Descrizione dei Quaderni del carcere
A cura di Diego Fusaro
La filosofia della praxis è
la concezione storicistica della realtà che si è
liberata di ogni residuo di trascendenza e di teologia. (Quaderni
del carcere, IX, 1, VIII)
QUADERNI DEL CARCERE
I Quaderni del carcere è l'opera che contiene le note, gli
appunti, le riflessioni su vari argomenti che Gramsci elaborò
nel periodo della sua reclusione compilando i quaderni che gli
venivano concessi dalle autorità carcerarie. La compilazione
dei quaderni non aveva, nel progetto dell'autore, lo scopo della
pubblicazione: l'opera non aveva perciò un titolo e quello
attuale lo dobbiamo all'editore, non a Gramsci. Il pensatore sardo
ne iniziò la stesura nel carcere di Turi l'8 febbraio 1929,
due anni e tre mesi dopo l'arresto avvenuto l'8 novembre 1926.
L'idea del lavoro, però, era già vivissima nel 1926 e
in una lettera alla cognata Tania del 19 marzo di quell'anno Gramsci
manifesta la volontà di " far qualcosa 'für ewig' ",
ossia "per l'eternità". Egli intendeva cioè occuparsi
di argomenti di alto spessore culturale da un punto di vista
"disinteressato", libero dai limiti e dalle contingenze politiche
del presente.
Gramsci lavora alla stesura di ben 33 quaderni (non tutti compiuti
però) dal febbraio 1929 all'agosto 1935: seguendo
l'evoluzione compositiva dell'opera, possiamo individuare tre fasi,
di cui le prime due interessano il periodo di reclusione a Turi e la
terza quello di Formia (1933-1935); il passaggio da una fase
all'altra è annunciato o accompagnato dall'aggravarsi della
condizione fisica del detenuto.
La prima fase dura circa due anni (febbraio 1929-agosto 1931) e, in
questo periodo, Gramsci compone 10 quaderni, di cui tre sono
dedicati agli esercizi di traduzione per lo studio delle lingue che
doveva servire come " mezzo terapeutico " contro l'inaridimento
dovuto al carcere. La conclusione di questa prima fase e il
passaggio alla seconda sono segnati dalla grave crisi che
colpì Gramsci il 3 agosto 1931.
La seconda fase si protrae per due anni (dalla fine del 1931 alla
fine del 1933) ed è caratterizzata dall'intensificarsi del
ritmo di lavoro sulle questioni già individuate nel periodo
precedente e dall'abbandono degli esercizi di traduzione (a cui son
dedicati quattro dei 33 quaderni). In questo periodo, Gramsci
compone altri 10 quaderni lavorando contemporaneamente alla stesura
di note miscellanee e dei cosiddetti "quaderni speciali"; con questi
ultimi, egli intendeva riordinare e riscrivere (in base ad una
distinzione per argomenti) molte delle note già abbozzate nei
quaderni precedenti. Un'ulteriore, più dura, crisi colpisce
però lo scrittore sardo nel marzo 1933, con stati di
allucinazione, di ossessione e di tormenti psicologici.
Proprio questa crisi sarà determinante per il passaggio alla
terza fase: essa si apre alla fine del 1933 con il trasferimento di
Gramsci (per via delle sue gravi condizioni di salute) nella clinica
di Formia. Qui egli si avvierà alla stesura di altri dodici
quaderni (tutti "speciali"), la maggior parte dei quali però
resteranno incompleti. L'irreversibile esaurimento di forze a cui
Gramsci è giunto sfocia in una nuova crisi del giugno 1935,
in seguito alla quale viene ricoverato nella clinica "Quisisana" di
Roma; il lavoro di composizione dei Quaderni è interrotto e
non sarà mai ripreso.
L'opera è, pertanto, incompiuta e ciò fa sì che
essa non abbia un carattere concluso e definitivo: Gramsci stesso
afferma che le sue note sono spesso formate da "affermazioni non
controllate", "di prima approssimazione" e che alcune di esse
potrebbero in seguito essere abbandonate. Dopo la morte di Gramsci,
i Quaderni furono numerati e custoditi dalla cognata Tania, che li
spedì a Mosca, dove furono presi in consegna dai membri del
Partito Comunista Italiano.
