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Friedrich Engels
L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza
Nel 1880, per richiesta di Paul Lafargue, Engels rielaborò
tre capitoli dell'Anti-Dühring (il capitolo I dell'introduzione
ed i capitoli I e II della terza sezione) e li pubblicò a
Parigi come opuscolo a sé, sotto il titolo "Socialisme
utopique et socialisme scientifique", nella traduzione di Lafargue.
Un'edizione tedesca in tre ristampe, intitolata "Die Entwicklung des
Sozialismus von der Utopie zur Wissenschaft", fu pubblicata nel 1883
a Hottingen-Zurigo. In vita di Engels, l'ultima (quarta) edizione
tedesca di questo opuscolo apparve a Berlino nel 1891. Engels vide
anche l'opuscolo tradotto in italiano, inglese, russo, spagnolo,
polacco danese e olandese.
Nel preparare l'opuscolo (più volte tradotto in italiano col
titolo "Socialismo utopistico e socialismo scientifico" o con
quello, ora generalmente adottato, "L'evoluzione del socialismo
dall'utopia alla scienza") per la prima e la quarta edizione tedesca
Engels modificò o ampliò in alcuni punti il testo dei
capitoli corrispondenti dell'Anti-Dühring". Alcune delle
aggiunte (quelle del capitolo II della terza sezione) furono da lui
introdotte anche nella seconda edizione dell'"Anti-Dühring",
come è detto nella prefazione del 1885. Nella presente
edizione tutte queste modifiche e aggiunte sono riportate sotto
forma di nota.
I:
Considerazioni generali
II:
Cenni storici
III:
Elementi teorici
Introduzione
I. Considerazioni generali
Il socialismo moderno, considerato nel suo contenuto, è
anzitutto il risultato della visione, da una parte, degli
antagonismi di classe, dominanti nella società moderna, tra
possidenti e non possidenti, salariati e borghesi; dall'altra,
dell'anarchia dominante nella produzione. Considerato invece nella
sua forma teorica, esso appare all'inizio come una continuazione
più avanzata, che vuol esser conseguente, dei principi
sostenuti dai grandi illuministi francesi del XVIII secolo [b1].
Come ogni nuova teoria, esso ha innanzitutto ricollegarsi al
materiale preesistente di idee, per quanto avesse la sua radice nei
fatti economici [b2].
I grandi uomini che in Francia, illuminando gli spiriti, li
prepararono alla rivoluzione che si avvicinava, agirono essi stessi
in un modo estremamente rivoluzionario. Non riconoscevano alcuna
autorità esterna di qualsiasi specie essa fosse. Religione,
concezione della natura, società, ordinamento dello Stato,
tutto fu sottoposto alla critica più spietata; tutto doveva
spiegare la propria esistenza davanti al tribunale della ragione o
rinunziare all'esistenza. L'intelletto pensante fu applicato a tutto
come unica misura. Era il tempo in cui, come dice Hegel, il mondo
venne poggiato sulla testa [b3], dapprima nel senso che la testa
dell'uomo e i princìpi trovati dal suo pensiero pretendevano
di valere come base di ogni azione e d'ogni associazione umana; ma
più tardi anche nel senso più ampio che la
realtà che era in contraddizione con questi princìpi
fu effettivamente rovesciata da cima a fondo. Tutte le forme sociali
e politiche che sino allora erano esistite, tutte le antiche
concezioni che si erano tramandate furono gettate in soffitta come
cose irrazionali; il mondo si era fino a quel momento lasciato
guidare unicamente da pregiudizi; il passato meritava solo
compassione e disprezzo. Ora per la prima volta spuntava la luce del
giorno [b4]; da ora in poi la superstizione, l'ingiustizia, il
privilegio e l'oppressione dovevano essere soppiantati dalla
verità eterna, dalla giustizia eterna, dall'eguaglianza
fondata sulla natura, dai diritti inalienabili dell'uomo.
Noi sappiamo ora che questo regno della ragione non fu altro che il
regno della borghesia idealizzato, che la giustizia eterna
trovò la sua realizzazione nella giustizia borghese; che
l'eguaglianza andò a finire nella borghese eguaglianza
davanti alla legge; che la proprietà borghese fu proclamata
proprio come uno dei più essenziali diritti dell'uomo; e che
lo Stato secondo ragione, il contratto sociale di Rousseau, si
realizzò, e solo così poteva realizzarsi, come
repubblica democratica borghese. I grandi pensatori del secolo XVIII
non poterono oltrepassare i limiti imposti loro dalla loro epoca
più di quanto avevano potuto tutti i loro predecessori.
