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Industriale italiano (Biella 1879 - Firenze 1964). È
soprattutto noto come fondatore e presidente (1919-30) della
SNIA-Viscosa; fondò anche l'Unica (industria dolciaria) e
l'Unione Italiana Cementi. Famosa la sua collezione d'arte: la parte
antica (trattata ne La collezione Gualino, I, a cura di L. Venturi,
1926) è conservata quasi integralmente a Torino, Galleria
Sabauda; la parte moderna è stata venduta a seguito di un
tracollo finanziario (1931). Alla figura del collezionista è
stata dedicata una mostra (Torino, 1982). G., inoltre,
pubblicò opere di carattere letterario e, interessante, un
volume di ricordi (Frammenti di vita, 1931).
*
DBI
di Francesco Chiapparino
GUALINO, Riccardo. - Nacque a Biella, il 25 marzo 1879, da Giuseppe,
titolare di una piccola azienda di oreficeria destinata ad avere un
certo sviluppo nei primi decenni del nuovo secolo, e Rina Colombino,
ottavo di dieci fratelli.
La famiglia, pur non particolarmente agiata, non era priva di mezzi
economici e gli consentì di completare con
tranquillità gli studi ginnasiali.
Il G. manifestò allora una certa inclinazione verso la
letteratura, che si tradusse in quella "fede carducciana", come egli
stesso la definì, consegnata poi al volumetto di versi Domus
animae (Bologna 1901).
Terminato il liceo nel 1896, decise di non entrare nell'azienda
paterna, già affollata dai fratelli maggiori, ma di cercare
una strada autonoma nel mondo degli affari. Dopo una prima breve
esperienza in una piccola azienda laniera biellese, accettò
la proposta di A. Bagnara, suo futuro cognato, di recarsi come
apprendista nell'azienda di importazione di legnami americani che
questi gestiva a Sestri Ponente. A Genova il G. rimase circa cinque
anni, durante i quali, tra l'altro, studiò giurisprudenza e
fece il servizio militare.
Nel capoluogo ligure compì il suo apprendistato, sia seguendo
come impiegato l'attività dell'azienda del cognato nel porto
ligure o nella segheria di Sestri, sia sperimentando le sue non
comuni doti di venditore come commesso viaggiatore nei mercati
dell'Italia settentrionale.
Chiuso bruscamente nel 1901 il rapporto con Bagnara, non senza
strascichi legali per via delle accuse da questo rivoltegli di aver
sottratto rapporti e clientela, il G. continuò a lavorare
come viaggiatore di commercio a provvigione per varie aziende,
legandosi in particolare alla ditta Ramponi di Milano.
Per questa, di cui fu anche procuratore, si occupò
dell'importazione di legno d'abete da Trentino, Tirolo e Carinzia,
ampliando per questa via le sue conoscenze nell'ambiente austriaco e
acquisendo una certa esperienza nel campo dello sfruttamento
forestale.
Nel 1904, infine, si trasferì a Casale Monferrato, presso il
cugino Tancredi Gurgo Salice, attivo nel tradizionale comparto delle
calci. Con questo, di cui avrebbe sposato nel 1907 la figlia
Cesarina, e con i futuri cognati Pier Giuseppe ed Ermanno, il G.
avviò un sodalizio che rappresentò sempre per lui uno
dei punti di riferimento più stabili negli affari come nella
vita privata. Con l'approdo a Casale e con la costituzione, nel
1905, della Società in accomandita per il commercio dei
legnami, il cui socio accomandante, nonché sottoscrittore di
maggioranza, era appunto il cugino Tancredi, si chiude per molti
aspetti la fase giovanile della vicenda biografica del Gualino.
Da essa egli uscì con un patrimonio di esperienze
relativamente vasto ma innegabilmente concentrato su un settore
specifico, e con una formazione tutto sommato tradizionale,
riconducibile cioè a un tirocinio essenzialmente pratico nel
mondo degli affari, seppure collegato a un livello di istruzione di
tipo giuridico-umanistico.
A partire dal 1905 il G. avviò, anzitutto, importazioni di
legname pregiato dal Nordamerica, mettendo a profitto le conoscenze
maturate a Sestri e realizzando nei due anni successivi ingenti
utili. Parallelamente cominciò a interessarsi della Banca
agricola di Casale, entrando, probabilmente in occasione
dell'aumento di capitale realizzato proprio nel 1905, nel gruppo
degli azionisti di controllo del modesto istituto. L'anno successivo
entrò in un settore industriale in fortissima espansione come
quello del cemento, concorrendo, con i Gurgo Salice, alla
costituzione dell'Unione italiana cementi.
