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Renato Fucini (Monterotondo Marittimo, 8 aprile 1843 – Empoli, 25 febbraio 1921) è stato un poeta e scrittore italiano, noto anche con lo pseudonimo e anagramma di Neri Tanfucio.
Biografia.
Figlio di Giovanna Nardi e David Fucini, un medico della commissione governativa delle febbre malariche, trascorse gli anni della fanciullezza a Campiglia Marittima, in Maremma. Frequentò le scuole elementari dai Barnabiti a Livorno. Difficoltà finanziarie spinsero la famiglia a ritirarsi nell'abitazione avita di Dianella. In seguito, quando il padre ottenne la condotta a Vinci, Renato poté studiare privatamente a Empoli. Nel 1863 si laureò in Agraria all'Università di Pisa, dopo aver lasciato gli studi di Medicina, e iniziò a lavorare come aiuto nello studio tecnico di un ingegnere fiorentino. Nello stesso periodo cominciò a frequentare uno storico locale, oggi scomparso, il Caffè dei Risorti, dove, prendendo spunto da vari episodi tragicomici narrati da alcuni frequentatori, iniziò a comporre sonetti. Grazie a questi componimenti cominciò a farsi conoscere come poeta e nel 1871 uscirono i suoi "Cento sonetti in vernacolo pisano".
Esordì come prosatore nel 1877 con un reportage su Napoli ("Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico"). In seguito al successo letterario, si dedicò all'insegnamento, diventando professore di Belle Lettere a Pistoia e successivamente ispettore scolastico. A quest'ultima attività sono legate le novelle della raccolta "Le veglie di Neri: paesi e figure della campagna Toscana" (1882)[1], ambientate prevalentemente in Maremma; come pure le successive raccolte "All'aria aperta" e "Nella campagna toscana". I motivi prediletti sono quelli della vita agreste nelle zone che Fucini conosceva meglio: la Maremma e i borghi dell'Appennino pistoiese.
Dopo aver lavorato alcuni anni presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, nel 1906 fu messo in pensione, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita tra la residenza di Dianella e quella di Castiglioncello, intrattenendo fitti e stretti legami con amici ed ex colleghi. Nel 1916 venne eletto socio dell'Accademia della Crusca. La morte lo colse il 25 febbraio del 1921.
L'ultima opera curata dall'autore, edita poco dopo la sua morte, "Acqua passata: storielle e aneddoti della mia vita" (1921), contiene degli scritti brevissimi, generalmente autobiografici.
Renato Fucini inoltre dedicò a Giacomo Puccini una poesia per la prima della "Madama Butterfly"; il testo della poesia si trova nella villa Puccini, a Torre del Lago.
"E s'addormentano nelle culle d'oro
gli angeli biondi, gli angeli di Dio.
Dormi, dormi anche tu dolce tesoro
Fa' la nanna anche tu bambino mio.
E sognano dormendo gli angiolini
sognano fiori, farfalle e mandarini.
Sogna, sogna anche tu gotine gialle.
I mandarini, i fiori e le farfalle"
Opere
Cento sonetti in vernacolo pisano di Neri Tanfucio (1872) Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico (1878) Le veglie di Neri: paesi e figure della campagna Toscana (prima edizione: 1882) All'aria aperta (1897) Le poesie di Neri Tanfucio con l'aggiunta di 50 nuovi sonetti in vernacolo (1882) Il mondo nuovo: Libro di Lettura per la Terza classe elementare (1901) Il mondo nuovo: Libro di Lettura per la Quarta classe elementare (1904) Il bambino di gommelastica: racconto, traduzione libera di Renato Fucini dal russo di D. V. Grigorovitch (1910) Nella campagna toscana: tre nuovi racconti: Castore e Polluce, Tigrino, Il signor colonnello (1908) Acqua passata: storielle e aneddoti della mia vita (1921) Foglie al vento (postumo, 1922) Il ciuco di Melesecche: storielline in prosa e in versi (postumo, 1922) La maestrina: Novella (postumo, 1922) Lettere all'amico dei fichi d'India (postumo, 1943)
Txt.: All'aria aperta
Txt.: Le veglie di Neri
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Nacque l'8 apr. 1843 a Monterotondo, frazione di Massa Marittima, da
David e Giovanna Nardi.
Il padre, carbonaro e anticlericale, si era stabilito nel piccolo
centro maremmano come medico della Commissione sanitaria governativa
per la cura delle febbri malariche, ma - già nello stesso
1843 - dovette trasferirsi con la famiglia a Campiglia Marittima,
presso Piombino, dove rimase fino al settembre 1849. Gli anni
passati a Campiglia (rievocati dallo stesso F. in un capitolo di
Foglie al vento, poi in Tutti gli scritti, Milano 1956, pp. 691-700,
edizione cui si rinvia d'ora in avanti), a contatto con i fieri
paesaggi della Maremma, furono decisivi nella formazione
dell'immaginario del futuro scrittore.
