoslavia fece
riemergere vecchi sentimenti nazionalistici. Il MSI chiese la
rivisitazione dei trattati di pace; il Governo italiano allora in
carica, invece, si affrettò a riconoscere la Repubblica di
Slovenia e la Repubblica di Croazia senza neppure curarsi di
chiedere impegni in ordine alle garanzie di unità della
comunità etnica italiana sancite perfino dall'iniquo "Diktat
di Parigi".
I territori considerati "irredenti" prima della Grande Guerra
Territori compresi nell'Italia geografica:
* l'antica Contea di Nizza (città principali:
Nizza Marittima, Mentone, Monaco, Poggetto Tenieri);
* la Corsica (città principali: Ajaccio, Bastia,
Corte, Bonifacio, Calvi);
* la Svizzera italiana, cioè l'intero
Canton Ticino e le parti cisalpine del Vallese, e del Canton
Grigioni (città principali: Lugano, Bellinzona, Locarno,
Poschiavo, Mendrisio);
* il Trentino con l'Alto Adige (città
principali: Trento, Rovereto, Bolzano, Merano, Bressanone, Cortina
d'Ampezzo);
* la Venezia Giulia, tra il basso Isonzo e le Alpi
Giulie, comprendente gli altopiani a sud dell'Idria (Carso proprio /
Bainsizza / Selva di Tarnova / Selva di Piro), l'Istria, la costa
liburnica di Fiume e le Isole del Quarnaro (città principali:
Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Monfalcone, Capodistria, Parenzo,
Rovigno d'Istria, Pisino), con il Friuli orientale e, in
particolare, l'altro Isonzo e la Carnia orientale (centri
principali: Tarvisio, Plezzo, Caporetto, Tolmino);
* l'arcipelago di Pelagosa;
* l'arcipelago maltese (Malta e isole vicine;
città principali: La Valletta).
Territori al di fuori dei confini della regione geografica italiana:
* la Dalmazia (città principali: Zara, Sebenico,
Traù, Spalato, Ragusa, Cattaro);
* Isole del Quarnaro, o quarnerine, (città
principali: Veglia, Lussinpiccolo, Cherso); alcuni autori
considerano, le isole di Cherso e Lussino comprese nell'Italia
geografica, mentre altri la escludono ed altri ancora escludono solo
Veglia dalla regione italiana.
Inoltre, pur oggetto di minore rivendicazione da parte italiana,
talvolta venivano considerati irredenti anche i seguenti territori
al di fuori dei confini naturali:
* la Savoia già ceduta alla Francia nel
1860 (città principali: Chambéry, Annecy);
* alcuni paesi del Canton Grigioni di lingua italiana:
Bivio, San Maurizio, Pontresina, Silvaplana, Celerina;
* alcuni paesi del Vallese che un tempo erano stati di
lingua italiana e sotto la diocesi di Novara, quali Briga, nella
vallata del Sempione. La redenzione di queste frazioni del Vallese,
fu lungamente dibattuta sulle pagine del giornale nazionalista "La
Voce" edito da Giuseppe Prezzolini, a partire dal 1912.;
* le isole Ionie (città principali:
Corfù);
* Distretto di Valona con il Capo Linguetta e l'isola
di Saseno;
* le Isole Cherchenna e La Galita in Tunisia.
Le popolazioni italiane dell'Italia irredenta
Vennero portate, come argomentazioni a supporto delle tesi
irredentiste di rivendicazione, diversi punti, come l'appartenenza
geografica di quelle terre alla Penisola italiana o la presenza di
più o meno numerose comunità di italiani o italofoni.
Agli inizi del Novecento la situazione delle terre irredente era la
seguente:
* italiani e italofoni nella Contea di Nizza:
circa 4.000 (stima);
* italofoni nel Canton Ticino e nei Grigioni
(Svizzera): circa 230.000;
* italiani e italofoni nella Dalmazia
dell'ex-Iugoslavia: circa 60.000;
* italiani e italofoni a Malta: circa 200.000 stimati;
* italiani e italofoni in Corsica: circa 200.000
stimati.
Attualmente, gli italofoni sono aumentati nella Contea di Nizza
(principalmente per immigrazione), sono rimasti invariati nel Canton
Ticino, hanno conosciuto una leggera flessione nei Grigioni, mentre
sono diminuiti a Malta (per effetto dell'assorbimento della cultura
italiana a quella più propriamente maltese) e in Venezia
Giulia (per effetto dell'esodo istriano) e quasi scomparsi in
Dalmazia (sempre a causa dell'esodo).