I temi che ricorrono e che si intrecciano all'interno dei Quaderni
sono molteplici; tra i più importanti, meritano di essere
ricordati:
FOLCLORE: Gramsci intende, con questo termine, la "concezione del
mondo e della vita" e tutto il sistema di credenze e superstizioni
propri degli strati sociali popolari. Nel folclore Gramsci individua
una potenzialità critica e rivoluzionaria rispetto alle
concezioni del mondo "ufficiali" espresse dalle "parti colte delle
società storicamente determinate".
QUESTIONE MERIDIONALE: Gramsci vuole analizzare il problema dello
squilibrio e della contraddizione dovuti all'incapacità delle
forze dirigenti risorgimentali di affrontare e di risolvere la
questione contadina, particolarmente grave nel Sud. Il partito
comunista doveva, agli occhi di Gramsci, assumersi l'impegno di
favorire il superamento della disgregazione interna alle masse
contadine che le rendeva incapaci di sottrarsi alla dura
subordinazione nei confronti delle classi dominanti e di allearsi
alla classe operaia settentrionale (la falce e il martello dello
stemma comunista indicano esattamente questo: l'alleanza tra
contadini del Sud e operai del Nord).
CROCE E L'"ANTICROCE": nei confronti di Benedetto Croce, Gramsci
vuole ripetere l'operazione che Marx ha compiuto nei confronti di
Hegel: come Hegel è stato il massimo rappresentante
dell'idealismo e del progresso borghese del XIX secolo, così
Croce lo è dell'idealismo e della borghesia italiana del XX
secolo. Si tratta dunque di rovesciarne radicalmente le prospettive
e, così, Croce è al tempo stesso il principale
interlocutore e il principale antagonista del materialista Gramsci.
RISORGIMENTO: il Risorgimento viene letto, sulle orme di Gobetti,
come "rivoluzione mancata"; l'egemonia dei moderati (che Gramsci
analizza in tutte le sue articolazioni) ha impedito quelle
trasformazioni radicali che pure erano necessarie. Spetterà
quindi alla rivoluzione proletaria compiere il processo
risorgimentale fino in fondo.
FILOSOFIA DELLA PRAXIS: è la parte dei Quaderni dedicata
più specificatamente alla filosofia e, in particolare, al
materialismo storico o marxismo, che Gramsci definisce appunto "
filosofia della praxis ".
MACHIAVELLI E IL PRINCIPE: Gramsci interpreta il "Principe" di
Machiavelli come un manifesto politico della nascente borghesia
italiana; fallimento del nuovo ceto borghese e fallimento del
progetto di unità nazionale sono per Gramsci una cosa sola.
In età contemporanea, i processi politici non sono
però più guidati da una singola persona (un principe)
ma dai partiti: anche i rivoluzionari (secondo l'insegnamento di
Lenin) per realizzare il loro progetto hanno bisogno di un partito,
che Gramsci definisce il " nuovo Principe ".
LA QUESTIONE DEGLI INTELLETTUALI: il ruolo riservato da Gramsci agli
intellettuali è quello di elaboratori e mediatori delle
ideologie ed è fondamentale per la conquista e per
l'esercizio dell'egemonia culturale da parte di ogni classe sociale
che miri a diventare dominante. A questo tema si legano quindi
direttamente quello dell'egemonia e della rivoluzione passiva.
Gramsci afferma che "tutti gli uomini sono intellettuali",
poichè ogni uomo, consapevolmente o no, esplica "una qualche
attività intellettuale", ha una propria concezione del mondo
e una consapevole linea di condotta morale, e contribuisce a
modificare altre visioni del mondo suscitando nuovi modi di pensare.
Il linguaggio stesso è "una minima manifestazione"
intellettuale, visto che già in esso è cristallizzata
una "determinata concezione del mondo", una qualche "filosofia
spontanea". Non vi è pertanto attività umana (neppure
la più pratica) "da cui si possa escludere ogni intervento
intellettuale": "non si può separare l'homo faber dall'homo
sapiens".
