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Nacque a Torino il 17 febbr. 1900 da Annibale e
Battistina Randone.
La famiglia era originaria di Garessio (Cuneo), dove aveva dimorato
per diverse generazioni, ed era imparentata alla famiglia di Luigi
Einaudi. Due fratelli del F., Ugo ed Enrico, morirono durante la
prima guerra mondiale (il primo in combattimento). Un altro
fratello, Gian Maria, fu illustre neurochirurgo.
Frequentò la facoltà di giurisprudenza
dell'università di Torino, ove si laureò nel 1924,
discutendo una tesi sulla doppia tassazione del risparmio, di cui fu
relatore Luigi Einaudi. Einaudi lo guidò in tutte le fasi
della sua carriera scientifica e rimase sempre il suo punto di
riferimento più importante, anche quando, come
inevitabilmente doveva avvenire, le loro posizioni scientifiche
cominciarono a divergere.
Frutto della rielaborazione della tesi è il primo saggio,
Sulla teoria dell'esenzione del risparmio dall'imposta, che
l'Einaudi trasmise all'Accadernia delle scienze di Torino, nei cui
atti fu pubblicata (Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino,
s. 2, LXVI [1926], 7, pp. 1-38).
In questo scritto il F. sostiene la validità della teoria
einaudiana sull'esenzione del risparmio, con una duplice
dimostrazione: "che la tassazione del reddito guadagnato implica
effettivamente una doppia imposizione sul risparmio" e "che la legge
del valore regge effettivamente, almeno in linea tendenziale, il
fenomeno dell'imposta". La dimostrazione del primo assunto gli
consente una erudita esposizione della letteratura sull'argomento,
con critiche puntuali alle teorie contrarie alla doppia imposizione,
mentre per dimostrare il secondo assunto egli richiama le due
fondamentali "spiegazioni" del fenomeno finanziario, quella
"economica" e quella "politica", criticandone acutamente
l'unilateralità con l'osservazione che in ambedue prevale la
legge del minimo mezzo e giungendo così alla conclusione che
tali spiegazioni del fenomeno finanziario non contraddicono la
teoria della doppia tassazione del risparmio.
Su questo tema il F. ritornò più volte nel corso del
tempo, dapprima (Sulla doppia tassazione del risparmio, in Riforma
sociale, XXXV [1928], 39, pp. 123-140) per difendere ulteriormente
le posizioni di Einaudi, ma dopo qualche tempo per riconoscere che,
pur rimanendo valida la tesi della doppia imposizione, la
dimostrazione di Einaudi non era accettabile (A proposito di un
recente volume sull'incidenza delle imposte, in Giornale degli
economisti, n.s., II [1940], pp. 1-23, e poi Principii di scienza
delle finanze, Torino 1941, II, spec. p. 285).
Apparvero nel 1929 un lungo articolo, Elementi per una teoria della
durata del processo traslativo dell'imposta in una società
statica (in Giorn. degli economisti, XLIV [1929], pp. 557-583 e
687-714), nonché due brevi scritti, Riflessioni su di un
punto della teoria dell'illusione finanziaria (in Atti della R. Acc.
delle scienze di Torino, LXIV [1928-1929], pp. 333-345) e Di alcuni
effetti dell'estinzione del debito pubblico mediante un'imposta sul
capitale (in Riforma sociale, XXXVI [1929], 40, pp. 213-224).
Nel saggio più ampio, sulla durata del processo traslativo
dell'imposta, certamente il più impegnativo della sua
produzione giovanile, il F. si proponeva di approfondire un problema
enunciato da Maffeo Pantaleoni (Teoria della traslazione dei
tributi, Roma 1882, pp. 52 s.) ma da questo non sviluppato: quello
della "velocità" della traslazione, anche se in realtà
tale studio costituisce essenzialmente una premessa all'indagine
sulla velocità, essendo soprattutto diretto a studiare la
durata del processo traslativo, nel tentativo di "stabilire le
condizioni che influiscono sulla determinazione del tempo".
In tale scritto, che ebbe diffusione internazionale (fu pubblicato
in inglese qualche anno dopo, in Review of economic studies, I
[1934], pp. 81-101, e II [1935], pp. 122-136), il. F.
considerò elemento decisivo per la durata del processo
traslativo l'intervallo temporale tra la fine di un processo
produttivo e la fine del successivo, pur tenendo conto di numerose
altre variabili che possono influenzare tale processo in una
società statica. Questo tipo d'indagine fu successivamente
sviluppato da un punto di vista più generale (non firnitato
ai soli aspetti finanziari) dallo stesso F. con particolare riguardo
alle posizioni intermedie tra un equilibrio e l'altro (in Di un
fenomeno di attrito, in Rivista ital. di statistica, economia e
finanza, IV [1932], 2, pp. 248-281, e Velocità nelle
variazioni della domanda e dell'offerta e punti di equilibrio
stabile e instabile, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino,
LXVII [1932], pp. 383-425).
Nelle Riflessioni su di un punto della teoria dell'illusione
finanziaria, un caso della teoria dell'illusione finanziaria di A.