Riguardo alla Corsica, la lingua italiana è compresa dalla
quasi totalità della popolazione, ma viene usata molto
marginalmente, di contro vi è una più larga
concessione sull'utilizzo ufficiale del corso, che si considera a
tutti gli effetti un dialetto italiano. Infine, riguardo alle isole
Ionie, le ultime tracce del dialetto veneziano locale – specialmente
a Corfù – sono scomparse negli anni Sessanta (comunque vi
resta marginalmente l'uso dell'italkian, un lingua mista di matrice
ebraica con molti termini veneti e pugliesi).
*
L' Irredentismo italiano in Corsica è un movimento d'opinione
relativo a quei còrsi che si identificano come italiani,
rifiutando l'appartenenza alla Francia fin dai tempi di Pasquale
Paoli.
Caratteristiche
La Corsica si trova nella regione fisica italiana, a poco più
di un centinaio di km da Roma, ed ha storicamente fatto parte di
diversi Stati italiani fino a quando la Repubblica di Genova, a
seguito di una pluridecennale rivolta indipendentista còrsa,
guidata da Pasquale Paoli, fu costretta a cederla di fatto ai
francesi con il Trattato di Versailles del 1768.
La conquista francese della Corsica, proclamatasi stato
indipendente, fu contrastato da Pasquale Paoli, che aveva fondato a
Corte, nel cuore dell'isola, una Università in lingua
italiana per la preparazione delle classi dirigenti còrse
(che facevano storicamente capo all'Università di Pisa quale
sede di istruzione superiore) e confermato l'uso già
lungamente stabilito della lingua italiana come lingua colta ed
ufficiale dell'isola.
Del resto fin dall'anno mille la situazione etnico-linguistica della
Corsica era stata fortemente influenzata (specie nella parte
settentrionale dell'isola) dal contatto diretto con i dialetti
toscani di tipo pisano, anche a seguito degli ingenti tentativi di
ripopolamento effettuati dai dominatori pisani favoriti dalla
notevole vicinanza geografica.
Dal XIII al XVIII secolo i pisani vennero sostituiti dai genovesi, i
quali insediarono interi borghi di lingua ligure (Bonifacio e Calvi)
ma, pur introducendo un qualche influsso genovese nei dialetti
locali, di fatto proseguirono nell'utilizzo del toscano illustre
come lingua scritta e di cultura. Questo spiega il motivo per cui
nel Rinascimento, e fino alla conquista francese ,in Corsica l'unica
lingua utilizzata nelle comunicazioni scritte è stato
l'italiano, restando impiegata nei documenti ufficiali e poi solo
notarili sino alla sua totale proibizione sotto Napoleone III
all'indomani della conclusione della seconda guerra d'indipendenza
italiana.
Gli irredentisti corsi hanno cercato attivamente l'unificazione
all'Italia solo a partire dai primi decenni del XX secolo, e con
maggiore intensità quando l'irredentismo fu promosso dal
Fascismo.
Storia
Sul finire del XVIII secolo iniziò a crearsi in Corsica una
sensibilità identitaria che, di fronte al montare della
cultura francofona, si coagulò attorno alla valorizzazione
della lingua italiana e del suo dialetto corso.
I primi chiari segnali di questo risveglio risalivano alla
metà dell'Ottocento, in coincidenza con la crisi del
movimento bonapartista. Saltando volutamente il secolo francese
dominato da Napoleone sino ad allora trascorso, il movimento
rivendicativo si ispirava al recupero della tradizione nazionale
còrsa del XVIII secolo ispirata a Pasquale Paoli.
Un gruppo di còrsi, prima esiguo e poi sempre più
folto, slegato dalle formazioni politiche, aveva però
iniziato un'attività di base che puntava alla difesa della
lingua, dell'identità e della storia locali già almeno
dal 1838-1839, periodo del soggiorno sull'isola (soprattutto in
veste di filologo) di Niccolò Tommaseo.
Tommaseo, con l'aiuto del poeta e magistrato di Bastia Salvatore
Viale (1787-1861), studiò il vernacolo còrso e ne
celebrò la ricchezza e la purezza (lo definì come il
più puro dei dialetti italiani), contribuendo al nascere dei
primi germi di una coscienza linguistica e letteraria autonoma ed
irredentista nell'ambito della élite isolana raccolta attorno
a Viale.