Ma, accanto all'antagonismo tra nobiltà feudale e borghesia
[b5], sussisteva l'antagonismo generale tra sfruttatori e sfruttati,
tra ricchi oziosi e lavoratori poveri. E precisamente questa
circostanza rendeva possibile ai rappresentanti della borghesia di
ergersi a rappresentanti non soltanto di una classe particolare, ma
di tutta l'umanità sofferente. E c'è di più,
sin dalla sua origine la borghesia era affetta dall'antagonismo che
le è proprio: non possono esserci capitalisti senza operai
salariati, e nella stessa misura in cui il maestro della
corporazione medievale evolveva nel borghese moderno, il garzone
della corporazione e il giornaliero che non apparteneva a nessuna
corporazione evolvevano nel proletario. E sebbene nel complesso la
borghesia avesse il diritto di pretendere di rappresentare
contemporaneamente, nella lotta contro la nobiltà, gli
interessi delle diverse classi lavoratrici di quell'epoca, pure, in
ogni grande movimento borghese, scoppiavano dei moti autonomi di
quella classe che era la precorritrice più o meno sviluppata
del proletariato moderno. Così nell'epoca tedesca della
Riforma e della guerra dei contadini [17] si ebbe la corrente di
Thomas Münzer [b6]; nella grande rivoluzione inglese i
Levellers [18]; nella grande rivoluzione francese Babeuf. Accanto a
queste rivoluzionarie levate di scudi di una classe ancora immatura
fecero la loro comparsa manifestazioni teoriche ad essa adeguate:
nei secoli XVI e XVII descrizioni utopistiche di regimi sociali
ideali [19], secolo XVIII già teorie comuniste vere e proprie
(Morelly e Mably). La rivendicazione dell'uguaglianza non si
limitò più ai diritti politici, essa doveva estendersi
anche alla posizione sociale dei singoli; non si dovevano sopprimere
semplicemente i privilegi di classe, ma le stesse differenze di
classe. La prima forma con cui la nuova dottrina fece la sua
comparsa fu così un comunismo ascetico che si ricollegava a
Sparta [b7]. Seguirono poi i tre grandi utopisti: Saint-Simon, nel
quale le tendenze borghesi conservavano ancora una certa
validità accanto alla tendenza proletaria, Fourier e Owen, il
quale, nel paese in cui la produzione capitalistica era più
sviluppata e sotto l'impressione degli antagonismi che ne
risultavano, sviluppò sistematicamente i suoi progetti per
l'eliminazione delle differenze di classe ricollegandosi
direttamente al materialismo francese.
È comune a tutti e tre il fatto che essi non si presentano
come rappresentanti degli interessi del proletariato, che frattanto
si era prodotto storicamente. Come gli illuministi, essi vogliono
liberare non una classe determinata, ma tutta l'umanità [b8].
Come quelli, essi vogliono instaurare il regno della ragione e della
giustizia eterna; ma il loro regno è infinitamente diverso da
quello degli illuministi. Anche il mondo borghese ordinato secondo i
princìpi di questi illuministi è irrazionale e
ingiusto e trova il suo posto nel secchio dell'immondizia proprio
come il feudalesimo e tutti i regimi sociali precedenti. Se la
ragione e la giustizia effettive non hanno ancora regnato nel mondo,
ciò proviene dal fatto che non se ne è avuta sinora
una giusta conoscenza. Mancava proprio quel singolo uomo geniale che
ora è apparso ed ha riconosciuto la verità; che esso
sia comparso ora, che proprio ora sia stata conosciuta la
verità, non è un avvenimento inevitabile che consegue
necessariamente dal contesto dello sviluppo storico, ma un puro caso
fortunato. Sarebbe potuto nascere ugualmente cinquecento anni prima
e avrebbe allora risparmiato all'umanità cinquecento anni di
errori, di lotte e di sofferenze.
