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A cura di Diego Fusaro
1. Interpreti del giovane Hegel
1.1 La riscoperta degli anni giovanili ed i suoi effetti
Una buona parte delle più originali letture hegeliane
è condizionata dalla considerazione del percorso formativo di
Hegel e quindi del suo pensiero, con speciale riguardo ai frammenti
giovanili, riscoperti proprio in pieno ‘900. L’esigenza di questa
riscoperta fu avanzata innanzitutto da un lavoro di Dilthey (Storia
della giovinezza di Hegel, 1905), teso a caratterizzare il primo
Hegel all’interno del romanticismo tedesco. Gli scritti giovanili in
questione erano interpretati nella direzione di un "panteismo
mistico". Il fine ultimo di Dilthey era quello di creare le
condizioni per la valorizzazione di questo periodo nella conoscenza
e nell’interpretazione globale del pensiero hegeliano. Questo fine
trovò nell’edizione curata da Nohl degli scritti giovanili
(Scritti teologici giovanili, 1907), il suo strumento privilegiato.
Non bisogna soffermarsi sui caratteri di questa operazione, attuata
nel clima della filosofia della vita e del neoromanticismo
storicista, ma considerare la trasformazione che essa apportò
agli studi hegeliani, trasformazione ben visibile a partire dal
primo dopoguerra. L’operazione critica e filologica di Dilthey-Nohl
(definita tendenziosa perché la dicitura ‘scritti teologici’
può essere accettata in un senso molto lato, comunque
discutibile) sviluppò una mediazione culturale di vasto
raggio, da cui prese le mosse una vera rinascita hegeliana. Hegel,
il filosofo del sistema compiuto e della logica totalizzante, aveva
un passato da teologo, o meglio da scrittore di cose religiose. Le
ambiguità e le difficoltà degli Scritti teologici
portavano inevitabilmente alla considerazione delle grandi opere in
una luce nuova. Gli scritti teologici avevano un carattere
peculiare. Anche se non trattavano di argomenti filosofici, ma
piuttosto di teologia, dogmatica, storia delle religioni, e quindi
non vi si presentava un apparato di nozioni filosofiche tecniche, di
concetti determinati, erano singolarmente audaci ed allusivi. La
considerazione di questi scritti, perciò, ebbe un effetto
retroattivo sulla problematica di tutta la prima produzione
filosofica hegeliana. Quest’ultima tendeva ad assumere una nuova
‘figura’, e l’effetto di maggiore portata è consistito nella
necessità di prendere il periodo che va dai primi esperimenti
teorici sino alla Fenomenologia dello Spirito come un tutto unito e
autosufficiente.
1.2 Il giovane Hegel in Francia
Il primo grande fenomeno culturale relativo alle condizioni or ora
citate è lo sviluppo di un ampio ciclo di studi hegeliani in
Francia, a partire dagli anni ‘30. In Francia Hegel viene studiato
insieme a due grandi nemici ed interlocutori del suo filosofare:
Marx e Kierkegaard. Il primo, i cui inediti giovanili (accessibili
proprio a partire dal 1932), aveva lasciato un’ampia testimonianza
sulla sua maturazione filosofica a fianco e contro l’idealismo
assoluto.Per quanto invece riguarda Kierkegaard, nella Francia degli
anni ‘30 il suo pensiero costituiva il mezzo ed il veicolo per
l’acclimatamento delle più avanzate filosofie tedesche sul
suolo francese. La fenomenologia di Husserl e l’esistenzialismo di
Heidegger, come si può immaginare. La contaminazione
reciproca tra Hegel e Marx, tra Hegel e Kierkegaard, non avrebbe
avuto la sua innegabile fertilità se non fosse stata
preparata dalla riesumazione di uno Hegel ‘irrazionalista’ da parte
di Dilthey. Negli Scritti Teologici, infatti, l’attenzione per
argomenti e problemi specificamente storici ha il suo correlativo
nell’impiego atipico e, per così dire, sperimentale, di
nozioni estranee ad una vera e propria tradizione filosofica
(‘spirito del popolo’; ‘destino’, per citare alcune delle più
famose). Quello che conta è di queste nozioni filosoficamente
atipiche è l’impiego che ne viene fatto; soprattutto, il
fatto manifesto che da questo impiego prenderanno faticosamente
forma i grandi motivi del sistema, quindi le prospettive dominanti
della filosofia hegeliana, osservata a ritroso. Descriveremo alcuni
tratti delle prime tematiche hegeliane, ma senza una esposizione
organica, e cioè presentando le interpretazioni di Wahl, di
Lukacs e di Hyppolite.
1.3 Wahl
1.3.1 Hegel come scrittore di cose religiose
Le tesi di Wahl sugli Scritti teologici, e quindi sul rapporto
giovane Hegel- Hegel maturo tendono a cogliere in questi scritti un
particolare clima, "..una sorta di intuizione mistica e di calore
affettivo.". Qui Hegel è sensibile soprattutto ai dilemmi
dell’esistenza, alle inquietitudini del vissuto. I temi hegeliani,
cioè, si riferiscono ad una dimensione esistenziale concreta
ed irriducibile. Presentandosi allo stato fluido, liberi dalle
esigenze di una vera formulazione concettuale, rivelano una
dimensione arazionale dell’esperienza. L’esigenza di pensare le
dissonanze del mondo concreto si presenta nella riflessione del
giovane filosofo insieme alla tendenza ad un uso libero
dell’interpretazione storica e teologica; i tentativi di
concettualizzazione che vi si manifestano precorrono la dialettica e
la prospettiva del sistema, ma non nel senso di un formulario logico
omnicomprensivo (che è la versione sulla quale si
appoggierà ogni hegelismo di scuola). Ciò che vale per
questo Hegel deve valere per tutto Hegel, nel senso che la forza
espressiva del suo sistema è comunque in ogni punto animata
dal senso dello squilibrio e della scissione sentite, prima che
concettualizzate, negli scritti del periodo di Berna e di
Francoforte. Secondo Wahl, se la dialettica è già
presente in questi scritti, essa si pone innanzitutto come
un’esperienza. Come un che di irriducibile alla logica e alle
esigenze propriamente teoretiche della filosofia. Prendiamo la
nozione hegeliana di positività, che costituisce un momento
centrale nella tematizzazione del cristianesimo: essa si identifica
col tentativo di cogliere l’influsso dello spirito religioso
all’interno del proprio ambito, quindi al di fuori della
razionalità propriamente detta. Tentativi di questo tipo
potevano procedere soltanto dalla presa d’atto del predominio
dell’irrazionale in ogni manifestazione della vita. La
positività della religione ebraico-cristiana testimonia
ineluttabilmente la necessità dell’irrazionale all’interno
dell’esperienza che l’uomo fa dell’Assoluto. La via d’accesso per la
considerazione di questa esperienza è quindi proprio la
religione nel significato storico che essa ricopre. Hegel, cresciuto
tra i fermenti della prima rivoluzione esplicitamente antireligiosa
della storia, sentiva fortemente il problema del significato globale
del cristianesimo. Una religione è ‘positiva’, cioè
rivelata, in quanto prescinde dalla dignità morale del
singolo, dalla sua capacità di determinarsi come essere
responsabile delle propie azioni. "L’uomo lega necessariamente il
suo pensiero dall’eterno all’accidentalità del suo
pensare".
Wahl prende spunto da questi attriti tra razionale e
arazionale, tra necessario e contingente, per ricostruire nel
giovane Hegel la testimonianza di un’esperienza vivente di pensiero.
Esperienza, che proprio per le sue qualità è ancora
eterogenea rispetto al progetto di un sistema. Anche se non si
può negare la continuità e la complessità del
percorso formativo hegeliano, bisognerà sempre tenere
presente quanto il sistema della ragione dialettica sia radicato in
un contesto di temi e argomenti che confinano con l’esperienza
mistica e con tutte quelle circostanze peculiari della condizione
umana. Con una serie di fatti, cioè, che non possono, per
loro natura, uscire dalla vita per farsi razionalità, senso
universale. Anche l’indugiare del pensiero hegeliano in
problematiche di tipo religioso è, secondo Wahl, il sintomo
di un ‘dolore teologico’ vissuto in prima persona da Hegel stesso, e
in seguito rimosso nella conciliazione filosofica tra il Logos e la
storia dello Spirito. Lo sforzo continuo di includere la dimensione
esistenziale nella dinamica del processo dialettico costituisce
tutta la dimensione probelmatica della filosofia hegeliana, ma anche
il suo momento rivelatore per l’interprete attuale. Il problema non
è quello della continuità tra il teologo ed il
filosofo, quanto quello dell’incessante tendenza con cui, a dispetto
delle raffinate architetture teoretiche, il primo si manifesta
dietro le sembianze del secondo. Il nucleo della logica dialettica
non è esso stesso logico, ma al contrario minaccia la
coerenza e l’inclusività del sistema in ogni sua parte.
Questo testimonia uno sforzo mai compiuto, mai riuscito, verso la
soppressione delle inquietitudini e delle problematiche che avevano
mosso il giovane Hegel al filosofare. "la filosofia di
Hegel...costituisce uno sforzo verso la razionalizzazione d’un fondo
che la ragione non raggiunge".(4)
1.3.2 Hegel contro Hegel: radicalizzazione delle tesi di Wahl
Ecco i termini in cui si pone il problema; in se e per sé, la
presa di posizione di Wahl non è particolarmente originale,
perché già Kroner (Von Kant bis Hegel, 1921-24) aveva
constatato che "la dialettica è l’irrazionalismo fatto
metodo, fatto razionale". Per comprendere appieno, cioè nella
sua radicalità, la posizione di Wahl, bisogna esplicitare il
fondo kierkegaardiano della sua impostazione. Il problema non
è costituito dalla religione in sé, ma dal suo
contenuto esperienziale, e da tutto ciò che esso veicola: le
rivendicazioni del vissuto, i paradossi della decisione, nella loro
refrattarietà a qualsiasi cristallizzazione concettuale. La
prova concreta di ciò la si ritrova proprio nel fatto che le
tonalità dello Hegel ‘storico pensante’, pur rimanendo
sepolte all’interno delle grandi opere, possono essere colte proprio
mentre "rischiano di far esplodere l’armatura del sistema"(5)
L’irriducibilità dei motivi esistenziali e religiosi alla
logica totalizzante (incapace di restituire la dimensione
esperienziale della realtà umana) del Sapere Assoluto rende
essenzialmente disarmonica, oscillante e ambigua l’immagine di un
percorso univoco e continuo, omogeneo, tra la prima esperienza del
pensiero hegeliano ed il suo successivo sviluppo sistematico. Il
pensiero vivente della condizione umana è continuamente sul
punto di far collassare i presupposti dell’unità strutturale
(dialettica) di logica e metafisica. Il risultato di questa
interpretazione, per certi versi iperbolica, è che mediante
essa l’opera di Hegel veniva singolarmente rivolta contro se stessa.
Essa, infatti, si era nutrita di posizioni caratteristiche
dell’antihegelismo di Kierkegaard, di istanze analoghe e in maniera
altrettanto radicale. Penetrando a fondo e immedesimandosi nel
sentimento religioso, anzi nella dimensione umana ed esistenziale
che ne costituisce la cornice, Hegel si rivelava il critico
più insidioso e accanito della propria filosofia. Hegel
contro Hegel, ovvero Hegel precursore del suo peggior nemico. "Prima
di costruire il suo sistema, Hegel è stato uno dei più
vigorosi teorici dell’irrazionalismo".
1.4 Hyppolite
1.4.1 La polis greca, la totalità etica
Hyppolite è un altro protagonista della rinascita francese
degli studi hegeliani, un interprete altrettanto attento alla
maturazione del pensiero hegeliano, in cui mira a cogliere
l’originalità delle fonti giovanili ed il loro differente
apporto (i tragici greci, la storia del cristianesimo, i problemi
della società borghese ecc.). Il giovane Hegel, per
Hyppolite, manifesta sin dall’inizio una fondamentale indipendenza
dalle impostazioni ‘moralistiche’ ed individualistiche di Kant e
Fichte (a questa indipendenza si unisce la sua refrattarietà
per le questioni gnoseologiche come tali). Il filosofo di Stoccarda,
rivoltosi alla storia prima che alla filosofia, pensa la sua nozione
fondamentale di totalità (o universale concreto) innanzitutto
a partire dal significato della polis greca, intesa come esperienza
unica ed irripetibile della storia del mondo. In essa la
comunità sovraindividuale viene espressa e vissuta
direttamente, cioè senza mediazioni, dai singoli; l’intero,
la totalità, ci vengono consegnati dalla storia prima che
dalla ragione. L’individuo e il tutto si compenetrano, e il primo si
realizza attraverso uno spirito finito (oggettivo) che costituisce
la destinazione, il senso ultimo del suo agire. La compenetrazione
di uno e molteplice, della parte e del tutto viene pensata e
riconosciuta in un’esperienza storica. "L’incarnazione dello spirito
è una realtà individuale e universale che appare nella
storia del mondo sotto la forma di un popolo". Il tema del
necessario manifestarsi dello spirito attraverso una forma finita
è sviluppato in un senso e con un tenore che, nella lettura
di Hyppolite, fa del tragico un aspetto originario, e perciò
gravido di conseguenze, della filosofia della storia hegeliana. Il
giovane Hegel, insomma, tentava di elaborare la strumentazione
teorica per concepire come lo spirito esista e si manifesti in
un’esperenza storica singolare, unica, e ciò significava
indicare nel tragico il contesto ed il senso di questa esperienza,
che è poi il passaggio dal mondo antico a quello della
cristianità.
1.4.2 Il tragico: storia e destino
La ricostruzione del percorso giovanile di Hegel va sviluppata a
partire dalla componente tragica quale si manifesta nei principali
passaggi della storia occidentale. Tuttavia, per Hyppolite, non
bisogna mai considerare questa prospettiva filosofica a prescindere
dal suo principale intento: quello di esprimere la necessità
dello spirito di manifestarsi nel particolare e nell’accidentale;
come particolare e accidentale, quindi. L’idea di un elemento
tragico all’interno della storia dello Spirito è ben visibile
nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano. Questo passaggio
era stato elaborato dal giovane Hegel alla luce della nozione di
destino: vediamo come. Il popolo, un popolo è sempre un modo
di apparire dello Spirito; esso vi è presente come la
compenetrazione reciproca di singolo e totalità, che ogni
vita pubblica presuppone in differenti forme. Il mondo greco
costituiva il massimo esempio di equilibrio armonico tra singolo e
comunità, come espressione di una vita spirituale completa.
La possibilità di cogliere in una prospettiva totalizzante la
storia passata doveva comunque spiegare la perdita di quest’armonia,
la comunità ebraica ed il sorgere del cristianesimo. Il
popolo ebraico ha un valore paradigmatico perché ha elaborato
la propria identità attraverso una separazione netta dagli
altri popoli ed un rapporto esclusivo con il proprio dio
monoteistico. A partire da qui, Hegel dà un nuovo senso
all’idea tragica di un destino al di sopra dell’uomo. L’ebraismo si
pone come consapevolezza del popolo come entità determinata,
che si conosce attraverso la propria storia e che tuttavia deve
cogliere la sua destinazione come un’insieme di fatti estranei, il
cui senso non può essere recuperato e ricostituito nel
presente. Il destino appartiene al popolo ebraico nella misura in
cui questo non può riconoscersi nei propri atti passati,
così come non può riconoscere nel mondo la sede
privilegiata del proprio agire. La sua individualità non si
fonda solo sull’esclusione delle altre, ma anche sul fattore di
estraneazione presente nel rapporto con la realtà (8). L’idea
di un destino come attributo esclusivo del popolo esprime questo
stato di cose: si elabora la propria identità storica
attraverso l’opposizione al proprio altro, ma questa opposizione
attraversa l’identità stessa, è interiorizzata dal
popolo come individualità consapevole. La dialettica
dell’alienazione, che Hyppolite ricostruisce in questa
interpretazione, è questa coincidenza sempre mancata tra
l’azione (i riti, il culto, la vita pubblica come dimensione
esteriore) e il suo risultato, che si rivela un destino estraneo al
soggetto, e che il soggetto concorre a realizzare. L’interpretazione
filosofica della differenza tra il contenuto spirituale del mondo
greco e il destino del popolo ebraico pone su nuove basi la
concettualizzazione del tragico, che coincide con l’espressione
teorica del rapporto tra Spirito e divenire storico. Ecco i
capisaldi per un’idea della storia come dialettica, quindi come
alienazione.