In rapido sviluppo negli anni successivi, l'azienda sarebbe divenuta
nel 1912 il centro del Sindacato nazionale calce e cementi e, di
fatto, il principale antagonista del gruppo Pesenti di Bergamo sulla
scena nazionale del comparto. Tuttavia, più dell'Unione
cementi, all'interno della quale il G. avrebbe condiviso sempre la
sua posizione di vertice con i familiari e si sarebbe ispirato a
criteri di gestione relativamente cauti e graduali, furono
soprattutto le originarie attività nel settore dei legnami a
far da volano al vasto giro d'affari che lo portò alla
ribalta delle cronache economiche e finanziarie.
Dopo una falsa partenza, nel 1907, con l'acquisizione della tenuta
di Conca, nella Corsica meridionale, che si sarebbe rivelata di
difficile sfruttamento, agli inizi del 1908 egli fece confluire la
Società anonima per il commercio dei legnami, creata per tale
impresa, nella sua precedente accomandita, costituendo la nuova
Società anonima Riccardo Gualino, con 5 milioni di lire di
capitale.
Suoi partners nella nuova società, come nel precedente affare
corso, erano, oltre ai Gurgo Salice, che mantennero tuttavia una
posizione un po' defilata, alcuni fra gli amministratori della Banca
agricola, il pisano L. Ottina, pure attivo nel settore dello
sfruttamento forestale, ed Erminio e Gaudenzio Sella, nipoti di
Quintino, ed esponenti della piccola ma assai solida e stimata Banca
Sella di Biella, con la quale il G. intratteneva probabilmente
rapporti già da tempo. La nuova anonima si lanciò
immediatamente in una serie di spettacolari acquisizioni in Europa
orientale, entrando in possesso nello stesso 1908 dei 20.000 ettari
della tenuta di Listwin, in Volinia (Ucraina occidentale), di tre
concessioni del governo rumeno su altrettante aree boschive nei
Carpazi orientali (Casin, Soveja e Tulnici, per 7000 ettari
complessivi) e, l'anno successivo, della tenuta di Szekler, nei
pressi del passo di Ghimeş, poco a nord delle precedenti.
Nel 1910, infine, mentre avviava i vasti e onerosi programmi di
sfruttamento di queste proprietà dotandole di segherie,
impianti di trasporto e altre infrastrutture, il G. rilevò
dal barone A. von Popper la quota di controllo del gruppo della
Forst Union AG, pesantemente indebitato con il sistema bancario
viennese ma almeno formalmente pur sempre proprietario di una
dozzina di tenute nell'Impero asburgico e nella stessa Romania,
oltre che titolare della vicepresidenza del cartello degli
esportatori austriaci di legname.
Quest'ultimo elemento non era d'altra parte secondario nel progetto
del G., che si riprometteva di dare uno sbocco commerciale alle
enormi risorse boschive dell'Europa centrorientale e tentò
perciò, senza particolare successo, di ottenere un ribasso
dei proibitivi prezzi di esportazione fissati dal cartello.
In alternativa alla via austriaca, in collaborazione con la famiglia
Piaggio, egli armò anche una piccola flottiglia di velieri da
trasporto per l'importazione diretta dal Mar Nero, mentre sul
versante della commercializzazione si dotò di una struttura
adeguata acquistando nel 1910 il Cantiere lombardo (trasformato in
Società nazionale legnami e materiali da costruzione) e
avviando la costruzione di un grande magazzino alle porte di Milano.
Più che nelle difficoltà di realizzazione, tuttavia, i
limiti di un tale disegno erano soprattutto nei suoi presupposti
finanziari, poggiando di fatto tutta l'espansione di quegli anni sul
ricorso sistematico all'indebitamento e su di un meccanismo per cui
ogni nuova acquisizione serviva da garanzia ai crediti ottenuti per
la successiva, se non per ripagare se stessa.
Alla base di questa piramide di debiti stavano l'anonima del G., con
l'irrisorio capitale di 7,5 milioni di lire nel 1910, e la pesante
esposizione delle piccole banche piemontesi, dalla Sella
all'Agricola, che infatti dovettero far fronte al panico della
clientela e a un corsa agli sportelli quando nel 1912 tutto il
sistema si afflosciò.