Questo modo di vedere è sostanzialmente quello di tutti i
socialisti inglesi e francesi e dei primi socialisti tedeschi,
compreso Weitling. Il socialismo è l'espressione
dell'assoluta verità [b9], dell'assoluta ragione,
dell'assoluta giustizia e basta che sia scoperto perché
conquisti il mondo con la propria forza; poiché la
verità è assoluta e indipendente dal tempo, dallo
spazio e dallo sviluppo storico dell'uomo, è un semplice caso
quando e dove sia scoperta. Inoltre poi la verità, la ragione
e la giustizia assolute a loro volta sono diverse per ogni
caposcuola; e poiché la forma particolare che la
verità, la ragione e la giustizia assolute assumono è
a sua volta condizionata dall'intelletto soggettivo, dalle
condizioni di vita, dal grado di cognizioni e d'educazione a pensare
di ognuno di essi, in questo conflitto di assolute verità non
c'è nessuna altra soluzione possibile se non che esse si
elidano vicendevolmente. Così stando le cose, non poteva
allora venir fuori altro che una specie di socialismo medio
eclettico, quale effettivamente regna fino ad oggi nella testa della
maggior parte degli operai socialisti in Francia e in Inghilterra,
una miscela che ammette un'infinita molteplicità di
sfumature, e che risulta da ciò che hanno di meno incisivo le
invettive critiche, i princìpi di economia e le
rappresentazioni della società futura dei vari fondatori di
sette; miscela che si ottiene tanto più facilmente, quanto
più ai singoli elementi componenti, nel corso della
discussione, vengono smussati gli angoli acuti della precisione,
come ciottoli levigati nel torrente. Per fare del socialismo una
scienza, bisognava anzitutto farlo poggiare su una base reale.
Frattanto, accanto e dopo la filosofia francese del XVIII secolo,
era sorta la filosofia tedesca moderna e aveva trovato la sua
conclusione in Hegel. Il suo merito maggiore fu la riassunzione
della dialettica come la forma più alta del pensiero. Gli
antichi filosofi greci erano stati tutti dei dialettici nati,
spontanei, e la mente più universale che vi fu tra loro,
Aristotele, aveva già indagato anche le forme più
essenziali del pensiero dialettico [b10]. Per contro la filosofia
moderna, quantunque la dialettica anche in essa abbia avuto degli
splendidi rappresentanti (per es. Descartes e Spinoza),
particolarmente per l'influenza inglese si era sempre più
arenata nel cosiddetto modo di pensare metafisico, che quasi
esclusivamente aveva dominato anche i filosofi francesi del secolo
XVIII, almeno in quel che concerne i loro lavori specificamente
filosofici. Al di fuori della filosofia propriamente detta, essi
erano pure in condizione di dare dei capolavori di dialettica;
ricorderemo solo il "Nipote di Rameau" di Diderot e il "Discorso
sull'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini" di Rousseau. Daremo
qui brevemente l'essenziale di questi due metodi di pensiero, su cui
dovremo ritornare ancora diffusamente.
Se sottoponiamo alla considerazione del nostro pensiero la natura o
la storia umana o la nostra specifica attività spirituale, ci
si offre anzitutto il quadro di un infinito intreccio di nessi, di
azioni reciproche, in cui nulla rimane quel che era, ma tutto si
muove, si cambia, nasce e muore [b11]. Questa visione primitiva,
ingenua, ma sostanzialmente giusta del mondo è quella
dell'antica filosofia greca e fu espressa chiaramente per la prima
volta da Eraclito: Tutto è ed anche non è,
perché tutto scorre, è in continuo cambiamento,
è in continuo nascere e morire. Ma questa concezione, sebbene
colga giustamente il carattere generale del quadro d'insieme dei
fenomeni, pure non è ancora sufficiente per spiegare i
particolari di cui questo quadro d'insieme si compone, e fino a
quando non sappiamo far questo [b12], non siamo chiaramente edotti
neppure del quadro stesso. Per conoscere questi particolari dobbiamo
staccarli dal loro contesto naturale e storico ed esaminarli
ciascuno per sé, nella sua natura, nelle sue cause, nei suoi
effetti particolari ecc. Questo è anzitutto il compito della