1.4.3 Senso generale del pensiero hegeliano alla luce degli scritti
giovanili
Per Hyppolite, quindi, la concezione tragica della storia -
considerata in modo adeguato - è il primo atto di un pensiero
in cui la necessità di una visione totalizzante del divenire
mondano deve culminare in un rapporto attivo ed incessante tra
razionale e irrazionale, tra senso (azione cosciente) e non-senso
(destino estraneo). "La visione che Hegel prende della storia
è tragica. L’astuzia della ragione non vi figura da semplice
mezzo per congiungere l’inconscio al conscio [Schelling] ma da
tragico conflitto, sempre superato e sempre rinnovato, tra l’uomo e
il suo destino. Questo conflitto Hegel ha cercato di pensare, e di
pensarlo in seno all’assoluto stesso." Per Hyppolite, il
pantragismo, che in questi scritti costituisce la prospettiva
dominante per la comprensione della vita all’interno del divenire
storico, esprime già l’esigenza fondamentale di una logica
dialettica. La comprensione genetica presente nella lettura di
Hyppolite è infatti volta a delineare la solidarietà e
la complementarietà tra questa visione pantragistica e la
successiva fondazione panlogistica. La sua prospettiva
interpretativa è più equilibrata e aperta a soluzioni
congetturali, rispetto a quella presente in Wahl. Soprattutto, al
contrario che in Wahl, essa è proiettata in avanti, nella
prospettiva della descrizione razionale del processo dialettico,
anche a partire da questi elementi eterogenei. Hyppolite accetta di
considerare l’incidenza della mistica, ma per meglio comprendere la
logica: "Siamo di fronte ad un’immagine mistica, quella di un
Assoluto che si divide e si spezza per essere assoluto, e non
può essere che un si che dice no al no; ma in Hegel tale
immagine mistica si traduce nell’invenzione del pensiero dialettico,
e questo pensiero vale per lo sforzo intellettuale che attua di
fatto." Dedicando un articolato commento alla Fenomenologia
dello Spirito (Genesi e Struttura della ‘Fenomenologia dello Spirito
di Hegel’,1946) l’hegeliano francese fa suo il bisogno di cogliere
il momento centrale, decisivo del percorso hegeliano, nel quale
"..troviamo tutto l’itinerario culturale percorso da Hegel prima di
giungere alla filosofia, e lo sforzo prodigioso del logico per far
rientrare questa viva esperienza nel quadro di una rigorosa
riflessione". La sua prospettiva interpretativa, quindi, elimina
in principio l’esigenza di stabilire "..se la logica ha slerotizzato
questa vitao se, al contrario, come volle Hegel, questa vita ha
pervaso la logica stessa".
1.5 Lukàcs
1.5.1 Un’interpretazione controcorrente
Per completare il quadro delle maggiori letture sul giovane Hegel
è necessario mensionare le posizioni di un critico estraneo
all’hegelismo francese e altrettanto alieno da quelle tendenze
esistenzialistiche che, dalla Germania, si ripercuotevano sugli
studi hegeliani, marxiani o kierkegaardiani. Si tratta di Lukacs,
del quale esaminiamo lo studio intitolato Il giovane Hegel e i
problemi della società capitalistica. L’obbiettivo
riconosciuto del libro è quello di togliere terreno proprio a
quelle interpretazioni che in qualche modo avevano reso il filosofo
di Stoccarda un padre dell’irrazionalismo, rendendolo
irriconoscibile. Questa critica si avvale comunque di un criterio di
lettura storica già collaudato, perché considera i
problemi posti dalla formazione di Hegel, e le linee che si
alternano al suo interno, come un unico percorso che conduce dagli
Scritti teologici alla prima grande opera, la Fenomenologia. Questo
percorso, soprattutto per ciò che riguarda l’atteggiamento
implicito in Hegel nei confronti della politica, della religione,
del suo tempo è accostato con le alterne vicende della
Germania del primo ottocento. Quindi la lettura del filosofo
ungherese si concretizza nella rivendicazione di una sostanziale
vicinanza tra i primi sforzi teorici hegeliani ed i problemi della
realtà tedesca. Proprio a partire da questi si tocca il
problema dello Hegel testimone e interprete dell’affermazione del
capitalismo e della definitiva formazione della società
borghese. Non bisogna con ciò pensare che Lukacs non
riconosca il carattere decisivo, teoricamente risolutivo, che la
riflessione su motivi teologici possiede, almeno per lo Hegel del
periodo francofortese. La sua operazione si opponeva tanto al
neokantismo quanto alla traccia posta da Dilthey per la comprensione
del giovane Hegel. Nel primo caso, bisognava spiegare che il
recupero di Hegel al ‘soggettivismo agnostico’ espresso nella
filososia kantiana costituiva un’impresa anacronistica ed illecita;
ricondurre la nozione dialettica di soggettività al kantismo
era negare il ruolo attivo dell’hegelismo nella filosofia tedesca.
Nel secondo, la collocazione degli scritti giovanili all’interno del
misticismo romantico operava una falsificazione dei contenuti
più importanti dei primi scritti, proprio quei contenuti a
partire dai quali potrà essere pensata dialetticamente la
storia delle società.
Secondo Lukacs, se gli Scritti
teologici hanno un valore, esso va considerato insieme alle altre
fonti del giovane Hegel, in parte andate perdute in parte escluse
dalla raccolta citata. L’edizione Dilthey-Nohl, che escludeva gli
scritti di carattere politico, implica una scelta di fondo
unilaterale. Le prime formulazioni della dialettica, infatti,
esprimono innanzitutto la risposta teoretica agli sconvolgimenti
allora in atto nelle scienze naturali (la nuova scienza chimica, la
genetica, Lamarck), il cui valore andrebbe studiato e valutato a
fondo. Inoltre, il senso, o meglio il ruolo delle filosofie
idealistiche, non può essere colto nella sua dimensione
formatrice, nella suo riferimento alla società in mutamento,
senza che con questo si comprenda proprio il rispecchiarsi dei
grandi eventi rivoluzionari nella piccola ed immatura realtà
tedesca. "Hegel ha non solo quella che è senz’altro, in
Germania, la più alta e la più giusta comprensione
dell’esesenza della Rivoluzione Francese e del periodo napoleonico,
ma è nello stesso tempo il solo pensatore tedesco che si sia
occupato seriamente dei problemi della rivoluzione industriale in
Inghilterra; il solo che abbia messo i problemi della economia
classica inglesse in rapporto con la filosofia, coi problemi della
dialettica". E’ stata anche la soluzione e l’interpretazione di
problemi concernenti la sfera dell’economia politica, presi nel loro
significato storico-sociale, a motivare il primo sorgere della
teoria dialettica. Il giovane Hegel, grande interlocutore delle
questioni politiche e pratiche del suo tempo, le riconosce come il
prodotto di un lungo e faticoso processo, all’interno del quale la
religione cristiana ricopre un significato fondamentale. Il
significato storico della religione, tuttavia, deve essere
riconosciuto in questi scritti non a partire dalle influenze del
misticismo romantico, ma a partire dall’attenzione del giovane Hegel
per i problemi etici, inerenti alla sfera della prassi sociale.
Questi problemi, divenuti fondamentali con Kant e Fichte, sono posti
da Hegel, sin dall’inizio, su basi non individualistiche. E’ un tema
che abbiamo già incontrato: il nostro filosofo cerca, nelle
sue interpretazioni storiche, l’unità tra il fattore
pratico-morale e la dimensione comunitaria. "..il soggettivismo del
giovane Hegel è sin dall’inizio collettivo e sociale..".
Un soggettivismo che, perciò, può essere considerato
il primo antenato di quella nozione dialettica della
totalità, della prospettiva dominante nella costruzione
idealistica che influenzò a fondo il marxismo di
Lukàcs.
1.5.2 Il rapporto con la religione e l’anticipazione di motivi
marxiani
Nella misura in cui il pensiero metafisico del soggetto si nutre sin
dall’inizio di queste istanze pratico-sociali, estranee alla
prospettiva kantiana, il rapporto con la religione nelle prime
riflessioni hegeliane va sottoposto ad una radicale revisione. Il
fatto che queste riguardino l’essenza, cioè il significato
storico del cristianesimo, vuol dire che esso costituiva, per il
filosofo tedesco, "..la causa in ultima istanza decisiva di tutti i
fenomeni sociali e politici della vita moderna, contro cui è
diretta la sua lotta principale" (15). Hegel distingue le
contraddizioni della modernità proprio in quanto la considera
un risultato della rottura prodotta ed interpretata dal
cristianesimo. La sua sensibilità per i contrasti del mondo
borghese si ripercuote negativamente sulla sua spiegazione del
cristianesimo. Il fatto che egli abbia avuto, in seguito, degli
atteggiamenti oscillanti ed ambigui nei suoi confronti non toglie
nulla alla forza di questa interpretazione fortemente polemica e
negativa. La forza della tesi di Lukacs sta nel fatto che essa si
misura anche con quegli aspetti per i quali le interpretazioni
‘irrazionalistiche’ sembrano più motivate. L’importanza della
religione, la centralità dei motivi teologici, vanno comunque
ricondotte ad una fondamentale impostazione, ad un atteggiamento di
fondo che ha nel soggetto come agente storico collettivo il suo
tratto principale. La nozione di positività, infatti, diviene
all’interno di queste riflessioni il primo passo verso la futura
concezione dialettica della storia, perché in realtà i
tentativi teorici presenti in questi inediti testimoniano, da varie
angolature, l’importanza che Hegel assegnava alla genesi ed
all’efficacia delle idee religiose. Allo stesso modo, il contrasto
kantiano e fichtiano tra io e mondo viene riconosciuto e ricostruito
a partire dalla portata storico-sociale della religione rivelata,
mediante la quale "..questioni di vita decisive diventano problemi
trascendenti, inaccessibili alla ragione". E’ questo contatto
primordiale tra i bassi bisogni della vita comunitaria ed il
carattere rivelato e positivo delle religioni a presentare
già un’impostazione dialettica, cioè soggettiva, che
poi Feuerbach svilupperà da sé.
L’origine di una
teoria dialettica, cioè dinamica e totalizzante, del reale, e
la volontà di cogliere il carattere dell’esperienza religiosa
all’interno della soggettività storica sono quindi correlate
sin dall’inizio. Inoltre, la natura aporetica, teoricamente
indecidibile, del concetto di positività non è, per
Lukacs, un effetto dell’irrazionalismo del giovane Hegel, quanto un
risultato della sua coerente posizione idealistica. Tutta la
problematicità di questo concetto si ritrova, ad un livello
di complessità e di contraddittorietà ancora
superiore, in quello più maturo di oggettività, in
cui, in sintonia con un idealismo condotto ai suoi ultimi risultati,
viene abolito ogni essere indipendente dalla coscienza. Quindi la
riflessione sulla positività, in un certo senso, ci
restituisce in buona parte le problematiche che Lukacs trova
decisive nel primo Hegel. Eccole: le fondamenta idealistiche della
sua riflessione storica; la contraddittorietà dei suoi
concetti; ultimo ma non meno importante, i ‘presentimenti’ di una
dialettica materialistica propriamente detta, ravvisabili in maniera
confusa all’interno di questi tentativi. Pensare metafisicamente
fatti storici come l’irruzione della morale cristiana significava
anche concepire la storia delle società umane come un immenso
lavoro collettivo e non consapevole, in cui l’uomo costituisce la
sua realtà, pur estraniandone il senso in una dimensione
sovramondana. Pensare in termini radicali l’essenza positiva del
cristianesimo non significa esprimere filosoficamente inquietitudini
religiose o attitudini tragiche. La positività di Hegel
è un primo approccio al problema dell’alienazione,
perché il soggetto sociale produce la sua essenza relegando i
suoi problemi vitali nel mondo pacificato dell’Aldilà,
sublimando i bisogni concreti nei contenuti religiosi. Il giovane
Hegel viene accostato al giovane Marx, perché in entrambi
l’essenza dell’uomo è il lavoro dell’uomo, lavoro mediante il
quale l’uomo produce se stesso. Il problema metafisico dell’essenza
dell’uomo, cioè, diventa il problema della sua
attività di autoproduzione ed autooggettivazione nel mondo
storico, a proprosito della quale i significati religiosi
(ideologici) rivelano una dinamica fondamentale. Se tutta la storia
umana è prodotto dell’attività sociale, questa stessa
attività a sua volta produce altro e più rispetto a
ciò che gli uomini si sono proposti; il pensiero dialettico
è fatto proprio per penetrare in questa dimensione alienata
della realtà storica.
Insomma, tenendo fermo quello che si dice a proposito del carattere
idealista della nozione hegeliana di oggettività, Lukacs
tenta di ricostruire, all’interno del giovane Hegel, quel lato che
anticipa la critica marxiana alle forme alienate di
oggettività sociale; un lato che fa tutt’uno con il valore
del metodo dialettico, ed è inseparabile da esso.
2. La Fenomenologia dello Spirito nella interpretazione di
Kojève e Wahl
2.1 Kojève
2.1.1 La centralità dell’autocoscienza nella Fenomenologia
L’interpretazione di Kojéve verte sull’idea della morte
all’interno della filosofia hegeliana. La sua interpretazione della
Fenomenologia trova nella parte riguardante la relazione
servo-padrone (il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza)
l’asse principale di tutta la dialettica. Analizziamo quindi alcuni
tratti di questo capitolo, per poi valutare le tesi sviluppate a
partire dalla sua considerazione. L’essenza della coscienza,
è chiaro, sta nella sua necessità di trascendersi
continuamente, necessità che la rende radicalmente differente
da ogni essere esclusivamente naturale. L’essere naturale è
costitutivamente incapace di trascendersi da se stesso e per se
stesso: è condotto al di là della propria esistenza
soltanto da un Altro, cioè dalla morte biologica. "Invece la
coscienza è per se stessa il proprio concetto...la negazione
delle proprie forme limitate..". La coscienza, al contrario
dell’ente naturale, è essenzialmente rapportarsi all’Altro:
oggetto, mondo o natura. Ma il rapporto con il proprio Altro
è, principalmente, attività. La natura pratica
dell’autocoscienza implica un superamento del sapere l’altro in
quanto Altro, che è il tratto dominante della coscienza presa
nella sua semplicità e nella sua essenzialità. Quindi
l’autocoscienza è il farsi attiva da parte della coscienza, a
partire dal proprio sapere sé come autonoma. L’autocoscienza
esprime il lato soggettivo della vita universale, cioè il
rispecchiamento della vita in se stessa, in una forma di
attività cosciente. Questo grado superiore, attivo, della
soggettività all’interno della vita naturale, non è
altro che il desiderio. L’autocoscienza, come desiderio, è
una tendenza incessante verso l’attuazione della propria
identità; e l’identità dell’autocoscienza, la sua
autonomia, può essere ottenuta soltanto come risultato della
negazione e dell’inglobamento dell’esser-altro come tale.
"l’appetire è questo movimento della coscienza che non
rispetta l’essere [naturale] ma lo nega, cioè se ne
impadronisce concretamente e lo fa suo". L’autocoscienza,
l’espressione più alta della soggettività, non
può trovare la sua oggettività nel desiderio di un
ente naturale. Bisognerà quindi descrivere come due
autocoscienze si rapportano all’interno della vita animale.
L’appetito può raggiungere la verità
dell’autocoscienza soltanto a patto che il suo oggetto, il vivente
desiderato, si manifesti a sua volta come un altro desiderio.
L’autocoscienza è e si realizza come desiderio, e più
precisamente come desiderio di un altro essere desiderante
(autocosciente); il suo è un processo di conglobamento e
superamento dell’Altro come tale. L’autocoscienza è a se
stessa certezza assoluta; le manca quindi il lato della
verità. Per l’altra autocoscienza, invece, essa è
soltanto un vivente, dato ed esteriore. Ma la sua certezza si
costituisce proprio attaverso la negazione del dato; essa deve
trovarsi nell’altra, cioè attraverso la consapevolezza di
questa altra.
2.1.2 Autocoscienza e realtà umana. La nozione di
riconoscimento
L’autocoscienza è interpretata da Kojéve come
espressione dei tratti determinanti della realtà umana.
L’attività di trascendimento del dato, del mero sussistere
che caratterizza l’ente naturale, o l’oggetto della coscienza
sensibile, contraddistingue la condizione dell’uomo. Il desiderio
è quindi la dimensione prevalente della realtà umana;
ma si tratta di quella forma particolare che esso assume come
desiderio di riconoscimento (vedi sotto). L’uomo contrappone a
ciò che è dato ciò che non lo è
(ancora); desiderare significa innanzitutto sentire "la presenza di
un’assenza", cioè agire in funzione di qualcosa che non
c’è, e negare ciò che c’è per ottenere questo
qualcosa. La presenza dell’uomo nel mondo naturale è in un
qualche modo, nel suo immediato significato pratico e conoscitivo,
una testimonianza della negatività. L’uomo si sa tale
soltanto desiderando, e desidera sempre a prescindere da ciò
che è ed in funzione di ciò che non c’è. La
negatività dell’azione trasformatrice che contraddistingue
l’uomo testimonia la sua irriducibilità all’esistenza
naturale pura e semplice. Lo Spirito, o, nella terminologia
hegeliana, il Sé, esprime proprio la necessità di una
sintesi più alta, che possa ricomprendere e ricomporre la
negatività dell’azione all’interno della natura, come momento
del divenire dello Spirito. La dialettica, in Kojève, viene
riscoperta mediante l’analisi e la descrizione delle dinamiche di
riconoscimento tra soggetti viventi-autocoscienti. Il significato
fondamentale della dialettica è inseparabile
dall’interpretazione della realtà umana come desiderio di un
desiderio, cioè come azione volta al riconoscimento e alla
negazione della datità naturale. Cogliere il suo senso vuol
dire cogliere il valore ‘antropogeno’ (cioè generatore dei
contenuti della vita umana) di tutta questa dinamica.