Salvatore Viale, nella sua premessa all'edizione del 1843 dei Canti
popolari corsi, stampato a Bastia ed esplicitamente dedicata "ai
lettori corsi", stila un vero e proprio manifesto ideologico nel
quale egli - magistrato dello Stato francese - rivendica con
chiarezza e libertà l'identità còrsa come
antitetica a quella francese e la sua naturale appartenenza all'area
culturale italiana. Eccone il passaggio più significativo:
« Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi
non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o
letteratura, fuorché l'italiana. Il fonte e la materia della
poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei
suoi costumi, nel suo modo d'essere e di sentire: cose tutte nelle
quali l'uomo côrso essenzialmente differisce da quello del
continente francese e soprattutto dal prototipo dell'uomo francese
che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la
quale è più sostanzialmente informata da questi stessi
principj; e la lingua côrsa è pure italiana; ed anzi
è stata finora uno dei meno impuri dialetti d'Italia. »
In quei decenni - e lo resterà sino alla fine dell'Ottocento
- il vernacolo corso era considerato adatto solo a soggetti
"giocosi", "farseschi" (come la Dionomachìa) o "popolareschi"
(le canzoni), mentre per i soggetti "seri" la scelta di chi
rifiutava l'assimilazione francese era istintivamente quella
dell'italiano.
Nel 1889 furono fatte rientrare in Corsica da Londra, dopo un esilio
di 82 anni, le ossa di Pasquale Paoli. Nell'austera cappella
ricavata nella sua casa natale, l'iscrizione della lapide che ne
sigilla la tomba è significativamente scritta in italiano.
Del resto la Corsica fu coinvolta solo superficialmente nel
Risorgimento, il processo unitario italiano, salvo l'eccezione di
alcuni intellettuali locali legati al Tommaseo ed al Viale che
consideravano, come nei secoli passati, "terraferma" l'Italia
piuttosto che il continente francese.
Né vi fu mai da parte del Regno d'Italia, molto legato alla
Francia sin dalla sua concezione, il minimo accenno concreto ad
entrare in rotta di collisione con Parigi per la Corsica. Neanche
quando, con la caduta di Napoleone III, il Re Vittorio Emanuele II,
non esitò a liquidare lo Stato Pontificio nel 1870, ma non
fece alcun tentativo diplomatico-militare per recuperare la Corsica
nonostante le continue pressioni di Giuseppe Garibaldi. Infatti
alcuni Garibaldini corsi, come Leonetto Cipriani di Centuri (Capo
Còrso) (che, protagonista alla battaglia di Curtatone (1848)
e poi a quella di Novara, più tardi sarà governatore
delle Legazioni pontificie (1860) e senatore del Regno d'Italia),
erano pronti a ripetere una piccola "Spedizione dei Mille" in
Corsica sotto gli ordini di Garibaldi, che si era ritirato proprio a
Caprera (vicinissima alla Corsica).
Si giunse così al 1896 quando apparve il primo giornale in
lingua còrsa, A Tramuntana (la Tramontana), fondato da Santu
Casanova (1850-1936) e che, sino al 1914, si fece portavoce
dell'identità còrsa.
Mentre l'italiano, ancora ben vivo nell'isola all'alba del
Novecento, veniva sempre piu ostacolato dai Francesi (anche a
seguito del mancato riconoscimento dei titoli di studio rilasciati
dalle Università italiane sin dai tempi di Napoleone III, che
spinse quasi tutta l'intellighenzia còrsa verso quelle
francesi), i còrsi iniziarono a valorizzare la loro lingua
vernacolare come strumento di resistenza ai misfatti
dell'acculturazione francese che minacciava di travolgere l'anima
stessa della loro isola.
L'influenza della Repubblica di Pisa si evidenzia nello stile
romanico pisano della Chiesa di Aregno
Accanto al processo di promozione del còrso, che lo
porterà ad essere sentito sempre più come lingua
autonoma e non più come livello "familiare" dell'italiano,
scattava un'operazione di rivendicazione nazionale che portò
successivamente alla richiesta pressante di autonomia amministrativa
e di studio nelle scuole della storia còrsa.
Accanto A Tramuntana un'altra rivista, A Cispra (nome di un lungo
fucile pietra focaia, usato sia dai montanari che dai banditi), si
fece interprete di uno stato d'animo che coinvolse trasversalmente,
sia a livello di convinzioni politiche individuale, sia a livello di
strati sociali, tutta quella che oggi definiremmo la "società
civile" dell'isola, mentre i politici settari, di qualsiasi partito
nazionale francese, restarono fuori dal processo essendo fedeli al
governo centrale e al nazionalismo francese.