A partire dal 1911, inoltre, le chiusure sempre più frequenti
dei Dardanelli provocate prima dalla guerra di Libia e poi dai
conflitti balcanici, sorpresero il G. proprio all'apice
dell'indebitamento e mentre attendeva l'arrivo delle prime grosse
partite di legna nei porti occidentali, facendo poco dopo fallire
anche il tentativo in extremis di cedere la parte maggiore del suo
complesso di attività a una combinazione finanziaria
anglo-franco-svedese promossa dal futuro ministro degli esteri
britannico A. Chamberlain. Nel 1913, quando infine, oberato da oltre
50 milioni di passivi, il G. fu costretto a chiedere una moratoria e
a mettere le sue attività nelle mani di una commissione di
creditori (tra cui figuravano la Società bancaria italiana,
la Banca commerciale italiana, e varie grandi banche austriache e
tedesche), questi si rivalsero acquisendo e rivendendo le tenute
migliori.
Né esito più fortunato ebbe l'altro fronte di
attività da lui aperto nel 1910, con la costituzione della
Saint Petersburg Land & Mortgage Company, in combinazione con il
finanziere anglo-canadese A. Grenfell, per la lottizzazione e
l'edificazione di una vasta area alla foce della Neva, nella
capitale russa.
Acquisita anche in questo caso con un meccanismo di debiti a catena
la proprietà del terreno, condotta con enormi sforzi la sua
opera di bonifica e ultimata la prima serie di costruzioni, egli
dovette infatti abbandonare la Russia per lo scoppio della guerra,
per vedersi poi inghiottire "Nuova Pietroburgo" (tale era il nome
del quartiere), al pari della tenuta di Listwin messa fortunosamente
al riparo dalla liquidazione del 1913, dalla Rivoluzione del 1917.
Dopo il crollo degli interessi all'estero e l'assoluzione per
insufficienza di prove nel 1915 al processo intentato contro di lui
da alcuni azionisti di minoranza della sua società, il G.
riprese l'attività nel settore del legname e dei materiali da
costruzione incentrata sull'azienda di Milano, intrattenendo buoni
rapporti con i Feltrinelli, compiendo investimenti fondiari a Roma,
cominciando ad avvicinarsi alla chimica e soprattutto spostandosi su
settori, come quello del commercio del carbone, divenuti
estremamente redditizi con la guerra. La ripresa in grande stile del
suo giro di attività data tuttavia al 1917, quando, in
stretta combinazione con G. Agnelli, si inserì nel grande
affare dei trasporti degli aiuti americani all'Europa. È in
questa fase che alla Società marittima e commerciale
italiana, da lui creata già nel 1914, si affiancarono la
Società di navigazione italo-americana (SNIA) e due imprese
negli Stati Uniti: la Marine & Commerce Corporation of America e
la International Shipbuilding Company, rispettivamente dedite al
commercio del carbone e alla produzione di motonavi nel Texas.
Strettamente finalizzate allo sfruttamento della congiuntura,
entrambe queste società fallirono clamorosamente con la crisi
di riconversione dell'immediato dopoguerra, valendo non di meno
ingenti profitti al loro fondatore.
Sin dal 1918, d'altra parte, il G. era impegnato al fianco di
Agnelli nello scontro con il gruppo Ansaldo-Banca di sconto dei
fratelli Perrone, che condusse i due a incrociare le partecipazioni
della FIAT e della SNIA e portò il G. ad avere un ruolo
decisivo nel controllo azionario della casa automobilistica
torinese. La vicepresidenza della FIAT - di fatto sempre gestita in
stretto raccordo con Agnelli - e il notevole, ancorché
parziale, successo del tentativo di scalata al Credito Italiano
condotto agli inizi del 1920, portarono il G. alla ribalta della
scena economico-finanziaria nazionale. Questa posizione sarebbe
stata tuttavia in parte ridimensionata dalle difficoltà di
riconversione della SNIA nella successiva crisi del 1921: i forti
finanziamenti ottenuti dal Consorzio Sovvenzioni sui Valori
Industriali (cioè, in pratica, dalla Banca d'Italia di
Bonaldo Stringher) grazie ai buoni uffici di Agnelli, costrinsero
infatti il G. a cedere la propria quota del sindacato di controllo
della FIAT, e a moderare la pressione esercitata sul Credito
Italiano. Quest'ultima sarebbe poi definitivamente cessata dopo il
rinnovato tentativo di scalata del 1924.