Puviani, quello dell'illusione sulla "quantità della
sensazione penosa", viene fatto rientrare nel concetto marshalliano
di rendita del consumatore, mentre nello scritto sul debito pubblico
si considerano alcune limitazioni alla validità della tesi,
contenuta nel Colwyn Report, secondo cui l'estinzione del debito
pubblico mediante un'imposta sul capitale ridurrebbe l'imponibile in
modo da non consentire una rilevante riduzione della pressione
tributaria.
Nel febbraio del 1930, sulla base dei primi cinque lavori, il F.
conseguiva la libera docenza in scienza delle finanze e diritto
finanziario (commissari F. Flora, R. Benini, P. De Francisci
Gerbino) e assumeva quindi l'incarico della stessa disciplina presso
l'università di Sassari per l'anno accademico 1930-31.
Pubblicava, quindi, oltre ai due articoli già menzionati
sull'elemento temporale nel passaggio da una posizione di equilibrio
ad unaltra, numerosi altri scritti. Il saggio Di un particolare
aspetto delle imposte sul consumo (in Riforma sociale, XXXVII
[1930], pp. 1-20, trad. in inglese in International economic papers,
n. 6, London-New York 1956, pp. 34-49) ha per oggetto il cosiddetto
teorema di Barone sul confronto in termini di sacrificio tra
un'imposta sul consumo ed un'imposta sul reddito a parità di
gettito: in proposito il F. introduce utili precisazioni circa
alcune possibili eccezioni all'applicabilità del suddetto
teorema. Il Contributo ad alcuni punti della teoria della
traslazione delle imposte sui "profitti" e sui "redditi" (in Studi
sassaresi, IX [1930], 3, pp. 173-207, e X [1931], 1, pp. 1-51)
esamina alcuni casi che costituiscono eccezioni alla tesi della
intrasferibilità delle imposte, speciali o generali, sui
sovrappiù, nonché delle stesse imposte generali sul
reddito. Nell'articolo Aproposito di una divergenza di opinioni fra
alcuni scrittori di finanza, in Rivista di politica economica, XXI
(1931), 9, pp. 677-688, il F. confronta le posizioni contrapposte di
Einaudi, in favore dell'imposizione del reddito normale, e di B.
Griziotti, favorevole all'imposizione dei sopraredditi, dimostrando
che parte di tali divergenze era dovuta a diversità
terminologiche e parte alla diversa concezione dell'imposta. In A
proposito degli effetti dell'esenzione dall'imposta delle case di
nuova costruzione, in Riforma sociale, XXXVIII (1931), pp. 337-363,
vengono esaminate le divergenze d'opinione tra Renzo Fubini e
Riccardo Bachi sulle conseguenze di questo provvedimento,
nell'ipotesi di una società "progressiva", mentre in Schemi
teorici ed "exponibilia" finanziari, in Riforma sociale, XXXIX
(1932), pp. 481-514, vengono confrontate le teorie finanziarie di A.
Graziani, di A. Puviani e dell'Einaudi, giungendo alla conclusione
che nessuna di esse è in grado di spiegare l'evoluzione dei
sistemi finanziari, che deve essere considerata come "il risultato
di un insieme di azioni non-logiche" (p. 514), nel senso che Pareto
attribuiva a questo termine; infine, in Contributo alla teoria
dell'"uomo corporativo", in Studi sassaresi, X (1932), 4, pp.
317-335, accanto alla tradizionale ipotesi dell'homo oeconomicus
egli considera, come ulteriore approssimazione. quella dell'homo
corporativus, cioè di un uomo "che si comporti secondo i
principi fondamentali della Carta del Lavoro e che, a differenza del
primo [homo oeconomicus], sia anche dotato del sentimento
dell'interesse superiore della collettività a cui appartiene"
(p. 326).
Nel 1932 il F. vinse il concorso per professore straordinario alla
cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario
dell'università di Messina (commissari: F. Flora, P. De
Francisci Gerbino, G. Borgatta, A. De' Stefani, G. U. Papi), ma gli
atti del concorso non furono approvati se non per un diretto
intervento di Benito Mussolini, sollecitatogli da Einaudi con una
lunga lettera nella quale si metteva in evidenza che il F. non era
da considerarsi oppositore del regime per il semplice fatto di
essere suo allievo, e inoltre che il Fascio di Garessio era stato
intitolato ai due fratelli del F. morti durante la prima guerra
mondiale (cfr. G. C. Marino, L'autarchia della cultura -
Intellettuali e fascismo negli anni Trenta, Roma 1983, spec. pp.
213-216).
Chiamato dall'università degli studi commerciali di Trieste a
partire dal 1º dic. 1932 (il ritardo di un mese rispetto
all'inizio dell'anno accademico fu dovuto proprio alle vicende di
cui si è detto circa l'approvazione degli atti del concorso),
il F. vi rimase soltanto fino alla fine dell'anno accademico,
essendo stato chiamato, a partire dal 1ºnov. 1933, alla
cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario
dell'istituto superiore di scienze economiche e commerciali di
Genova. Promosso ordinario a partire dal 1º dic. 1935
(commissari: M. Fanno, G. Zingali, G. Masci), il F. fu nominato
preside nel 1937, carica in cui fu sempre confermato.
