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di Giuseppe Zaccaria
Nacque a Voghera il 28 marzo 1851 da Ferdinando, funzionario
del Regno di Sardegna, cui la città allora apparteneva, e da
Anna Tettoni.
La data, accertata solo nel 1983 presso i registri comunali,
anticipa di ben sette anni quella accreditata dalla stessa I. e poi
accolta nelle sue biografie.
La famiglia, appartenente all'agiata borghesia, si trasferì
nel 1865 - in occasione dello spostamento della capitale - a
Firenze, dove l'I. frequentò l'istituto magistrale
pubblicando sul giornale della scuola il suo primo racconto, per cui
rischiò di essere espulsa. Esordì nel 1876 con un
Bozzetto sociale intitolato Un autore drammatico e pubblicato
dall'editore Barbini di Milano; l'anno dopo cedette, per 5 napoleoni
d'oro, il suo primo romanzo, Rina o L'angelo delle Alpi, all'editore
fiorentino A. Salani, iniziando un rapporto destinato a durare per
tutta la vita. Nel 1881, dopo un breve periodo di fidanzamento,
sposò il tenente dei bersaglieri Marcello Quinterno, da cui
ebbe, nel 1886, la sua unica figlia, Marcella.
Nel 1879 aveva intanto pubblicato a Milano il romanzo Pia de'
Tolomei, cui seguirono La vita domestica e Le due madri, usciti
entrambi a Firenze nel 1885; da allora non ebbe più
interruzione una prodigiosa attività narrativa, che non solo
registra scadenze annuali, fino all'anno della morte, ma che in
alcuni anni giunse a più di tre pubblicazioni (ben sette sono
i titoli del 1892). La ricostruzione della bibliografia (impresa non
facile, soprattutto per quanto riguarda la prima edizione di opere
di larga diffusione che si collocavano ai margini della letteratura
per così dire ufficiale) allinea circa centotrenta opere,
spesso raccolte in volume dopo essere state pubblicate a puntate in
quotidiani (in particolare nella Gazzetta di Torino e nell'Opinione
nazionale di Firenze). Avidamente attesa e ricercata da un pubblico
di lettrici in gran parte di estrazione proletaria e
piccolo-borghese, l'I. ha rappresentato, in Italia, il caso
più rilevante di un'esperienza culturale che, a lungo
ignorata dalla critica, riveste comunque notevole interesse da un
punto di vista ideologico e sociologico. Non a caso a occuparsene fu
tra i primi, nei suoi Quaderni del carcere, A. Gramsci, che
definì l'I. un'"onesta gallina", mentre il più recente
ritorno d'interesse è legato all'affermarsi di nuove
metodologie critiche, quali la sociologia della letteratura e la
semiologia.
All'I. è in gran parte legata la storia del romanzo
d'appendice italiano, che, pur risultando un fenomeno più
limitato rispetto a quello di altri paesi (basti pensare al
feuilleton francese), ha costituito un macroscopico esempio di
produzione di consumo e di massa. Le ragioni del successo sono da
ricercare nella capacità di corrispondere alle attese del
pubblico, stimolandone al tempo stesso la curiosità e
l'interesse.
Sin dal titolo, i romanzi dell'I. puntano su tematiche "forti" e
sensazionali: da Il delitto della contessa (Firenze 1887) e Dora, la
figlia dell'assassino (ibid. 1888), a Il fantasma del Valentino
(Torino 1890), Il cadavere nel Po (ibid. 1895), Il treno della morte
e L'albergo del delitto (ibid. 1905). Se si è potuto vedere,
in opere come queste, non pochi incunaboli del romanzo giallo, con
gli artifici fondamentali di tale genere letterario (Nina, la
poliziotta dilettante, Firenze 1909), l'universo della narrativa
inverniziana ripropone l'eterna lotta fra il bene e il male, con un
manicheismo che distingue nettamente fra il vizio e la virtù,
le creature angeliche e quelle diaboliche (Paradiso e inferno, ibid.
1888). Figura diabolica è quella del seduttore, che inganna
la povera e ingenua fanciulla del popolo: di qui le sventure dei
figli abbandonati (La trovatella di Milano, Milano 1889; La
bastarda, Firenze 1892), su cui si abbatte la condanna della colpa e
del peccato, che discende dagli amori considerati illeciti (Le
vittime dell'amore, ibid. 1889; Amori maledetti, ibid. 1892; Bacio
infame, ibid. 1894; Passione mortale, ibid. 1904; La via del
peccato, ibid. 1908). Al femminile il motivo della seduzione
è incarnato dalla "donna fatale", il cui fascino perverso
conduce i figli di buona famiglia e gli onesti mariti alla
perdizione (La maledetta, ibid. 1895; La donna fatale, ibid. 1903;
Nella l'ammaliatrice, ovvero La figlia del saltimbanco, Torino 1909;
Peccatrice moderna, Firenze 1915); spregiudicata e cinica
avventuriera (Lara, l'avventuriera, ibid. 1910, cui fece da
riscontro L'avventuriero, ibid. 1914), disponibile alle più
nefande azioni delittuose (Le avvelenatrici, Torino 1904), esercita
talora la poco raccomandabile professione di ballerina o di attrice
di teatro (La ballerina del teatro Regio, ibid. 1894; La danzatrice
di tango, Firenze 1915), arricchendo il suo fascino di elementi
esotici (la ballerina Nara, protagonista negativa del Bacio d'una
morta, ibid. 1886, e del suo seguito, La vendetta d'una pazza, ibid.