scienza della natura e della ricerca storica, campi d'indagine che
per ragioni molto valide non ebbero presso i greci
dell'antichità classica che una posizione di secondo piano,
perché questi dovevano prima di tutto raccogliere il
materiale [b13]. Gli inizi dell'indagine scientifica della natura
sorsero solo con i greci del periodo alessandrino [20] e, più
tardi, nel medioevo, furono ulteriormente sviluppati dagli arabi;
una vera scienza della natura data, però, solo dalla seconda
metà del secolo XV e da allora ha progredito con
celerità sempre crescente. L'analisi della natura nelle sue
singole parti, la ripartizione dei diversi fenomeni e degli oggetti
della natura in classi determinate, l'analisi dell'interno dei corpi
organici nelle loro molteplici conformazioni anatomiche sono state
la condizione principale dei progressi giganteschi che nella
conoscenza della natura gli ultimi quattrocento anni ci hanno
portato. Ma questo metodo ci ha del pari lasciata l'abitudine di
concepire le cose e i fenomeni della natura nel loro isolamento, al
di fuori del loro vasto contesto complessivo; di concepirli
perciò non nel loro movimento, ma nel loro stato di quiete,
non come essenzialmente mutevoli, ma come entità fisse e
stabili, non nella loro vita, ma nella loro morte. E poiché
questa maniera di vedere le cose, come è accaduto con Bacone
e con Locke, è passata dalla scienza della natura nella
filosofia, ha prodotto la limitatezza specifica degli ultimi secoli,
cioè il modo di pensare metafisico.
Per il metafisico le cose e le loro immagini riflesse nel pensiero,
i concetti, sono oggetti isolati di indagine, da considerarsi
successivamente e indipendentemente l'uno dall'altro, fissi, rigidi,
dati una volta per sempre. Egli pensa per antitesi assolutamente
immediate. Il suo parlare è: sì, sì, no, no.
Quello che c'è di più viene dal maligno. Per lui una
cosa esiste o non esiste; ugualmente è impossibile che una
cosa sia nello stesso tempo se stessa ed un'altra. Positivo e
negativo si escludono reciprocamente in modo assoluto; causa ed
effetto stanno dal pari in rigida opposizione reciproca. Questa
maniera di pensare ci appare a prima vista estremamente plausibile
per il fatto che essa è proprio quella del cosiddetto senso
comune. Solo che il senso comune, per quanto sia un compagno tanto
rispettabile finché sta nello spazio compreso fra le quattro
pareti domestiche, va incontro ad avventure assolutamente
sorprendenti appena si arrischia nel vasto mondo dell'indagine
scientifica; e la maniera metafisica di vedere le cose, giustificata
e perfino necessaria in campi la cui estensione è più
o meno vasta a seconda della natura dell'oggetto, tuttavia, ogni
volta, urta prima o poi contro un limite, al di là del quale
diventa unilaterale, limitata, astratta e si avvolge in
contraddizioni insolubili, giacché, per le cose singole,
dimentica il loro nesso, per il loro essere, dimentica il loro
sorgere e tramontare, per il loro stato di quiete, dimentica il loro
movimento, giacché, per vedere gli alberi, non vede la
foresta. Per es., per i casi della vita quotidiana, sappiamo e
possiamo dire con precisione se un animale esiste o meno; ma se
indaghiamo con maggiore precisione, troveremo che alle volte questa
è una cosa estremamente complessa, come sanno molto bene i
giuristi, che invano si sono tormentati per scoprire un limite
razionale a partire dal quale la soppressione del feto dal seno
materno è un assassinio; e del pari è impossibile
stabilire l'istante della morte, poiché la fisiologia
dimostra che la morte non è un avvenimento unico ed
istantaneo, ma un fenomeno la cui durata è molto lunga.
Parimenti ogni corpo organico, in ogni istante, è e non
è il medesimo; in ogni istante elabora materie tratte
dall'esterno e ne secerne delle altre, in ogni istante cellule del
suo corpo muoiono e se ne formano di nuove; dopo un tempo più
o meno lungo la materia di questo corpo si è completamente
rinnovata, sostituita da altri atomi, cosicché ogni essere
organizzato è costantemente il medesimo e pure un altro.