In questo periodo ricevette i primi rudimenti di grammatica da don
G. Barzacchini, che fu maestro anche di Emma Roster (la futura
consorte del F.) e che partecipò da posizioni liberali ai
moti del 1848, cui aveva preso parte attivamente anche il padre del
F., il quale, destituito perciò dal suo impiego, dovette
trasferirsi, nel settembre 1849, con la famiglia a Livorno (dove i
Fucini restarono fino al 1853), esercitando liberamente la
professione di medico. A Livorno, il F. ebbe come maestro un certo
G. Taddeini, di cui ricordò i metodi d'insegnamento antiquati
e brutali, per sottrarsi ai quali passò alla scuola dei
barnabiti di S. Sebastiano, dove ricevette un'accurata educazione
letteraria, d'impronta classicheggiante. Nel frattempo, apprendeva
anche i fondamenti della pittura (verso la quale dimostrò
sempre predisposizione e interesse), sotto la guida di G. Baldini
(maestro di G. Fattori), che lo avviò anche al disegno.
Nel 1853 i Fucini, in gravi ristrettezze economiche, dovettero
trasferirsi a Dianella, nella casa paterna di David, dove rimasero
per un biennio.
Qui il F. proseguì gli studi nel vicino centro di Sovigliana
accostandosi con passione a L. Ariosto, T. Tasso e ai romanzi
storico-sentimentali di M. d'Azeglio e T. Grossi. Scoprì
anche, in un armadio di casa, un manoscritto contenente una parodia
poetica in vernacolo livornese del dramma religioso Betulia liberata
di P. Metastasio; a imitazione di tale parodia compose un poemetto
(perduto) in sestine, la Soviglianeide, in cui erano rappresentate
"gare e battaglie fra i due paesi vicini a Dianella: Spicchio e
Sovigliana" (p. 705).
Nel 1855 la famiglia si trasferì a Vinci, dove il padre aveva
ottenuto la condotta medica: il F. fu messo a pensione a Empoli per
continuare gli studi. Gli anni qui trascorsi, se non incisero
profondamente sulla sua formazione culturale (che restò
limitata e disordinata), videro comunque le prime manifestazioni del
suo spirito indipendente e polemico, con la sua accesa passione
garibaldina (e i correlativi scontri, anche fisici, con i
"più terribili reazionari" di Empoli, p. 736) e - nella
primavera-estate del 1859 - l'entusiasmo patriottico in occasione
delle manifestazioni per la deposizione di Leopoldo II e l'unione
del granducato al regno di Sardegna.
In questo clima di fermento, il F. approdò
all'università di Pisa nel novembre di quello stesso anno per
iscriversi alla facoltà di medicina, alla quale fu ammesso,
tuttavia, solo come libero uditore, non essendo stati riconosciuti
validi i titoli di studio rilasciatigli a Empoli. L'anno successivo
non fu ammesso all'esame di passaggio al secondo anno e optò
per la licenza in agraria.
Nel quadriennio pisano (1859-63), vissuto dal F. con la chiassosa
esuberanza degli studenti che si riunivano al caffè
dell'Ussero e negli altri ritrovi cittadini, si vennero manifestando
e si precisarono la sua inclinazione per l'improvvisazione
epigrammatica e quel gusto per il motto arguto e per la battuta
satirica che saranno alla base della successiva produzione poetica
in lingua e, specialmente, in vernacolo. A questo periodo - oltre ai
motti e alle facezie rievocati in Acqua passata (pp. 490-494) e
Foglie al vento (pp. 741-750) - risalgono, infatti, le prime
composizioni satiriche (tra cui un sonetto poi inserito nella
raccolta Guazzabuglio, p. 984), indirizzate contro un maestro di
scherma di Pisa (un certo Cesare Milloschi) e significativamente
esemplate sulla maniera di G. Giusti (cfr. anche il testo di
un'elegia burlesca di questi anni riportato in Acqua passata, p.
494).
Ottenuta la licenza in agraria e non avendo trovato occupazione come
agronomo, il F. nel giugno 1865 accettò un impiego come aiuto
ingegnere presso l'ufficio tecnico comunale di Firenze. Ben presto,
si fece notare per i suoi efficaci sonetti in vernacolo pisano, che
gli procurarono la stima e l'amicizia, tra gli altri, di P. Fanfani
e di R. Foresi, il quale lo introdusse nei più esclusivi
circoli artistico-letterari della città, in particolare in
quello che si riuniva in casa del sindaco U. Peruzzi, dove il F.
conobbe e frequentò A. Aleardi, G. Prati, P. Rigutini, E. De
Amicis. La cerchia delle sue amicizie si allargò poi a G.