Ma se tutti gli uomini sono intellettuali, "non tutti gli uomini
hanno nella società la funzione di intellettuali"; per
l'esercizio di tale funzione, si formano storicamente delle
categorie specializzate in connessioni con le classi sociali e
specialmente con quelle più importanti e dominanti.
Gramsci distingue fra: 1) intellettuali "tradizionali", che
generalmente si rappresentano come "autonomi e indipendenti dal
gruppo sociale dominante" e dal mondo della produzione,
considerandosi piuttosto come seguaci disinteressati dei valori
tradizionali; 2) intellettuali "organici", cioè legati
organicamente al gruppo sociale fondamentale; però anche gli
intellettuali "tradizionali", anche se non ne sono consapevoli, sono
in ultima analisi "commessi" della classe dominante, "organici" al
gruppo sociale fondamentale e svolgono "funzioni organizzative e
connettive", di direzione ideologica e culturale.
Sta qui il rapporto tra intellettuali ed egemonia: la classe
dominante o che aspira a divenire tale cerca di utilizzare gli
intellettuali per esercitare un'egemonia su tutta la società;
Gramsci dice che "la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in
due modi, come 'dominio' e come 'direzione intellettuale e morale'
"; lo Stato stesso, poichè espressione diretta del gruppo
dominante, si fonda e si regge su due elementi: a) la "dittatura",
ovvero l'apparato di decisione e di coercizione rappresentato dalla
"società politica"; 2) l'"egemonia" e l'organizzazione del
consenso, dipendenti dalla "società civile" e attuate
attraverso un apparato di "strutture ideologiche" e di istituzioni a
cui spetta il compito della direzione culturale per conto della
classe politica dominante.
Operano nella società civile e nelle strutture ideologiche la
scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, la stampa, e così
via, nonchè i funzionari dell'ideologia e della cultura,
cioè gli intellettuali, fra i quali Gramsci fa rientrare
tutti quelli che ricoprono ruoli sociali di educazione, formazione,
organizzazione.
L'egemonia è dunque il dominio di una classe sulle altre
attraverso un'operazione di controllo culturale e ideologico e di
esercizio del potere, in senso non tanto coercitivo, quanto di
persuasione razionale, di influenza sul pensiero, sulla vita, sulla
moralità, sulle abitudini sociali e culturali dei singoli. La
conquista e la salvaguardia del potere da parte della classe
dominante sono, per Gramsci, sempre più determinati dalla
stretta connessione di egemonia e coercizione. L'esercizio
dell'egemonia (tipico dei regimi liberali e parlamentari) è
caratterizzato dalla combinazione e dall'equilibrio fra forza e
consenso e la forza deve sembrare sempre giustificata dal consenso
della maggioranza; quest'ultimo è espresso dagli organi di
opinione pubblica (giornali e associazioni) che, a questo scopo,
"vengono moltiplicati artificiosamente".
Poichè nell'epoca moderna, avverte Gramsci, "la categoria
degli intellettuali [...] si è ampliata in modo inaudito" e
questi appaiono ormai necessari al funzionamento dello Stato
moderno, la lotta per la conquista e per il mantenimento
dell'egemonia non si può risolvere nello scontro materiale
delle classi, ma deve investire il piano culturale. Le
trasformazioni rivoluzionarie non sono più immaginate,
secondo le modalità tradizionali, come scontro diretto,
violento, fra gruppi o classi sociali antagonisti. D'altra parte,
per evitare conflitti pericolosi per la sua esistenza, la classe
dominante favorisce una serie di trasformazioni volte ad adeguare la
società allo sviluppo economico: si tratta di "rivoluzioni
passive", tra cui rientra "l'americanismo".
Per la costruzione di uno Stato alternativo a quello di stampo
americanista, Gramsci vede il bisogno di un reale processo
rivoluzionario e di una sistematica contrapposizione operaia mossa
da un concreto "spirito di scissione", rispetto al blocco sociale
dominante. La conquista dell'egemonia e del potere da parte del
proletariato è dunque indisgiungibile dallo scontro delle
classi e dalla lotta proletaria, ma per far ciò la classe
operaia ha bisogno di attirare a sè gli intellettuali
"tradizionali" e di crearsi i propri intellettuali "organici".