Considerando le cose con precisione, noi troviamo anche che i due
poli di un'opposizione, il positivo e il negativo, sono tanto
inseparabili l'uno dall'altro quanto contrapposti e che malgrado
tutta la loro contrarietà si compenetrano vicendevolmente;
troviamo del pari che causa ed effetto sono concetti che hanno
validità come tali solo se li applichiamo ad un caso singolo,
ma che, nella misura in cui consideriamo questo fatto singolo nella
sua connessione generale con la totalità del mondo, queste
rappresentazioni si confondono e si diffondono nella visione
dell'universale azione reciproca, in cui cause ed effetti si
scambiano continuamente la loro posizione, ciò che ora o qui
è effetto, là o poi diventa causa e viceversa.
Tutti questi fenomeni e metodi di pensiero non rientrano nel quadro
del pensiero metafisico. Per la dialettica invece, che considera le
cose e le loro immagini concettuali essenzialmente nel loro nesso,
nel loro concatenamento, nel loro movimento, nel loro sorgere e
tramontare, fenomeni come quelli che abbiamo riferiti sopra sono
altrettante conferme della maniera con cui essa peculiarmente
procede. La natura è il banco di prova della dialettica e noi
dobbiamo dire a lode della moderna scienza della natura che essa ha
fornito a questo banco di prova un materiale estremamente ricco che
va accumulandosi giornalmente e che di conseguenza essa ha
dimostrato che, in ultima analisi, la natura procede dialetticamente
e non metafisicamente [b14]. Ma poiché sino ad ora i
naturalisti che hanno appreso a pensare dialetticamente si possono
contare sulle dita, la confusione senza limiti che domina oggi nella
scienza teorica della natura e che porta alla disperazione maestri e
scolari, scrittori e lettori, si spiega con questo conflitto tra i
risultati che sono stati scoperti e la maniera tradizionale di
pensare.
Una rappresentazione esatta della totalità del mondo, del suo
sviluppo e di quello dell'umanità, nonché
dell'immagine di questo sviluppo quale si rispecchia nella testa
degli uomini, può quindi effettuarsi solo per via dialettica,
prendendo costantemente in considerazione le azioni reciproche del
nascere e del morire, dei mutamenti progressivi o regressivi. E in
questo senso ha proceduto la filosofia tedesca moderna sin dal suo
principio. Kant iniziò la sua carriera scientifica risolvendo
la stabilità del sistema sbarre newtoniano, e la sua eterna
durata, una volta dato il famoso impulso iniziale, in un fenomeno
che ha una storia: nella formazione, cioè, del sole e di
tutti i pianeti da una massa nebulosa rotante. E ne trasse
già la conseguenza che, posta questa formazione, era data del
pari necessariamente la futura fine del sistema solare [12]. Le sue
vedute un mezzo secolo più tardi ricevettero da Laplace una
base matematica, e ancora un altro mezzo secolo più tardi lo
spettroscopio dimostrò l'esistenza nello spazio cosmico di
queste tali masse gassose incandescenti a diverso grado di
condensazione [21].
Questa filosofia tedesca moderna trovò la sua conclusione nel
sistema hegeliano, nel quale, per la prima volta, e questo è
il suo grande merito, tutto quanto il mondo naturale, storico e
spirituale venne presentato come un processo, cioè in un
movimento, in un cambiamento, in una trasformazione, in uno sviluppo
che mai hanno tregua, e fu fatto il tentativo di dimostrare il nesso
intimo esistente in questo movimento e in questo sviluppo [b15].
Mettendosi da questo punto di vista, la storia dell'umanità
appariva non più come un groviglio confuso di violenze
insensate che sono tutte ugualmente condannabili davanti al
tribunale della ragione filosofica, ora divenuta matura, e che la
cosa migliore è dimenticare al più presto possibile,
ma come il processo di sviluppo dell'umanità stessa. E ora il
compito del pensiero consiste nel seguire, attraverso tutte le
deviazioni, la marcia graduale di tale processo che si compie a poco
a poco e dimostrarne, attraverso tutte le accidentalità
apparenti, l'intima regolarità.
