www.treccani.it
Nacque a Firenze il 9 ag. 1868 da Carlo e Carolina Volpi.
Studiò al rinomato liceo fiorentino "Dante"; suo insegnante
di filosofia fu Alessandro Chiappelli, legato al movimento
neocriticista cui si sarebbe avvicinato poi lo stesso F. (A.
Chiappelli e il suo pensiero, in Nuova Antologia, 16 sett. 1921, pp.
119-133). Nel 1885-86 si iscrisse, senza grande convinzione, a
filosofia e lettere nel R. Istituto di studi superiori di Firenze,
attratto più da letteratura e storia che non dagli studi
speculativi.
Augusto Conti, che nell'Istituto rappresentò per quarant'anni
lo spiritualismo cattolico, cerco invano di conquistarlo alla sua
metafisica del vero in armonia con il bello ed il buono (Il pensiero
di A. Conti, in Archivio di filosofia, XII [1942], pp. 3-16). Ma
egli preferì l'insegnamento storico di Felice Tocco; nei
corsi sulla scuola eleatica e il platonismo, la filosofia moderna da
Bacone a Kant e le opere di Giordano Bruno egli apprese, insieme col
suo compagno di studi Rodolfo Mondolfo, il rigore del metodo di
ricerca, il confronto aperto con le idee scientifiche, specie con
l'antropologia e la psicologia; e soprattutto l'apprezzamento di
Kant.
Al Tocco è dedicata dal F. la tesi su "La filosofia teoretica
e morale dell'Incosciente di E. Hartmann" discussa nell'89 e subito
pubblicata (La filosofia dell'Incosciente: Metafisica e morale.
Contributo alla storia del pessimismo, Firenze 1890).
L'avvicinamento giovanile a questo autore era tanto significativo
quanto insolito e destinato a durare (Esposizione del sistema
hartmanniano, Firenze 1890; La religione e il suo avvenire secondo
Hartmann, ibid. 1892; E. Hartmann e l'estetica tedesca, ibid. 1895;
e Hartmann, Milano 1928), perché motivato da un'esplicita
esigenza: che la filosofia corrispondesse ai bisogni della coscienza
e del cuore. Il F. l'avrebbe ribadito alla fine della sua carriera
accademica, quasi cinquant'anni dopo: "Un sistema filosofico non si
accetta per sole ragioni logiche: si accetta anche per un complesso
di ragioni morali e spirituali, che tutte insieme e in una maniera
quasi inconsapevole costituiscono una disposizione propizia e una
inclinazione preponderante verso di esso" (Studi filosofici
eletterari, Torino 1938, p. 181; si tratta di una raccolta di 80
suoi scritti). In reazione all'ottimismo illuminista, il F. trovava
nel secolo XIX una consapevolezza pessimista della condizione umana:
in Leopardi il dolore era limitato alla sola umanità, non
esteso alla natura indifferente (Lenau e Leopardi. Studio
psicologico estetico, Palermo 1895, e Leopardi e Stratone di
Lampsaco, apparso nel 1931 in Il Marzocco e rist. in Studii
filosofici, pp. 317-21); in Schopenhauer anche la natura era pianto
e miseria; nel mondo come valle di lacrime Hartmann faceva
partecipare l'uomo ad un ritmo evolutivo verso il nulla eppure vi
riponeva l'unica possibilità di redenzione in cui Dio sarebbe
tornato alla natura primitiva.
Nel tentativo paradossale di conciliare una costruzione metafisica
con la scienza moderna il F. vide l'epilogo assurdo del pessimismo
ottocentesco e temette il rischio che trionfasse il materialismo.
Ecco perché si rivolse con slancio al neocriticismo di F. A.
