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La Gazzetta del Popolo è stato un quotidiano italiano fondato
a Torino il 16 giugno 1848. Ha cessato le pubblicazioni il 31
dicembre 1983, dopo 135 anni di vita.
Storia
Durante il Regno d'Italia
Fu fondata dallo scrittore Felice Govean e dai medici Giovanni
Battista Bottero e Alessandro Borella. La prima sede del giornale si
trovava in Piazza IV marzo. Fu lanciata con un prezzo molto
contenuto (5 centesimi la copia e 12 lire l'abbonamento annuale) per
favorirne la diffusione presso la piccola borghesia istruita.
Arrivò presto a 4.000 abbonati.
Fu diretta fin dalla fondazione da Govean. Di orientamento liberale,
monarchico e anticlericale, la Gazzetta appoggiò la politica
di Cavour e il programma risorgimentale di unificazione italiana.
Durante la guerra di Crimea (1853-56) il quotidiano lanciò
una campagna per fornire cento cannoni alla fortezza di Alessandria.
I lettori furono mobilitati e lo scopo fu raggiunto. Le vendite
della Gazzetta si moltiplicarono: venne raggiunto il tetto delle
10.000 copie, contro le 2.000 del diretto concorrente, il cattolico
L'Armonia delle religioni con la civiltà.
Dopo l'unificazione del Paese (1861) la direzione del giornale
passò a Giovanni Battista Bottero. La sua Gazzetta sostenne
la Sinistra storica di Francesco Crispi contro la politica di
Giovanni Giolitti. Nel 1874 era il secondo quotidiano italiano per
diffusione, dopo Il Secolo di Milano. Bottero guidò il
quotidiano fino alla morte (1897). Come suo successore fu scelto
Baldassarre Cerri, redattore capo e comproprietario, il quale non
modificò la linea politica liberalconservatrice e
antigiolittiana.
Nell'autunno del 1912 il giornale ampliò notevolmente la
parte sportiva, dando alla sezione (di due pagine) il nome Lo sport
del Popolo. Il foglio fu staccato dalla testata madre ed ebbe una
vita propria. Uscì in edicola con cadenza bisettimanale; la
carta era di un colore vagamente rosa, come quello già
utilizzato da uno dei più importanti bisettimanali sportivi,
la milanese La Gazzetta dello Sport, già ben conosciuta
all'epoca come «la rosea». Il foglio uscì per due
anni consecutivi fino alla fine della stagione sportiva 1913-14.
Alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1913, la Gazzetta del
Popolo era il quinto quotidiano italiano più venduto, con una
media di 120.000 copie diffuse giornalmente.
Negli anni Venti conquistò la soglia delle 180 mila copie
vendute. L'impostazione era decisamente moderna: rubriche di moda,
cucina, tempo libero, sull'educazione, pubblicità. Incontrano
il favore del pubblico gli inserti settimanali e la sezione per i
bambini con racconti, giochi, fumetti. Nel 1921 la Gazzetta del
Popolo diede vita, in concorrenza con la milanese Domenica del
Corriere, al supplemento illustrato L'illustrazione del popolo, che
nel 1930 pubblicò per primo in Italia le strisce di Topolino.
Nel 1925 la proprietà della casa editrice passa alla
Società Idroelettrica Piemontese (SIP), gruppo semi-statale:
il giornale finisce sotto il controllo del regime fascista. La nuova
proprietà avvia una serie di investimenti sugli impianti
(nuove rotative, migliori procedimenti per riprodurre le
fotografie). Giulio De Benedetti è il direttore tecnico del
quotidiano. Viene varata una pagina culturale settimanale, Diorama
letterario (10 giugno 1931, curata da Lorenzo Gigli La Gazzetta del
Popolo è il primo quotidiano italiano ad essere stampato a
colori]. Il direttore Ermanno Amicucci introduce l'impaginazione a
settori (cronaca, spettacoli, letteratura, sport), con intere pagine
dedicate ad un solo argomento. Per diversi anni la Gazzetta supera
nelle vendite il diretto concorrente La Stampa.
Durante la Repubblica
Il 24 luglio 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale,
riprese le pubblicazioni con la testata Gazzetta d'Italia. La
proprietà ritornò alla Società Idroelettrica
Piemontese, del gruppo IRI, alla direzione fu chiamato Massimo
Caputo, giornalista di orientamento liberale. In occasione del
Referendum istituzionale del 1946, Caputo schierò il
quotidiano a favore della monarchia. L'11 febbraio 1947
ritornò al nome originale di Gazzetta del Popolo, con il
piccolo aggettivo "nuova".
