GUERRI, Domenico

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di Saverio Bellomo

Nacque ad Anghiari, presso Arezzo, il 20 genn. 1880 da Guido e da Prisca Vignoli. Dopo avere frequentato il seminario di Sansepolcro, si perfezionò nel R. Istituto di studi superiori di Firenze, sotto la guida, fra gli altri, di G. Vitelli e G. Mazzoni. Il 13 ott. 1903 conseguì la laurea in lettere. Avendo vinto, nel 1908, il concorso per l'insegnamento di materie letterarie nelle scuole medie superiori, fu incaricato a Isernia, due anni dopo a Lucca e quindi a Caserta. Richiamato durante la prima guerra mondiale sotto le armi con il grado di sottotenente (ma dopo il congedo raggiunse quello di maggiore), combatté sul Carso dove rimase ferito al braccio destro, ottenendo la medaglia di bronzo. Alla fine del conflitto, poté trasferirsi a Firenze come insegnante di italiano e latino presso il liceo scientifico. Raggiunse la nuova sede con la moglie Bianca Marcolongo, che aveva sposato il 29 ott. 1917 e da cui ebbe i figli Guido, Annamaria e Sofia.

A seguito di una assidua attività di ricerca, ottenne la libera docenza. Sfumata la nomina a preside del liceo scientifico per motivi politici, essendo noto come antifascista, nel 1932 andò a insegnare materie letterarie al liceo artistico.

La ricerca e la frequentazione dell'ambiente universitario fiorentino lo portarono ad avere stretti contatti e scambi con letterati e intellettuali. Tra essi vanno ricordati in particolare B. Croce, E.G. Parodi, G. Vandelli, M. Barbi, L. Russo, D. Provenzal.

L'attività di ricerca del G. iniziò con la sua tesi di laurea, Di Papia e dei lessici enciclopedici. Contributo di ricerca per la storia della cultura del Basso Medio Evo, e tale lavoro lo mise a contatto con le fonti principali del sapere medioevale.

Di qui nacquero, tra il 1904 e il 1908, i primi lavori su specifici luoghi danteschi, che, usciti in rivista, furono subito raccolti nel volume Di alcuni versi dotti della Divina Commedia, Città di Castello 1908. Tra essi ricordiamo in particolare i saggi Papé Satan, papé Satan aleppe!, La lingua di Nembrot (Inf., XXXI, 67), e Cinquecento diece e cinque (Purg., XXXIII, 43), in cui il G. si cimentò, partendo dalla solida base di una ampia ricerca erudita, con tre delle principali cruces interpretative dantesche, delle quali propose originali soluzioni. L'esordio fu dei più promettenti e in linea con le moderne metodologie della dantistica fiorentina, ancorate ai dati e alla filologia; anche se da subito si ravvisava nel giovane G. una certa tendenza a staccarsi dalla documentazione per consentire, nel libero gioco dell'intelligenza, l'affacciarsi di ipotesi seducenti, ma non sempre economiche.

L'incontro con Dante comportò anche l'incontro con i primi commentatori della Commedia, e tra questi in particolare con G. Boccaccio, autore di Esposizioni sui primi diciassette canti dell'Inferno.

Il testo del commento era leggibile in edizioni poco attendibili, sicché, dopo una prima ricognizione dei caratteri dell'opera (Caratteri e forma del "Comento" di Giovanni Boccaccio sopra la Commedia di Dante, Braga 1913), il G. ne procurò un'edizione critica per la collana "Scrittori d'Italia" (Il Commento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante di G. Boccaccio, Bari 1918) e infine un saggio in cui giustificò le sue convinzioni e i suoi criteri editoriali (Il Commento del Boccaccio a Dante. Limiti della sua autenticità e questioni critiche che ne emergono, ibid. 1926). L'edizione è inficiata dal pregiudizio che il commento non sia interamente di Boccaccio, ma parzialmente frutto di un rifacitore tardotrecentesco (Grazia Castellani, il cui nome compare in un manoscritto probabilmente in qualità di semplice copista); di qui l'editore racchiude tra parentesi quadre tutte le presunte interpolazioni, costituite a suo avviso da alcune considerazioni di carattere moraleggiante e soprattutto dai passi che deriverebbero da altri commentatori, quali Francesco da Buti, Filippo Villani e il cosiddetto Anonimo fiorentino, laddove il rapporto di dipendenza va sicuramente rovesciato.

Tali tesi e tale edizione vennero subito fortemente contestate da Vandelli che, in un ampio e circostanziato intervento (G. Vandelli, Su l'autenticità del Comento del Boccaccio, in Studi danteschi, XI [1927], pp. 5-120), ne dimostrò l'inconsistenza; G. Padoan riprese questa linea e procurò una nuova e più fondata edizione, chiudendo con prove definitive la questione della presunta falsificazione (G. Padoan, Per una nuova edizione del "Comento" di G. Boccaccio, in Studi danteschi, XXXV [1958], pp. 140 s. e 182-249; Tutte le opere di G. Boccaccio, a cura di V. Branca, VI, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di G. Padoan, Milano 1965).
L'ipotesi, pur infondata, diede però anche esiti positivi, poiché spinse il G. a occuparsi di un settore storico-letterario negletto dalla critica e in gran parte dall'erudizione, vale a dire quello dei fiorentini fautori del volgare della generazione posteriore a Boccaccio.