La collaborazione con Agnelli si sarebbe poi estesa, fino alla
metà degli anni Venti, a tutta una serie di affari ulteriori,
dal tentativo di scalata al Credito italiano, all'acquisto de La
Stampa, alle manovre sulla Gazzetta del popolo, al progetto di
collegamento dei tre poli del triangolo industriale, Milano, Genova
e Torino, con una ferrovia celere, fino ai comuni e via via
più conflittuali interessi nel settore dei cementi e in
quello dell'auto.
Parallelamente, a partire dal 1920, prese il via la terza e
più fortunata stagione d'affari del G., quella della SNIA,
trasformata, appunto quell'anno, in Società nazionale
industria e applicazioni viscosa.
Rilevati alcuni brevetti e due piccoli impianti sperimentali, egli
realizzò enormi investimenti nel settore della seta
artificiale, facendo della SNIA, entro il 1925, una delle maggiori
imprese italiane e una delle principali produttrici di rayon a
livello mondiale, capofila di un vasta costellazione di cui facevano
parte imprese come il Setificio nazionale, l'Unione fabbriche
viscosa, la Società italiana seta artificiale o i Calzifici
nazionali riuniti.
Sull'onda del successo nel nuovo comparto chimico-tessile, le
attività del G. ripresero a espandersi a macchia d'olio. Nel
1921, in particolare, egli acquisì il controllo, inizialmente
sempre insieme con Agnelli, della Banca Cravario & C.,
trasformata per l'occasione in Banca agricola italiana.
Con ciò il G. ebbe anzitutto la possibilità di
regolare le pendenze rimaste aperte dal periodo prebellico con la
Banca agricola di Casale, che venne rapidamente assorbita dal nuovo
istituto. Soprattutto, specie dopo l'acquisizione verso la
metà degli anni Venti del Credito piemontese, della Banca
della penisola sorrentina e della Banca biellese, la Banca agricola
italiana divenne di fatto la sua banca mista, una struttura con una
clientela ramificata e buone capacità di raccolta del
risparmio, su cui far poggiare ampie e spesso spericolate
combinazioni d'affari.
Nel 1924, inoltre, mentre rilanciava l'attività dell'Unione
italiana cementi, egli costituì la più grossa
concentrazione dolciaria italiana, l'Unica, riprendendo un vasto
programma di investimenti varato nell'immediato dopoguerra dalla
multinazionale svizzera Tobler.
L'Unica riunì alcune delle maggiori aziende nazionali del
comparto, dalla Talmone, alla Moriondo & Gariglio, alla Bonatti,
con l'obiettivo di trasformare il cioccolato in un genere di consumo
di massa, ma risultando nei fatti ben presto sovradimensionata
rispetto al ristretto mercato italiano del settore.
Alla metà degli anni Venti, il G. era oramai uno dei
personaggi di spicco del panorama economico-imprenditoriale
italiano, padrone di uno degli imperi industriali più vasti
del paese e centro di articolate reti di interessi che lo legavano
ai maggiori esponenti del mondo finanziario nazionale e
internazionale. Sono questi gli anni in cui i successi tecnici e
produttivi delle sue aziende, e segnatamente della SNIA, ricevettero
l'apprezzamento di B. Mussolini, il quale per altro verso si vedeva
costretto a tollerare le frequentazioni artistico-intellettuali del
G., se non esplicitamente ostili al fascismo, quanto meno
ostentatamente a esso estranee.
La grande casa che il G. possedeva a Torino, la villa di Sestri
Levante o il castello nei pressi di Casale, divennero il punto
d'incontro di un ambiente tra i più raffinati e vivaci della
cultura torinese dell'epoca, di cui fecero parte, tra gli altri, il
critico L. Venturi, F. Casorati - che curò personalmente
l'allestimento del piccolo teatro privato di cui disponeva
l'abitazione cittadina del G. -, i pittori del gruppo dei "Sei di
Torino" (L. Chessa, F. Menzio, C. Levi, E. Paolucci, N. Galante,
Jessie Boswell), e M. Soldati, che di tale entourage, della sua
atmosfera, nonché della figura del G., ha lasciato
testimonianza nel romanzo Le due città (Milano 1964).