Con gli studi di cui si è detto si è, in un certo
senso, conclusa la prima fase delle indagini del Fasiani. Una fase
ancor più interessante si apre dopo il conseguimento della
cattedra, sia per la naturale maturazione dello studioso, sia anche
per la più completa libertà di elaborazione
scientifica che una cattedra universitaria ha sempre consentito.
Tale fase, di cui si tratterà brevemente qui di seguito, si
conclude con la pubblicazione di due volumi di Principii di scienza
delle finanze, un trattato che, sebbene rimasto incompleto (il
disegno originario prevedeva quattro volumi), si può
considerare tra i migliori che siano stati pubblicati in Italia nel
periodo tra le due guerre mondiali.
Segue, dopo alcuni scritti polemici per lo più collegati con
la pubblicazione dei Principii, una terza fase, coincidente con il
dopoguerra e conclusasi con la morte prematura.
Già in Schemi teorici ed "exponibilia" finanziari (ultimo
scritto del F. che comparirà sulla rivista di Luigi Einaudi)
il F. aveva fatto ricorso per la prima volta a concetti paretiani,
quali quelli di "azione logica" e "azione non-logica", in netto
contrasto con gli insegnamenti di Luigi Einaudi, che guardava con
scarsa simpatia la sociologia paretiana. L'interesse profondo (e
crescente, nel corso degli anni) del F. per gli studi sociologici lo
indurrà a dichiarare, nei Principii (I, p. 37), che "la Mecca
della scienza delle finanze è nella sociologia ".
Risentono, invece, dell'impostazione precedente i saggi sulla teoria
finanziaria in Italia (Der gegenwärtige Stand der reinen
Theorie der Finanzwissenschaft in Italien, in Zeitschrift für
Nationalökonomie, III [1932], 5, pp. 651-691; IV [1933], 3, pp.
357-388, trad. ital. in M. Finoia, Il pensiero economico italiano,
1850-1950, Bologna 1980, pp. 117-202), in cui l'atteggiamento nei
riguardi della sociologia paretiana è ancora piuttosto
critico.
Una certa diffidenza nei riguardi dell'impostazione pigouviana
traspare dalla Prefazione del F. alla Economia del benessere di A.
C. Pigou, cui è dedicato il vol. X della "Nuova Collana di
economisti" (Torino 1934). Il testo del F. (pp. VII-XVI), se si
escludono i riferimenti bibliografici, è di due sole pagine,
cosa molto insolita per uno scrittore facondo quale egli fu. Nei
suoi Principii, inoltre, il F. parla del "concetto di benessere che
Pigou ha tentato di elaborare", dichiarando che "tale elaborazione
non è così priva d'incertezze, da costituire una base
sicura ed inequivoca per gli ulteriori sviluppi della teoria"
(Principii, I 2 ed., Torino 1951, p. 49). Più esplicitamente,
in una lettera ad Einaudi del 24 genn. 1934, il F. affermava,
riferendosi alla sua prefazione all'Economia del benessere: "Ho dato
dell'inglese al libro di Pigou perché è mia
impressione che quell'arrabattarsi, suo e di Marshall, a studiare
dell'opportunità di pigliare qualche po' da una parte per
dare all'altra, sia un po' il portato della fiducia che in fondo gli
inglesi nutrono sul valore pratico dei risultati delle indagini
teoriche".
Accanto alle indagini di carattere strettamente teorico, il F.
trattò, in quegli anni, tematiche più concrete,
attinenti alla politica economica quale sembrava configurarsi nella
nascente teoria economica corporativa.
Dopoil Contributo alla teoria dell'uomo corporativo il F.
approfondì il suo pensiero al riguardo in una serie di
scritti, due dei quali apparvero nel 1935. Il più breve di
essi, Problemi tributari inglesi (in Annali di economia, X [1935],
2, pp. 335-365), frutto di una conferenza tenuta
all'università Bocconi, fornisce al F. l'occasione per
riproporre la metodologia paretiana, parlando di teorie della
finanza pubblica che minacciano di trasformarsi in "derivazioni".
Contrapponendo il sistema economico del Regno Unito,
"collettività organizzata su basi eminentemente
individualistiche", a quello che stava emergendo in Italia con
l'organizzazione corporativa, egli concludeva affermando: "Altri
rimedi, altri spiragli, altre risorse si palesano in una
organizzazione quale la nostra, in cui il sistema tributario non
è che una parte, e non la principale, nell'organismo di
manovra creato dal Fascismo" (p. 365).
In un saggio dello stesso anno, Fluttuazioni economiche e economia
corporativa (in Annali di statistica e di economia della
Facoltà di economia e commercio di Genova, II [1935], 3, pp.
1-70), il F. presentava "alcune osservazioni che possono essere una
parte, una piccola parte, di una teoria dell'economia corporativa"
(p. 5).
Il primo elemento importante da mettere in evidenza, secondo il F.,
è che "l'ordinamento economico corporativo è nato in
una società dinamica e per una società dinamica".