In questo campo egli raccolse i frutti migliori e più duraturi della sua attività, facendo luce in un panorama letterario sicuramente minore, ma non per questo meno importante per lo sviluppo della letteratura volgare, quale quello della poesia comica e satirica sviluppatasi a Firenze dalla fine del Trecento all'inizio del Quattrocento, in una cerchia ristretta di letterati, quasi tutti di cultura volgare e quindi appassionati di Dante, che si contrapponevano, nonostante alcune inevitabili collusioni, agli intellettuali di cultura umanistica e dunque latina. Nel volume La corrente popolare nel Rinascimento. Berte burle e baie nella Firenze del Brunellesco e del Burchiello (Firenze 1931) il G. scrisse pagine fondamentali per la conoscenza di poeti quali Stefano Finiguerri detto il Za e Domenico di Giovanni detto il Burchiello e per la corretta interpretazione dei testi che rappresentano tale letteratura (come i poemetti Geta e Birria, Studio d'Atene, Buca di Montemorello, Gagno e i cantari dell'Acquettino) densa di doppi sensi e spesso di oscene allusioni.

Fu proprio l'approfondimento dello studio di tali testi che indusse il G. a negare l'autenticità della tenzone poetica tra Dante e Forese Donati, sospettando un falso giocoso compiuto da Giovanni da Prato e Bicci Castellani all'inizio del XV secolo.

Quantunque alcuni argomenti addotti a sostegno siano sostanziati da documentazione di prima mano e siano degni di attenta considerazione, la tesi gode oggi di limitatissimo credito, in quanto non si concilia con la datazione al pieno Trecento, compiuta su base paleografica, del più importante testimone della corrispondenza, il ms. della Biblioteca apost. Vaticana Chigiano L. VIII, 305 (cfr. D. De Robertis, Ancora per Dante e Forese Donati, in Feconde venner le carte. Studi in onore di O. Besomi, a cura di T. Crivelli, Bellinzona 1997, pp. 35-48).

Per quanto il G. sia rimasto sempre legato a Mazzoni e al suo magistero, è da ravvisare anche l'influenza di B. Croce, con il quale intrattenne rapporti non solo professionali.
Dal filosofo napoletano è possibile che abbia derivato una progressiva indifferenza, nella sua maturazione di studioso, nei confronti delle metodologie più rigidamente filologiche in favore di un maggiore ascolto delle ragioni di carattere estetico, privilegiando, nella stessa ricostruzione storica, il bello rispetto al vero. Non per caso le maggiori opposizioni alle sue ipotesi vennero dalla scuola storica fiorentina, rappresentata autorevolmente da Barbi e Vandelli, verso la quale non risparmiò, di conseguenza, alcune frecciate.

Fatto sta che, sulla base di questa impostazione ideologica, una non spregevole prova di carattere filologico doveva venire dall'edizione della Commedia dantesca, affidatagli dallo stesso Croce per la collana "Scrittori d'Italia" (Bari 1933), appunto perché lo stato della tradizione, come avevano da poco dimostrato Vandelli e, in negativo C. Casella, non si prestava a una ricostruzione del testo nella tradizione di K. Lachmann, ma consigliava di intervenire di volta in volta sul singolo luogo, discutendo la varia lectio sulla base delle conoscenze linguistiche e della sensibilità letteraria: caratteristiche ambedue che non mancavano al G., grazie alle quali, partendo dalle edizioni precedenti, fu in grado di restituire un testo giudicato assai pregevole (G. Folena, La tradizione delle opere di Dante Alighieri, in Atti del Congresso internazionale di studi danteschi … 1965, I, Firenze 1965, p. 76).
Non si può passare sotto silenzio, inoltre, una intensa attività di collaborazione, in qualità di recensore, con le più importanti riviste di italianistica del momento: dal Bullettino della Società dantesca, al Giornale storico della letteratura italiana, dall'Archivio storico italiano al Giornale dantesco e a La Rassegna.

Numerose sono infine le edizioni commentate di importanti testi di letteratura italiana destinate in parte alla scuola, in parte a un pubblico di lettori colti ma non specialisti.
Vanno ricordate le edizioni della Vita nuova (Firenze 1921) e di una silloge delle Opere minori di Dante (ibid. 1922), quella delle Commedie di N. Machiavelli (Torino 1932), e della Cronica di D. Compagni (ibid. 1932); infine curò La vita scritta da esso e Il Saul di V. Alfieri (Firenze 1925), Il giorno di G. Parini (ibid. 1929), un fortunato e apprezzabile commento a I promessi sposi (ibid. 1925, 2ª ed. 1929; sul quale cfr. B. Croce, Conversazioni critiche, III, Bari 1932, pp. 255 s.) e Da Omero al Carducci, antologia letteraria per le scuole medie, in collaborazione con E. Piermarini e A. Sainati (3 voll., ibid. 1924-25).

La quasi totalità dei contributi danteschi e i più importanti di letteratura antica sono stati raccolti in Scritti danteschi e d'altra letteratura antica, a cura di A. Lanza, Roma 1990, dove compare anche una completa Bibliografia degli scritti (pp. 405-410).
Il G. morì a Firenze tra il 20 e il 21 giugno 1934.