L’autocoscienza, che ha una certezza soggettiva assoluta, desidera
il desiderio di un Altro. Essa, cioè, trova la sua
verità soltanto qualora il suo desiderio venga riconosciuto
da un altro desiderante, quando un’altra autocoscienza riproduce al
suo interno quella dinamica per la quale essa si pone a se stessa
come un valore assoluto. Qui assoluto significa: al di sopra della
vita biologica. L’autocoscienza deve trovare il suo Sè in un
altro essere desiderante, e riconoscerlo e volerlo come tale. Non
può realizzarsi se non mediando i bisogni vitali con questa
consapevolezza, che è anche un agire. Le autocoscienze
ingaggiano perciò una lotta a morte: sanno che il bisogno di
essere riconosciuti dall’Altro gli è essenziale quanto la
vita stessa, che pure ne costituisce la condizione necessaria ma non
sufficiente.
Questo fatto, che la vita è comunque altrettanto
essenziale del desiderio di riconoscimento, si trova alla fine come
risultato e verità ultima della lotta mortale tra le
autocoscienze. La morte, dal punto di vista dell’autocoscienza,
è un puro fatto biologico, una negazione (astratta) che, come
tale, non può soddisfare il bisogno di riconoscimento. La
morte dev’essere rischiata, ma non realizzata. Soltanto sapendo che
l’altro sa, e riconosce, che ho rischiato la vita per affermare
l’autonomia della mia soggettività, troverò appagato
il mio bisogno di riconoscimento. Dovrò lasciare la vita al
mio avversario, e soddisfare la mia esigenza togliendogli
l’autonomia, ma non la vita. La difesa della vita come tale lo situa
su un gradino inferiore a quello della realtà
dell’autocoscienza. La lotta a morte avrà perciò come
risultato un servo ed un signore: ridurre l’altro ad un rapporto
servile significa sopprimere dialetticamente il suo lato
autocosciente. Il servo, il vinto risparmiato, esiste ora come un
essere-dato (cioè come un ente naturale) nella coscienza del
signore, perché dal suo punto di vista la conservazione della
vita biologica è l’essenziale. La descrizione hegeliana della
lotta tra le autocoscienze per il riconoscimento esibisce le
qualità fondamentali del pensiero dialettico-fenomenologico:
l’universalità della relazione; la centralità della
negazione (negazione della datità biologica, rischio della
morte). "Con la sua scoperta della nozione di riconoscimento Hegel
si trova in possesso della nozione chiave di tutta la sua filosofia:
attraverso l’analisi di questa nozione fondamentale si comprende
tanto la connessione dei diversi elementi ed aspetti della
dialettica hegeliana, quanto i reciproci rapporti tra gli scritti
filosofici di Hegel". Il desiderio, la condizione per la quale
ciò che sussiste viene negato per qualcosa che non c’è
ancora, e del quale tuttavia si percepisce l’assenza, esprime il suo
senso rivelatore proprio nella circostanza che l’uomo, per ottenere
il riconoscimento del prestigio - il rischio della propria vita per
il riconoscimento della propria autonomia attraverso un Altro - si
pone nelle condizioni di negare la sua stessa esistenza naturale.
"Affinché ci sia effettivo riconoscimento, e quindi,
realtà oggettiva umana (giacché l’uomo è umano
e, insieme, oggettivo, solo in quanto riconosciuto), occorre che uno
dei due avversari acconsenta a riconoscere l’altro senza essere
riconosiuto da lui: uno dei due deve sottomettersi all’altro".
2.1.3 Valore ateistico della lettura di Kojève
La cosciente esposizione al rischio definitivo della morte ha per la
posizione interpretativa di Kojéve un significato dominante:
attraverso di essa si esprime la coscienza della propria finitezza e
mortalità da parte dell’uomo. E’ a partire da questo spunto
che viene sviluppata un’assimilazione dei principali contenuti del
pensiero hegeliano in una chiave ontologica, esistenziale ed in
ultima istanza ateistica. L’origine dell’attività
propriamente umana, della storia, non è che nella presa di
coscienza della propria finitezza. Questa coscienza, implicita nella
lotta tra servo e padrone, o meglio nella condizione che ne risulta,
diviene esplicita nella coscienza del filosofo (Hegel) che sa che
nulla sussiste fuori del tempo, che tutto deve manifestarsi
attraverso di esso. Descrivere l’esperienza della coscienza vuol
dire, di fatto, restituire il suo continuo movimento di
trascendimento nella dimensione del tempo. La dialettica
servo-padrone, dominata dall’istanza del desiderio, fonda la
dimensione della vita propriamente umana e dell’uomo in quanto
libero, singolo e storico. Ma questa identificazione della
realtà umana non sarebbe possibile se non esprimendo il
significato essenziale del contatto con la morte, contatto cui si
espongono tanto il servo quanto il padrone, prima di divenire tali.
"..se l’Uomo può esistere come individuo, è
esclusivamente perché l’universalità della morte
può essere presente in lui quando è ancora vivo:
idealmente nella coscienza che ne ha; realmente, grazie al rischio
volontario della vita..." L’uomo designa una qualità
radicalmente estranea a quella dell’ente naturale proprio
perché si sa mortale, ed agisce (nega) affermanndo la propria
finitezza nel tempo. Producendo la sua essenza come
storicità, temporalità. E’ proprio da questi punti che
Hegel, secondo Kojève, sviluppa ante litteram un’ontologia
della finitezza ed una comprensione autonoma della realtà
umana, in piena sintonia con il pensiero heideggerriano. La
descrizione della realtà umana e del mondo storico si fonda
sulla messa al bando di ogni Aldilà, di qualsiasi nozione di
una realtà trascendente. L’alternativa è infatti,
nella lotta tra le autocoscienze, quella tra una morte naturale pura
e semplice e la vittoria di un’autocoscienza, con il relativo
scindersi del processo nei due lati: il servo, il signore. La prima
designa l’uomo come essere ancora naturale, passivamente; la seconda
ne fa - sia come servo che come signore - il soggetto consapevole
del mondo storico, il portatore di valori umani come il prestigio,
il lavoro, il progetto ecc. "Negare la sopravvivenza significa in
realtà negare Dio stesso. Infatti,dire che l’uomo, il quale
effettivamente trascende la natura nella misura in cui la nega
(mediante l’azione), tuttavia si annienta non appena si situa fuori
di essa morendo come animale, significa dire che non c’è
nullla al di là del mondo naturale. Il mondo non-naturale,
trascendente, divino, non è in realtà se non il mondo
‘trascendentale’ dell’esistenza storica umana.". L’esistenza
umana ha un valore trascendentale perché introduce l’azione
negatrice ed il suo elemento, la temporalità, all’interno
della quieta ciclicità della vita biologica. Questo mondo
‘trascendentale’, che l’uomo ha realizzato, non può tradursi
in una trascendenza se non a condizione di perdere il suo carattere
fondamentale: quello di essere finito in quanto temporalità.
E’ proprio quello che avviene con il cristianesimo. Hegel ha preso
le mosse dall’antropologia implicita nel concetto
giudaico-cristiano: l’azione umana come fatto estraneo al mondo
naturale, la libertà umana come dato negativo e negatore di
fronte ad un universo perennemente uguale a sé, statico.
Tuttavia, a differenza della teologia cristiana, Hegel pone e
descrive questo uomo come finito in se stesso e per se stesso nel
tempo. Il tempo come dimensione autosufficiente ed esaustiva, tale
da conglobare l’essenza stessa dell’uomo, è lo stesso mondo
storico creato dall’azione, in quanto ha un inizio ed una fine. Fine
che coincide con lo stesso sapere di questo mondo storico-la
filosofia hegeliana. L’ azione umana, nel suo apparire tale,
è essenzialmente mortale. Cioè: il senso proprio
dell’azione umana, la sua universalità che tuttavia resta
particolarità, si trova sempre a partire dal contatto estremo
con la morte, con la finitezza.
2.2 Wahl
2.2.1 Dialettica e fenomenologia nella ‘coscienza infelice’. La
scissione e il dolore
Torniamo agli studi di Wahl, che ha condotto un’operazione analoga a
quella di Kojève, ma con risultati e presupposti
completamente differenti, se non opposti. La base comune ai due
interpreti si può enunciare senza grandi difficoltà.
Per entrambi l’idea scientifica di una fenomenologia contiene e
costituisce l’intera logica dialettica di Hegel. E’ perciò
alla Fenomenologia che ci si deve rifare, per non rischiare di
assumere la filosofia hegeliana attraverso uno sterile schematismo.
Per entrambi, inoltre, è l’impiego ed il senso di una
particolare figura fenomenologica a rivelare il contenuto
problematico del pensiero dialettico, costituendo così una
vera chiave per misurare l’attualità di Hegel. Wahl parte
dalla figura della coscienza infelice per delineare una nuova
immagine dello hegelismo, per molti versi alternativa rispetto alla
versione ateistica di Kojève. La figura della coscienza
infelice, che nella struttura interna della Fenomenologia
costituisce il momento della completa interiorizzazione della
dialettica servo-padrone, è per Wahl l’anima vivente della
dialettica. "La nozione capitale che segna qui l’ingresso della
teologia apologetica nella storia, che diviene essa stessa una
logica, è quella di coscienza infelice." Nella coscienza
infelice il rapporto tra certezza e verità è
continuamente perduto e ritrovato; meglio ancora (vedi sotto),
è trovato come già perduto. Essa possiede cioè
la sua certezza, il suo sapere sé, proprio come un qualcosa
di mutevole ed inessenziale, contrapposto all’immutabile (Dio) verso
cui tende. La sua natura è perciò contrassegnata dal
dolore, perché alla sua consapevolezza di voler raggiungere
l’immutabile si accompagna sempre la coscienza della propria
mutevolezza. Il mondo, il lavoro e tutte le sfere
dell’attività umana sono sentite come dolorose; la sofferenza
dello spirito religioso si traduce in una vera e propria visione del
mondo. La sua certezza riguarda soltanto la contraddizione, la
coscienza è certa di sé e dell’oggetto attraverso la
contraddizione. La realtà implicita nella coscienza infelice
è quella di una dualità che è, per la sua
forma, unità, che lei stessa è incapace di cogliere.
La condizione costitutiva di questa figura fenomenologica è
quella di non potersi trovare attraverso questa unità, che
è solidarietà di termini contraddittori. Poiché
le è impossibile cogliere questo lato della sua dialettica,
essa vede al posto di questa solidarietà la confusione ed il
reciproco passare dei due termini l’uno nell’altro. "..essa vede
bensì che l’immutabile è la sua essenza,
senonché separa tale essenza dal proprio essere, la pone
fuori di lei." Le sfugge la sua realtà, che può
darsi solo come unità dei due termini, e si conosce soltanto
attraverso una scissione, che si traduce in dolore ed in un rapporto
negativo con il mondo materiale. Per descrivere la dinamica della
coscienza infelice in termini sintetici, diremo che essa, quanto
più sente la propria intima lacerazione, tanto più
tende alla propria unità. Per esprimerne il significato
sistematico e dialettico, seguendo Wahl, diciamo invece che essa non
si limita a subire il dolore di questa lacerazione. Al contrario, la
spiritualità del religioso permane presso il suo dolore,
proprio nella misura in cui non può uscire da sé per
cogliere la propria realtà nell’unità dei
contraddittori.
2.2.2 Ruolo della coscienza infelice nella logica del concetto
Ci avviciniamo così ad un punto essenziale: questo
soffermarsi nel dolore della lacerazione, lungi dall’esprimere
l’impotenza e l’inerzia della coscienza, costituisce la
possibilità che questo dolore si rovesci nel suo contrario.
Che si dia una dialettica in senso propriamente soggettivo, quindi.
"L’infelicità, che è il rovesciamento di un opposto
nell’altro, diviene essa stessa infelicità rovesciata,
diviene felicità"; "..proprio trasferendo nel divino stesso
l’idea di separazione, come s’è riferita al divino l’idea
della morte, si comprende che questa separazione dev’essere
necessaria a un’unione sempre più profonda." Non
c’è formulazione della dialettica, per Wahl, se non a partire
dall’esperienza del dolore nella coscienza; infatti la sofferenza
del religioso, colta nella sua dimensione fenomenologica, si esprime
come separazione e contraddizione, ma rimanda al rovesciamento del
dolore nella felicità. Perciò attorno alla figura
della coscienza infelice si consolidano le fondamentali nozioni di
mediazione e di soppressione dialettica. "Per operare un’unione
infinita la religione presuppone una separazione infinita; la
riconciliazione presuppone un dolore anteriore; la restaurazione
dell’armonia, una differenza profonda." Il dolore del religioso
è quindi inseparabile dalla forza di sopportare questo
dolore, e questa forza a sua volta indica la possibilità di
una sublimazione della sofferenza nella felicità, della
mancanza nella pienezza, del contrasto nell’armonia. Questo punto
spiega tecnicamente la qualità principale del concetto
hegeliano, una nozione che acquista verità attraverso il suo
approfondimento, che diviene contenuto a se stessa inglobando il suo
opposto. Il discorso procede ponendo la sintesi progressiva tra
l’infelicità della coscienza divina e quella umana,
accomunate da una stessa negatività; "..se la natura è
il prodotto della negatività di Dio, Dio è la
negatività stessa della natura; e al pari della loro
infelicità, felicità di Dio e felicità
dell’uomo fanno tutt’uno..." Quindi è
nell’interiorità dello spirito religioso che si sviluppano
gli attributi fondamentali per un’esposizione dialettica e
fenomenologica della coscienza: la dualità della coscienza
che, incapace di concepire la propria unità, si rivela
manifestazione dello Spirito. La conciliazione degli opposti, per il
religioso, è necessariamente relegata in un Aldilà,
perché la coscienza infelice, in qualsiasi posizione si
riconosca e si collochi, si ritrova sempre in quella opposta. Qui la
dinamica non è quella dell’autotrascendimento - che, nella
Fenomenologia, è inerente ad ogni forma di coscienza - quanto
quella dell’interiorizzazione del trascendimento. In altri termini,
la coscienza infelice è la consapevolezza che, malgrado ogni
superamento della propria essenza mutevole, essa permarrà
entro di sé. Non otterrà mai, cioè,
l’oggettività come coscienza, ed al tempo stesso non
potrà mai annientarsi nel suo opposto. L’Aldilà
è irraggiungibile per definizione, e "la coscienza è
consapevole della sua nullità perché è
consapevole di essere alla sua radice altro da nulla".
L’identificazione di sostanza ed autocoscienza, secondo Wahl, si
delinea a partire da qui; infatti Hegel pensa la sostanza come
passaggio all’opposto mediante il suo approfondimento immanente. La
coscienza infelice, che resta nell’interiorità nel suo
dolore, esprime la necessità concettuale della permanenza in
seno al proprio opposto; realizza quindi le condizioni strutturali
dell’unità di sostanza e soggetto. E’ nella dimensione
interiore di una spiritualità lacerata, e non nella
dialettica servo-padrone, che vanno cercati i caratteri fondamentali
della dialettica, così come viene a formularsi nella
Fenomenologia. "C’è infelicità perchè
c’unità di una coscienza in luogo della dualità del
signore e del servo, ed anche, allo stesso tempo, perché
c’è conoscenza."
2.2.3 L’inseparabilità di sapere e dolore
L’intero itinerario della coscienza, e con esso il contenuto stesso
della dialettica, è una rivelazione dell’essenza immutabile,
dell’Assoluto o dello Spirito, attraverso un sapere che è
innanzitutto infelicità. Cioè incapacità di
superare completamente quella prospettiva che pone nell’unità
un’opposizione, che trova l’immutabilità attraverso un
inglobamento e un rovesciamento dell’opposto e nell’opposto. E’ la
coscienza che, di fatto, supera il momento della trascendenza pura e
semplice, ma tuttavia senza rendersene conto. La sua consapevolezza
è contemporaneamente consapevolezza del nulla della sua
certezza. Questa condizione, secondo Wahl, esprime in modo completo
la relazione essenziale tra l’esperienza della coscienza e la vita
dello Spirito che ne costituisce il fondamento ultimo. "...lo stadio
della coscienza infelice non si produce una sola volta nella vita
dello spirito, si ritrova bensì i differenti momenti della
fenomenologia; superato, esso torna tuttavia ad afferrare la
coscienza ad una nuova svolta del suo itinerario.."