In questi anni il G. raccolse la porzione più consistente
della sua eccezionale collezione d'arte - per cui nel 1927
progettò la costruzione di una grande villa-museo (rimasta
poi incompiuta) sulla collina di San Vito - che oggi è in
parte conservata alla Galleria Sabauda di Torino. Del 1925 è
poi la creazione del teatro di Torino, i cui cartelloni ospitarono
proposte fra le più stimolanti e cosmopolite del panorama
artistico-culturale coevo: autori quali I. Stravinskij e A. Casella,
i balletti russi di S. Djagilev o il teatro ebraico Habima.
Le fortune del G. cominciarono tuttavia a declinare dopo la
metà del decennio. La manovra di rivalutazione della lira per
un verso aggravò il forte indebitamento su cui si fondava il
suo impero industriale, dall'altro annullò le prospettive di
espansione del mercato nazionale e degli stessi sbocchi esteri cui
era legato il successo della maggior parte delle sue imprese.
Le esplicite proteste del G. per la politica di "quota 90", per
quanto espresse in forma privata in una famosa lettera dell'aprile
1927, dovettero indispettire Mussolini. D'altro canto, già
l'anno precedente i crescenti contrasti con Agnelli, non da ultimo
causati dagli interessi del G. e dei suoi nuovi soci francesi nel
settore automobilistico, erano sfociati in una rottura con la FIAT e
di fatto, ne fosse questa la causa o il sintomo, in un pericoloso
isolamento del G. dal fronte confindustriale.
A una simile situazione il G. reagì spostando all'estero il
baricentro dei suoi affari: in Inghilterra, ove ottenne un
importante credito della Hambro's Bank, e soprattutto in Francia,
ove già nella prima metà degli anni Venti era divenuto
padrone del notevolissimo patrimonio immobiliare della Paris Foncier
e dove, in occasione della quotazione in borsa dei titoli SNIA, nel
1926, aveva avviato un'intensa collaborazione con il banchiere
parigino A. Oustric. Insieme con questo, in particolare, il G.
creò un impero finanziario-industriale di dimensioni non
dissimili da quelle dei suoi interessi italiani, il quale tuttavia,
basato anch'esso su una girandola di debiti e su spericolate
operazioni di borsa, non valse a frenare il progressivo
deterioramento della sua posizione.
Nell'orbita dei due finanzieri, o della loro Holding
française, creata nel 1928 insieme con la corrispettiva
Holding italiana, entrarono imprese automobilistiche, come la
Peugeot e la Ford francese, partecipazioni nel settore assicurativo
(Union vie) e soprattutto aziende del settore tessile,
chimico-tessile, e dell'abbigliamento: Blanchisseries de Thaon, gli
Établissements Desurmont (lana) di Rubaix, la filanda Bloch
in Alsazia, la Sarlino (Societé anonyme rémoise de
linoleum) principale produttrice francese del settore, gli
Établissements Maréchal di Lione (tela cerata), varie
maisons dell'alta moda parigina come Deuillet-Doucet, Agnès e
Germaine Patat, e il grande gruppo delle Chaussures
françaises, che riuniva 17 stabilimenti, sette catene di
negozi al dettaglio e circa 10.000 dipendenti.
Tale acquisizione nel comparto calzaturiero, in particolare, era
collegata all'ultimo grande progetto industriale del G. negli anni
Venti, quello della Salpa Ltd., una società di Terranova da
lui costituita in base ai contatti con gli ambienti finanziari
anglo-canadesi di cui disponeva già da prima della Grande
Guerra, finalizzata allo sfruttamento commerciale di brevetti per la
fabbricazione di cuoio artificiale e rigenerato. Sorta nel 1928, la
Salpa costituì un impianto sperimentale e avviò la
costruzione di grandi fabbriche in Italia, Francia e Stati Uniti
d'America, mentre parallelamente lanciava una serie di cospicue
sottoscrizioni azionarie nei tre paesi: era il meccanismo su cui si
basava, e si era basata, la maggioranza delle altre operazioni del
G., consistente essenzialmente nell'avviare, indebitandosi, sempre
nuovi progetti industriali - non di rado assai suggestivi per la
vastità delle loro dimensioni e il respiro della loro stessa
concezione imprenditoriale, ma di realizzabilità tutt'altro
che scontata, specie alla vigilia della recessione mondiale - e di
rastrellare poi fondi sui mercati finanziari.
