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di Antonio Catalfamo
18/11/2008
Una valanga di menzogne è stata riversata, negli ultimi anni,
sull’opinione pubblica italiana a proposito dei rapporti di Antonio
Gramsci con il Partito Comunista Italiano, di cui era segretario, e
con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, nel periodo della
sua lunga detenzione, ma anche prima, nella fase dell’arresto.
E’ passata in secondo piano la verità storica: fu il fascismo
ad incarcerarlo, per impedirgli di pensare e di agire politicamente;
Mussolini in persona fece fallire i vari tentativi di liberazione
compiuti dai comunisti italiani e dal governo sovietico; il regime
fascista fece di tutto per rendere impossibile la vita in carcere al
grande intellettuale sardo, attraverso continue provocazioni e una
guerra psicologica che lo stremò e ne accelerò la
morte. Si è detto, invece, che furono i suoi stessi compagni
a farlo arrestare per impedirgli di partecipare alla riunione
clandestina del Comitato Centrale che doveva occuparsi della
situazione esistente all’interno del partito bolscevico e, in
particolare, dei rapporti tra Stalin e le minoranze interne. Si
è detto, ancora, che lo stesso partito italiano, in combutta
con quello sovietico, lo abbandonò in carcere al suo destino
e che, tutto sommato, egli fu vittima di Mussolini, ma anche di
Stalin (e di Togliatti), che voleva sbarazzarsi di lui a causa della
sua “eterodossia”.
Tutte queste menzogne vengono ora puntualmente smentite da una
lettera di Tatiana Schucht, cognata di Gramsci, trovata dal nipote
del fondatore del Partito Comunista Italiano e suo omonimo, Antonio
Gramsci jr., tra le carte di famiglia. Nello stesso tempo viene
pubblicato un volume dello stesso nipote, intitolato “La Russia di
mio nonno”, che contribuisce anch’esso a sgombrare il campo dalle
insinuazioni o dalle affermazioni apertamente menzognere che hanno
offuscato l’immagine di Tatiana, di Togliatti, e di tanti altri
dirigenti comunisti.
La lettera di Tatiana, indirizzata ai familiari (in particolare alla
sorella Giulia, moglie del segretario comunista), fu scritta pochi
giorni dopo l’arresto di Gramsci, avvenuto nella notte tra l’8 e il
9 novembre 1926, ed è molto importante, perché
contiene notizie inedite sulla vita del Nostro nei giorni
immediatamente precedenti alla sua cattura e sulla reazione del
partito. Questo documento ci consente, in primo luogo, di capire la
vera ragione per cui, nonostante l’attentato di Zamboni a Mussolini
ed il clima di insicurezza che esso determinava, Gramsci
partì lo stesso da Roma, alla volta di Milano, per recarsi
alla riunione clandestina del Comitato Centrale del partito, fissata
per il 1° novembre nei pressi di Genova, ma non vi giunse. Il
giorno dell’attentato al «duce», il 31 ottobre, era
domenica e – scrive Tatiana – “i redattori dei giornali di
opposizione già da qualche tempo erano stati esclusi dalla
sala stampa” di Montecitorio. Gramsci, dunque, partì per
Milano la sera del 31 perché non sapeva dell’attentato,
avvenuto poche ore prima, “altrimenti non sarebbe certo partito”.
Tatiana aggiunge che “all’arrivo a Milano, alla stazione gli fu
comunicato [evidentemente dai questurini] che doveva o tornare a
Roma o presentarsi alla questura”: I compagni che lo attendevano “lo
fecero tornare a Roma”, ove, date le circostanze, “Antonio per otto
giorni non è andato in nessun posto, pranzava e cenava da
me”.
La testimonianza diretta degli avvenimenti da parte di Tatiana
demolisce le ricostruzioni fantasiose secondo le quali il rientro di
Gramsci a Roma fu orchestrato dai compagni dell’Esecutivo per
impedirgli di partecipare alla riunione della Valpolcevera, nel
corso della quale si decise la posizione del PCI sulla lotta in
corso fra la maggioranza raccolta intorno a Stalin e l’opposizione
guidata da Trotski. I compagni avrebbero temuto un pronunciamento di
Gramsci sgradito a Stalin e avrebbero essi stessi propiziato il suo
arresto. Tutto questo castello di sabbia ora crolla. Gramsci non
poté partecipare alla riunione del Comitato Centrale
semplicemente perché arrestato, in quanto, non essendo a
conoscenza, né lui né il partito, dell’attentato a
Mussolini, non si mise in salvo.