Come dovrebbe risultare ora, la lettura di Wahl è tutta
animata dallo sforzo di restituire al pensiero hegeliano una
vitalità che ha origine dalle più originali (e non
perciò razionali, né propriamente limpide) intuizioni
del nostro filosofo. Intuizioni il cui carattere è quello
della refrattarietà alla chiusura del sistema. Le sue tesi
sul giovane Hegel vedevano nel problema religioso, vissuto ed
esperito prima ancora che pensato, il nucleo di uno sviluppo
intellettuale che soltanto in seguito si pretenderà
espressione di una razionalità assoluta. Le affermazioni
sopra riportate sulla formazione intellettuale hegeliana sarebbero
illecite o incomplete, se non si fossero misurate con
un’interpretazione della dialettica come questa, che procede da una
concreta figura fenomenoologica. Per ammissione dello stesso Wahl,
infatti, anche nelle parti più astratte e neutrali dell’opera
di Hegel si può ritrovare la "fiamma interiore"
dell’esperienza religiosa e del dolore della coscienza. La stessa
positività del concetto, motivo centrale della logica, non
può derivare che da quella divisione infinita attraverso cui
si esprime il divino, e che si riproduce nella coscienza infelice,
rivelandosi progressivo arricchimento.
Tutto il ritmo della vita spirituale è dunque caratterizzato
dal movimento della mediazione, della conciliazione di opposti. In
questo percorso a ritroso, tale movimento si rivela fondato
sull’evento fondamentale della vita della coscienza:
l’infelicità. Prendere coscienza dell’infelicità
è già cercare di superarla; anche, implicitamente,
porre la necessità di un convergere degli opposti, di un
rovesciamento dell’infelicità nella felicità. La
lettura di Wahl, che è una lettura aperta, mette in evidenza
la reversibilità di questo processo. E’ la lacerazione, la
forza irrazionale del sentimento religioso (sentito da Hegel in
prima persona), a riproporsi incessantemente all’interno della
formulazione idealistica, costringendola a nuove svolte. Nelle tesi
sul giovane Hegel, abbiamo visto, era il romantico a ricomparire
dietro al filosofo razionalista. Perciò "non si può
muovere obiezione più forte al sistema hegeliano nella sua
forma definitiva che questa: per quanto ricco esso sia, non è
abbastanza ricco da contenere la moltitudine di pensieri,
immaginazioni, speranze e sconforti del giovane Hegel. L’uomo Hegel
distrugge il suo sistema nello stesso tempo in cui l’espone."
Questa contraddizione, esposta nelle sue estreme conseguenze, ci
restituisce secondo Wahl la vitalità del pensiero hegeliano,
che sopprime e conserva quel sentimento del dolore,
l’infelicità dello spirito religioso, in ogni sua parte.
"...Wahl è riuscito a ricavare un timbro umano dalle formule
glaciali della dialettica hegeliana, mostrandoci la fiamma che quel
ghiaccio ricopriva."
3. La filosofia della storia hegeliana e i suoi interpreti
3.1 La filosofia della storia come problematica generale del
pensiero hegeliano
Nei capitoli precedenti abbiamo potuto seguire, anche se non in
maniera organica, la formazione di alcune importanti tematiche
hegeliane attraverso quella sequenza che porta dagli scritti
teologici alla fenomenologia. Ora, a partire da questo capitolo,
dobbiamo invece adottare una visione ‘sincronica’, cioè volta
ad alcuni temi generali del pensiero hegeliano maturo, a prescindere
dal suo contesto formativo. Gli autori che consideriamo ora,
infatti, anche se non accettano le coordinate teoriche del sistema
come verità ultima della filosofia hegeliana, neppure possono
evitare una valutazione generale della dialettica, ripercorrendo
verticalmente alcuni motivi fondamentali che vengono sottratti agli
stererotipi delle interpretazioni ottocentesche e
primo-novecentesche. Si poteva cercare un filo conduttore nella
filosofia della storia, perché è attraverso di essa
che alcuni motivi concettuali possono essere analizzati in tutta la
loro ampiezza, senza essere ricondotti ad un percorso univoco e
già dato. Nel primo autore considerato, Bodei,
l’attualizzazione della filosofia sistematica viene effettuata
attraverso la continua riproposizione dello sfondo storicistico che
anima il progetto filosofico di Hegel. Dimostrazione che la
partizione del sistema filosofico, organizzato come enciclopedia,
non costituisce più la via privilegiata per una valutazione
generale dell’incidenza dello hegelismo. Il rapporto tra la
filosofia e il suo tempo, infatti, deve essere compreso tenendo
presente gli influssi culturali che condizionano la reciproca
assimilazione del pensiero e dell’epoca, anche se questi non sono
immediatamente riconoscibili all’interno della formulazione
sistematica. Il problema è quello di dare nuovi strumenti per
" rendere leggibile il sistema hegeliano nei suoi presupposti e in
se stesso "; per spiegare " l’apparente paradosso di una filosofia,
che si proclama variabile dipendente dell’epoca, e poi sembra
svolgersi in modo ‘autarchico’ rispetto al mondo." Anche per
Lowith, più concentrato sulla fase storica del dopo-Hegel che
sulla filosofia dialettica come tale, il problema della filosofia
della storia rappresenta la dimensione ideale per valutare il
significato generale, il peso storico, del pensiero hegeliano nel
suo insieme. La giusta comprensione della scuola hegeliana, infatti,
porta all’affermazione che i problemi che vi si presentano erano
già posti con nettezza dalla filosofia hegeliana, e facevano
capo al rapporto tra la filosofia e la storia del mondo; è il
problema che, in seguito, sarà legato alle vicende dello
‘storicismo’. Anche la prospettiva sistematica, alla quale è
essenziale l’idea di una verità che si svolge e si esplica
nel tempo e come tempo, è strettamente legata
all’interpretazione storica di una verità unica che si
manifesta attraverso una pluralità di filosofie. La fede
nella storia come unica possibile sede per l’affermazione di un
senso globale della realtà fa comunque della filosofia di
Hegel un’espressione imprescindibile della metafisica moderna, anche
dal punto di vista dai suoi sviluppi successivi, fino alle versioni
contemporanee dello storicismo.
3.2 R.Bodei
3.2.1 Il duplice rapporto tra ragione e storia. Due figure
simboliche atte ad esprimerlo
L’ampio saggio che ci accingiamo ad esaminare, Sistema ed epoca in
Hegel, si può riassumere come il tentativo di pensare
l’attualità storica del filosofo attraverso la forma di
scienza propugnata nel suo modello di razionalità: il
sistema. L’attualità storica è infatti per la ragione
hegeliana un termine di riferimento imprescindibile, percorso tanto
in direzione del passato quanto in direzione del futuro. Ma cosa
lega un nuovo modello di razionalità ad una data età
storica? E come è possibile che un sistema scientifico,
esposto in forma enciclopedica, possa considerarsi l’espressione e
la presa di coscienza dei tempi moderni? Per Hegel il senso, e
quindi il ruolo, della filosofia, si determina a partire dalla
ragione come contenuto di eventi, eventi che si rivelano la
maturazione definitiva di un lungo processo. L’ordine di fatti cui
ci si riferisce è quello che esprime il senso unitario della
Riforma luterana e della Rivoluzione Francese. Consideriamoli per un
attimo, così come fa Bodei. La versione luterana del
cristianesimo, rivendicando al singolo un rapporto assoluto con Dio,
si pone come momento di massima valorizzazione della libertà
soggettiva. La rivoluzione giacobina, d’altro canto, anela alla
realizzazione dell’universale-la ragione-come uguaglianza di ciscuno
sotto la legge, come riconoscimento globale del diritto di volere
attribuito al soggetto. Ora, in Hegel, il potenziale di crisi
espresso dai tempi moderni è considerato all’interno di un
quadro in cui la ragione si muove da se stessa e si concretizza, in
modo contraddittorio, nel reale e come questo stesso reale. Le
trasformazioni storiche, i meccanismi economici, l’avanzamento
stesso della scienza e del sapere seguono un unico filo, quello di
un ‘istinto della ragione’ che solo con il pensiero teoretico
ottiene il dovuto riconoscimento.
La filosofia dialettica, secondo
Bodei, esprime la sua intrinseca attualità rapportandosi sin
dall’inizio con l’aspetto critico del mondo storico contemporaneo.
Questo mondo, stadio terminale di un faticoso susseguirsi di
mutamenti, non è del tutto in grado di esprimere la
razionalità che lo costituisce, anche se soltanto in forma
casuale, non cosciente e comunque parziale. Non è il giudizio
saccente di un sapere estraniato dai fatti; questo pensiero
prefigura, in negativo, il compito della filosofia. Cioè:
raccogliere e riconoscere, nel contenuto della storia umana,
così come nel proprio sviluppo discorsivo, una logica
intrinseca agli eventi, ma riconoscibile soltanto a partire dalla
loro compiuta maturazione. La ragione è realtà, ma la
ragione è anche e soprattutto discorso filosofico: i ruoli e
i significati sono differenti, ma soltanto nel loro coappartenersi
reciproco. Bodei sviluppa questa problematica prendendo spunto da
due metafore compresenti ed interagenti all’interno dell’opera di
Hegel. La prima è volta ad esprimere il movimento cieco, e
tuttavia orientato, di una razionalità che costituisce
l’orizzonte e la comprensibilità - la traducibilità in
pensiero -della storia reale. E’ la figura della talpa, animale
che costruisce percorsi complessi e ordinati attraverso uno scavo
incessante nel buio più totale, guidata soltanto dall’istinto
di un senso dello spazio particolarmente sviluppato. In Hegel,
simbolizza il cammino della storia come un progressivo affermarsi
della razionalità inconscia contenuta implicitamente
nell’attività degli uomini, nella costruzione di un mondo
storico. La seconda figura è quella - famosissima - della
nottola, animale sacro a Minerva, che in qualche modo esprime
il profondo rapporto tra la filosofia e il tempo storico. La ragione
filosofica, spiega Bodei, è al tempo stesso assimilazione del
proprio tempo nell’elemento del pensiero e, simultaneamente, congedo
da esso, presa d’atto del suo essere-compiuto. Cogliere queste
metafore nel loro valore sia concettuale che storico-cioè
come modalità fondamentali dell’ambivalente relazione tra
storia e ragione, è quindi lo scopo del libro esaminato. "La
direzione principale di ricerca sarà quella di far scaturire
progressivamente la rete categoriale dalla rete metaforica, la forma
del proprio tempo appreso in pensieri dal suo contesto
concreto.."
In Hegel c’è una forte presa di coscienza di come la nascita
di una filosofia sia espressione del precipitare dei tempi,
dell’attualità di una crisi irreversibile. Il bisogno della
filosofia è radicato all’interno di una condizione sociale di
disgregazione e di disarmonia; una condizione in cui gli individui
tendono a vedere nel pensiero soggettivo il luogo idoneo per una
conciliazione con il reale e per una libertà autentica. La
filosofia partecipa al movimento delle forze disgreganti in atto
nella realtà storica, ed in questo senso è rivolta al
futuro. La filosofia, come parte attiva della propria epoca, ne
opera la delegittimazione-o perlomeno la relativizzazione-nel senso
di una razionalità che deve ancora tradursi in
effettualità, proprio nel momento in cui è stata
fomulata come ssitema della scienza. "Hegel sottolinea il peso
specifico della filosofia nel provocare il crollo di un assetto
politico e nell’aprire una situazione rivoluzionaria...Ogni
filosofia, compresa la sua, è anzi secondo Hegel
rivoluzionaria, nel senso che, con la potenza del concetto, sottrae
forza all’esistente, e presenta, in alternativa, un ‘mondo nuovo’
razionale che accelera la distruzione del vecchio."
3.2.2 L’epoca come senso e contenuto del sistema
Ora bisogna affrontare quei passaggi dell’interpretazione di Bodei
che evidenziano il ruolo anticipatore della filosofia, proprio a
partire dalla forma sistematica. Sappiamo che il sistema implica
un’idea totalizzante-compiuta ed autosufficiente-, del sapere;
tuttavia, in quanto questo sapere è espressione cosciente del
reale (l’epoca in cui è stato concepito), è il reale
stesso ad essere descritto come insieme compiuto e non-compiuto.
Come è possibile? Dovremo concepire la realtà storica
come passivo adeguarsi di forme inerti al demiurgo del sistema, se
non cogliamo questo elemento. La storia (occidentale,
greco-cristiana) è certo compiuta, perché il pensiero,
riconoscendosi come l’espressione, come il frutto più maturo
della propria epoca, l’ha compresa come il darsi realtà da
parte dell’universale, come realizzazione della ragione. La storia
è anche incompiuta, aperta al futuro attraverso la crisi,
perché la scienza filosofica che ne coglie adeguatamente il
senso implica già uno stadio superiore raggiunto dallo
Spirito. La coscienza dei tempi contenuta nella filosofia-sistema,
cioè, implica alternativamente il riconoscimento
dell’inadeguatezza del presente,e del suo necessario venir meno,
oppure il nuovo slancio in avanti, verso il superamento dei limiti
posti. Rivolgendosi al suo tempo e ai contenuti che lo
contraddistinguono, la filosofia incita al superamento di entrambi.
La talpa simbolizza il moto inarrestabile della ragione, che tende
ad acquisire sempre più realtà, cioè ad
esplicitare il contenuto razionale della realtà stessa. La
nottola, la filosofia, riconosce post festum la necessità (in
senso logico, innanzitutto) di questo processo, ma così
facendo, invita la ragione a tradursi nuovamente nella
realtà, mettendo in questione il presente attraverso le sue
contraddizioni. Il pensiero non può ritrovare la ragione nel
momento storico che lo ha visto nascere senza collocarsi
attivamente, allo stesso tempo, all’interno della sua dinamica di
crisi. La forma scientifica concepita da Hegel attua l’esigenza di
"...ordinare il cumulo delle conoscenze secondo un modello sorto
nella scienza non meno che nella realtà, di dar loro una
sistemazione meno casuale...nella certezza che tale riorganizzazione
non solo non avrebbe nuociuto all’esperienza successiva o l’avrebbe
resa superflua, ma che anzi si sarebbe riverberata su di essa e le
avrebbe aperto nuove strade.."
La piena presa d’atto dello
stretto rapporto tra un fermento di trasformazione cieco, ma
inarrestabile, e una ragione matura per ritrovarsi in tutta la
storia passata è per Bodei contenuta nell’idea del sistema.
La totalità del sistema, infatti, mostra i contenuti
dominanti della cultura e della modernità come inseriti in un
processo, quindi nella loro parzialità. Ma la
parzialità, l’inadeguatezza, riguarda il modo in cui
determinati contenuti (come la libertà, la proprietà,
il soggetto) hanno trovato la loro esistenza particolare nella
storia (cioè attraverso istituzioni, visioni del mondo ecc.).
Che la ragione , come movimento incosciente, ma orientato (la talpa)
è presente all’occhio dello Spirito (la nottola della
filosofia, che rivive tutto il percorso della cultura soltanto a
partire dal suo tramonto), significa allora che questa stessa
ragione non ha cessato di realizzarsi, né può farlo.
Nemmeno quando chiude l’ampiezza dei suoi significati e dei suoi
effetti in una sistematica. Secondo Bodei, infatti, la
razionalità sistematica è, soprattutto, la
preparazione di un nuovo balzo in avanti dello spirito del mondo.
"il sapere fa compiere un progresso alla realtà,
perché da un lato affretta il corso oggettivo della
degradazione degli ordinamenti vigenti, dall’altro anticipa nel
pensiero soluzioni che si riverseranno poi...ancora nel mondo
esterno."(39) Il sistema, insomma, attuando questa anticipazione nel
pensiero, esprime anche la tendenza immanente al reale, a partire da
cui esso si sviluppa, diviene e perde il suo senso per lasciare il
posto ad una nuova epoca.
3.3 Lowith
3.3.1 Hegel: la religione, la storia e la filosofia in Germania
Una concezione nuova della filosofia della storia è quella
che emerge dagli studi di Lowith sulla filosofia posthegeliana in
germania. Il problema della storia, nella sequenza che porta dai
giovani hegeliani a Nietzche, appare sempre più sostituirsi a
quello della teologia e della religione, divenendo il terreno di
nuove impostazioni filosofiche e polemiche. Questa trasformazione
è studiata tenendo per intercalare continuo il pensiero
hegeliano, con la cui tendenza ad articolare una coscienza storica
totalizzante si confrontano tanto gli avversari quanto i discepoli.
"L’opera di Hegel non contiene soltanto una filosofia della storia
euna storia della filosofia; ma utto il suo sistema è inoltre
pensato fondamentalemente sotto una prospettiva storica quanto
nessun’altra filosofia anteriore."
Per Hegel, poiché il cristianesimo costituisce
l’autoriconoscimento della storia occidentale, esso esprime
l’Assoluto stesso. La comprensione filosofica esplicita la rottura e
ricomposizione tra la Vita e l’Assoluto. Lo Spirito, nell’atto di
riconoscersi, si trova come storia compiuta; perciò, come
abbiamo visto sopra, il punto di vista della filosofia si poneva
come il punto di vista della (auto)comprensione del proprio tempo,
come epoca tradotta in pensiero. Perché il cristianesimo,
allora? Perché il cristianesimo aveva elaborato il concetto
di una continuità tra destino umano e destino divino, e in
modo tale da distruggere la visione ellenica di un Fato cieco, che
andava superata per via della sua unilateralità. La finitezza
umana, elevata a questione fondamentale dal cristianesimo,
costituisce la base per una nuova idea della dignità umana.