Deriva da ciò che, qualora ci si ponga dal punto di vista
della dinamica economica, "non solo gran parte degli studi di
Economica applicata cessano di persuadere, ma vengono meno tutte le
critiche e le obbiezioni rivolte alle 'economie regolate', ove
abbiano unica base nelle nozioni delle 'tendenze' offerte
dall'Economica tradizionale" (p. 17). In particolare, le crisi
congiunturali, che nell'ottica della teoria statica sono un
"fenomeno transeunte" e quindi "non possono fornire argomento di
critica verso il sistema capitalistico liberista" (p. 17), devono
essere valutate in modo del tutto diverso quando si riconosca "che
le leggi della statica non trovano applicazione fuori del caso
limite in cui sono valide, e che una politica economica riflettente
i prezzi o le quantità non può poggiare su quelle
leggi" (p. 21). Sostiene quindi il F. che "se non esiste un
movimento tendenziale retto dalle leggi proprie della statica, P'
intervento' non può essere un ostacolo alla manifestazione di
quelle leggi, ma deve essere considerato e valutato con tutt'altri
criteri" (p. 19), che giustificano l'economia regolata", che non
è però sinonimo di "economia corporativa". Le economie
regolate sono considerate dal F. come "tentativi di raggiungere un
massimo di utilità per la collettività" (p. 23), ma
ciò non è ancora economia corporativa, la quale,
secondo il F., "non si limita a ricercare un massimo di benessere o
di utile per la società, ma persegue, inoltre, un massimo di
benessere o di utile della società" (p. 23). Ne deriva che
"sarebbe assurdo supporre che l'economia corporativa fosse soltanto
un rimedio alle fluttuazioni. I suoi scopi sono assai più
vasti ed importanti" (p. 23) e di duplice ordine. Vi sono, in primo
luogo, gli "scopi fondamentali e generali", che "trascendono di gran
lunga i problemi di cui solitamente si è occupata
l'Economica" e "costituiscono le basi fondamentali del sistema
economico e del sistema politico nazionale" (p.24). In secondo
luogo, accanto ad essi, "l'economia corporativa ne persegue altri
minori", "di amministrazione", tra i quali rientra quello del
controllo delle fiuttuazioni industriali (p.25), che deve attuarsi
"aggiungendo al movimento controllato dei prezzi, altre forze
direttive capaci di coadiuvarlo nelle sue funzioni" (p. 27).
Infatti, l'organizzazione corporativa può "ottenere quel
rapido adeguamento di prezzi e quel pronto sacrificio di guadagni
che l'azione separata ed autonoma degli imprenditori non sa
consentire" (p. 56). In aggiunta al controllo dei prezzi, secondo il
F., possono essere necessari altri tipi d'intervento, quali
l'imponibile di lavoro" a carico delle imprese, e l'azione diretta
sulla domanda e l'offerta di impianti industriali, attraverso un
"piano controllato di produzione", che includa, se giudicato
necessario, un "contingentamento della produzione a cui è
destinato il macchinario-base" (p. 61).Pochi anni dopo, in uno degli
scritti più impegnativi su questa tematica, Principii
generali e politiche delle crisi (in Annali d'economia, XII [1937],
1-4, pp. 25-108), il F. distinse (p. 94) tre diverse "politiche",
dirette alternativamente: a) "ad alleviare gli effetti più
dolorosi delle depressioni" (secondo il modello liberale, che il F.
giudicava superato); b) "ad agire su alcune delle forze che giocano
sul meccanismo delle fluttuazioni"; c) "a modificare la combinazione
e il funzionamento di quel complesso di forze". La terza soluzione,
che è quella "totalitaria, continua, rivolta a tutti i punti
del sistema, nell'intento di armonizzarne i movimenti" (p. 96),
è quella che il F. preferisce. Infatti, egli giudica la
seconda alternativa, nella quale include anche la politica della
spesa pubblica finanziata in disavanzo suggerita da J. M. Keynes nel
1933 (The means to prosperity, London 1933) di dubbia efficacia, in
quanto essa "può, al massimo, risollevare dalla stasi e
portare a un nuovo ciclo, ma non prevenire o limitare le
fluttuazioni" (p. 99). Dopo aver individuato la soluzione
totalitaria come l'unica accettabile, il F. distingue tra la
"soluzione comunista" con pianificazione centralizzata e la
"soluzione corporativa fascista", che, invece di un piano
integralmente predisposto da un organo centrale, prevede "un "piano"
nato dall'iniziativa individuale, che l'organo centrale controlla e
plasma, coordinandone le varie parti", (p. 104) e che il F. giudica
preferibile, sia perché più flessibile, sia
perché conforme ai principi della proprietà privata.
In un successivo scritto, Autarchia economica (in Annali di
statistica e di economia, V [1939], 6, pp. 352), il F. dopo aver
distinto tra "autonomia", in cui l'indipendenza economica è
un fine, e "autarchia", in cui l'indipendenza economica è un
mezzo, sostiene che la Nazione Fascista tende all'"autarchia" e non
alla semplice "autonomia". L'obiettivo, infatti, dev'essere quello
di "cornandare" l'economia, al fine di "raggiungere determinati
obiettivi di politica interna e di politica estera" (p. 8). Anche
Keynes viene chiamato (p. 16) a sostegno dell'autarchia (in
Autarchia economica, in "Nuova Collana di Economisti", III, Torino
1933, p. 339), soprattutto per le sue critiche al "capitalismo
individualistico". In una parola, "il liberismo commerciale
internazionale non può sopravvivere al liberismo nazionale"
(p. 17).
Nel 1940, in A proposito dei recenti provvedimenti tributari
italiani (in Annali di statistica e di economia, VI [1940], 7-8, pp.