L'intellettuale nuovo deve dunque "mescolarsi attivamente alla vita
pratica" e diventare dirigente politico (cioè "specialista +
politico") proprio a partire dalla centralità del lavoro
industriale nella società moderna.
EGEMONIA: Gramsci impiega questo termine nel senso di "direzione
culturale"; egli contrappone infatti al concetto di dominio, basato
sulla forza, quello di egemonia, fondato sul potere di persuasione.
Gli stati moderni tendono a reggersi sempre più sull'egemonia
e sempre meno sul dominio, ma i due momenti sono comunque essenziali
alla vita dello Stato.
RIVOLUZIONE PASSIVA: Gramsci deriva questa nozione dall'analisi
della storia del Risorgimento. Lo applica poi allo studio di tutti
quei fenomeni di profondo mutamento economico, sociale, culturale
diretto e gestito dalle classi dominanti con una operazione che
tende a favorire l'adeguamento passivo della mentalità delle
masse e del costume collettivo alle esigenze economiche dominanti.
AMERICANISMO E FORDISMO: tale concetto (esaminato a fondo nel
Quaderno 22) nasce dalla riflessione di Gramsci sul fenomeno dello
sviluppo capitalistico americano e dalla razionalizzazione del
lavoro e della vita privata dei lavoratori, favorito, nei primi
decenni del Novecento, dall'organizzazione del lavoro di Taylor e
Ford. Con questi termini si definisce anche un modo di fare e di
pensare tipicamente americano che viene preso a modello dai Paesi
capitalistici occidentali: di qui il termine "americanismo". Le
considerazioni di Gramsci si basano su alcuni eventi concreti: la
sempre maggiore deprofessionalizzazione del lavoro operaio e il suo
adeguamento al funzionamento meccanico e automatico della macchina
con la conseguente affermazione della figura dell' "operaio-massa",
con il tramonto di quella dell'operaio artigiano e della dimensione
dell' "umanesimo del lavoro", in cui la centralità operaia
era ancora rappresentata dal lavoratore creativo e specializzato,
dotato di una forte coscienza delle proprie prestazioni; a tutto
ciò si aggiunge, appunto, la radicalizzazione del taylorismo,
attuata dalla politica economica e industriale di Ford. Gramsci
è favorevole alla tecnologia e alla razionalizzazione del
lavoro, ma non può accettare l'intento capitalistico di
ridurre il lavoratore a " gorilla ammaestrato ", privato di
coscienza e di pensiero. L'americanismo è una forma di
"rivoluzione passiva", perchè si mira ad ottenere, attraverso
il dominio economico, il controllo politico e culturale degli operai
e tale dominio imposto non resta solo in fabbrica, ma esce e passa
alla società civile, alla morale, alla cultura; il controllo
da parte dei grossi industriali sulla vita privata del lavoratore
costituisce appunto una rivoluzione capovolta, vissuta passivamente.
CRITICA LETTERARIA: Gramsci distingue in primo luogo la critica
estetica, volta ad accertare il valore letterario delle opere, dalla
critica ideologica e politica che considera solo il contenuto.
Questa posizione differenzia notevolmente Gramsci dalla critica
marxista promossa in Unione Sovietica dal despotico Stalin (aspre
sono le critiche rivolte da Gramsci alla politica culturale di
Stalin), che faceva dipendere il giudizio estetico da quello
politico. Però Gramsci cerca anche una mediazione tra le due
forme di critica, ravvisandola nel modello di "critica militante"
offerto da De Sanctis. Come sosteneva De Sanctis, bisogna battersi
per una nuova cultura più impegnata moralmente e civilmente,
dalla quale soltanto potrà nascere una nuova letteratura.
CONCETTO DI NAZIONAL-POPOLARE: è un parametro che Gramsci
impiega spesso per considerare la vicinanza delle opere letterarie
rispetto alla realtà concreta dei problemi, degli interessi e
dei sentimenti del popolo/nazione; non è tanto un concetto di
natura estetica, quanto di natura sociologica. Privi di qualsiasi
senso di appartenenza ad una classe sociale o ad una realtà
nazionale e popolare, gli intellettuali italiani sono a lungo stati
dominati da un "cosmopolitismo" umanistico; il che li ha portati
spesso ad aderire a correnti o a categorie filosofiche-letterarie
che restano astratte e prive di una reale rispondenza nella concreta
realtà nazionale. Gramsci afferma la necessità del
nesso fra intellettuali e nazione, fra intellettuali e realtà
popolare e dunque la necessità del carattere
nazional-popolare della letteratura.