Nel 1948 Caputo costituì un comitato di garanti in cui
entrarono personaggi importanti della cultura italiana come
Benedetto Croce, Luigi Einaudi e Gioele Solari.
Nel giugno 1953 il giornale fu acquistato dal senatore democristiano
Teresio Guglielmone. La Gazzetta entrò nell'orbita della
Democrazia Cristiana. Nel 1957 fu rilevata dall'Affidavit,
società romana finanziata dalla DC. La linea politica
passò dal campo liberale a quello centrista
filo-democristiano.
Gli anni Cinquanta-Sessanta furono caratterizzati dall'immigrazione
dal Sud. La Gazzetta contribuì a favorire il processo
d’integrazione degli immigrati nel tessuto civico torinese.
La redazione era fortemente sindacalizzata e mantenne un
orientamento politico di sinistra (il corsivista dell'Unità
Fortebraccio definì il giornale "forse in segreto
filocomunista")[senza fonte]. Tra gli anni sessanta e gli anni
settanta condusse alcune importanti inchieste sul lavoro minorile,
sulle baronie mediche e sugli incidenti sul lavoro.
La Gazzetta mantenne una tiratura elevata per alcuni anni, fino a
quando venne surclassata dalla concorrenza de La Stampa.
Nel 1974 venne acquistata dall'editore Alberto Caprotti. Il nuovo
proprietario, constatato il forte indebitamento contabile, decise la
chiusura del giornale per il 1º agosto. Intervenne la FNSI,
ottenendo un accordo con Caprotti, che permise al giornale di
continuare ad uscire. Per 14 mesi la testata fu retta da una
cooperativa autogestita tra giornalisti e poligrafici.
Il 30 settembre 1975 la proprietà passò alla
società Editor dell'editore milanese Lodovico Bevilacqua, che
però non ne risollevò le sorti. Nel 1980 il deficit
della testata si fece sempre più pesante e si decise di
ridurre il formato in quello tabloid, ma senza benefici.
Il 9 luglio 1981 il tribunale decise il fallimento della Editor. Il
giornale fu pubblicato ancora per qualche settimana in gestione
provvisoria, fino alla chiusura decisa dai giudici il 2 agosto. Le
pubblicazioni ripresero provvisoriamente nel 1982, fino alla
chiusura definitiva il 31 dicembre 1983.
La proprietà della testata, dopo vari passaggi, è
passata nel 2004 nelle mani dell'imprenditore e politico siciliano
Vito Bonsignore. Nel 2005 si è parlato di un possibile
rilancio della testata, ma non è accaduto nulla.
Direttori
Fondatori
Felice Govean (16 giugno 1848 - maggio 1861)
Giovanni Battista Bottero (maggio 1861 - 16
novembre 1897)
Scelti dalla proprietà
Baldassarre Cerri (17 novembre 1897 - 12 giugno
1902)
Giovanni Bussa (13 giugno 1902 - 1914)
Delfino Orsi,
condirettore (1902 - 1914)
Giovanni Collino,
condirettore (1902 - 1914)
Giovanni Collino (1914 - 1917)
Delfino Orsi (1917 - 1925)
Graditi al regime fascista
Raffaele Nardini Saladini (1925 - 1926)
Maffio Maffii (1926 - 16 dicembre 1927)
Ermanno Amicucci (17 dicembre 1927 - 7 novembre
1939)
Eugenio Bertuetti (8 novembre 1939 - 25 luglio
1943)
Dopo la caduta del fascismo: nomina approvata dal Minculpop
defascistizzato
Tullio Giordana (fine luglio - 19 settembre 1943)
Graditi al regime della R.S.I.
Ather Capelli (20 settembre 1943 - 31 marzo
1944)[14]
Ezio Maria Gray (1º aprile 1944 - 26 aprile
1945)
Sospensione per decreto del CLN: 28 aprile - 23 luglio 1945
Nominato dal CLN
Massimo Caputo (24 luglio 1945 - 30 giugno 1953)
Scelti dalla proprietà
Francesco Malgeri (1º luglio 1953 - 4
gennaio 1958)
Riccardo Forte (5 gennaio-31 dicembre 1958)
Ugo Zatterin (1º gennaio 1959 - 5 aprile
1960)
Arturo Chiodi (6 aprile 1960 - 5 gennaio 1964)
Giorgio Vecchiato (6 gennaio 1964 - 24 luglio
1974)
Dopo l'accordo con il sindacato giornalisti, il quotidiano è
firmato dai dirigenti della FNSI fino al settembre 1975
Michele Torre (1º ottobre 1975 - 31 luglio
1981)
Dopo la rinascita
Ferruccio Borio (11 settembre 1982 - 31 dicembre
1983)