209-235), riferito all'introduzione dell'imposta ordinaria sul
patrimonio e dell'imposta generale sull'entrata, il F., dopo aver
sostenuto l'importanza dell'autarchia economica come strumento per
l'indipendenza politica, e considerando che lo stato di guerra
doveva essere ritenuto come un periodo non eccezionale nella vita
dei popoli, affermava tra l'altro che "la distinzione tradizionale
tra "finanza ordinaria" e "finanza straordinaria" perde molto della
sua importanza", sostenendo che "il sistema tributarlo deve
preordinarsi in modo da poter funzionare e rispondere alle esigenze
statali, tanto nei periodi di pace armata quanto nei periodi di
guerra guerreggiata" (p. 217). Egli giungeva, così, sia pure
per vie molto diverse, a risultati analoghi a quelli della
cosiddetta "finanza funzionale" di derivazione keynesiana.
Nello stesso periodo il F. continuava, parallelamente, la sua
attività scientifica di carattere più tradizionale.
Nel 1935 egli pubblicava un lungo saggio su Imposta e rischio (in
Studi in onore di Salvatore Ortu Carboni, Roma 1935, pp. 139-202),
nel quale esaminava diverse possibili relazioni tra rischio e
imposizione. L'anno seguente, nell'articolo Diun elementare problema
di tempo e di alcune sue applicazioni finanziarie (in Annali di
statistica e di economia, V [1936], 4, pp. 69-112), il F. esaminava
il calcolo economico individuale nella ripartizione della ricchezza
disponibile su tutto il periodo economico che l'individuo considera
e che può essere illimitato o, invece, di durata limitata.
Secondo il F., un soggetto dotato di un "periodo economico" di
durata limitata ottiene un vantaggio particolare (analogo alle
"rendite marshalliane" e definito "rendita del celibe") per il fatto
di vivere in una collettività i cui soggetti "normali" sono
dotati di un "periodo economico" illimitato. Ritornando sul tema
già tante volte affrontato della -doppia tassazione del
risparmio, il F. ne ricava la conclusione che "i sistemi tributarii
moderni rivelano una tendenza non già ad esentare il
risparmio, come tale, ma soltanto quel risparmio che è
rivolto a perpetuare il reddito del soggetto normale, allo scopo di
restringere la tassazione alle sole rendite del celibe
presumibilmente realizzate, con esclusione di quelle parti del
reddito che presumibilmente non ne contengono" (p. 110). Hanno
carattere erudito due scritti del 1936 e dell'anno seguente. Nel
primo, Precedenti di alcune recenti teorie finanziarie (in Annali di
statistica e di economia, III [1936], 4, pp. 195-240), il F. intende
dimostrare come "frequenti, facili e impensate siano le ripetizioni,
nello svolgimento della dottrina". Egli si sofferma soprattutto sui
precedenti della teoria del debito pubblico di A. De Viti De Marco,
sul "valuta-dumping", sul principio produttivistico dell'imposta,
sulla polemica tra Einaudi e Griziotti e sulla teoria dell'incidenza
di De Viti De Marco.
Il secondo saggio, Note sui "Saggi economici" di Francesco Fuoco
(ibid., IV [1937], 5, pp. 1-131), che costituisce in assoluto lo
studio più erudito del F., è dedicato alla
presentazione di uno studioso del primo ottocento lungamente
ignorato che proprio in quegli anni veniva riscoperto (cfr. il
commento di L. Einaudi, Fuoco rivendicato, in Rivista di storia
economica, III [1938], 1, pp. 60-77, rist. in: L. Einaudi, Saggi
bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953,
pp. 175-199).
La pubblicazione del libro di Duncan Black, The incidence of income
tax, London 1939, fu salutata dal F. con un articolo di recensione,
A proposito di un recente volume sull'incidenza delle imposte, in
Giornale degli economisti, n.s., II (1940), che gli fornì lo
spunto per riprendere, con nuovi sviluppi, temi a lui molto cari,
come quello della doppia tassazione del risparmio e, inoltre, quello
della teoria dell'incidenza delle imposte di De Viti De Marco. Nei
riguardi di quest'ultima teoria il F. elaborò delle ipotesi
circa la possibilità di trascurare l'uso del gettito delle
imposte, che suscitarono alcuni commenti critici di Attilio Da
Empoli (in Lineamenti teorici dell'economia corporativa finanziaria,
Milano 1941, pp. 131-136), ai quali, come vedremo, il F. avrebbe
replicato poco dopo.
Gli studi condotti dal F. durante un quindicennio ebbero un elemento
di fusione nei suoi Principii di scienza delle finanze, che
apparvero nel 1941 dopo una prima versione litografata dell'anno
precedente (Appunti presi alle lezioni tenute dal prof. M. F. dalla
cattedra di scienza delle finanze, Genova 1940).
Secondo la sua definizione, basata sul concetto di "gruppo
pubblico", da lui mutuato da E. R. Seligman, "la Scienza delle
finanze studia le uniformità di quella parte
dell'attività economica del gruppo pubblico che assume
l'aspetto contabile di entrate e di spese nella pubblica
amministrazione ".
