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A cura di Diego Fusaro
La maggior parte degli uomini sono
filosofi in quanto operano praticamente e nel loro pratico operare
è contenuta implicitamente una concezione del mondo, una
filosofia. (Quaderni del carcere, 10, II)
Gramsci ha meditato a lungo sul processo storico che, nel secolo
XIX, ha prodotto la travagliata costituzione dello stato italiano
unitario. A suo avviso, tale processo è stato diretto
fondamentalmente da forze moderate, e il cosiddetto Partito d'
azione (cioè il complesso di gruppi e di correnti che si
richiamavano in parte a Mazzini e a Garibaldi) si è rivelato
incapace di svolgere un'opera adeguatamente incisiva e
trasformatrice nel contesto politico del tempo.
Quella risorgimentale è stata, per usare una celebre
espressione gramsciana, una "rivoluzione mancata" - e la causa e la
natura di tale "mancanza" sono state essenzialmente di carattere
sociale. In effetti il limite storico del Partito d' azione va
individuato nel fatto che è rimasto sempre un partito
borghese di élite, non disposto o non capace di ricercare l'
appoggio dei ceti non borghesi. Quali ceti?
E' qui che Gramsci mostra la sua relativa eterodossia rispetto alle
tesi canoniche del marxismo. Egli sa bene che nell' Italia dell'
Ottocento non c' era un proletariato industriale e tanto meno una
classe operaia organizzata - ossia il solo soggetto sociale in
grado, secondo i princìpi marxisti, di promuovere una
trasformazione radicale della società. L' autore dei Quaderni
del carcere ritiene però che il risorgimento avrebbe potuto e
dovuto ugualmente assumere un carattere rivoluzionario, acquisendo
il consenso dei contadini. Proprio questi ultimi costituivano,
infatti, quella massa popolare la cui partecipazione all'azione
risorgimentale le avrebbe dato un sostanziale contenuto sociale e un
adeguato impulso rinnovatore.
Gramsci precisa che il movimento democratico avrebbe realizzato tale
disegno e tale strategia se fosse stato capace di farsi partito
"giacobino": se avesse saputo far propri gli interessi e le esigenze
della classe contadina attraverso una riforma agraria volta a
spezzare il latifondo e a creare un ceto di contadini piccoli
proprietari. Proprio questo obiettivo era stato tenuto presente dai
giacobini francesi, i quali avevano in tal modo evitato l'
isolamento delle città e convertito le campagne alla
rivoluzione. Solo così essi erano riusciti a superare la
situazione di minoranza elitaria in cui si erano trovati
inizialmente, e a sconfiggere le forze della reazione aristocratica.
Tutto ciò non significa per Gramsci che il risorgimento sia
stato un processo storico completamente negativo. In effetti esso ha
favorito non solo l' unificazione della penisola ma anche la
crescita della borghesia, gettando con ciò alcune premesse
per lo sviluppo di una fase capitalistica in Italia. D' altra parte
tale sviluppo si è realizzato in misura insoddisfacente;
inoltre il nuovo stato si è costituito su una base sia
economico sociale che politica assai ristretta.
In effetti, per un verso il neonato capitalismo (concentrato nelle
sole regioni settentrionali), non ha potuto usufruire di un adeguato
mercato per i suoi prodotti, a causa dell'arretratezza economica
della società italiana, soprattutto meridionale. Per un altro
verso le masse indigenti (in primo luogo i ceti contadini)
abbandonate sostanzialmente a loro stesse, non sono riuscite a
divenire parte attiva della nuova compagine statuale. Quanto ai
raggruppamenti politici anche più aperti e democratici, si
sono rivelati incapaci di approfondire i loro legami con le forze
sociali potenzialmente disponibili a un' azione di reale
emancipazione.
Se tutto ciò è vero, si tratta per Gramsci di
elaborare le condizioni di una profonda trasformazione della
realtà italiana emersa dal processo risorgimentale: una
trasformazione il cui obiettivo finale deve essere quella
rivoluzione sociale - anzi socialista - che il risorgimento non ha
saputo compiere. A giudizio di Gramsci, tale rivoluzione
potrà essere fatta solo attraverso un' alleanza tra
proletariato settentrionale e contadini meridionali: sono essi,
infatti, i soggetti sociali concretamente interessati alla
realizzazione di un progetto politico così impegnativo e
radicale.