La prima guerra mondiale (1914-1918) coinvolse pesantemente la
Corsica rivelando ulteriormente il perdurare della disparità
di trattamento verso la sua popolazione nel seno dello Stato
francese. Secondo alcune stime, circa il 10% dell'intera popolazione
dell'isola trovava la morte sui campi di battaglia. L'impatto
demografico fu disastroso e spinse la popolazione affamata a ridursi
ad un'agricoltura e ad un'economia arcaica, recuperando tecniche di
coltivazione del XVIII secolo per sopravvivere.
La situazione in Corsica fu tanto disperata che molti reduci
preferirono emigrare nelle colonie o trovare impieghi in continente
piuttosto che tornare alle proprie case in una terra sempre
più desertificata sotto ogni punto di vista. Questa diaspora
sovrappose il suo effetto a quello delle pesantissime perdite umane
ed economiche nell'isola.
Irredentismo
Tra quelli che restarono in Corsica e non parteciparono alla
diaspora si fece strada la radicalizzazione del movimento
rivendicativo e si riallacciarono i legami anche politici con
l'Italia, che già con il governo Crispi perseguiva lo
sviluppo dei movimenti irredentisti e una politica estera avversa
alla Francia.
In Corsica nacque, per impulso di Petru Rocca, A Muvra (1919), un
periodico scritto prevalentemente in còrso e in italiano, con
qualche articolo in francese. Attorno al giornale prese vita nel
marzo 1922 il Partitu Corsu d'Azione (PCdA, autonomista, analogo al
Partito Sardo d'Azione). Alla Muvra (il muflone isolano) si
affiancarono altre pubblicazioni, in Corsica e in Italia, da dove il
quotidiano livornese "Il Telegrafo" diffuse in Corsica, a partire
dal 1927, un'edizione per l'isola, che ebbe ampia circolazione.
Oltre alla fioritura di giornali e i periodici si moltiplicarono
studi linguistici (come l' Atlante Linguistico Etnografico Italiano
della Corsica di Gino Bottiglioni) e storico-etnografici (Archivio
Storico di Corsica e Corsica Antica e Moderna) dedicati all'isola,
editi sia in Italia che in Corsica.
Altri corsi famosi che cercavano di rivitalizzare il rapporto con
l'Italia furono Versini Maiastrale, Matteu Rocca ("I lucchetti" nel
1925), Dumenicu Carlotti ("Pampame corse" nel 1926), Ageniu Grimaldi
ed Ugo Babbiziu ("Una filza di francesismi colti nelle parlate
dialettali corse" nel 1930). Petru Giovacchini scrisse i poemi "Musa
Canalinca" e "Rime notturne" nel 1933 in Corsica (ma successivamente
-esule a Roma- compose "Aurore", "Poesie corse", "Corsica Nostra" e
"Archiatri pontifici corsi").
Si realizzava così il passaggio dalla rivendicazione
autonomista ed identitaria a quella più marcatamente
indipendentista e nazionalista che, con l'avvento della propaganda
mussoliniana, si venava d'irredentismo: il governo fascista non
lesinava finanziamenti agli indipendentisti còrsi e
s'istituirono molte borse di studio per ottenere che i giovani
còrsi tornassero a frequentare le università italiane.
La storiografia e la propaganda politica francese hanno sfruttato
abilmente (e con notevole successo) l'inquinamento fascista per
screditare e obliterare il movimento "corsista" contrario alla
"francesizzazione" nel suo complesso, operando una semplificazione
che equipara l'autonomismo e l'indipendentismo isolano al fascismo,
con tutto il carico di disprezzo che evoca l'implicita accusa di
tradimento e di adesione ad un sistema dittatoriale sconfitto dalla
Storia.
In verità l'avvento di Mussolini in Italia non fece che
seguire, non anticipare - né generare - un diffuso e davvero
mai del tutto sopito sentimento di estraneità dei
còrsi alla nazione francese. La tradizionale ed antichissima
tendenza degli isolani a invocare aiuti esterni (con Sampiero s'era
cercato aiuto persino presso i Turchi) e a raccogliersi attorno a
personaggi "forti" nella sfortunata coincidenza storica, spinse il
movimento corsista verso un abbraccio quasi fatale con il Fascismo
italiano. Tale deriva va letta piuttosto come un evento
"incidentale" (ed anzi stimolato dall'indifferenza francese), che
come un'adesione piena e realmente ideologica. Del resto Santu
Casanova già invocava un "uomo del destino" sulle colonne
della Tramuntana nel 1902, riferendosi a un novello Pasquale Paoli.