La lettera di Tatiana è, inoltre, importante in quanto
permette di ricostruire l’azione del partito subito prima e subito
dopo l’arresto del suo segretario. Tania scrive che Gramsci aveva
preso tutta una serie di precauzioni: “Nel corso di tutta la
settimana si era ripulito ed era riuscito a portar via le ultime
cose prima dell’arresto”. Fra queste c’era il manoscritto
dell’articolo sulla “Questione meridionale”, non ancora pubblicato,
che Ruggero Grieco fece richiedere a Tania attraverso Camilla Ravera
pochi giorni dopo l’arresto di Gramsci. Un salvataggio davvero
provvidenziale. Dalla lettera si desume che le carte di cui Gramsci
s’era “ripultito” furono portate all’ambasciata sovietica.
Smentiscono la tesi sciagurata del disinteresse del partito italiano
e di quello bolscevico per la sorte di Gramsci gli accenni alla
possibilità ch’egli fosse liberato subito, grazie
all’intervento del governo sovietico. Tania scrive che i compagni
(tanto del PCI che dell’ambasciata sovietica) “si preoccupavano di
tutto”. “Il partito si interessa di loro [di Gramsci e degli altri
compagni arrestati ] e penserà a loro anche in seguito in
senso materiale e in altri modi, sicché può darsi che
vi vediate presto”. Dalla lettera si deduce che le iniziative volte
ad ottenere la liberazione di Gramsci e l’espatrio a Mosca
cominciarono subito dopo l’arresto. Com’è noto, nei giorni
precedenti il suo arresto, Gramsci aveva programmato di recarsi a
Mosca per partecipare ai lavori del VII Plenum dell’Internazionale
comunista, convocato per il 22 novembre, e di ciò aveva
avvertito la moglie. Il partito italiano, d’intesa col governo
sovietico, aveva deciso che, dopo la partecipazione al Plenum,
Gramsci rimanesse in Russia, visto che in Italia la situazione per
lui era diventata pericolosa. Il fatto che Tania scriva ai familiari
“può darsi che vi vediate presto” porta a concludere che il
progetto di inviare Gramsci in Russia era confermato e che il
governo sovietico si stava attivando per una rapida liberazione del
grande intellettuale sardo. Così non fu per volontà
deliberata di Mussolini.
Ironia della sorte: è toccato a Giuseppe Vacca, uno dei
fautori della tesi del “complotto staliniano” contro Gramsci,
commentare la lettera di Tatiana sul quotidiano
«L’Unità» (7 novembre 2008), smentendo egli
stesso, seppur senza mai farvi cenno, le congetture oggetto dei suoi
studi precedenti.
Una ulteriore confutazione della tesi dell’abbandono di Gramsci
carcerato da parte di PCI e PCUS viene dal libro già citato
di Antonio Gramsci jr, “La Russia di mio nonno”. Il nipote del padre
fondatore del comunismo italiano conferma che il nonno fu sostenuto
sin dall’inizio della carcerazione. “Consistenti somme di denaro”
vennero fatte pervenire a Tatiana perché provvedesse a tutte
le esigenze, materiali ma anche di studio, del carcerato. Secondo
Antonio Gramsci jr, si trattava di denaro “sovietico”. Egli conclude
che in tal modo crolla “il mito di Antonio Gramsci, comunista non
ortodosso, dimenticato e completamente abbandonato a se stesso dalle
autorità sovietiche e dal Komintern”.
Antonio Gramsci jr conferma che ci furono contrasti tra Togliatti e
la famiglia Schucht per la gestione dell’ “eredità
letteraria” del nonno, ma che essi furono appianati e che i
“Quaderni del carcere” furono, alla fine, pubblicati da Togliatti,
che ne garantì la massima divulgazione. Il nipote di Gramsci,
a differenza di Giuseppe Vacca e di altri fautori del “complotto
staliniano”, è rimasto comunista, in quanto membro del
Partito Comunista della Federazione Russa. Venuto in Italia per
presentare il suo libro, ha affermato, in un’intervista rilasciata a
PdCITv, che il Partito dei Comunisti Italiani è il vero erede
del Partito Comunista d’Italia fondato da suo nonno. Nessun
riconoscimento poteva essere più lusinghiero.