Giorgini e a D. Martelli, che lo presentò ai pittori Fattori,
T. Signorini e A. Ciseri, mettendolo così in contatto con il
gruppo dei Macchiaioli, dai quali fu fortemente influenzato e con i
quali ebbe rapporti durante tutta la vita. Nel maggio 1871 un
articolo del Fanfani nella Nuova Antologia lo consacrò come
"nuovo poeta popolare" toscano, erede del Giusti. L'anno seguente,
presso l'editore fiorentino G. Pellas, apparvero i Cento sonetti in
vernacolo pisano di Neri Tanfucio, in cui erano riuniti testi in
gran parte già noti per diffusione orale o manoscritta.
Neri Tanfucio (pseudonimo anagrammatico di Renato F.),
protagonista-autore dei sonetti, è presentato (sonetto XXI)
come un muratore, figlio di uno strozzino e di una proprietaria di
bordelli e, pur immaginato come incarnazione grottesca e portavoce
dell'arguzia e dello spirito d'osservazione popolari, risulta, in
definitiva, un travestimento popolaresco di quella classe
piccolo-borghese cui il F. apparteneva e di cui sono espresse le
delusioni, il disorientamento e i mugugni all'indomani del
compimento dell'Unità. Il tutto in uno stile caratterizzato
dall'attenzione quasi filologico-folcloristica per il giro di frase
e il modo di dire popolari e, soprattutto, dal ricorso a un
dialogato spesso tanto spezzettato da rendere talora inceppato e
faticoso il dettato poetico, indebolendone l'effetto. Così,
nei successivi Cinquanta nuovi sonetti in vernacolo pisano (composti
tra il 1870 e il 1882 e pubblicati nella 3ª ed. delle Poesie di
Neri Tanfucio, Pistoia 1882) il F. ridusse le parti dialogate,
proponendo un impasto dialettale più schiarito. Immutati
restavano, invece, l'orizzonte e il punto di vista di Neri - F.,
perfettamente sovrapponibili oltretutto a quelli configurati nelle
composizioni poetiche in lingua, riunite nelle raccolte Guazzabuglio
(la più antica, con testi dal 1860 c. al 1884), Mercanzia
(costituita da sei sonetti pubblicati nel Fanfulla della domenica
del 20 luglio 1884), Ombre (l'ultima in ordine di composizione, con
testi dal 1884 al 1905). L'intera opera poetica del F. (in vernacolo
e in italiano) è riunita nel volume Poesie di Neri Tanfucio,
che dall'8ª edizione, "con nuove aggiunte" (Pistoia 1891), fino
alla quindicesima (ibid. 1905) era andata arricchendosi delle
raccolte di poesie in lingua e che - vivente l'autore - giunse fino
alla 25ª edizione (Firenze 1920).
Nel frattempo il F. che nel giugno 1871, come molti altri fiorentini
e toscani, aveva perduto l'impiego per il trasferimento della
capitale a Roma, si era dedicato per un certo periodo a tempo pieno
all'attività letteraria, pubblicando poesie e recensioni su
diversi periodici e ricevendo, nel giugno 1872, la nomina a socio
letterario della Società per l'incremento del teatro comico
in Italia, incarico al quale risale il suo costante interesse per la
drammaturgia, testimoniato se non altro dai numerosi inediti
teatrali rinvenuti nelle sue carte. Per meriti letterari e, forse,
per il servizio prestato in quegli stessi anni nella Guardia
nazionale a Firenze, nel gennaio 1876 ricevette il titolo di
cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, ottenendo nel contempo
l'abilitazione all'insegnamento e, per interessamento dell'amico G.
Procacci, direttore della scuola tecnica di Pistoia, la nomina a
docente d'italiano presso quell'istituto.
L'ingresso dell'F. nella carriera scolastica coincise con i suoi
esordi come prosatore: nel dicembre 1876 pubblicò, nella
Nuova Antologia, la sua prima novella (Il matto delle Giuncaie, poi
inserita come racconto d'apertura nelle Veglie di Neri), mentre
l'anno successivo fu incaricato da P. Villari di recarsi a Napoli "a
studiare la miseria di quella virtuosa plebe" (p. 640).