La struttura portante dell'opera è costituita da
un'applicazione dello schema devitiano dei "tipi" di Stato,
comprendente lo Stato monopolista e quello cooperativo, con
l'aggiunta, rispetto all'impostazione devitiana, dello "Stato
moderno", o "corporativo", verso il quale, a suo avviso, si
sarebbero indirizzati gli Stati contemporanei, dato che "nel corso
del tempo, si tenderà in ogni Paese ad allontanarsi sempre
più dai casi limite dello Stato Monopolista e Cooperativo,
per avvicinarsi al caso dello Stato Moderno".
Lo Stato monopolista rappresenta "un'organizzazione in cui una
classe eletta dirigente (i dominanti) eserciti il potere nel proprio
esclusivo interesse, senza preoccuparsi degli interessi dei
dominati", mentre lo Stato cooperativo si ha nel caso di
"un'organizzazione in cui il potere sia esercitato nell'interesse di
tutti gli appartenenti al gruppo pubblico, ma avendo di mira gli
interessi particolari di ciascuno o almeno della maggioranza".
Ambedue questi "tipi" di Stato hanno rispondenza nella teoria
microeconomica, nei casi di monopolio e di concorrenza perfetta,
secondo quanto proposto da De Viti De Marco.
Appare al di fuori della struttura "microeconomica" il terzo caso,
dello Stato corporativo, rappresentato da "un'organizzazione in cui
il potere sia esercitato invece nella preoccupazione degli interessi
del gruppo pubblico, considerato come un'unità". La
differenza tra Stato cooperativo e Stato corporativo consisterebbe
nel fatto che, mentre nel primo il protagonista è
l'individuo, nel secondo è il gruppo pubblico, nel cui
interesse viene perseguita l'attività finanziaria, "anche se
non accresce il benessere individuale della totalità o della
maggioranza dei consociati".
Peraltro, secondo il F., tutti e tre questi tipi di Stato
rappresentano dei casi limite, non potendo nessuno di essi essere
identificato con uno Stato storicamente esistito.
Il disegno originario dei Principii di scienza delle finanze
prevedeva quattro volumi, dei quali soltanto due sono stati
pubblicati, dedicati, il primo, alla finanza dello Stato monopolista
(dopo un'introduzione sulla teoria generale della finanza pubblica),
ed il secondo alla finanza nello Stato cooperativo. In questi due
volumi il F. ha inserito, talvolta con qualche inevitabile
forzatura, la maggior parte delle tematiche della scienza delle
finanze. Un terzo volume avrebbe dovuto riferirsi alla finanza dello
Stato moderno, mentre il quarto volume sarebbe stato dedicato
all'imposizione straordinaria, che per sua natura, secondo il F., si
prestava ad essere esaminata allo stesso modo, pur nell'ambito di
tipi di Stato diversi (anche se, come si è accennato, la
stessa distinzione tra finanza ordinaria e finanza straordinaria era
stata messa in dubbio dal Fasiani).
Nella trattazione dello Stato monopolista ampio spazio è dato
alla tematica delle illusioni finanziarie di Amilcare Puviani, alle
quali in questo tipo di Stato la classe eletta farebbe
sistematicamente ricorso per via non logica, sebbene illusioni
finanziarie possano riscontrarsi anche negli altri tipi di Stato. Lo
sfruttamento dei fenomeni di illusione, peraltro, non può
svolgersi oltre certi limiti. Viene inquadrato in quest'ambito il
fenomeno della traslazione delle imposte, con particolare
riferimento a quelle di carattere speciale, che più si
prestano ad un trattamento discriminatorio tipico dello Stato
monopolista.
Nello Stato cooperativo, invece, secondo il F., la "classe eletta"
dovrà soddisfare gli "interessi della totalità dei
consociati o almeno della maggioranza" (II, p. 12), attuando
così il principio che "non si deve mai giovare ad alcuno con
danno di altri, ogni qual volta ciò sia possibile". Rientra
in quest'ambito, secondo il F., la cosiddetta "teoria edonistica
della finanza pubblica".
In questo tipo di Stato il compito della "classe eletta" è
quello di risolvere tre problemi: la scelta dei servizi da
dichiarare pubblici, la determinazione del loro ammontare e la
ripartizione del costo.
Sul primo problema egli osserva che tutti i servizi (inclusa la
stessa difesa) potrebbero, in principio, essere prodotti dai
privati, per cui il criterio per la scelta dei servizi pubblici
dev'essere quello economico (quando lo Stato fornisca servizi di
qualità migliore allo stesso costo dei privati o, a costo
minore, servizi della stessa qualità), con le eccezioni dei
servizi che devono tipicamente essere prodotti dallo Stato, pena la
sua scomparsa, e dei servizi prodotti in condizioni di monopolio
naturale.
Sulla base di queste considerazioni, il F. ritiene che "lo Stato
cooperativo debba limitarsi a dichiarare pubblici quelli che
riescono utili alla totalità dei consociati" (II, p. 11), o
almeno alla maggioranza.