L’idea fondamentale della finitezza, della pienezza dei tempi e del
rapporto tra l’apparire dello spirito e il suo compiersi nella
storia, come senso ultimo della storia, delinea il significato
teologico che permea il pensiero del ‘professore assoluto’. "Hegel
coglie la storia dello Spirito nel senso della suprema pienezza, in
cui tutto ciò che è avvenuto ed è stato
pensatosi raccoglie in unità; egli la compie però
anche nel senso di una fine storica, in cui come conclusione la
storia dello spirito coglie se stessa."
Il luteranesimo è al centro di un percorso che dal
cristianesimo storico porta allo sviluppo del mondo borghese. La
religione cristiana è "la religione della libertà
assoluta" perché riconosce il diritto assoluto
dell’individualità umana.. L’uomo vero e proprio è
soltanto il borghese in quanto soggetto prinipale del sistema dei
bisogni; ma l’universalità propria dell’uomo coincide con il
suo essere spirito. Solo il cristianesimo nella versione luterana
aveva reso uguali tutti gli uomini nel loro libero rapporto con Dio,
preparando il terreno per l’individualismo moderno. Lutero aveva
realizzato il concetto, presente all’origine della religione
rivelata, della libertà come attributo del singolo essere
umano; dopo di lui la religione stessa non poteva esprimere
più nulla di nuovo sui bisogni supremi dello spirito.
L’amministrazione della verità, con e dopo Lutero, era
passata nelle mani della filosofia. Definitivamente. Lowith cita la
relazione tra l’hegelismo e il luteranesimo non solo perché
il primo impatto polemico della scuola hegeliana aveva per contenuto
la questione religiosa, ma anche perché la filosofia
hegeliana si pone, a ragion veduta, come una teodicea mondana
secolarizzata. Cioè come il pensiero di una giustizia divina
che si dispiega nella storia reale, alla quale soltanto la filosofia
può rendere il dovuto, in quanto essa filosofia dà
realtà a questa stessa giustizia. "Appartiene alla natura
ambigua della filosofia hegeliana, compenetrante ogni realtà,
la particolarità di essere una filosofia dello spirito dal
punto di vista del Logos cristiano, di costituire cioè in
genere una teologia filosofica."(42). Il pensiero dialettico, oltre
ad essere preparato dal cristianesimo, ne costituisce lo sviluppo e
l’espressione; universalità e soggettività si
coniugano soltanto nell’elemento del pensare. Il sistema esprime il
dominio all’interno del quale la verità storica - quindi il
senso definitivo - del cristianesimo può realizzarsi,
cioè comprendersi.
3.3.2 Hegel e dopo Hegel
Hegel, dati gli estremi risultati di una concezione grandiosa ma
ambigua, che manteneva al suo interno problemi e campi del sapere
che ben presto apparvero contrastanti, aveva innanzitutto preparato
una rottura. La rottura, irreversibile, tra filosofia progressiva e
cristianesimo. "La verità filosofica del cristianesimo
consisteva per Hegel nel fatto che Cristo ha conciliato la scissione
nell’umano e nel divino....Questa unità della natura divina e
umana in genere, confermata per Hegel dall’umanizzarsi di Dio, fu
nuovamente dissolta tanto da Marx quanto da Kierkegaard."
La dimensione totalizzante del sistema portò lasciò in
eredità i germi di una nuova rottura tra spirito e mondo
storico, pensiero e realtà politica.. Le più profonde
reazioni all’interno dei giovani hegeliani, i temi che prevalevano
nelle reciproche prese di posizione, dimostravano che la religione,
che nel progetto di Hegel manifestava il nesso tra sistema e
riflessione storica, era in realtà il punto in cui si
concentravano tutte le difficoltà e le ambiguità del
suo pensiero. Inoltre, al di là dell’eredità
hegeliana, gli argomenti religiosi si prestavano bene a nascondere i
contenuti reali di uno scontro ideologico-politico, come era nella
tradizione tedesca. Oltre al rapporto tra Hegel ed il cristianesimo,
era l’aspetto conciliatore e tutto rivolto al passato della
filosofia della storia ad essere accusato o messo al bando dai
giovani hegeliani. Questi singoli punti, messi in correlazione da
Lowith all’interno di un’ampia ricostruzione storica, convergono
nella maggior parte dei casi in un’eclatante rifiuto del sapere
filosofico - del ruolo e del senso attribuitogli dal maestro - a
favore di una riscoperta degli interessi vitali dell’uomo moderno.
Per esempio, in Kierkegaaard, la decisione anti-sistematica ed
anti-filosofica si fondava sul riconoscimento di un contrasto
irrecuperabile tra le tensioni della realtà storica e la
presenza di una teoria, quella hegeliana, che aveva voluto esprimere
l’identità di contenuto dei bisogni spirituali. La dimensione
comunitaria che unifica le manifestazioni spirituali era del tutto
assente dalla Germania degli anni ‘40 del diciannovesimo secolo. La
rivendicazione degli interessi e dei bisogni dell’uomo, da Marx a
Feuerbach a Kierkegaard, è il risultato di una presa di
coscienza nuova nei riguardi delle tendenze del mondo contemporaneo,
che comporta irrimediabilmente l’abbandono del puro sapere
filosofico-sistematico e del suo ideale di scienza. Dunque, a
partire dalla realtà della crisi, l’efficacia della filosofia
dialettica e il suo influsso coincidono con la sua decomposizione,
col suo progressivo disperdersi nei rivoli di varie polemiche e
operazioni intellettuali. "la scuola venne trascinata nel movimento
del nostro tempo e si divise fino all’estremo in tutte le tendenze
possibili"
Al di là di tutte le contingenze dovute a questo momento
storico, quindi, la ricostruzione della sequenza che da Hegel porta
a Nietzche ha il valore di esprimere, anche in termini indiretti, il
valore permanente ed imprescindibile della filosofia della storia
hegeliana. Valore che non coincide esattamente con gli aspetti sui
quali si concentrarono gli attacchi degli scolari e dei nemici della
filosofia dialettica, ma con una nuova determinazione della natura
del pensiero senza la quale anche molte posizioni critiche
perderebbero il loro significato.. Hegel aveva postulato la
pensabilità della storia e, viceversa, l’essenza storica del
pensiero, senza con ciò cedere di un passo al fatalismo o
allo scetticismo, anzi riconoscendo la libertà del soggetto
come presupposto fattuale per questa idea. Questa operazione sarebbe
impensabile senza una preliminare mondanizzazione e
concettualizzazione della trascendenza cristiana. L’interpretazione
lowithiana, che ha per interlocutrice tutta la rinascita di studi
hegeliani nella Germania del ‘900, attacca, a partire da questi
punti, la tesi di Dilthey, secondo il quale l’unica vera
eredità permanente del pensiero hegeliano sarebbe costituita
dall’idea della relatività storica di ogni espressione
spirituale. Il vero problema di Hegel è costituito invece
dall’inserimento del sistema concettuale nella prospettiva storica,
non da quello, posteriore, della relatività storica del
conoscere come tale. In effetti, egli vide nella sua filosofia
l’origine, e, soprattutto, la fine di una pensabilità della
storia. " la valutazione sostanziale del significato di Hegel per il
presente deve partire dalla considerazione che soltanto per opera
sua la filosofia ha cominciato a riconoscersi come il pensiero del
tempo. La connessione del carattere temporale della filosofia con il
suo contenuto sostanziale garantisce l’importanza duratura di
Hegel"
3.4 Hyppolite
3.4.1 Cristianesimo e filosofia della storia
Torniamo agli studi di Hyppolite, perché anche qui si delinea
un’immagine speciale della filosofia della storia hegeliana.
Più sopra, nella prima parte, abbiamo visto come la
descrizione di alcuni contenuti presenti negli scritti teologici si
concretizzava nella formulazione di una continuità tra il
tragismo presente nelle interpretazioni storiche e l’elaborazione di
una dialettica come senso definitivo della storia e del reale. La
posizione del cristianesimo in questo percorso non può essere
sopravvalutata in nessun caso; il cristianesimo, in Hegel, esprime
sino alle sue conseguenze estreme la rappresentazione tragica della
storia già presente nella nozione giovanile di destino. Il
destino di Cristo fu appunto quello di rinunciare a salvare il suo
popolo come tale, e quindi di rivolgersi agli individui. Così
facendo, il Cristo di Hegel abbandonava la nazione ebraica al suo
destino. Da qui il significato tragico presente nel ruolo storico
del cristianesimo: la scoperta dell’individuo, della
soggettività - attraverso l’amore e il rapporto con Dio - si
attua attraverso la rottura con lo Stato, ovvero l’estraneazione del
culto dalla vita reale. Il cristianesimo separa definitivamente
l’universale dal temporale, la fede dalla vita del popolo; consegna
il soggetto alla sua libertà allontanandolo dalle forme della
vita mondana. "Tutta la filosofia hegeliana successiva - nella sua
pretesa di basarsi sul cristianesimo - dovrà interpretare
questa separazione...e tentare di superarla concependo la religione
come una forma ancora inferiore dello spirito assoluto. Solo per la
filosofia la riconciliazione non riveste più la forma d’un
avvenire indeterminato, ma è presente nell’attualità
dello spirito del mondo."
Per Hyppolite proprio questa rottura,
interpretata filosoficamente, condiziona tutta la concezione
hegeliana della modernità e attraversa le linee principali
della sua filosofia della storia. Infatti questa implica sin
dall’inizio lo sforzo di mostrare la vita dello Spirito all’interno
dei popoli, l’oggettivarsi dello Spirito nella storia reale. A
partire da qui, l’esposizione dialettica e sistematica della
politica e del diritto spiegano come all’interno di ogni Stato sia
presente l’idea dello Stato come organismo spirituale. Le prime
speculazioni sullo Stato del periodo di Jena vengono però
rettificate in molti punti importanti nella Filosofia del Diritto,
opera della piena maturità. Il divenire della storia e della
politica, il continuo alternarsi di individualità storiche,
cioè di civiltà, è sempre e comunque pensato
come l’espressione di un’opposizione, di un rapporto tragico
determinato in tutte le circostanze della vita storica.e presente in
seno all’Assoluto. "La storia del mondo è costituita dalla
tragica tensione per cui la vita infinita immanente alle proprie
manifestazioni esige da ciascuna di esse un incessante superamento
di sé. Ognuna esprime, e al tempo stesso non esprime,
l’Assoluto. Ecco perché muore e diviene." Ogni popolo,
ogni civiltà, è destinato a scomparire perché
la sua esistenza individuale si fonda sulla sua inadeguatezza ad
esprimere lo Spirito come tale, di cui tuttavia è una
manifestazione particolare. Hyppolite tende a dimostrare come questa
posizione pantragistica e metafisica venga mantenuta, anche se
rimaneggiata, all’interno di tutta la riflessione hegeliana sullo
Stato.
3.4.2 La società borghese a partire da questi punti
Il cristianesimo, come sappiamo, si è fondato
sull’opposizione tragica tra l’autocoscienza individuale e il mondo
oggettivo - sulla divisione nella coscienza e nel mondo stesso.
L’interpretazione della modernità tiene fermo proprio questo
punto decisivo: il diffondersi dell’individualismo in ogni sfera
della vita sociale ha infatti un significato che esprime in nuovi
termini quest’opposizione. L’uomo, lungi dal trovare il proprio
rapporto con l’Assoluto nella città terrena, sente ogni
istituzione come una costrizione, perché non trova il
significato della sua personalità autonoma all’interno delle
espressioni della volontà collettiva. La soggettività
dell’individuo moderno, come quella del cristiano, si consolida a
partire da un’opposizione: quella tra il cittadino e il borghese,
tra il membro di una comunità - la cui esitenza oggettiva si
trova nello Stato - ed il soggetto privato di una serie di bisogni
vitali e di interessi economici. Hegel, cioè, comprende la
particolarità dell’epoca moderna quando vede in essa
l’esigenza di una mediazione tra singolare e generale, tra individuo
e comunità, e pensa l’essenza dello Stato moderno, e le sorti
della rivoluzione francese, a partire da questa mediazione.
"..sebbene per Hegel lo Stato non abbia niente di artificiale
(essendo la ragione sulla terra), l’elevazione - la liberazione -
non è più immediata, ma c’è un conflitto per
cui lo Stato moderno comprende ad un tempo l’opposizione tra
l’individuo e la volontà generale come la loro
riconciliazione." L’interpretazione della rivoluzione francese
è indicativa: in questo caso, senza tener conto della
necessità di una mediazione, ci si proponeva di ottenere una
compenetrazione tra la libertà del singolo e l’esprimersi
della volontà generale attraverso l’abolizione immediata
delle differenze sociali. Ma la vita all’interno dello Stato,
pensato in termini organici, presuppone nel suo concetto la
differenziazione in classi particolari. Ecco cosa è mancato
alla rivoluzione francese, ecco perché dalla libertà
si è passati, senza soluzione di continuità, al
terrore; ecco perché il suo esito finale ha il senso di una
restaurazione. Quindi Hegel pensa la differenza tra il mondo antico
e quello moderno a partire dal problema della differenza, e quindi
della conciliazione, tra particolare e generale, tra borghese e
cittadino, che si trova soltanto nel secondo. D’altronde proprio
l’idea di un’astuzia della ragione (nella parte dedicata a Bodei
abbiamo visto la metafora della talpa), di una razionalità
collettiva che si attua attraverso il gioco dei particolarismi, va
ricondotto a questi aspetti della riflessione sui tempi moderni.
L’idea di una correlazione universale che si attua attraverso il
lavoro particolare, condizionato da moventi egoistici, avvicina
Hegel agli economisti classici, dei quali fu un avido lettore. Si
tratta di pensare come il fine egoistico sia soltanto in apparenza
il motore della società, mentre alla ragione storica si
rivela come un mezzo subordinato al fine immanente della
realizzazione dell’universale. Questo pensiero si condensa nella
frase che afferma l’ideale moderno come "l’universalità nella
perfetta libertà ed indipendenza degli individui"
Insomma, nella riflessione sullo Stato moderno l’opposizione tragica
si trasforma nel dualismo tra l’apparenza di un interesse pubblico
esterno agli individui e la realtà di un universale immanente
alla loro attività, seppure a scapito dei moventi individuali
di questa. "..la volontà generale appare agli uomini privati
sotto un aspetto esteriore. Indubbiamente è solo
un’apparenza, ma è un momento della storia di tutti i popoli
che va preso in considerazione."
4. Hegel e Marx
4.1 Il marxismo e la questione-Hegel
Tra gli anni ‘30 e l’inizio degli anni ‘50 ha luogo, soprattutto
negli ambienti legati alla militanza comunista e al movimento
operaio, una continua rilettura dei testi di Marx ed Engels alla
luce del loro rapporto con Hegel. Questo fatto fu stimolato e
preparato dalla già mensionata pubblicazione degli scritti
del giovane Marx, insieme alla diffusione delle note di Lenin sulla
Logica di Hegel, raccolte insieme ad altro materiale nel 1930 sotto
il titolo di Quaderni filosofici. Marx ed Engels, secondo queste
nuove versioni che si venivano affermando, non si limitarono ad
esprimere la componente filosofica del proprio metodo materialistico
e storico. I fondatori del socialismo scientifico avevano infatti
sostenuto che il proletariato non avrebbe realizzato il suo compito
storico senza la comprensione (teorica) e l’effettuazione (pratica)
del metodo dialettico. Ci si rese conto, in una parola, che tutto il
pensiero di Marx, anche nella sua formulazione definitiva e nella
sua dimensione di progetto storico, aveva avuto per interlocutore
privilegiato il filosofo di Stoccarda. La dialettica appariva ai
fondatori del socialismo scientifico come la conquista più
alta di un rivolgimento di alto valore progressivo, che si era
realizzato nella cultura tedesca e mondiale a partire dagli
illuministi e da Kant. Abbiamo visto, nella parte dedicata al libro
di Lowith, che il tema di una fine della filosofia e lo sviluppo di
posizioni che condannavano il mondo della pura speculazione erano
frequenti nel periodo posthegeliano, in Germania. Marx ed Engels,
sin da allora, considerarono e valutarono l’esaurimento e la
decadenza del pensiero e della scienza in patria come una prova
materiale ed indiscutibile del fatto che, dopo Hegel, la filosofia
era veramente finita.Questa valutazione convergeva con
l’affermazione che il senso progressivo della storia umana non
poteva più essere espresso dalla filosofia, ma doveva essere
riferito al nuovo ruolo rivoluzionario del proletariato. Il
proletariato era "il vero erede della filosofia classica
tedesca", come disse Engels, perché ora il significato
razionale della trasformazione storica non doveva più essere
interpretato nel pensiero, ma poteva realizzarsi nell’azione
rivoluzionaria e solo in essa. Marx ed Engels spiegarono il loro
debito nei confronti di Hegel a partire dalla differenza tra il
metodo dialettico ed il sistema idealistico. La dialettica non era
un nuovo modo di formulare problemi filosofici, quanto piuttosto un
nuovo modo di porsi di fronte alla realtà, che "..nella
comprensione positiva dello stato di cose esistente include
simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso." Bisognava scindere il metodo dal sistema, il quale esprimeva il lato
non-razionale dell’hegelismo e tendeva a risolvere la ricchezza del
mondo concreto in una mistica del Logos.