Oltre a Petru Rocca si distinserono nel movimento irredentista della
Corsica altri personaggi, quasi tutti ad un tempo letterati (con
produzioni poetiche in còrso e in italiano) e attivisti
politici. Alcuni di essi, come i fratelli Ghjuvanni e Anton
Francescu Filippini (quest'ultimo, considerato il maggior poeta
còrso, fu segretario di Galeazzo Ciano), sceglieranno
giovanissimi l'esilio in Italia; Bertino Poli, Domenico Carlotti
("Martinu Appinzapalu"), Petru Rocca, Pier Luigi Marchetti ed altri
finiranno tragicamente per unire il loro destino pubblico a quello
del regime fascista.
Lo stesso destino segnerà la vita di Marco Angeli e di Petru
Giovacchini, condannati a morte in contumacia, in Francia, come
disertori e traditori subito dopo la sconfitta d'Italia nella
seconda guerra mondiale.
Marco Angeli, di Sartena, collaborò al A Muvra dal 1919 al
1924, distinguendosi come polemista, poeta e come autore del primo
romanzo in còrso (Terra corsa, Ajaccio, 1924): fu intensa
anche la sua attività politica, come segretario del PCdA. Dal
1926, accusato di diserzione in Francia, fu esule in Italia, dove
s'era laureato in medicina a Pisa.Fondò per primo il
movimento irredentista per la Corsica italiana agendo di concerto
con Francesco Guerri di Livorno che faceva parte del Comitato
segreto "Corsica" fondato nel 1924 a Roma per volere espresso di
Mussolini. L'Angeli fu, quindi, il primo in Italia ad organizzare la
politica di rivendicazione della Corsica all'Italia secondo le
progressive linee programmate in merito dal suddetto Comitato alle
dipendenze dirette del Ministero degli Affari Esteri. Dal 1930
sviluppò dalla città toscana un'intensissima
attività propagandistica di stampo via via sempre più
apertamente irredentista. Angeli giunse a creare una rete capillare
di attivisti che, raccolti nei Gruppi d'Azione Còrsa, contava
migliaia di aderenti in tutta Italia negli anni trenta. Marco Angeli
inoltre pubblicò a Milano Gigli di Stagnu e Liriche corse nel
1934, rivelandosi, di poi, oltreché poeta, articolista ed
agitatore politico, anche lessicografo, per i suoi studi dedicati al
dialetto corso sulla rivista "Corsica Antica e Moderna", di cui era
anche redattore capo.
Nel 1932, con il temporaneo riavvicinamento politico tra Italia e
Francia, condusse allo scioglimento dei Gruppi fondati e presieduti
da Marco Angeli a Pisa il 2 maggio 1930. Essi risorsero per
decisione governativa ad opera di Petru Giovacchini, che li
rifondò sotto il nome di "Gruppi di Cultura Corsa" il 27
novembre 1933 a Pavia, diventandone il Presidente e conducendo
un'azione di propaganda irredentista più riservata, rispetto
a quella precedentemente attuata dall'Angeli, sino almeno allo
scoppio della guerra nel 1940.
Alla fine degli anni trenta anche in Corsica la simpatia per
l'Italia raggiungeva punte notevoli. Infatti Santu Casanova (che
morirà esule in Italia, a Livorno) produsse scritti e poesie
celebrative della guerra d'Etiopia e Bertino Poli scrisse "Il
pensiero irredentista corso e le sue polemiche" a Firenze nel 1940.
Gli irredentisti corsi inoltre giunsero ad organizzare pubblici
festeggiamenti, che ebbero notevole partecipazione popolare, in
occasione della proclamazione dell'Impero italiano il 9 maggio 1936.
Il loro capo era Petru Giovacchini, che in quei festeggiamenti
esplicitamente rivendicava la "redenzione" della Corsica.
Molta parte della popolazione della Corsica, tuttavia, restava
indifferente al richiamo annessionista al Regno d'Italia, anche se
vi furono delle manifestazioni di giubilo per le imprese coloniali
italiane (conquista dell'Etiopia e dell'Albania) nel 1936 e 1939.
Nel 1938 vi fu anche la rivendicazione ufficiale del Regno d'Italia
sulla Corsica pronunciata dal ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano,
salutata con enorme soddisfazione da Santu Casanova e dal suo gruppo
di irredentisti corsi.