Lange; esso stabiliva dei limiti alla scienza, abbandonava le
pretese metafisiche e perciò non spingeva ad accontentarsi di
spiegazioni materialistiche dei valori umani. Le ragioni della
scienza sono rispettate quando il positivismo che le esalta
diventava critico, capace cioè di coniugarsi con la lezione
kantiana; e al contempo il F. voleva salvaguardata una filosofia che
rispondesse all'esperienza umana, anche nel bisogno di una
religiosità che consisteva "nell'innalzamento dell'anima al
di sopra del reale e nella creazione di una patria ideale degli
spiriti, dove i poveri della terra riprendano finalmente il loro
posto e sparisca la crudele divisione degli uomini in oppressori e
oppressi" (F. A. Lange e il materialismo, Firenze 1896, p. 51).
Dopo un concorso in cui riuscì secondo dopo Giuseppe
Tarantino, il 29 nov. 1893 il F. diventò professore
straordinario di filosofia teoretica a Palermo, impegno che
comprendeva anche l'obbligo di lezioni in psicologia e logica.
Incaricato di pedagogia al magistero nell'anno accademico '95-'96,
tenne inoltre corsi liberi di letterature moderne comparate,
mostrando nell'insegnamento la sua vocazione di filosofo-letterato
che si sarebbe espressa in uno studio su Un poeta filosofo. Sully
Prudhomme (Pavia 1897), e sempre più negli studi delle
tragedie di Shakespeare, della letteratura russa e Dostoevskij, e
soprattutto di Manzoni in cui inseguì il filone del
pessimismo, l'esperienza della religiosità che pure non
abbandona il criticismo né l'agnosticismo teoretico (Leopardi
e Manzoni, Udine 1927, una raccolta di 17 scritti).
Nominato ordinario il 5 dic. 1897, nel 1902 preside della
facoltà, fu trasferito a Pavia a sostituire Luigi Credaro
nella cattedra di storia della filosofia. Inoltre ebbe l'incarico di
lingua tedesca e, nella scuola di magistero, di legislazione
scolastica comparata. L'abbandono dell'insegnamento di filosofia
teoretica fu scelta definitiva, dettata anche da una crescente
sfiducia verso la filosofia.
Da qui la preferenza per la storia del pensiero filosofico,
collegata con la storia sia della scienza, come sosteneva anche
Lange, sia della cultura in modo che non sembrasse un processo
chiuso o un'evoluzione destinata a un'unica meta. È al
criticismo che doveva ispirarsi una storiografia così,
proclamò il F. nella sua prima prolusione Filosofia, storia e
arte apparsa nella Rivista filosofica (V [1903], pp. 340-358). Al
periodico il F. collaborò per l'intero decennio della sua
durata dal 1899 al 1908, in compagnia di Tocco e Chiappelli, di
Mondolfo e B. Varisco e, fra gli altri, dei colleghi Giovanni Vidari
e Erminio Juvalta. Tutti erano variamente legati alla scuola
neocriticista di Carlo Cantoni a Pavia, cui lo stesso F. viene
assimilato. Così anche da Gentile, che però lo ritenne
incapace di "pensiero personale" e pertanto lo escluse da Le origini
della filosofia contemporanea in Italia (Messina 1917-23).
Fu piuttosto un isolato, a disagio in qualsiasi gruppo, in
difficoltà anche nel rapporto con gli studenti come avrebbe
ricordato uno di loro, Augusto Del Noce, interrogandosi sulla
solitudine del maestro. Apprezzava Croce fin dal 1896, ma ne
criticò il Libro di estetica (Riv. filosofica, IV [1902], pp.
533-537) e al neoidealismo trionfante sarebbe rimasto estraneo;
così anche alla soluzione coscienzialista di Bernardino
Varisco che conobbe a Pavia; in dissenso da Filippo Masci (Sul
materialismo psicofisico, in Riv. di filos. pedag. e scienze affini,
II [1901], pp. 528-537); sempre critico fu il rapporto che il F.
mantenne nei confronti del positivismo.