Che Hegel non abbia assolto questo compito, qui non ha importanza
[b16]. Il suo merito, che fa epoca, è quello di averlo posto,
tanto più che questo è un compito che nessun individuo
da solo potrà mai assolvere. Se Hegel, con Saint-Simon, la
mente più universale della sua epoca, pure egli era limitato
in primo luogo dall'ambito necessariamente ristretto delle sue
conoscenze specifiche e in secondo luogo dalle conoscenze e dalle
concezioni della sua epoca che, del pari, erano ristrette per ambito
e profondità. Ma a tutto ciò si aggiungeva anche una
terza cosa. Hegel era un idealista, cioè per lui i pensieri
della sua testa non erano le immagini riflesse, più o meno
astratte, delle cose e dei fenomeni reali, ma invece le cose e il
loro sviluppo erano immagini riflesse realizzate dall'"idea",
esistente già prima del mondo in qualche luogo.
Conseguentemente tutto veniva poggiato sulla testa, e il nesso reale
del mondo veniva completamente rovesciato. E per quanto [b17] alcuni
nessi singoli venissero concepiti da Hegel in modo giusto e geniale,
pure, per le ragioni che sono state addotte, molto, anche nei
dettagli, doveva riuscire rabberciato, artificioso, architettato di
sana pianta, in breve, sovvertito. Il sistema di Hegel fu come tale
un colossale aborto, ma fu anche l'ultimo nel suo genere. Il fatto
è che esso era affetto da un'altra contraddizione interna
insanabile: da una parte aveva come suo presupposto iniziale la
visione storica delle cose, secondo la quale la storia umana
è un processo di sviluppo che, per sua natura, non può
trovare la sua conclusione intellettuale nella scoperta di una
verità cosiddetta assoluta, mentre dall'altra afferma di
essere la quintessenza proprio di questa verità assoluta. Un
sistema che abbracci completamente e concluda una volta per sempre
la conoscenza della natura e della storia è in contraddizione
con le leggi fondamentali del pensiero dialettico; la qual cosa
tuttavia non esclude affatto, ma invece implica, che la conoscenza
sistematica di tutto il mondo esterno possa fare di generazione in
generazione dei passi da gigante [b18].
La convinzione della completa assurdità dell'idealismo
tedesco quale era esistito fino allora condusse necessariamente al
materialismo, ma, si noti bene, non al materialismo puramente
metafisico, esclusivamente meccanicistico, del secolo XVIII.
Anziché rigettare semplicemente, in modo ingenuamente
rivoluzionario, tutta la storia precedente, il materialismo moderno
vede nella storia il processo di sviluppo dell'umanità ed
è suo compito scoprirne le leggi di movimento. In contrasto
con la rappresentazione dominante tanto nei francesi del XVIII
secolo [b19] quanto in Hegel, secondo la quale la natura è un
tutto che si muove in orbite ristrette e che rimane [b20] eguale a
se stessa, con i suoi eterni corpi celesti, come aveva insegnato
Newton, e con le sue specie immutabili di esseri organici, come
aveva insegnato Linneo, il materialismo moderno riassume i moderni
progressi della scienza della natura, secondo cui la natura ha
anch'essa la sua storia svolgentesi nel tempo, i corpi celesti
nascono e muoiono così come le specie degli organismi, dalle
quali vengono abitati se si presentano circostanze favorevoli, e le
orbite, nella misura in cui sono [b21] in generale ammissibili,
assumono delle dimensioni infinitamente più grandiose. In
entrambi i casi il materialismo moderno è essenzialmente
dialettico e non ha più bisogno di una filosofia che stia al
di sopra delle altre scienze. Dal momento in cui si esige da
ciascuna scienza particolare che essa si renda conto della sua
posizione nel nesso complessivo delle cose e della conoscenza delle
cose, ogni scienza particolare che abbia per oggetto il nesso
complessivo diventa superflua. Ciò che resta quindi ancora in
piedi, autonomamente, di tutta quanta la filosofia che si è
avuta fino ad ora è la dottrina del pensiero e delle sue
leggi, cioè la logica formale e la dialettica. Tutto il resto
si risolve nella scienza positiva della natura e della storia.
Tuttavia, mentre il rovesciamento della concezione della natura non
si poteva compiere che nella misura in cui l'indagine forniva
l'adeguato materiale di conoscenze positive, già molto prima
si erano verificati dei fatti storici che determinarono una svolta
decisiva nella concezione della storia. Nel 1831 a Lione era
avvenuta la prima sollevazione di operai; dal 1838 al 1842 aveva
raggiunto il suo culmine il primo movimento operaio nazionale,
quello dei cartisti inglesi. La lotta di classe tra il proletariato
e la borghesia si presentava in primo piano nella storia dei paesi
più progrediti d'Europa, nella stessa misura in cui in quei
paesi si sviluppavano da una parte la grande industria e dall'altra
il dominio politico che la borghesia aveva di recente conquistato.