A Napoli il F. soggiornò dagli ultimi giorni d'aprile alla
fine di maggio del 1877, avendo come guida G. Fortunato. Da questo
soggiorno nacque il volume Napoli a occhio nudo. Lettere ad un
amico, pubblicato l'anno seguente a Firenze dal Le Monnier. L'opera
è una sorta di reportage sulla città e i suoi
dintorni, esaminati più con l'ariosità della
descrizione che con il procedere argomentativo della prosa
saggistica. Le nove lettere da cui è costituita, infatti,
disposte apparentemente senza un piano determinato, sono in
realtà collocate con un criterio compositivo di tipo
pittorico, basato sul chiaroscuro (o contrasto) tra i diversi testi
in modo da evidenziare luci e ombre della vita partenopea. Lo stile,
lontano sia dall'asciuttezza del pamphlet etico-politico, sia
dall'oleografismo del libro di viaggio, collocandosi in un difficile
equilibrio tra la prosa da reportage giornalistico e il bozzetto,
caratterizza Napoli a occhio nudo come episodio di formazione
nell'evoluzione della prosa del Fucini. Forse proprio per ciò
egli manifestò sempre insoddisfazione per quest'opera
giovanile, che chiamava "librettaccio" (p. 640; in seguito,
tuttavia, il F. consentì che fosse ripubblicata, con una
prefazione di G. Fortunato, quale primo volume della collana "La
questione meridionale", Roma 1913).
La pubblicazione di Napoli a occhio nudo, procurando al F.
l'amicizia di personalità quali R. Bonghi, S. Spaventa e V.
Pareto, gli spianò la strada per la nomina (in data 4 nov.
1879) a ispettore delle scuole pubbliche, con incarico (19 dicembre)
per le scuole del circondario di Pistoia. Questo lavoro gli
risultò particolarmente congeniale sia perché gli dava
modo di conoscere a fondo il territorio dell'Appennino pistoiese
nella sua ricchezza di paesaggi e personaggi (osservati nel corso
dei suoi viaggi professionali), sia perché gli lasciava tempo
libero a sufficienza da dedicare all'attività letteraria e,
soprattutto, alle lunghe scorribande come cacciatore (spesso
invitato per partite di caccia anche nelle tenute nobiliari dei
Ginori, dei Peruzzi, degli Uzielli). Alla fine del secolo, dopo aver
rifiutato la nomina a provveditore agli studi nella provincia di
Massa Carrara offertagli dal ministro P. Boselli ed essendo stato
esonerato dall'incarico di ispettore scolastico, si trasferì,
nel 1900, a Firenze, dove gli era stato offerto un posto di
bibliotecario presso la Riccardiana. A Firenze restò fino a
quando fu messo in pensione (1906), alternando al lavoro in
biblioteca frequenti trasferte come conferenziere e la
collaborazione a diversi periodici.
Il periodo dal 1879 al 1906 è quello in cui si addensa la
parte più cospicua e importante della sua produzione
letteraria: oltre alle diverse edizioni, con successivi ampliamenti
e modificazioni, delle Poesie di Neri Tanfucio risalgono a questi
anni tutte le opere maggiori in prosa: le 14 novelle, pubblicate tra
il 1876 e il 1882, riunite in Le veglie di Neri. Paesi e figure
della campagna toscana (Firenze 1882), che si arricchì dei
racconti Passaggio memorabile e Dolci ricordi nella 4ª ed.
(Milano 1890) e di due successive novelle (Nonno Damiano e La
maestrina) in quella postuma, a cura di G. Biagi (Firenze 1921).
Quindi seguirono le prose di All'aria aperta (ibid. 1897) e di Nella
campagna toscana (ibid. 1908), costituita da tre racconti (Castore e
Polluce, Tigrino, Il signor colonnello), che furono poi aggiunti
alla collezione All'aria aperta nella sua 6ª edizione (ibid.
1911).
Partito dal progetto (delineato, con un elenco di 48 "bozzetti" da
realizzare, in un appunto del giugno 1878) di presentare un vasto
panorama della vita toscana in tutti i suoi aspetti, il F.
trovò dunque nella forma del bozzetto lo strumento più
idoneo all'impresa ideata, che riuscì a realizzare solo
parzialmente con la pubblicazione delle due raccolte di novelle.
Infatti, l'adozione del bozzetto, con i suoi caratteri di evidenza e
immediatezza, se da un lato sembrava avvicinare la sua operazione
alle ricerche veriste (da ciò gli apprezzamenti manifestati
al F. da G. Verga e L. Capuana), dall'altro, precludendo la
possibilità di costruzione di ampi cicli narrativi - tipici
della letteratura d'ascendenza naturalistica - imponeva una
composizione a macchie e chiaroscuro (perfettamente omologa ai
procedimenti tecnici dei Macchiaioli) efficace solo nella breve
misura, e in cui scene, figure e colori - ricreate con una prosa
vicinissima al gergo contadino toscano - risaltano solo se condotti
con brillantezza e freschezza.