1894, è giavanese; ma si vedano anche Odio di araba e Il
trionfo dell'araba, ibid. 1912 e 1915).
Al centro delle opere dell'I. è l'ideologia della famiglia, i
cui valori vengono inizialmente infranti e negati. Di qui
l'importanza dell'adulterio, come elemento motore delle vicende (I
drammi dell'adulterio, ibid. 1890); accanto a esso si collocano i
casi pietosi dei trovatelli, le cui sofferenze preludono al
ritrovamento dei genitori o al riconoscimento dei diritti di cui
erano stati privati, con la finale ricomposizione del nucleo
familiare. Ma non si tratta solo di mettere in moto i meccanismi
narrativi necessari allo scontato andamento degli intrecci, a una
suspense alimentata dagli equivoci e dalle rivelazioni improvvise,
dagli scambi di persona e dai travestimenti. La famiglia, con tutti
i valori economici e sociali che a essa si riferiscono, è
anche l'altare su cui si compiono i sacrifici e i riti più
crudeli, nella misura in cui costituiscono l'indispensabile
presupposto per il trionfo definitivo del "bene". La morale borghese
dell'I., mentre consente la facile retorica di un sentimentalismo
populistico, appare strettamente funzionale ai delitti e alle
violenze (dall'assassinio all'avvelenamento, dall'infanticidio allo
stupro), che, garantendo l'interesse morboso delle vicende,
esercitano una presa efficace sui lettori. Tale interesse
corrisponde alle caratteristiche del giornale in cui le appendici
venivano pubblicate, soprattutto per quanto riguarda le parti
più avidamente lette e consumate, dalle notizie di cronaca ai
resoconti giudiziari: una rubrica fissa, quest'ultima, che trasse
notevole impulso da celebri processi, fra cui quello, destinato a
far epoca, relativo alla Contessa Lara (la scrittrice Eva Cattermole
Mancini), che si era separata dal marito dopo che questi aveva
ucciso in duello il suo amante (a distanza di anni, l'I. si
ispirò a questo fatto per la stesura di Lara,
l'avventuriera). I romanzi inverniziani, che spesso, nella loro
struttura "gialla", muovono dal delitto e si concludono con un
processo riparatore, costituiscono la prosecuzione narrativa di
questa tematica giornalistica, tanto più efficace in quanto
la scrittrice sa dosare abilmente gli ingredienti della trama,
sfruttando le molle psicologiche della partecipazione
emotivo-sentimentale e dell'identificazione del lettore con la
vicenda narrata.
A tale livello l'opera dell'I. risulta altamente indicativa della
mentalità di larghi strati sociali, di cui vengono insieme
sfruttati e lusingati i pregiudizi dichiarati e i desideri
inconfessati o repressi. Si spiega quindi il rilievo che assumono,
all'interno degli interessi che regolano il funzionamento
dell'istituto matrimoniale, i motivi più strettamente
economici del denaro e della proprietà. L'infrazione delle
leggi di questo sistema, che muove per lo più dal peccato
della seduzione, determina poi i rimorsi dei colpevoli e la vendetta
che si abbatte su di loro, coinvolgendo anche le vittime innocenti.
È il caso, per esempio, di Ladri dell'onore (ibid. 1894), in
cui solo a questo prezzo Lorenza, nata da una relazione adulterina
della madre, potrà essere reintegrata nell'ambiente
socialmente elevato che compete alla sua nascita, dopo essere
vissuta a lungo nella immeritata condizione di commessa. Tale colpo
di scena, consentito dall'espediente dell'agnizione, lusingava le
speranze di promozione sociale delle lettrici appartenenti ai ceti
più modesti, tra cui le sartine e le commesse, così
frequentemente rappresentate nei romanzi (La bella sigaraia, ibid.
1888; La guantaia di Torino, Torino 1891; Storia d'una sartina,
Firenze 1892; La figlia della portinaia, Torino 1900; La commessa,
ibid. 1901; ma si ricordi anche la conferenza Le operaie italiane,
pubblicata nel volume La donna descritta da scrittrici italiane in
una serie di conferenze…, a cura di A. Conti, Firenze 1890).
Anche l'alternarsi degli ambienti eleganti dell'aristocrazia e della
ricca borghesia ai tuguri degli squallidi quartieri dove allignano
il vizio e la miseria, l'ignoranza e la prostituzione, è
funzionale a un interclassismo filisteo che consiste nel rendere
romanzescamente possibili gli improbabili matrimoni tra le "figlie
del popolo" e gli eredi di agiate e nobili famiglie. Si introduce
così un ulteriore livello di ambiguità, se è
vero che contro la ragazza povera e onesta (la ragazza che non ha
ancora subito il furto dell'"onore") è in agguato l'eterna
congiura dell'aristocratico e diabolico seduttore.