Le dottrine dell'economia borghese sull'identità di interessi
tra capitale e lavoro, sull'armonia universale e sul benessere
universale del popolo come conseguenza della libera concorrenza
venivano smentite dai fatti in modo sempre più convincente
[b22]. Tutte queste cose non potevano più essere respinte,
come non si poteva respingere il socialismo francese ed inglese che
ne era l'espressione teorica, anche se estremamente imperfetta. Ma
la vecchia concezione idealistica della storia, che non era stata
ancora soppiantata, non conosceva lotte di classi poggianti su
interessi materiali e, in generale, non conosceva interessi
materiali; la produzione e tutti i rapporti economici non facevano
in essa la loro comparsa che incidentalmente, come elementi
subordinati della "storia della civiltà".
I nuovi fatti costrinsero a sottoporre ad una nuova indagine tutta
la storia precedente e si vide allora che tutta la storia precedente
[b23] era la storia delle lotte delle classi, che queste classi
sociali che si combattono vicendevolmente sono di volta in volta
risultati dei rapporti di produzione e di scambio, in una parola dei
rapporti economici della loro epoca; che quindi di volta in volta la
struttura economica della società costituisce il fondamento
reale della società partendo dal quale si deve spiegare in
ultima istanza tutta la sovrastruttura delle istituzioni giuridiche
e politiche, così come gli orientamenti religiosi, filosofici
e di altro genere di ogni periodo storico. Conseguentemente
l'idealismo [b24] veniva cacciato dal suo ultimo rifugio, la
concezione della storia; veniva data una concezione, materialistica
della storia e veniva trovata la via per spiegare la coscienza
dell'uomo col suo essere, invece di spiegare, come si era fatto sino
allora, il suo essere con la sua coscienza [b25].
Ma con questa concezione materialistica della storia era altrettanto
incompatibile il socialismo che era esistito fino allora, quanto la
concezione della natura del materialismo francese con la dialettica
e con la moderna scienza della natura. Il socialismo precedente
criticava, è vero, il vigente modo di produzione
capitalistico e le sue conseguenze, ma non poteva darne una
spiegazione né quindi venirne a capo: non poteva che
respingerlo semplicemente come un male [b26]. Si trattava invece di
presentare da una parte questo modo di produzione capitalistico nel
suo nesso storico e nella sua necessità nell'ambito di un
determinato periodo storico, e quindi anche la necessità del
suo tramonto, dall'altra, invece, di svelarne anche il carattere
interiore, che ancora era rimasto celato, perché sinora la
critica si era appuntata più sulle cattive conseguenze che
sul processo della cosa stessa. Questo si ebbe con la scoperta del
plusvalore. Fu dimostrato che l'appropriazione di lavoro non pagato
è la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico
e dello sfruttamento dell'operaio che con esso viene compiuto; che
il capitalista, anche se compra la forza lavoro del suo operaio
secondo il pieno valore che essa, come merce, ha sul mercato, ne
trae tuttavia un valore maggiore di quello che per essa ha pagato, e
che in ultima istanza questo plusvalore costituisce la somma di
valore per cui la massa di capitale continuamente crescente si
accumula tra le mani delle classi possidenti. Il processo tanto
della produzione capitalistica quanto della produzione del capitale
era spiegato.
Entrambe queste grandi scoperte: la concezione materialistica della
storia e la rivelazione del segreto della produzione capitalistica
mediante il plusvalore, le dobbiamo a Marx. Con queste due grandi
scoperte il socialismo è diventato una scienza che ora si
tratta innanzitutto di elaborare ulteriormente in tutti i suoi
particolari e nessi.
Così press'a poco stavano le cose nel campo del socialismo
teorico e della defunta filosofia, quando Dühring, non senza un
baccano notevole, irruppe nella scena e annunziò di aver
compiuto una rivoluzione perfetta e totale della filosofia,
dell'economia politica e del socialismo.
Vediamo che cosa Dühring ci promette e che cosa mantiene.