Il recupero del metodo dialettico, il ripudio dell’idealismo ed il riconoscimento della filosofia hegeliana come forma insuperabile del pensiero costituiscono ancora i termini principali delle più recenti letture marxistiche di Hegel, o del rapporto Hegel-Marx. Qui prenderemo in considerazione i commenti alla filosofia hegeliana di H. Marcuse e di E. Bloch; ma prima di affrontarle direttamente, bisogna fare qualche altra precisazione. Engels aveva difeso il significato ed il ruolo storico intrinsecamente progressivo della filosofia hegeliana in base all’assunto che il nucleo razionale in essa presente poteva essere restituito all’azione storica, alla prassi rivoluzionaria. La fine della filosofia, per dirla in breve, era l’inizio della presa di coscienza del proletariato. Più tardi fu Lenin ad evidenziare la forte componente hegeliana presente nella critica marxista, ma con scopi differenti. Lenin aveva visto che la ‘fine della filosofia’ , sulla base della quale Engels preconizzava lo sviluppo di una conoscenza globale del mondo, insieme positiva (nel senso delle scienze naturali) e dialettica (nel senso del materialismo), non si era realizzata. La filosofia era ancora viva, e combattere le tendenze reazionarie nella filosofia era ancora un compito politico all’ordine del giorno. Lenin difense le basi scientifiche del marxismo dalle nuove filosofie della scienza, come quella di Mach, che si esprimevano in una concezione del mondo descrittiva e positivistica. Per effettuare questa operazione, egli ritrovò nella Logica di Hegel il significato scientifico che la dialettica doveva ricoprire all’interno delle analisi marxiane sul capitalismo. Cogliere una continuità diretta, nei contenuti concettuali, tra la logica dialettica e la critica del capitalismo, comportava però una messa in discussione radicale di tutto il marxismo posteriore a Marx, il quale non si era preso la briga di cogliere il significato razionale della dialettica all’interno della logica hegeliana, cioè nell’elemento in cui si era venuta formando prima di essere impiegata da Marx, e in questo modo si era precluso la strada per un’assimilazione veramente essenziale del pensiero marxiano. "Lenin attribuiva tanta importanza al metodo dialettico da considerarlo il marchio di fabbrica del marxismo rivoluzionario".
Le correnti che, all’interno del marxismo,
avevano ripudiato l’ascendente hegeliano e dialettico presente in
Marx erano le stesse che, ponendosi in un’ottica positivistica ed
evoluzionistica, avevano sostituito le qualità della prassi
rivoluzionaria con la fede nel crollo spontaneo e quasi naturale del
capitalismo. Gli esiti rivoluzionari del mondo capitalistico erano
nell’ordine dei fatti, coincidevano con esso. La critica marxista
perdeva il suo riferimento essenziale alla dialettica, che in Marx
esprimeva il riconoscimento dell’azione storica come negazione di
una condizione data, come superamento delle contraddizioni del
presente sulla base della loro comprensione.
4.2 Marcuse
4.2.1 Il pensiero critico come vero erede della dialettica
idealistica
Marcuse si muove ancora all’interno di questa problematica quando,
in piena epoca fascista, decide di attuare una difesa della
filosofia hegeliana dalla sua presunta compromissione con le nuove
forme di autoritarismo affermatesi in Europa tra le due guerre. Per
Marcuse, la dialettica costituisce il modello di ogni pensiero
negativo, cioè di ogni pensiero atto ad analizzare il mondo
dei fatti dal punto di vista della sua intrinseca inadeguatezza.
Pensare significa cogliere la natura dinamica dell’essere e la
capacità, presente in ogni cosa, di rendersi altro da quello
che è. La posizione della ragione dinanzi alla cosa è
innanzitutto negativa. L’attività del pensiero ha inizio
proprio negando la coincidenza dell’oggetto con se stesso, la sua
positività pura e semplice. Si toglie al fatto il rango di
valore assoluto, mostrandone la contraddittorietà. L’idea di
una dialettica del reale, coincidente con il costituirsi del
soggetto, e di un pensiero che si attua come negazione
dell’esistente, del dato inerte, rende anche conto della natura
pratica dell’attività conoscitiva. Tanto il pensiero
razionale quanto l’azione storica si concentrano sui dati di fatto
per negarne la positività, mostrando che sono altro da se
stessi. In questo senso, il legame tra la ragione e
l’attività in senso lato (sarebbe più puntuale parlare
di lavoro) si trova nella verità che il dato, ogni dato,
è fatto per essere superato, cioè negato. Solo tramite
questa negazione, spiega Marcuse, l’attività può dirsi
cosciente, perché la sua caratteristica iniziale consiste
nella considerazione dell’esistente, del qui-e-ora, come di un che
di parziale e limitante, cioè inadeguato. Il compito della
ragione è quindi negativo e pratico al tempo stesso,
perché essa, esprimendo il non-identico, prende atto del
sotanziale squilibrio tra essere e dover-essere. "Il concetto
hegeliano di ragione ha così un carattere chiaramente critico
e polemico. Esso si oppone a ogni facile accettazione dello stato di
cose presente e nega l’egemonia di ogni forma di esistenza
prevalente dimostrando gli antagonismi che la dissolvono in altre
forme."
Il pensiero dialettico si costituisce in opposizione al senso
comune, e quindi ad ogni filosofia che voglia rifarsi alla certezza
dei fatti come realtà ultima ed indiscutibile del conoscere.
Sia il senso comune che le filosofie ‘scientifiche’ (tutte quelle
correnti, cioè, che si rifanno al metodo positivo delle
scienze naturali) adottano come criterio normativo per il conoscere
il dato di fatto. In questo modo viene trasmessa un’immagine
neutrale della conoscenza, che si regola a partire da
un’oggettività esteriore per lasciarla così
com’è. "Il positivismo, la filosofia del senso comune, si
rifà alla certezza dei fatti, ma, come dimostra Hegel, in un
mondo in cui i fatti non rivelano per nulla ciò che la
realtà può e dovrebbe essere..."
Prendendo le mosse dalle caratteristiche della razionalità
dialettica, che da Hegel a Marx si costituisce come uno specifico
stile di pensiero, Marcuse si interroga sul contrasto, presente
nell’opera hegeliana, tra le potenzialità rivoluzionarie e
critiche della ragione negativa ed i suoi risultati comunque
conservatori, se non autoritari. Marcuse distinque in ogni caso
l’autoritarismo fascista dallo Stato hegeliano, due realtà
eterogenee ed incompatibili sin nei presupposti più
elementari. "Non vi è alcun concetto meno compatibile con
l’ideologia fascista di quello che fonda lo Stato su una legge
razionale e universale.." La spiegazione puntuale dei principali
passaggi dell’opera hegeliana ha l’obbiettivo di render conto del
fallimento della razionalità critica e del depotenziamento
del metodo dialettico nella filosofia dello Stato. Qui, secondo
Marcuse, la scomparsa dei contenuti veramente dialettici dal quadro
teorico ed il venir meno dell’atteggiamento critico e polemico nei
confronti della realtà storica data fanno tutt’uno. Soltanto
una paziente ricostruzione, però, può spiegare in che
modo un pensiero innovatore venga alla fine trascinato dalle
contraddizioni del proprio tempo, fino a perdere il suo carattere
rivoluzionario. Questo esame è molto importante,
perché è proprio in questo punto che subentra, con
Marx, il ‘rovesciamento’ della dialettica materialistica. In un
certo senso, perciò, Marcuse è portato a considerare
il fallimento della dialettica idealistica nel pensiero politico
come un momento decisivo per l’intera filosofia moderna, a partire
dal quale l’impiego della razionalità negativa, con Marx,
comporterà l’abbandono del terreno filosofico e della
speculazione pura e semplice. "Ciò che è essenziale
nell’opera in parola [ Filosofia del Diritto] è
l’autodisintegrarsi e l’autonegarsi dei concetti fondamentali della
filosofia moderna. Tali concetti condividono il destino della
società che spiegano; perdono il loro carattere
progressista...la loro influenza critica, e assumono il tono della
sconfitta e della frustrazione.."
4.2.2 Critica (marxista) di Marcuse ai concetti politici di Hegel
Senza abusare della pazienza del lettore, diamo qualche elemento per
misurare il significato di questa conclusione, dietro la quale
c’è tutta una ricostruzione della filosofia dialettica. Come
sappiamo, il significato della filosofia in Hegel è
inscindibile dall’idea che nella società moderna per la prima
volta il concetto della libertà aveva ottenuto la sua
realtà, in quanto attributo del soggetto. la proprietà
privata, nel suo conseguente riconoscimento giuridico, costituiva la
forma attraverso la quale questo concetto si era attuato. Il nesso
tra libertà e proprietà privata era già
patrimonio comune del pensiero liberale settecentesco. Tuttavia ora
questo nesso si legava al riconoscimento dell’incapacità
della proprità privata - ovvero del sistema di rapporti
sociali che essa esprimeva - di creare un insieme sociale razionale
ed universale, ovvero realmente libero. Proprio la natura critica e
dialettica delle nozioni di ragione e libertà rendeva
impossibile l’affermazione di una loro compiuta realizzazione
nell’ambito della società civile, di cui Hegel conosce
perfettamente gli squilibri e le ineguaglianze interne. Hegel si
trovò quindi, secondo Marcuse, a dover interpretare la
libertà del soggetto in base alle relazioni esteriori della
proprietà e del diritto; le conseguenze erano la perdita
immediata del contenuto dialettico e delle implicazoni critiche
presenti nelle nozioni idealistiche di libertà e
soggettività. L’analisi condotta nella Filosofia del Diritto
salda la libertà del soggetto alla realtà data della
legge. Ma la realtà della legge, qui, non ha carattere
dialettico e totalizzante: il suo carattere universale è,
infatti, la sua capacità di prescindere dagli individui
concreti. Gli individui della teoria politica hegeliana sono
sostituiti da una serie di relazioni oggettivanti, non vengono
riconosciuti dialetticamente, cioè come singoli concreti che
si riconoscono tali attraverso i contenuti di relazioni universali.
Hegel dovette accettare il destino dei rapporti sociali reificanti,
in cui cioè l’attività umana è dominata e
mediata dalla riproduzione materiale del sistema mercantile, pur
sapendo che questo stato di cose contraddiceva la sua concezione
dialettica del nesso individuo-comunità. Tuttavia Hegel
superava il punto di vista del liberalismo, cioè comprendeva
che la legalità è incapace di dare alla società
gli attributi di quell’ "universale concreto" dal quale aveva preso
le mosse la sua concezione dialettica. "La vera unità tra
l’individuo e l’interesse comune che Hegel aveva sostenuto essere
l’unico e solo scopo dello Stato ha così portato allo Stato
autoritario, cioè a reprimere con la forza i sempre crescenti
antagonismi della società individualistica....il punto
essenziale dell’analisi di Hegel sta nell’affermazione secondo cui
la società liberale conduce necessariamente allo Stato
autoritario.".
Secondo Marcuse la filosofia hegeliana ha
veramente ‘fatto il suo tempo’, perché pur sviluppando un
punto di vista razionale superiore a quello del liberalismo, ne ha
condiviso le sorti autoritarie nel momento in cui ha valutato tutta
l’incidenza degli antagonismi presenti nella società, senza
comprenderli dialetticamente. Nell’impianto del liberalismo, i
meccanismi sociali esprimevano una razionalità intrinseca, e
il mondo dei rapporti mercantili costituiva un sistema
autosufficiente ed autoregolato, in cui l’apparente contrasto degli
interessi privati dava per risultato la ricchezza della
collettività. Hegel non poteva far sua una soluzione del
genere: qui sta il motivo della sua rivendicazione dello Stato come
realtà della libera razionalità. In termini pratici,
il diritto perdeva la sua centralità in funzione della forza
pubblica e degli apparati burocratici. "Hegel attribuisce allo Stato
il compito, che precedentemente veniva affidato alla società
civile, di rendere concreto l’ordine della ragione. Lo Stato
tuttavia, non sostituisce la società civile, ma si limita a
mantenerla in funzione salvaguardando i suoi interessi senza mutare
il suo contenuto. Il superamento della società civile conduce
dunque ad un sistema politico autoritario, che mantiene intatto il
contenuto materiale della società. L’aspetto autoritario
presente nella filosofia di Hegel è reso necessario dalla
struttura antagonistica della società civile." In questa
lunga citazione troviamo condensata la posizione analitica di
Marcuse, che resta in larga misura marxista e storicista; la
risoluzione, l’integrazione delle dinamiche sociali nello Stato
condiziona l’abbandono della sostanza dialettica, cioè
critica e rivoluzionaria, dell’idealismo hegeliano. Il fatto che
Hegel vide la necessità di un rapporto superiore dell’ordine
politico è inscindibile dal fatto che, comunque, lo Stato
effettua la salvaguardia dei contenuti della società civile
come tale, cioè a prescindere dagli antagonismi che la
costituiscono. Ecco come e perché i concetti di
libertà, soggettività ecc. perdono la loro dimensione
negativa, cioè il loro contenuto più autentico: dal
punto di vista storico, la ragione negativa non può, secondo
Marcuse, attualizzarsi veramente in una società come quella
dominata dai rapporti mercantili.
4.2.3 Hegel e Marx, a partire da questi punti
La società costituisce un tutto, ma questo tutto si esprime
come cieca necessità e non come libera razionalità.
Come già visto, il valore rivoluzionario di questa
affermazione viene neutralizzato dall’esigenza di dare un
significato razionale all’ordine politico dato nel suo insieme. Si
tratta di un’esigenza incompatibile con la stessa natura della
razionalità negativa, che apre una rottura all’interno del
pensiero di Hegel. "Hegel sottolinea ripetutamente la cieca
necessità della ragione nella società civile. La
stessa cieca necessità che in seguito Marx denunciò
come l’anarchia del capitalismo fu dunque posta al centro della
filosofia hegeliana quando Hegel volle dimostrare la libera
razionalità dell’ordine prevalente."(60)
Da questo punto di vista, il rapporto di Marx con il nostro filosofo
ha il valore di una contestazione e di una rottura. Riconoscere che
anche nel pensiero dialettico è presente una componente
incosciente, che si concretizza nell’assoluzione dei disordini
sociali dalle esigenze della ragione critica, significa riconoscere
il limite permanente della ragione negativa all’interno
dell’hegelismo. L’interpretazione della storia come alienazione, la
storia come funzione del soggetto che sviluppa completamente il suo
lato cosciente sino a ritrovarsi come spirito del mondo, assume
così in Marx un senso univoco: tutta la storia è
caratterizzata dalla subordinazione della vita umana a cose create
dall’uomo stesso. "La realizzazione della ragione, pertanto, implica
il superamento di questa estraneazione e l’attuarsi di una
condizione in cui il soggetto conosce e possiede se stesso in tutti
i suoi oggetti."(61)
La tesi fondamentale di Marcuse sul rapporto Hegel-Marx prende
spunto da queste considerazioni sulla dialettica e sulla natura
negativa del soggetto hegeliano. Marx si propose di superare
l’idealismo in nome dello stesso modello di razionalità che
si era formato a partire da esso. La ragione in Marx esprime la
sostanziale inadeguatezza del reale, assegnando al pensiero il
significato pratico della negazione dell’esistente in quanto dato
una volta per tutte. La ragione dialettica hegeliana invece
culminava nell’elevazione della razionalità presente nella
storia a sistema, espressione universale del Logos."Il processo
dialettico di Hegel era dunque universale e ontologico; in esso la
storia si sviluppava seguendo il processo metafisico dell’essere.
Marx, invece, separò la dialettica da questa base ontologica.
Nella sua opera la negatività della realtà diviene una
condizione storica che non può essere considerata come
qualcosa di metafisico...la negatività della realtà
diviene una condizione sociale..." L’impiego critico e
materialistico del metodo dialettico è perciò
inseparabile dall’ammissione che l’idealismo aveva comunque superato
la separazione di teoria e prassi, sebbene soltanto all’interno del
pensiero, e non nella storia reale. "..il capovolgimento
materialistico della filosofia di Hegel da parte di Marx, non
comportò il passaggio ad una posizione filosofica
diversa...ma piuttosto il riconoscimento che le forme di vita
stabilite avevano raggiunto lo stadio della loro negazione
storica." Lo sforzo di sottrarre il carattere dialettico e
negativo dell’ontologia hegeliana alla forma idealistica nella quale
trova espressione va integrata con l’affermazione che il suo luogo
privilegiato non è il puro pensiero, ma la liberazione delle
forze viventi della storia, l’appropriazione rivoluzionaria delle
potenzialità del presente.