Presi nel meccanismo del loro continuo gioco al rialzo il G. e
Oustric arrivarono, seppure per brevi periodi e controllando molto
parzialmente le leve del potere effettivo, a occupare i vertici di
imprese quali la Peugeot, la Tobler o, in Italia, la Cinzano.
Ciò permise loro di garantire con i nomi di queste aziende
nuove vaste emissioni di titoli e così per qualche tempo di
tamponare la situazione di crescente indebitamento in cui andavano
sempre più avvitandosi e che la crisi internazionale del 1929
avrebbe fatto precipitare.
Il crollo della vasta costellazione d'affari del G. partì
proprio dalla Francia, con il fallimento, nel 1930, della Banca
Adam, una controllata del gruppo Oustric, seguita dal tracollo, a
catena, di tutto il giro d'interessi che ruotava intorno al socio
francese, di cui si scoprirono oltretutto le malversazioni con il
governo socialista all'epoca dell'introduzione in borsa dei titoli
della SNIA.
Con quest'ultima ormai sotto la tutela del cartello internazionale
del rayon, le altre imprese, dall'Unica all'Unione cementi, in gravi
difficoltà per la recessione, lo scandalo Oustric fece venir
meno anche molte delle garanzie - prima fra tutte la Salpa - con cui
il G., tra il 1929 e il 1930, aveva ottenuto almeno un paio di
interventi straordinari della Banca d'Italia a favore della Banca
agricola.
Agli inizi di ottobre 1930, attaccato frontalmente da Mussolini con
un discorso al Consiglio delle corporazioni, bollato come
speculatore dalla Confindustria e oramai conclusa l'era di B.
Stringher alla Banca d'Italia - con cui aveva intrattenuto per due
decenni rapporti in qualche modo preferenziali -, il G. venne
arrestato nel gennaio 1931 e condannato dal tribunale speciale a
cinque anni di confino a Lipari per aver arrecato gravi danni
all'economia nazionale. Le attività della Banca agricola
vennero smembrate e passate a vari istituti di credito, la SNIA
passò sotto il controllo di F. Marinotti e S. Borletti,
mentre le altre aziende del gruppo vennero liquidate o
temporaneamente affidate a gestioni straordinarie sotto la vigilanza
dall'Istituto di liquidazioni.
Complessivamente, a due anni dal crack, una volta portata a termine
cioè la prima fase della liquidazione, i vari organismi dello
Stato accusavano ancora poco meno di 300 milioni di lire di perdite,
che si sarebbero ridotti poi di circa un sesto attraverso le
cessioni e i risarcimenti realizzati entro gli anni Trenta. Di
là da questi ammanchi, tuttavia, l'eccezionalità e la
spettacolarità delle misure prese contro il G. furono uno
strumento che permise al regime di dimostrare la propria
imparzialità e la propria autonomia dai potentati economici,
colpendo al tempo stesso un personaggio ormai di fatto piuttosto
isolato dagli ambienti confindustriali.
Mussolini, per altro, non infierì sul G. il quale rimase alle
Eolie poco più di un anno, per vedere poi accolta la
richiesta di trasferimento a Cava de' Tirreni e riottenere infine la
libertà nel settembre 1932. Negli anni successivi il G.
riprese a tessere la trama dei suoi affari, sia pure da una
posizione più appartata che in passato. Insieme con l'Italia,
sede delle sue attività continuò a essere in quegli
anni in primo luogo la Francia, ove pure era stato processato e
condannato nel gennaio 1933, ma dove aveva comunque concentrato una
parte consistente delle sue risorse.
Già intorno alla metà del decennio, personalmente o
attraverso parenti e prestanome, lo si ritrova Oltralpe alla testa
di vasti giri d'interessi nel settore immobiliare e in quello della
grande distribuzione (Société anonyme des cafés
et restaurants français e partecipazioni ai magazzini Bon
marché), nonché di una finanziaria lussemburghese, il
Consortium privé, che con la sua controllata parigina, il
Comptoir privé, diretto da P.G. Gurgo Salice, realizzò
operazioni ad ampio raggio sul mercato valutario e su quello dei
titoli azionari.
Con l'appoggio della Banque de l'Union parisienne, in cui era ancora
attivo l'amico Oustric, il G. tornò in breve a riprendere le
fila di una vasta trama di affari che includeva, tra le altre, le
società anonime Roumano-Belge des pétroles, la
svizzera S.a. des Fours Pieters (per lo sfruttamento, in
combinazione con G. Nobel, di brevetti per la distillazione del
carbone), la Compagnie industrielle française du platine o la
Mines d'or de peck, per la gestione di giacimenti in Jugoslavia.