Nel 1939 lo stesso Mussolini propose, in una seduta del Gran
Consiglio del Fascismo dove prevedeva l'entrata in guerra
dell'Italia non prima del 1942, di appoggiare l'autonomia della
Corsica per poi renderla italiana in tre tempi: 1°. tempo:
ravvivare le tendenze autonomistiche dei Corsi; 2°. tendere
all'indipendenza della Corsica; 3°. annessione all'Italia.[4]
Occupazione della Francia durante la seconda guerra mondiale, con
evidenziata anche l'occupazione italiana della Francia meridionale e
della Corsica (novembre 1942-settembre 1943)
Durante i primi anni della seconda guerra mondiale, molti
intellettuali corsi fecero propaganda a favore dell'Italia
(specialmente i "Gruppi di Cultura Corsa"). Tra costoro
primeggiavano Marco Angeli, Bertino Poli, Marchetti, Luccarotti,
Grimaldi e Petru Giovacchini (che fu proposto come Governatore della
Corsica se l'Italia avesse annesso l'isola nel 1942). Petru
Giovacchini arrivò a dichiarare che Pasquale Paoli (l'eroe
della Corsica) fu il precursore dell'irredentismo corso favorevole
all'unificazione dell'isola all'Italia.
I "Gruppi di Cultura Corsa" di Giovacchini ebbero 72.000 membri nel
1940.
Tra il novembre 1942 ed il settembre 1943 la Corsica fu occupata
militarmente dal Regno d'Italia e diversi corsi collaborarono
attivamente nella speranza di una unificazione dell'isola
all'Italia. Giovacchini e Poli scrissero di Redenzione della Corsica
simile a quanto avvenuto in Dalmazia, ma lo stesso Mussolini si
oppose all'annessione dell'isola all'Italia finché la guerra
durava. Oltre 85.000 militari italiani mantennero il controllo
dell'isola, che ha solo circa 300.000 abitanti.
Man mano che la Resistenza corsa si organizza, la repressione degli
occupanti italiani si fa più dura. L'OVRA, la polizia
politica fascista e le Camicie Nere arrestano, deportano e fucilano
molti resistenti corsi, soprattutto nel periodo giugno-luglio 1943;
Arrigoni fornisce il dato di 172 partigiani uccisi o fucilati
e 474 deportati in Italia, mentre Gambiez parla di 860 deportati. Il
10 luglio 1943, gli Alleati sbarcano in Sicilia e il 25 luglio
Mussolini viene destituito. I Tedeschi, che iniziano a diffidare
dell'alleato italiano, portano in Corsica a fine luglio la brigata
d'assalto "SS Reichsfhürer" per affiancare le truppe
d'occupazione italiane. Ma dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943,
come noto, tutto cambia: in Italia e in Corsica iniziano i 20 mesi
di Resistenza antinazista e antifascista.
Dopo il 1945 un centinaio di Corsi filoitaliani furono processati
dai tribunali militari francesi ed incolpati di tradimento e
collaborazionismo con l'Asse. Otto furono condannati a morte, ma
solo il colonnello Petru Cristofini fu fucilato.
Anche la moglie di Cristofini, la prima giornalista corsa Marta
Renucci, che affermava apertamente idee filoitaliane, fu arrestata
con la stessa accusa e condannata a 15 anni di prigione. Scontata la
pena nelle carceri di Algeri, rientrò in Corsica, dove visse
in isolamento fino alla morte (avvenuta nel 1997 al policlinico di
Furiani).
Attualmente non esiste più l'irredentismo italiano in
Corsica, praticamente scomparso con la morte di Petru Giovacchini,
l'ultimo irriducibile sostenitore, nel 1951. Ma movimenti
autonomisti della Corsica - ispirati anche alle idee dei Corsi
italiani - sono attivi nell'isola, come nel caso del "Partitu di a
Nazione Corsa" e del Fronte di Liberazione Naziunalista Corsu
(quest'ultimo di matrice terrorista dal 1975).
Comunque negli anni novanta non sono mancate iniziative di
affermazione di un'identità italiana dell'isola. Tra queste
annoveriamo la rivista "A viva voce", animata da un gruppo di
studiosi isolani che si proponeva di utilizzare, al posto del corso,
la lingua italiana come lingua colta. Sullo stesso avviso un libro
di Corso Donati, che nel suo saggio del 2000, Corsica amara,
dibatteva sulla necessità per i corsi di riallacciarsi alla
comune tradizione linguistica della penisola italiana anziché
annaspare nel cercare di darsi una lingua propria, dal punto di
vista letterario assai carente.