4.3 Bloch
4.3.1 Un altro interlocutore marxista di Hegel
Negli stessi anni di Ragione e Rivoluzione, gli anni del fascismo e
della guerra, viene composto Soggetto-Oggetto di E. Bloch. Le
posizioni espresse in questo ampio commento del pensiero hegeliano
sono anch’esse condizionate dal presente storico e dal continuo
confronto con il pensiero marxiano. Prima di presentarle, c’è
da notare il fatto che sia per Marcuse quanto per Bloch, entrambi
estranei alle varie ‘rinascite hegeliane’ in auge a quei tempi, il
rapporto Hegel-Marx non è posto in questione per ampliare o
perfezionare le basi teoriche del marxismo (come invece accadeva con
Lukacs). La rilettura dei testi hegeliani nel loro insieme è
invece volta a cogliere il significato che essi assumono di fronte
alla crisi della società capitalistica matura, significato a
partire dal quale veniva posto in questione il valore del marxismo.
Sia per Bloch che per Marcuse la dialettica e la sua sostanza
critica esprimevano il migliore antidoto al positivismo, i cui
atteggiamenti di fondo avevano fortemente influenzato anche il
marxismo ufficiale. Per entrambi, inoltre, un grande merito della
filosofia hegeliana consisteva nel definitivo superamento del
materialismo illumistico, che si era fondato su quella stessa
nozione di un oggetto privo di mediazioni, di una materia inerte
indifferente al pensare soggettivo. La stessa nozione restaurata dal
positivismo col suo culto del dato: "I positivisti credono che ogni
pensiero sia un’aggiunta illecita al dato sensibile". A questo
atteggiamento Bloch contrappone il carattere determinato di ogni
dato, che non esiste se non come parte di un processo scandito dalla
diade soggetto-oggetto. "I dati di fatto in quanto tali Marx li
riconosce così poco come Hegel; per lui, essi non son che
momenti dei vari processi. E questa processualità fa si che
ogni conoscenza abbia il proprio tempo...Il soggetto che comprende
è, nell’interazione dialettica, rinviato alla scadenza o
maturità storica dell’oggetto da comprendere." Il
soggetto di Marx, cioè, è tutt’uno con la storia
reale, e perciò non sarà mai il depositario di un
Sapere Assoluto, capace soltanto di ripercorrere attraverso il
pensiero un passato definitivamente concluso.
Anche in Bloch l’interpretazione di Hegel attraverso Marx diviene ben presto la base per un giudizio articolato e concreto sul valore progressivo del pensiero hegeliano. Però, a differenza di molti altri interpreti marxisti, Bloch non si serve di distinzioni schematiche e divenute stereotipate, come quella tra sistema (reazionario, sorpassato) e metodo (rivoluzionario, da attuare). Per Bloch c’è un aspetto dell’hegelismo che va rifiutato, ed è il suo atteggiamento ‘antiquario’, la tendenza a conciliare i contrasti del presente nel ricordo del passato e a partire del passato. L’idea di totalità, di un tutto compiuto e definitivo che domina, sin dall’inizio, il processo della vita storica, ha un carattere regressivo e paralizzante, perché sostituisce all’apertura sul futuro e sul possibile l’immagine di un copione già scritto, di una logica data ‘prima della creazione’. Concepito alla luce di questa idea, che il vero possa darsi soltanto come intero, cioè come un ciclo che si chiude su di sé, che si compie tornando alla propria origine, il pensiero dialettico rivela la sua tendenza ad esorcizzare le inquietitudini del presente, e i suoi fermenti vitali, nella serenità di un pensiero che pensa se stesso. Per questo il riconoscimento della verità nella storia si attua come un’opera continua di ricordo - Bloch richiama l’anamnesi platonica - e di interiorizzazione. La Fenomenologia aveva rivelato che ogni oggettività è interna al processso di attuazione ed auto-appropriazione del soggetto, ma questo soggetto aveva un carattere puramente speculativo, si doveva congedare dalla storia reale per essere se stesso. Il problema posto dal confronto con Marx è dunque quello dell’atteggiamento passivo nei confronti della storia che è contenuto nell’esigenza di un sistema chiuso.
Secondo Bloch, questa problematica attraversa anche la
stessa dialettica, quando diviene un ritmo ternario ripetuto
indefinitamente e riproposto in maniera quasi formalistica. Dopo un
serrato confronto con la dialettica materialistica di Marx, la
conclusione inevitabile è che "..è impossibile che
tutti questi volti antiquari di Hegel si armonizzino con la prassi
trasformatrice. Perciò gli elementi di presa sulla
realtà, per quanto siano indissolubilmente connessi al metodo
di Hegel, sono un’anomalia rispetto al sistema di Hegel, in quanto
sistema chiuso. Tanto meno, però sono un’anomalia rispetto al
processo dialettico in cammino in questa filosofia, e meno che mai
rispetto al suo concreto concetto di lavoro. E così la
dottrina hegeliana...ha un necessario punto di contatto con la
concezione marxiana della teoria-prassi." In Hegel ci sono
cioè degli spunti veramente critici che premono verso la
futura elaborazione di un metodo dialettico-materialistico.
L’oggettività dei fenomeni, la loro indipendenza, è
comprensibile solo all’interno della mediazione dialettica,
cioè come un prodotto dello stesso soggetto - come processo e
come lavoro, quindi. Tuttavia il significato finale della dottrina
hegeliana è gravemente condizionato dal suo misurarsi su un
passato considerato come la verità ultima del comprendere, in
cui l’apertura al nuovo e all’inedito costituisce una minaccia per
la coerenza logica e dialettica del pensiero. La
discontinuità - quella discontinuità che si presenta
in ogni momento critico della storia - è espulsa con gli
stessi argomenti idealistici, perché bisogna offrire alla
comprensione un tutto privo di lacune che, per Bloch, rischia di
costituire nient’altro che un’immane tautologia. "La sostanza in
quanto soggetto di Hegel ha soggiaciuto infine alla tautologia, e il
processo hegeliano, malgrado le immani tendenze notate all’irruzione
verso il nuovo, si è piegato a prender le misure di
ciò che è stato, all’antiquariato"
4.3.2 Il valore storico permanente della filosofia hegeliana per
Bloch
La filosofia di Hegel, esaminata dal punto di vista materialistico
di Bloch, risulta essenzialmente ambigua, e contiene in molti casi
soluzioni incompatibili; la dialettica da un lato evoca il divenire
come forza che annienta ogni cosa, rendendola momento di un processo
sempre aperto. Dall’altro, un Logos totalizzante e presente prima
della cosa come significato e termine ultimo del suo nascere e
morire (panlogismo), rende il divenire stesso un nonsenso. Nella
dialettica sono presenti tanto la tendenza alla cristallizzazione
concettuale quanto la dinamica di uno sviluppo ininterrotto, quindi
sottratto alla circolarità della chiusura logica. Bloch
è stato il primo pensatore marxista a dimostrare che la linea
di demarcazione tra un Hegel conservatore ed un Hegel attuale e
progressivo coinvolge tanto il sistema quanto il metodo. Il sistema,
infatti, non viene esposto se non attraverso un processo sempre
aperto e rinnovato, che indica attraverso i suoi contenuti
concettuali la fluidità della vita, meglio ancora della vita
umana, sempre imperfetta e sempre proiettata sul futuro. "E’ la
fluidità dei concetti, è questo elemento assolutamente
storico e in divenire, il luogo in cui la dialettica di Hegel ha la
sua vita ed esprime e costituisce il contenuto della vita...La
dialettica rimane dunque un processo senza tregua di
compenetrazione, rimane esposizione del movimento immanente al
concetto mediante la sua negatività."(68)
Quindi, per Bloch, se il sistema si qualifica come il luogo
originario della dialettica, è anche vero che il sistema
esprime, al tempo stesso, l’attitudine della filosofia ad esprimere
la ricchezza della realtà attraverso il nesso articolato di
concetti che rinviano l’uno all’altro in una struttura compiuta. Il
significato finale dell’idealismo non potrà essere che quello
di un monologo in cui si fondono tutte le differenti forme
dell’opinione e della conoscenza già attuate; il suo ruolo
sarà contrassegnato da un atteggiamento passivo,
‘antiquario’, nei confronti della storia e quindi del lavoro umano,
che della storia è il vero soggetto. Tuttavia il senso del
processo, dello sviluppo all’interno del sistema, rende possibile
anche un’altra soluzione, espressa dal materialismo dialettico
marxiano. La dialettica hegeliana è la mediazione tra
soggetto e oggetto, ma anche tra il compiuto e l’incompiuto, tra il
passato e l’utopia. L’ampiezza di questa mediazione, la dimensione
cosmica dell’idealismo, ha fatto sì che essa venisse
presentata come un qualcosa che era già stato portato a
termine, in modo tale da richiudere la ricchezza della storia e
della natura nell’autocelebrazione dello spirito. Il senso del
presente, così come la sua comprensione, sono così
legati alla mediazione con il passato, e soltanto con esso. Tuttavia
la dialettica, in quanto esprime contenuti reali e storici, va al di
là di questa presunzione della compiutezza dei tempi, che
toglie ogni senso al futuro. "Nel sistema concettuale hegeliano il
futuro non ha il suo posto e tuttavia lo ha, in quanto questo
sistema, che si offre continuamente compatto, quindi del tutto
concluso, lascia vedere dappertutto tante scintille e tanto futuro,
invece che semplicemente il passato nel passato, che alla fine della
filososfia hegeliana è più che matura l’applicazione
del pensiero del processo alla dottrina dello stesso Hegel....Nella
filosofia hegeliana c’è materia esplosiva, qui il futuro ha
trovato la sua grande fortuna nel fatto che il passato è una
sua mediazione; e che il pensiero ora non balza più ardito e
astrattamente utopico nel totalmente altro, nel totalmente
nuovo..." L’esposizione sistematica del processo dialettico
viene vista in questo senso come l’esplorazione e la scoperta del
nuovo nel pensiero, cioè attraverso di esso e all’interno di
esso; l’ispirazione materialistica di Marx è già
presente allo stato embrionale.
La dialettica è quindi anche prefigurazione del possibile, proiezione utopica sul futuro. Soltanto la sua pretesa di darsi come la compiutezza dello spirito del mondo, attuattosi nel tempo (passato), ne sminuisce la dimensione liberatoria. Mostrare la realtà della storia nella sua dinamica aperta significa scoprire il nuovo, l’anticipazione, all’interno di essa. L’irruzione di una novità radicale si presenta in modo discontinuo nella storia della cultura, nella politica, ecc.. Soltanto il contenuto teorico e pratico della dialettica può fare di questi momenti la prova concreta dell’incompiutezza di ogni presente, e soprattutto delle virtualità che esso contiene. E’ invece l’aspirazione alla compiutezza dei tempi, quando pretende di realizzarsi come storia cosmica dello spirito, che mette sullo stesso piano tutto ciò che è passato, in quanto morto e superato. L’anima più genuina della dialettica, che rivive in Marx, rivela che non tutto ciò che fa parte del passato è, perciò, morto, perché i salti incompiuti nella direzione del futuro, anche se orientati verso un fine, vengono ripercorsi in vari sensi ogni volta che si rompono le barriere del presente dato. Tutto ciò che una volta si è presentato in radicale discontinuità con il tempo attuale tende a ripresentarsi come possibilità, come tendenza, in ogni epoca a venire. In Bloch, quindi, la dialettica viene restituita al suo senso concreto attraverso la nozione di bisogno, di tendenza (il conatus di Leibniz, che viene recuperato nella sua impronta più decisamente materialistica). "...persino in Hegel è un elemento completamente diverso dallo spirito a costituire il lievito della dialettica. Però solo quando si presenta come dialettica reale, senza panlogismo, senza mitologia concettuale. L’impulso effettivamente dialettico è il bisogno; esso solo, in quanto non appagato, non soddisfatto mediante il mondo che è divenuto di volta in volta per lui, fornisce la contraddizione che scaturisce ed esplode sempre di nuovo."
Il
bisogno, il senso della mancanza che porta al superamento e alla
negazione del presente dato, è la capacità di sentire
il possibile ed il tendenziale all’interno del momento vissuto. La
produttività del soggetto umano è inseparabile, in
Bloch, dal senso del momento presente come incompiutezza ed
insufficienza. Ben altrimenti che lo Spirito, soddisfatto di
sé nella mente del saggio che ne contempla l’essere-divenuto
nell’orizzonte esclusivo del passato, è il desiderio a
costituire il fondamento soggettivo e rivoluzionario (cioè
orientato allo sprigionamento delle forze produttive e al
dissodamento della continuità temporale) nella dialettica.
"Se il bisogno, come pure la facoltà attiva, contraddicono la
vecchia forma di esistenza, diventano esplosivi, contengono la
vocazione al futuro, cioè al gradino successivo che toglie
relativamente la contraddizione. Questa è l’origine esplosiva
della dialettica, un’origine dal bisogno, dalla forza produttiva,
dalla speranza, non dal puro spirito."(71). La mediazione di finito
e assoluto, soggetto ed oggetto, trova quindi nell’utopica
affermazione della forza del futuro all’interno del presente la sua
realizzazione, e questa affermazione implica un continuo
riconoscimento della dissonanza, dell’imperfezione e dello
squilibrio in ogni accadere. Senza un simile riconoscimento, la
dialettica non sarebbe stata formulata: essa costituisce già
il modello per un pensiero pensiero utopico, radicale,
materialistico.
SCHEDE SUGLI INTERPRETI
Queste brevi note sono fatte per agevolare la comprensione delle
singole interpretazioni, sia per quanto riguarda il loro rimando
reciproco che per quanto riguarda la specificazione del percorso
formativo di ogni singolo autore. In ognuno di essi, infatti,
l’hegelismo è la fonte o lo stimolo per lo sviluppo di
problematiche filosofiche attuali, cioè leggibili all’interno
del percorso filosofico novecentesco.
Jean Wahl (1888-1974)
Allievo e uditore di Lévy-Bruhl, Brunschvicg e Bergson, ha
dato nuovo nuovo vigore agli studi hegeliani in tutta Europa col suo
testo sulla coscienza infelice (La coscienza infelice nella
filosofia di Hegel, 1929). Il tema esistenzialistico
dell’irriducibilità dell’esperienza vissuta ad ogni
giustificazione razionale diviene un nuovo ed inedito tramite per
l’assimilazione dei contenuti più discussi delle opere
giovanili. Sebbene Wahl prenda le mosse dall’interpretazione
romantica e mistica degli scritti giovanili, il suo discorso va ben
oltre la collocazione di questi ultimi nel contesto del
contemporaneo dibattito romantico sulla religione e sul divino.
Le posizioni che caratterizzano questa interpretazione, infatti,
sono sempre animate dallo sforzo di restituire per intero e senza
compromessi l’ispirazione originaria del pensiero hegeliano. Questi
tentativi sono alimentati dalla convinzione che vi sia in Hegel un
nucleo non-razionale, una specie di sentimento, e che esso
costituisca il centro e l’ispirazione permanente delle grandi
formulazioni metafisiche della maturità. Wahl vuole
ricomporre il senso dell’esperienza religiosa, contenuto negli
scritti giovanili, con la maturazione propriamente filosofica del
pensiero dialettico. Hegel, che considerava ogni mescolanza tra la
vita personale e l’attività scientifica come un che di
inammissibile (una volta rispose ad una sua ostentata ammiratrice:
"tutto ciò che vi è di personale nella mia filosofia
è da considerarsi falso"). La tesi di Wahl - in questo quasi
provocatoria - è che, al contrario, il nostro pensatore era
stato spinto a filosofare da una particolare sensibilità per
il dolore espresso dall’esperienza religiosa. Non bisogna pensare
che così Hegel venga consegnato ad un biografismo sterile: il
contenuto dell’infelicità religiosa - il senso del mondo come
dolore, separazione - va ritrovato all’interno della logica
dialettica, perché ne costituisce la linfa vitale. Logica che
è tutta tesa tra esperienza interiore e concettualizzazione,
così come la stessa fenomenologia ha il suo nucleo
imprescindibile nella figura della coscienza infelice. Il sentimento
religioso si poe attraverso un’ambivalenza essenziale: è al
tempo stesso anelito al superamento del dolore e approfondimento del
dolore. Soltanto la dialettica può spiegarne le implicazioni:
una coscienza che si dà come rottura e separazione tra
sé e il divino, è anche, al tempo stesso
consapevolezza implicita della lacerazione all’interno del divino.
Hegel, non a caso, è il primo pensatore che ha trovato la
scissione nell’Assoluto, che ha pensato l’Assoluto a partire da
questa scissione. Il peccato vale innanzitutto come un’esperienza
dell’opposizione (tra la mutevolezza dell’umano e
l’immutabilità del divino), e acquista un significato ancora
maggiore allorché il riconoscimento dell’opposizione esprime
l’esigenza di una riconciliazione profonda dell’umano col divino,
dell’esistenza con l’essenza. Il cristianesimo, la religione della
morte di Dio, esprime già nelle sue etreme conseguenze la
separazione profonda tra mutevole e immutabile; ma lo sviluppo
dialettico non fa che descrivere come la separazione si
approfondisca sino a farsi inglobamento dell’opposto, e quindi
unità restaurata. L’analisi teoretica della coscienza
infelice, quindi, tiene sempre presente il piano dei contenuti
culturali impliciti nella costruzione di una logica della vita
interiore (il medioevo mistico, il romanticismo). La lettura di Wahl
si nutre della riscoperta del mondo dell’esperienza umana attuata in
ambito esistenzialistico, ed ha costituito un termine di confronto
imprescindibile per gran parte degli altri autori considerati, in
particolare per Kojève e Hyppolite (v. sotto).