Le varie sollecitazioni nei confronti del pubblico sono giocate,
più in particolare, sulle frustrazioni alimentate dalla
morale repressiva della famiglia, che è all'origine dei temi
macabri e angosciosi della narrativa inverniziana. Si pensi
all'ossessione della morte, quale si trova ampiamente sfruttata nel
motivo della "sepolta viva" (Il bacio d'una morta, ibid. 1886;
Satanella, ovvero La mano della morta, Torino 1888; La sepolta viva,
ibid. 1896; La rediviva, ibid. 1906; Il morto di via S. Sebastiano,
Firenze 1909; La morta nel baule, ibid. 1910; Il cadavere
accusatore, ibid. 1912; La figlia del morto, ibid. 1913; Il marito
della morta, ibid. 1915), che può essere interpretato come
una metaforica significazione dei mostri e dei fantasmi interiori
(nel testamento l'I. stessa chiese che la sua sepoltura venisse
procrastinata). Non altrimenti le "soffitte" e le "cantine" (I
misteri delle soffitte e I misteri delle cantine, Torino 1901 e
1902), i luoghi bui e appartati dei labirintici bassifondi, dove si
compiono i più efferati delitti e si occultano i cadaveri,
valgono come altrettanti simboli delle misteriose regioni
dell'inconscio (al fortunato filone appendicistico dei "misteri",
inaugurato in Francia nel 1842 dai Misteri di Parigi di E. Sue, l'I.
più direttamente si richiama in Torino misteriosa, Torino
1903, prima parte di una trilogia completata da I disperati e Le
disoneste, entrambi ibid. 1904).
Il fascino proibito e morboso di tali tematiche si rivela, per
esempio, nel Bacio di una morta, al limite di una situazione che
sfiora la necrofilia sadiana. Possono così trovare sfogo, in
altri termini, gli impulsi inconfessabili di una sessualità
repressa e inibita, che percorre del resto buona parte della
letteratura d'appendice, sotto le forme di un sadismo compensativo
di una realtà sessuale sulla cui negazione si basa la morale
ufficiale. Pertanto, laddove il sesso non può uscire dal
chiuso cerchio della famiglia, divengono tanto più indicativi
i teneri legami fra congiunti (il rapporto fra Clara e il fratello
Alfonso, ancora nel Bacio di una morta) o fra creature femminili
(laddove l'unico rapporto consentito con il maschio "estraneo"
è quello della seduzione e della violenza), che sfiorano i
tabù dell'omoerotismo e dell'incesto.
In una produzione ripetitiva, tipicamente seriale, le tematiche
dell'orrore e della sventura (La gobba di porta Palazzo, ibid. 1892;
La cieca di Vanchiglia, ibid. 1894, che si richiama alla Cieca di
Sorrento di F. Mastriani; La tisica, ibid. 1896; Il mendicante del
Martinetto, ibid. 1897; La figlia del mendicante, Firenze 1910) si
inseriscono entro convenzionali soluzioni romanzesche, ricche di
intrecci complicati e di colpi di scena; a questi clichés
strutturali corrispondono sia la tipologia ugualmente prefabbricata
dei personaggi sia l'adozione di uno stile stereotipato, che si
avvale di espressioni esasperate, iperboliche e melodrammatiche. In
questo senso la patente di romanzi "storico-sociali", attribuita
spesso dall'I. alle sue vicende di perdizione e di morte, non
riveste alcun intento conoscitivo, anche quando potrebbe sembrare
diversamente (in romanzi quali Il figlio dell'anarchico, Torino
1901, e I drammi degli emigrati, Firenze 1910). E neppure
introducono elementi nuovi i tentativi di accostarsi ad aspetti
particolari della modernità (Un assassinio in automobile,
Torino 1905, e L'aviatore, Firenze 1911) o dell'attualità,
come negli anni della prima guerra mondiale (La spia, ibid. 1915;
L'orfana di Trieste e La fidanzata del bersagliere, ibid. 1916).
L'I. scrisse anche un romanzo in piemontese, Ij delit d'na bela fia
(I delitti di una bella ragazza), uscito in appendice nel Birichin
nel 1889-90 e pubblicato in volume, a Torino, nel 1976. Racconti
dispersi in giornali sono stati raccolti, a cura di R. Reim, con i
titoli Nero per signora (Roma 1986, con prefazione di E. Sanguineti)
e Pallida bruna (ibid. 1987); nel 2002 (ibid.) sono uscite Tre
storie in giallo e nero.
Nel 1896 l'I. si trasferì a Torino dove il marito, reduce
dalla guerra d'Africa, ebbe l'incarico di dirigere il panificio
militare. La famiglia, che alternava frequenti soggiorni a Govone,
nel Cuneese, si spostò nel 1914 a Cuneo, per tornare poi a
Torino, dove l'I. morì il 27 nov. 1916.
Sulla sua tomba, insieme con la statua eretta da E. Robino, posa una
corona di bronzo, deposta dall'editore Salani, con la scritta: "Il
suo nome non sarà dimenticato".
Txt.: I misteri delle soffitte