Per quanto riguarda, poi, la determinazione della quantità
dei servizi pubblici, il F. distingue a seconda che essi siano
divisibili o meno. Nel primo caso, la quantità è
determinata dalla domanda (mentre il prezzo è pari al costo
di produzione). Nel secondo, che viene distinto dal F. a seconda che
vi sia indivisibilità in senso stretto, che dà luogo a
consolidamento (per i servizi che soddisfano bisogni fondamentali),
o indivisibilità in senso lato (dovuta all'estensione del
gruppo pubblico che usufruisce di tali servizi), il meccanismo
basato sulla domanda non può operare. Nel caso dei beni
indivisibili in senso stretto, la quantità dovrà
essere quella necessaria perché il bisogno rimanga
consolidato, mentre per i beni indivisibili in senso lato la scelta
è lasciata alla valutazione della "classe eletta", che vi
provvederà dopo aver soddisfatto i bisogni consolidati e
tenendo conto delle reazioni dei contribuenti che, nello Stato
cooperativo, devono essere degli indicatori per l'attività
finanziaria, mentre nello Stato monopolista costituiscono degli
ostacoli all'attuazione della volontà della classe eletta.
Infine, la ripartizione del costo dovrebbe avvenire in modo che "la
contribuzione di ognuno sia proporzionata al vantaggio tratto dal
servizio pubblico" (II, p. 33), cosa che, nel caso dei beni
divisibili, richiede da parte di ciascuno il pagamento della quota
di costo corrispondente al suo consumo, mentre nel caso dei beni
indivisibili il pagamento deve avvenire attraverso un sistema
d'imposte che colpiscano il reddito sulla base del principio del
sacrificio proporzionale.
Anche nell'ambito dello Stato cooperativo vi è un problema di
traslazione delle imposte, ma, diversamente dal caso dello Stato
monopolista, poiché in questo caso i servizi pubblici sono
utili a tutti i cittadini ed il costo viene ripartito secondo il
principio del sacrificio proporzionale, i fenomeni di traslazione
saranno meno frequenti. Anche a questo proposito viene accennato il
tema della considerazione della spesa, di cui, nel caso d'imposta
generale, il F. sostiene si debba tener conto simultaneamente agli
effetti dell'imposizione, non essendo più legittimo, come nel
caso dell'imposta speciale, tipica invece dello Stato monopolista,
fare ricorso all'ipotesi dell'imposta grandine, almeno "in linea di
principio" (infatti, anche nell'ipotesi di Stato cooperativo, il F.
ritiene non si possano escludere fenomeni caratteristici della
traslazione di imposte speciali).
Quanto al previsto terzo volume, dalle sue anticipazioni possiamo
ritenere che esso sarebbe consistito soprattutto in una
risistemazione dei contributi da lui elaborati sul tema della teoria
del corporativismo, a partire dal saggio del 1932 sull'uomo
corporativo, integrati da alcuni scritti che diede alle stampe poco
dopo (La traslazione dell'imposta in regime di concentrazione
industriale, in Studi economici finanziari corporativi, II [1942],
pp. 200-225, ed inoltre: Potenziale di lavoro e moneta, in Annali di
statistica ed economia, VII [1942], 9-10, pp. 139-223).
Sul volume della finanza straordinaria, invece, le sue idee non
erano, forse, del tutto definite (come egli stesso ebbe a
dichiarare, in una lettera a Luigi Einaudi del novembre 1941) anche
se, come si è accennato, era possibile, a suo avviso,
svolgere una trattazione unica per i tre tipi di Stato.
Dopo la pubblicazione dei Principii, il F., oltre agli scritti di
cui si è già detto, pubblicò anche un saggio su
imposta e offerta di lavoro (Appunti critici sull'offerta
individuale di lavoro, in Annali di statistica e di economia, VII
[1942], 9-10, pp. 139-223) ed alcuni scritti polemici di notevole
interesse, per rispondere sia alle critiche rivoltegli da Einaudi
con riferimento al teorema della doppia imposizione del risparmio
(Della teoria della produttività dell'imposta, del concetto
di "stato fattore della produzione" e del teorema della doppia
tassazione del risparmio, in Giornale degli economisti, n.s., IV
[1942], 11-12, pp. 491-511) ed al concetto di "gruppo pubblico" (Di
alcuni connotati del gruppo pubblico e di una definizione dei
bisogni pubblici, in Rivista di diritto finanz. e scienza delle
finanze, VII [1943], pt. 1, pp. 62-83, nonché: Postilla a "L.
Einaudi, Discutendo con F. e Griziotti di connotati dello Stato e di
catasto e imposta fondiaria", ibid., pp. 190 s.), sia alle critiche
rivoltegli da Attilio Da Empoli circa la legittimità
dell'ipotesi d'imposta-grandine nello studio degli effetti delle
imposte (Sulla legittimità dell'ipotesi di un'imposta
grandine nello studio della ripercussione dei tributi, in Studi in
memoria di Guglielmo Masci, Milano 1943, I, pp. 261-279).