Alexandre Kojève (1902-1968)
Moscovita emigrato dall’URSS, Kojève ha una formazione
eterogenea, che ha il suo perno negli anni ‘20. In questi anni,
infatti, dopo aver studiato alcune lingue orientali e la storia
delle religioni (in particolare il buddismo), si unisce a Parigi al
circolo di intellettuali slavi di orientamento husserliano, tra i
quali va ricordato Koyré. L’incontro con quest’ultimo
è denso di conseguenze per la cultura filosofica,
perché era stato Koyré, nell’ambito di un seminario di
scienze religiose all Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, ad
iniziare un corso sulla Fenomenologia, per poi far subentrare
Kojève al suo posto. Il corso di Kojève durò
dal 1933 al 1939, e oltre allo studio puntuale della terminologia
hegeliana (i francesi non disponevano di traduzioni veramente valide
delle principali opere hegeliane) ebbe come risultato immediato
quello di dare una nuova portata all’influenza hegeliana nella
Francia esistenzialista. Gli appunti delle lezioni vennero raccolti
e sistemati da R. Queneau sotto il titolo: Introduzione alla lettura
di Hegel (1947). Come più tardi Heidegger, Hegel pensa
l’essere a partire dall’uomo, e pensa l’uomo a partire dalla morte:
su questa traccia, più o meno, si svolge il commento di
Kojève. L’uomo è l’unico essere consapevole di
sé e della propria mortalità; quindi è a
partire dalla morte che si penserà l’essenza dell’uomo. La
morte, per Hegel, ha un significato diverso se considerata come
fatto naturale oppure come fatto saputo. La coscienza che sa di
potersi annientare, infatti, non può porre al di sopra di
sé alcun valore, e anzi può affermare il proprio
valore assoluto-cioè indipendente dalla datità
naturale - proprio confrontandosi con la possibilità della
propria morte. L’affermazione del proprio desiderio e della propria
soggettività passano attraverso un altro soggetto, come
riconoscimento da parte di quest’ultimo. L’autocoscienza, nella
Fenomenologia, viene descritta come il prodotto di una lotta
mortale, perché il soggetto può porsi come valore
superiore per un altro soggetto soltanto correndo il rischio del
proprio annientamento. La dialettica servo-padrone, compresa a
partire dalle nozioni di lavoro e di riconoscimento, esprime il
tentativo di fondare un’ontologia dell’essere finito, indipendente
da qualsiasi contenuto trascendente e concentrata sulla creazione di
significati umani attraverso il mondo storico. Il desiderio e
l’attività negatrice vi si trovano correlati: il soggetto
è richiamato a sé dal desiderio, ma al tempo stesso
questa coscienza di sé deve riversarsi nel reale negando il
presente dato in funzione dell’appagamento futuro. I caratteri
principali dell’attività (come lavoro) e della storia (come
lotta) testimoniano la finitezza dell’uomo, essere che deve
determinarsi portando la negazione nell’esistente. Per dirla con
Hegel - una frase che Kojève cita spesso: "l’uomo è
sempre ciò che non è e non è mai ciò che
è." La descrizione hegeliana, per Kojève, non
può essere fraintesa nella sua portata ateistica,
perché le alternative che scandiscono il ritmo della
dialettica dell’autocoscienza eliminano alla radice la
possibilità di un mondo trascendente, di un Aldilà. Il
mondo umano è determinato, finito alla radice; lungi dal
costituire un limite estrinseco, la morte ne circoscrive le
possibilità peculiari. E la filosofia, dal canto suo,
testimonia la finitezza della stessa storia umana; se la storia ha
un contenuto razionale, questo può essre riconosciuto e
ricostituito solo al suo termine: e se la filosofia hegeliana
è vera, la storia è finita. Non c’è storia
né vita umana senza un rapporto attivo con la
mortalità, non c’è filosofia senza riconoscimento
dell’essere come finitezza, cioè come accadere storico.
Jean Hyppolite (1907-1968)
Le influenze di Hyppolite si raccolgono intorno ai nomi di Bergson,
Marx e Freud, oltre all’insieme del movimento esistenzialistico.
L’incontro con Hegel avviene mediante le interpretazioni di Haering,
Kroner e Glockner (il primo a contrapporre, in Hegel, la primitiva
visione ‘pantragistica’ al successivo ‘panlogismo’ che ne
costituisce l’esito filosofico, una prospettiva che Hyppolite tiene
costantemente presente). A questi vanno aggiunti comunque Wahl e
Koyré. Il suo progetto di una traduzione e di un ampio
commento alla Fenomenologia lo tiene impegnato dal 1930 al ‘46
(Genesi e struttura della ‘Fenomenologia dello Spirito’ di Hegel,
1946); si tratta di un’esperienza intellettuale che non matura
attraverso una definizione precostituita della fenomenologia, sia
essa ontologico-esistenziale, materialistica o altro. Hyppolite non
vuole provare qualcosa di nuovo sul metodo di esposizione adottato
da Hegel. La sua parafrasi, piuttosto che a far emergere le
coordinate della prospettiva panlogistica, è mirata
all’esplicitazione diretta e circostanziata dei contenuti culturali
e filosofici di volta in volta sottintesi in ciascuna parte. L’opera
di Hegel viene esaminata come una comprensione del mondo storico il
più possibile attinente ai caratteri della realtà
umana, i cui tratti sono espressi attraverso la forma della
coscienza. L’interpretazione di Hyppolite ha due caratteristiche
dominanti, che la distinguono da tutte le altre: la sua
problematicità (cioè il fatto che non procede da
un’esigenza filosofica formulata esplicitamente, e resta aperta a
soluzioni divergenti); il suo netto orientamento nella direzione di
un umanesimo radicale e non-marxista. Queste due caratteristiche si
possono osservare all’interno della sua interpretazione del giovane
Hegel: la sua rottura con interpretazione mistico-romantica non si
consolida in un approccio materialistico. Secondo Hyppolite, le
nozioni impiegate negli anni giovanili, soprattutto quella di
spirito-di-un-popolo, esprimono lo sforzo di concepire le condizioni
e gli influssi culturali (religiosi) all’interno di dinamiche
storiche concrete. Una tendenza che anima anche le complesse
descrizioni della Fenomenologia, sempre orientate alla comprensione
dell’uomo come criterio e misura del mondo storico reale. A questo
punto si collega però il predominio della dimensione
interiore, della coscienza, nella considerazione dell’essenza umana.
La radicalizzazione dell’umanesimo è quindi una tendenza
fondamentale dello hegelismo, ed uno dei motivi originari del
pensiero marxiano. Tuttavia quest’ultimo può affermarsi
soltanto togliendo la consapevolezza dell’alienazione come
condizione costitutiva dell’essenza umana nel suo darsi
oggettività. Riducendo l’alienazione ad un assetto
economico-produttivo determinato, il marxismo ha quindi travisato lo
hegelismo e si è sbarazzato di una sua ambiguità
principale.
Herbert Marcuse (1898-1979)
Laureatosi con Heidegger nel 1921, Marcuse è noto per il suo
impegno nell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte e per la
sua critica alla civiltà induztriale avanzata, che lo rese un
padre spirituale della contestazione. La formazione hegeliana di
Marcuse è testimoniata principalmente da due testi:
L’ontologia di Hegel e la teoria della storicità (1932), e
Ragione e Rivoluzione (1941); soltanto il secondo è stato
preso in considerazione. Il testo sull’ontologia di Hegel ha per
argomento la parentela tra il concetto di storicità (passsato
da Dilthey nelle mani del primo Heidegger) e la spiegazione
hegeliana del movimento come carattere dell’essere. Il testo
è molto legato al contesto filosofico tedesco del tempo e al
dibattito sullo storicismo; gli influssi heideggeriani, come in
altri scritti del periodo, sono notevoli. Soprattutto, il rapporto
con Marx è praticamente assente, perché il lavoro ha
come argomento la derivazione delle tesi diltheyane sulla
storicità e sulla vita dalla logica hegeliana.In Ragione e
Rivoluzione (scritto negli USA, dove Marcuse emigrò poco
prima dell’atacco alla Germania) il confronto con Hegel ha un altro
senso e un altro valore: Marcuse vuole rendere infondata ogni accusa
di autoritarismo e di parentela indiretta col fascismo nel grande
pensatore. Egli riconduce storicisticamente le tendenze autoritarie
della Filosofia del Diritto alle contraddizioni della società
ottocentesca, il cui limite storico era l’affermazione della classe
media e dei suoi valori (la libertà dell’individuo, la
proprietà privata ecc.). Il superamento del liberalismo, in
Hegel, avviene tanto poco nel senso del fascismo, quanto
l’affermazione di un forza pubblica come mediatrice dei rapporti
economici resta nel quadro dell’idea dello Stato prevalente
all’epoca della Restaurazione; di uno Stato, cioè, che
garantisce la sicurezza della persona e della proprietà. A
questo punto Marcuse riprende le fila della questione per
estrapolare l’alternativa tra l’accettazione dell’esistente e la sua
critica, elaborando tendenze opposte presenti all’interno della
filosofia di Hegel. L’idealismo infatti è al tempo stesso
critica del senso comune, negazione delle sue sicurezze, ma anche
riconciliazione con l’esistente, cioè idealizzazione dei suoi
strumenti politici (lo Stato,che detiene il diritto dello Spirito
Oggettivo). Ma il nucleo razionale (in senso forte) dell’idealismo
sta nella sua concettualizzazione del soggetto come libera
autoproduzione, inglobamento dell’oggettività. L’io, negando
l’esistenza indipendente dell’oggetto, lo rende propria
determinazione, mezzo della sua realizzazione come soggetto. E
questa prospettiva, che ingloba nel senso del reale il momento
negativo del ‘lavoro’ umano, sarà la base filosofica sulla
quale Marx riconoscerà i tratti dominanti dell’età del
capitalismo. Un concetto, che in Hegel è ancora idealistico
perché deve modellarsi sulla sua società e su di un
particolare stadio dell’affermazione storica della borghesia, assume
un nuovo valore con l’applicazione in Marx del metodo dialettico. La
storia, che nel primo ha favorito la chiusura sistematica, ridiventa
nel secondo il riconoscimento della non-razionalità del reale
e, simultaneamente, della forza della negazione, intesa come
principio creativo e motore della realtà. Ora, in Marx,
questo motivo si innesta sul riconoscimento della dissonanza
all’interno del reale, di una società incapace di esprimersi
veramente come l’universale libertà postulata dall’idealismo.
Ma tale dissonanza non esprime altro che la necessaria dissoluzione
dei rapporti sociali capitalistici, se pensata in termini
dialettici. La parentela del marxismo con la ragione hegeliana,
fattasi metodo di critica sociale, giustifica secondo Marcuse
l’impiego della dialettica come criterio discriminante per giudicare
sul valore reazionario o progressivo in ambito di scienze sociali e
di teoria politica.
Ernst Bloch (1885-1977)
Il pensiero di Bloch matura, in Germania, accanto alla rinascita del
kantismo e alla ripresa della filosofia kierkegaardiana. La sua
adesione attiva al movimento comunista e al marxismo è legata
allo scoppio della Grande Guerra. L’incontro con Hegel toglie dalla
filosofia di Bloch-che rappresenta una meditazione sul significato
dell’utopia nella modernità, alla luce dell’ebraismo- ogni
ascendente kantiano. Su un altro fronte, condiziona un nuovo
interesse per l’atteggiamento verso l’eredità hegeliana
presente in Marx. Il suo lavoro su Hegel (Soggetto-Oggetto. Commento
a Hegel, 1949) è il coronamento di uno studio attivo e
serrato, inteso come ricerca continua di quegli elementi che, nel
classico, fanno ancora presa sul presente storico e soprattutto sul
futuro. Il giudizio di Bloch su Hegel quindi non può essere
separato dal carattere della sua riflessione, e soprattutto dal suo
particolare orientamento marxista. Il significato profondo di ogni
grande pensiero sta nella sua inesauribile capacità di dare
un senso nuovo ai dilemmi del presente, e di coglierlo quindi a
partire dalle possibilità che lo rendono aperto al futuro.
Questo, che è anche il postulato di ogni seria disciplina
storico-filosofica, vale in particolare per il pensiero hegeliano e
per il passagio da Hegel a Marx. Il rovesciamento materialistico
della dialettica implica la sostituzione della materia-sin da
Aristotele, con l’eccezione del meccanicismo sei-settecentesco,
principio dinamico e quindi aperto sul futuro-dallo
spirito-sopratutto in Hegel, tendenzialmente chiuso, identico con
sé e autosufficiente. Sarebbe fuorviante negare quegli
elementi, spesso eterogenei alla prospettiva del sistema hegeliano,
che attuano una visione aperta sul futuro, che lasciano intravedere
la dimensione dell’utopia come liberazione del possibile a partire
dal reale. La negatività della dialettica, per Bloch, rimanda
a quella nozione di bisogno che aveva già trovato nel
Simposio di Platone una sua tematizzazione approfondita. La
dialettica, cioè, come impulso incessante alla negazione di
ciò che è, quindi come movimento orientato da
ciò che non è ancora, si ricollega direttamente al
significato della prassi umana, sempre condizionata dalla speranza,
dal desiderio, dal sentimento del presente come mancanza e
parzialità. Ma questi motivi, comunque presenti
implicitamente in tutto Hegel, vengono perlopiù vanificati
dall’esigenza di un Logos che ritorna tautologicamente su di
sé, di un sapere che si afferma come chiusura definitiva.
Commentare Hegel significa quindi, per Bloch, mostrare tanto
all’interno del sistema quanto all’interno del ‘metodo’ dialettico
(Hegel non ha mai parlato di un metodo dialettico: la distinzione si
sviluppò all’interno dei radicali hegeliani, cfr. cap. 4,
nota 1) quegli orientamenti non proprio espliciti che si ricollegano
al futuro, in primo luogo allo sviluppo in senso materialistico
della nuova logica.
Giorgy Lukàcs (1885-1971)
Dopo una formazione a contatto con il clima filosofico e letterario
mitteleuropeo e una riflessione estetica originale, Lukàcs
incontra la dialettica attraverso una riflessione sulla
civiltà moderna e una scelta di campo di carattere politico.
In Lukàcs, interlocutore e amico di Bloch, è veramente
difficile separare l’influenza hegeliana dalla militanza ideologica
e dall’adesione teorica al marxismo. Il caso è
pressoché unico, perché il marcato hegelismo del suo
saggio Storia e Coscienza di Classe, del 1923 (attiratosi subito
l’inimicizia dei dirigenti sovietici) ha un significato immediato
anche per la storia ideologica costituendo la piattaforma della
corrente antirevisionistica nel marxismo teorico. Per questi motivi
- e per altri ancora - non abbiamo potuto toccarlo nella nostra
rassegna; tuttavia qui un accenno non guasta. Il testo che inaugura
la compromissione dell’opera lukàcsiana con le sorti storiche
del comunismo ha una forte impronta metodologica. Si tratta di
rifondare la dialettica alla luce del categoria di totalità,
e quindi di ripercorrere il marxismo rivoluzionario in funzione del
rapporto Hegel-Marx. La continuità diretta tra il concetto di
alienazione e quello di reificazione, il quale trova un impiego
diretto nella critica della merce, ha proprio questo significato. In
seguito, la necessità di combattere le interpretazioni
prevalenti del giovane Hegel costituì l’occasione per un
ripensamento del filosofo, anche mediante il confronto diretto con i
testi del giovane Marx (è curioso notare che
l’interpretazione del marxismo nel testo citato convergeva su molti
punti con le opere marxiane giovanili, i cui contenuti divennero
pubblico dominio quasi 10 anni dopo). La tesi che guida tutto il
libro (Il giovane Hegel, 1954) è quella secondo cui la
dialettica hegeliana è nata non da una problematica
religiosa, ma dalla riflessione sull’economia e sulla conseguente
considerazione contraddizioni della società borghese del
primo ‘800. Anche se trascura la natura più filosofica e
teologica dei testi hegeliani giovanili, Lukàcs rende
possibile una corretta lettura anche in senso politico, cosa ardua,
almeno a partire dalle interpretazioni correnti. Per Hegel il
cristianesimo costituiva una risposta alla crisi dello Stato antico,
nel senso che ponendo l’accento sulla dimensione interiore, limitava
il senso della politica alle azioni esteriori. Hegel era quindi
consapevole di quanto l’alienazione religiosa, interpretata come un
destino (che è anche il destino del cristianesimo di farsi
chiesa, istituzione positiva), contribuisse alla condizione della
modernità. Dal destino Hegel cerca di pervenire alla
società borghese, ed in tale modo sperimenta le prime forme
di dialettica. La lettura brevemente presentata poneva di nuovo
l’hegelismo (anche nella sua fase di formazione) tra le fonti
classiche del marxismo, soprattutto nella misura in cui il giovane
pensatore dialettico appare già un critico dell’economia
politica, perché esamina dialetticamente le categorie
economiche tradizionali.