Distinse le sorti della selezione naturale darwiniana dal più
ampio principio dell'evoluzione e apprezzò Spencer per averne
mostrato l'applicabilità a tutte le scienze, comprese le
morali e sociali (H. Spencer e il suo sistema filosofico, in Riv.
filosofica, VI [1904], pp. 14-17). Condivise la distinzione
frequentemente adottata tra positivismo come sistema e positivismo
come metodo per sostenere la irreversibile conquista di quest'ultimo
(Le origini del positivismo, in Riv. di filosofia, II [1910], pp.
115). Ma verso I principi filosofici di R. Ardigò e la
psicologia espresse pubblicamente le sue riserve (nel volume Nel 70
anniversario di R. Ardigò, Torino 1898, pp. 30-39),
soprattutto a proposito dell'indistinto; il caposcuola del
positivismo italiano gli rispose con stima e lo indicò anzi
come suo successore nella cattedra della facoltà di lettere
dell'università di Padova nel 1909.
Già collaboratore della Rivista di filosofia, pedagogia e
scienze affini, fondata nel 1899 da Giovanni Marchesini, allievo di
Ardigò, il F. era venuto definendo la sua posizione su Il
materialismo psicofisico. Disegno di una veduta filosofica generale
(Palermo 1901); ne ammise l'opportunità metodologica per
consentire una spiegazione scientifica almeno esteriore, cioè
dal punto di vista fisiologico, dei fatti psichici come variabile
dipendente dalla serie fisica; respinse la tesi materialistica di
stabilire una serie causale dei fatti psichici e ridurla in una
serie fisica.
L'esclusione kantiana della psicologia come scienza positiva andava
rivista alla luce degli effettivi progressi della psicologia
sperimentale, degli studi di M. Wundt e di Fechner e la sua
costruzione metafisica (Riv. it. di filos., II [1895], pp. 3-30).
Grazie a G. T. Fechner, l'indagine dei rapporti tra anima e corpo
aveva raggiunto dignità scientifica; ma il F. ne contestava
l'applicazione del calcolo matematico e la validità della
legge logaritmica su sensazione ed eccitamento derivata dalla legge
di Weber. Necessaria a tutta la cultura moderna egli vedeva ormai la
psicologia: presente nella letteratura e nell'estetica, essa offriva
dei fondamenti concreti tanto alla logica quanto all'etica e alla
filosofia del diritto ed era addirittura essenziale alla pedagogia.
Oltre a vari saggi specifici (tra cui Per la psicologia dei
sentimenti, in Riv. filosofica, I [1899], pp. 78-101, e II [1900],
pp. 220-244), dedicò due volumi ai Principi di psicologia
moderna criticamente esposti (Palermo 1895-97, un solo volume
nell'ed. del 1907). In termini diversi, gli si ripresentava il
problema dell'incosciente che vedeva "destinato ad occupare una
parte importantissima nella psicologia moderna"; il F. ne escluse
tuttavia il carattere psichico che riservò alla coscienza,
come del resto Ardigò; i fenomeni che la psicologia indaga si
sarebbero dovuti "tutti spiegare coi due principi delle
modificazioni fisiologiche e delle variazioni di grado della
coscienza" (Fechner e la sua costruzione, pp. 20 s.). Dal 1902 la
sua produzione si era frantumata in numerosi ma brevissimi articoli,
anche a causa di frequenti disturbi nervosi. All'università
di Torino dal 1915 insegnò storia della filosofia e al
magistero legislazione scolastica comparata, ma si chiuse in un
crescente isolamento anche dagli scolari. Passò al
cattolicesimo, con la speranza di trovare pace. "Se io potessi
ritrovare questa fede profondamente attiva, profondamente religiosa,
profondamente cristiana - scriveva - io sento che sarei liberato
d'ogni mio male" (ms. del 1935, parz. cit. da L. Barabino, Ricordo
di A. F. [con inediti], in Filosofia, XVII [1966], pp. 298-326). Nel
1938 si ritirò in pensione e verso la fine del '42 si
trasferì a Castrezzato, in provincia di Brescia, con la
moglie Annita che gli aveva dato due figlie, Nora e Bice, e il
figlio Fausto.
Qui il F. morì il 30 marzo 1953