Gramsci riprende e corregge Croce su tre punti: 1) Gramsci tende a
rivalutare il contenuto di pensiero di un'opera e perciò, ad
esempio, a considerare positivamente anche la struttura della
"Commedia" dantesca, che invece Croce condannava come "non poesia";
2) studia in modo più concreto il rapporto
scrittore-società, proponendosi di inserire la storia degli
scrittori e degli artisti all'interno della storia degli
intellettuali e dunque di condizioni storico-sociali precise e
determinate; 3) tenta una mediazione tra critica estetica e critica
politica, sull'esempio di De Sanctis. L'assunzione di de Sanctis a
modello è funzionale alla proposta di una critica militante
capace di fondere " la lotta per una nuova cultura, cioè per
un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle
concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica
". Gramsci, grazie a de Sanctis come modello, vuole anche esaminare
gli aspetti dell'opera d'arte grossolanamente trascurati da Croce,
soprattutto il momento etico-ideologico.
La letteratura, dice Gramsci, non nasce dalla letteratura
(cioè " per partenogenesi ") ma dal mondo della cultura,
delle idee, della morale, dell'economia e, in definitiva, dalla
storia di una nazione e dei suoi intellettuali; attraverso la
categoria di nazional-popolare, Gramsci considera la letteratura in
rapporto alla storia degli intellettuali e sottolinea, in fin dei
conti, il nesso fra l'opera d'arte e la condizione dello scrittore
nella società, la reciprocità e la dinamicità
dei rapporti fra dimensione spirituale (o sovrastrutturale) e
dimensione materiale (o strutturale); il pensiero gramsciano muove
perciò in direzione di uno storicismo assoluto.
Altri criteri metodologici sono connessi alle categorie di
"vecchio-nuovo" e di "distruzione-creazione": alla loro luce,
Gramsci esprime ad esempio un giudizio altamente positivo sull'opera
di democratizzazione e di sprovincializzazione della cultura svolta
dagli esponenti della rivista "La Voce"; viceversa, "La Ronda" viene
da lui criticata per l'involuzione e per il "vecchio" che
rappresenta con la riproposta di una concezione tradizionale del
letterato e della cultura.
Queste categorie spingono Gramsci a vedere nella "vuota
concettosità" (quello che Labriola chiamava "verbalismo") e
nel "secentismo" della poesia pura (e anche di Ungaretti) il segno
del "vecchio che ritorna".
Ancora più interessante è l'operazione critica che
Gramsci svolge nei confronti di Pirandello, apprezzandolo per l' "
importanza critica di corrosione del vecchio costume teatrale " e
della mentalità borghese, cattolica o positivistica. La
valutazione positiva dei vociani e di Pirandello mostra come la
distruzione del vecchio e la creazione di nuovi atteggiamenti
mentali siano fattori fondamentali del giudizio positivo dato da
Gramsci. Con Pirandello, nota Gramsci, l'oggettività del
reale, invalsa con la tradizione aristotelico-cristiana, viene
spodestata da una nuova concezione soggettivistica e relativistica;
cionostante, a Gramsci pare poco convincente (e in ciò si
rivela vicino a Croce) la dimensione artistica dei drammi di
pirandello per il loro carattere di "dialoghi filosofici" in cui la
nuova concezione della realtà è inquinata da elementi
intellettualistici. Ecco perchè la sua opera preferita di
Pirandello era "Liolà", in cui è del tutto assente
ogni contenuto intellettualistico.
QUESTIONE DELLA LINGUA: Gramsci dedica grande attenzione al problema
dell'evoluzione della lingua italiana nel tempo e in rapporto alla
letteratura, alle classi intellettuali e soprattutto all'esercizio
del dominio e dell'egemonia culturale.