L'impossibilità di sottoporre a ulteriori sviluppi la forma
del bozzetto e la volontà di evitare la maniera distolsero il
F. dalla prosa narrativa cosicché egli, nell'ultima parte
della sua carriera, preferì dedicarsi alla letteratura per
l'infanzia.
Di tale attività sono frutto: Il mondo nuovo, libro di
lettura per le scuole elementari (in cinque voll., ibid. 1901-09);
Il bambino di gommelastica, revisione e libero adattamento
dell'omonimo racconto dello scrittore russo D.V. Grigorovich
(tradotto in italiano da B. Pucci); Il ciuco di Melesecche (postumo,
ibid. 1922), raccolta di racconti dedicata dal F. ai nipotini e
composta da sedici testi, nove in prosa (originali) e sette in versi
(traduzioni dall'inglese e dal russo di B. Pucci, versificate e
adattate dal Fucini).
Nel frattempo, ottenuta nel 1906 la pensione, il F. si era ritirato
nella casa paterna a Dianella, con la moglie Emma e le due figlie
Ida e Rita, trascorrendo le villeggiature estive a Castiglioncello,
circondato da numerosi amici, specialmente pittori, e intrattenendo
un singolare carteggio poetico con una vicina, Laura Milani.
Trascorse i suoi ultimi anni in serenità, onorato come uno
dei maestri della narrativa italiana contemporanea (nel 1906 fu
nominato commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia; nel 1916
membro dell'Accademia della Crusca; in precedenza, in occasione del
suo settantesimo compleanno, gli erano stati tributati numerosi
riconoscimenti pubblici, concretatisi anche in diverse pubblicazioni
celebrative).
Colpito da un cancro alla gola, dovette trasferirsi a Empoli dove
morì il 25 febbr. 1921. Fu sepolto nella cappella privata
della sua villa a Dianella.
L'anno stesso della sua morte furono pubblicate, a cura di G. Biagi,
due raccolte di prose (per lo più autobiografiche), Acqua
passata. Storielle e aneddoti della mia vita e Foglie al vento.
Ricordi, novelle e altri scritti (entrambe Firenze 1921). La prima
è costituita da un cospicuo numero di brevi prose
autobiografiche, intese a ricordare luoghi, personaggi e aneddoti
evocati con libera associazione d'idee e descritti con la consueta
tecnica del chiaroscuro. Nella seconda, invece - probabilmente
assemblata dal Biagi scegliendo tra scritti fuciniani apparsi in
periodici o inediti - si possono distinguere tre parti: la prima
è un'ordinata esposizione della vita di F. fino agli anni
pisani, scandita in cinque ampi capitoli stesi a partire dal
febbraio 1902; la seconda è costituita da due novelle, Il
signor Licurgo e Caccia al vento (già pubblicate sul Marzocco
nel dicembre 1903 e nel maggio 1909); la terza comprende tre testi
d'argomento e intonazione assai diversi tra loro: Su l'Etna, una
descrizione - derivata dal testo di una conferenza - che rimanda
alle pagine dedicate all'ascensione sul Vesuvio in Napoli a occhio
nudo, Beatrice del Pian degli Ontani e Il Bruscello della Serra
(apparsi sulla Domenica del Fracassa nell'aprile e nel maggio del
1885: derivati da Appennino pistoiese, una conferenza tenuta a
Pistoia nel maggio 1883, e dedicati rispettivamente alla
rievocazione della figura della pastora poetessa Beatrice Bugelli
[1802-85] e alla descrizione-resoconto dell'esecuzione di una
rappresentazione popolare nell'Appennino toscano).
Le opere fuciniane sono raccolte nel volume Tutti gli scritti di R.
Fucini, Milano 1935 (più volte ristampato, ibid. 1944, 1946,
1956, 1963), in cui non sono tuttavia compresi i libri di letture
per la scuola elementare e gli scritti per l'infanzia. Un elenco
degli scritti del F. apparsi su giornali e periodici vari o in altre
sedi è citato nello studio di Sbrocchi, R. F.…, pp. 260-263,
in cui (pp. 255-259) è raccolta anche la bibliografia delle
edizioni delle singole opere, aggiornata fino al 1976 ma assai
lacunosa per le edizioni anteriori al 1900, per le quali si deve
ricorrere ai fondi fuciniani della Riccardiana.