I suoi nuovi poli di interesse furono tuttavia soprattutto la
chimica e la cinematografia. Nel primo di questi settori l'azienda
principale divenne la Rumianca, originariamente un'impresa
ausiliaria della SNIA, di cui il G. nel 1933 rilevò il
controllo dal gruppo Abegg.
La Rumianca ebbe notevole successo a partire dalla metà degli
anni Trenta producendo fertilizzanti e anticrittogamici, per
inserirsi poi nei flussi di commesse e finanziamenti pubblici della
mobilitazione industriale e fare ottimi affari con le produzioni
belliche. Durante la guerra l'azienda disponeva di due stabilimenti
nel Novarese per la lavatura dei minerali e produzioni chimiche di
base, uno nei pressi di Torino per saponi e uno in costruzione a
Carrara per anticrittogamici, nonché di vasti complessi
minerari in Val d'Ossola, Sardegna e Calabria per l'estrazione di
piriti.
Quanto alla cinematografia, il G. costituì quasi
contemporaneamente nel 1934 la Lux francese e la Lux italiana,
producendo l'anno successivo il suo primo film, Don Bosco, di G.
Alessandrini. Attraverso il cinema, egli non solo ebbe modo di
recuperare e mettere a frutto il patrimonio di esperienze e contatti
maturati negli anni Venti negli ambienti intellettuali (prima fra
tutti la collaborazione con il musicologo G.M. Gatti, già
direttore del teatro di Torino), ma aprì anche un importante
canale di comunicazione con il regime, partecipando di fatto alla
prima stagione di sviluppo della cinematografia nazionale,
fortemente voluta dal fascismo.
All'iniziale Don Bosco seguì un periodo di assestamento della
casa di produzione; quindi, dal 1940 al 1944, compaiono nel catalogo
Lux una serie di autori e di titoli di tutto rispetto (I promessi
sposi di M. Camerini [1941], La corona di ferro di A. Blasetti
[1941], Un colpo di pistola, Zazà [ambedue del 1942] e La
donna della montagna [1943] di R. Castellani, Malombra di M. Soldati
[1943], La freccia nel fianco di A. Lattuada [1943-44]), alcuni di
considerevole impegno produttivo per l'epoca - come i Promessi sposi
e la Corona di ferro -, spesso trascrizioni cinematografiche di
testi letterari, secondo una linea che il G. avrebbe privilegiato
anche nel dopoguerra.
Ideologicamente estraneo al fascismo, legato all'ambiente dei
fuorusciti italiani in Francia, la cui frequentazione non aveva mai
interrotto, così come agli ambienti della finanza
anglosassone, il G., alla fine della seconda guerra mondiale, si
vide restituire i diritti al possesso e all'amministrazione delle
aziende da cui era stato interdetto nel 1931. Ormai anziano,
condusse una vita appartata nelle sue abitazioni di Roma e Firenze,
mentre le sue aziende conoscevano, in quella fase, una nuova
stagione di rigogliosa crescita.
La Lux si impose come una fra le maggiori case cinematografiche
italiane, punto di aggregazione ed elemento propulsore di un cinema
di alto livello professionale dove si formarono molti nomi
importanti della produzione cinematografica italiana degli anni
successivi come C. Ponti e D. De Laurentis, L. Rovere e A.
Mambretti, e ciò grazie alle doti manageriali ma anche alla
raffinata sensibilità culturale del G., il quale, al tempo
stesso, estese la sua attività anche all'estero, in primo
luogo con l'Italian Film Export, costituita nel 1951 e rivolta
principalmente verso i mercati americani. La crisi della Lux
sopravvenne verso la fine degli anni Cinquanta e vide, all'inizio
del decennio successivo, il G. tornare a impegnarsi in un'ultima
complessa operazione di ricapitalizzazione, che faceva leva sui
flussi finanziari generati dalle indennità per la
nazionalizzazione dell'energia elettrica.
La Rumianca, dal canto suo, divenne il centro di un gruppo assai
articolato, con numerosi impianti in Italia e significative
proiezioni all'estero, operando con successo, già prima del
boom economico, in comparti di punta come la chimica di consumo
(cosmetici, articoli da toletta) e dei polimeri.
Il G. morì a Firenze il 6 giugno 1964.