Intanto, l'incalzare degli eventi militari e politici toglieva al
F., come a molti altri studiosi in quegli anni, la serenità,
premessa indispensabile per ogni indagine scientifica (tra l'altro,
un bombardamento aveva distrutto la biblioteca della sua
facoltà). Il 1º apr. 1945 il F., che negli ultimi anni
aveva visto peggiorare le sue condizioni di salute, da tempo
malferme, chiedeva al ministero dell'Educazione nazionale
un'aspettativa per motivi di salute di quattro mesi, "date
specialmente le attuali contingenze e la necessità in cui si
trova di evitare qualsiasi genere di strapazzi e fatiche". I tempi
burocratici e la conclusione della guerra, di lì a poche
settimane, fecero sì che questo periodo di aspettativa non
fosse effettivamente usufruito dal Fasiani. È indubbio,
però, che le sue energie erano ormai molto ridotte. Pertanto,
nel dopoguerra (che coincide con il periodo che abbiamo indicato
come la terza fase della vita scientifica del F.) la sua produzione
si ridusse.
Nel 1946 apparve il saggio L'imposizione degli incrementi
patrimoniali (in Rapporto della Commissione economica del ministero
per la Costituente, Roma 1946, V (Finanza). App., pp. 429-451), che
costituisce una sintesi molto completa dei principali aspetti
inerenti l'introduzione nell'ordinamento italiano di questa forma
d'imposizione come tributo a carattere ordinario.
Sono del 1949 tre articoli, uno dei quali è il testo della
sua commemorazione del collega E. Sella (Emanuele Sella, in Economia
internazionale, II [1949], pp. 50-67), mentre è
particolarmente interessante l'articolo Contributi di Pareto alla
scienza delle finanze (in Giornale degli economisti, n.s., VIII
[1949], pp. 129-173, rist. nel vol. Vilfredo Pareto, l'economista e
il sociologo, Milano 1949, pp. 263-307), nel quale il F. dimostra
come, contrariamente alle apparenze, nell'opera paretiana vi sia "un
nocciolo attorno al quale riesce possibile costruire una teoria
finanziaria" (p. 306). Costituisce uno sviluppo di questo più
ampio studio un altro scritto, su La distribuzione dell'imposta e la
"legge di Pareto" in una recente indagine teorica (in Economia
internazionale, II [1949], pp. 299-321).
Infine, appare nel 1950 I'ultimo scritto, Sull'equivalenza tra
imposte sui redditi e imposte di successione, in Finanza pubblica
contemporanea (Studi in onore di Jacopo Tivaroni), Bari 1950, pp.
155-190, nel quale il F. sostiene che la tesi dell'equivalenza tra
un'imposta sul reddito di capitale e un'imposta di successione deve
essere assoggettata a numerose limitazioni ed eccezioni.
Non aveva ancora completato la revisione dei primi due volumi dei
suoi Principii (pubblicati, in seconda edizione ampliata, postumi a
Torino nel 1951-52, a cura di A. Scotto) quando si spense a Genova
il 20 luglio 1950.
Fonti e Bibl.: Torino, Fondazione L. Einaudi, Carte Einaudi (lettere
del F. a L. Einaudi); Necrol. in Economia internazionale, novembre
1950, pp. 913-919; L. Einaudi, in Riv. di diritto finanz. e scienza
delle finanze, XIV (1950), pp. 199 ss.; A. Scotto, Gli scritti di M.
F., ibid., pp. 202-218 (con bibliogr.).
Recensioni e commenti agli scritti del F.: A. Loria, Sintomi di
risveglio scientifico, in Echi e commenti, 5 dic. 1926, p. 6; G.
Capodaglio, in Economia, XX (1942), 5-6, pp. 188 s.; E. d'Albergo,
in Rivista bancaria, XXIII (1942), pp. 187 s.; A. De Pietri Tonelli,
in Rivista di politica economica, XXXII (1942), 1, pp. 122-125; L.
Einaudi, Scienza e storia, o dello stacco dello studioso dalla cosa
studiata, in Rivista di storia economica, VII (1942), 1, pp. 30-37;
Id., Ipotesi astratte ed ipotesi storiche e dei giudizi di valore
nelle scienze economiche, in Atti della R. Accad. delle scienze di
Torino, LXXVIII, 2, disp. 1 (novembre 1942 0 1943), pp. 57-119; B.
Griziotti, in Rivista di diritto finanziario e di scienza delle
finanze, V (1941), 4, pp. 274-275. Sul pensiero del F. cfr. inoltre:
J. M. Buchanan, "La scienza delle finanze". The Italian tradition in
fiscal theory, in Id., Fiscal theory and political economy -
Selected essays, Chapel Hill 1960, pp. 24-74 (trad. ital.: La scuola
italiana di finanza pubblica, in M. Finoia, Il pensiero economico
italiano, 1850-1950, Bologna 1980, pp. 203-242). Di recente, il
pensiero del F. è stato oggetto di rinnovato interesse. Cfr.:
F. Forte, Il pensiero finanziario in Italia fra le due guerre, con
particolare riferimento a Pesenti, Pugliese, Fasiani e Fubini, in
Quaderni di storia dell'economia politica, VIII (1990), 2-3, pp.
197-221; N. Bellanca, Il dibattito Einaudi, Fasiani-Cosciani sul
declino d. scuola ital. di finanza pubblica, in Annali d. Fondazione
L. Einaudi, 1990, v. 24, pp. 173-212; R. Cellerino, Dai servizi
indivisibili ai beni pubblici: nota in margine all'opera di M. F.,
XXXVIII (1991), 6-7, pp. 585-604. Per i rapporti tra il F. e L.
Einaudi, cfr. R. Faucci, L. Einaudi, Torino 1986, ad Ind.