Note
17. La guerra dei contadini divampò nella Germania
centro-meridionale negli anni 1525-1526; i motivi a base della
rivolta delle popolazioni delle campagne contro i nobili e i
borghesi delle città erano sia economici, sia spirituali e
teologici: di grande importanza furono le richieste comunistiche,
divenute presto generali, che ebbero il principale assertore in
Thomas Münzer. Cfr. F. Engels "La guerra dei contadini in
Germania" (1850).
18. Engels si riferisce ai "veri Levellers" (Livellatori) o
"Diggers" (Scavatori) che durante la rivoluzione inglese del XVII
secolo costituirono l'estrema ala sinistra dei Levellers e poi si
separarono da essi. Nell'interesse degli strati rurali e urbani
più poveri, i Diggers chiedevano che il popolo potesse
coltivare le terre comunali senza pagare l'affitto. In alcuni
villaggi occuparono terreni incolti e li dissodarono per la semina.
Dispersi dai soldati di Cromwell, essi non opposero resistenza
perché nella lotta volevano impiegare solo mezzi pacifici e
confidavano nella loro forza della persuasione.
19. In particolare le opere dei comunisti utopisti Tommaso Moro ("De
optimo republicae statu deque nova insula Utopia") e Tommaso
Campanella ("Civitas solis", pubblicata nel 1623 come parte della
"Philosophia realis", e separatamente nel 1643).
20. Nei secoli successivi alla morte di Alessandro Magno (323 a.c.)
la città di Alessandria d'Egitto fu il centro della vita
culturale; vi fiorirono la matematica e la meccanica, la geografia,
l'astronomia, l'anatomia, la fisiologia, ecc.
21. Laplace sviluppò la sua ipotesi sull'origine del sistema
solare nell'ultimo capitolo della sua "Exposition du sistème
du monde" (1795-96). Nell'ultima edizione di questo scritto da lui
curata, apparsa postuma nel 1835, l'ipotesi è esposta nella
nota VII. La natura gassosa delle nebulose diffuse e planetarie fu
scoperta nel 1864 dall'astronomo inglese William Huggins con
l'ausilio dell'analisi spettroscopica ideata nel 1859 da Gustav
Kirchhoff e Robert Bunsen. Engels si vale qui dell'opera di Angelo
Secchi "Die Sonne...", pp. 787, 189-190.
Note b (nell'opuscolo "L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla
scienza")
b1. (nel primo abbozzo dell'"Introduzione") Il socialismo moderno,
benché nei fatti sia sorto dalla visione degli antagonismi di
classe, già esistenti nella società, tra possidenti e
non possidenti, lavoratori e sfruttatori, nella sua forma teorica
appare tuttavia dapprima come una continuazione più
conseguente, più avanzata, dei princìpi sostenuti dai
grandi illuministi francesi del XVIII secolo; tra questi infatti si
trovano i suoi primi rappresentanti, Morelly e Mably.
b2. (nell'opuscolo "Il socialismo...") nei fatti economici materiali
b3. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [nota aggiunta] Il passo
sulla Rivoluzione francese è il seguente: "Il pensiero, il
concetto del diritto, si fece valere di punto in bianco, né
l'antico edificio dell'ingiustizia poté opporre resistenza
alcuna. In nome del diritto è stata proclamata adesso una
Costituzione sulla quale tutto deve poggiare. Da che il sole sta nel
firmamento e i pianeti gli girano intorno, non si era mai visto che
l'uomo si rizzasse sulla testa, cioè sul pensiero, e che su
questo costruisse la realtà. Anassagora aveva detto per primo
che il nous, la ragione, dirige il mondo; ma solo ora, per la prima
volta, l'uomo è pervenuto a riconoscere che tocca al pensiero
dirigere la realtà spirituale. È stato un meraviglioso
levar del sole. Tutti li esseri pensanti hanno solennizzato
quest'epoca. Una sublime commozione ha regnato in quell'età,
un entusiasmo dello spirito ha scosso il mondo, quasi si fosse per
la prima volta venuti alla conciliazione del divino con il mondo."
(Hegel, "Filosofia della storia", 1840, pag. 535). Non sarebbe tempo
di mettere in moto la legge contro i socialisti nei riguardi di
queste pericolose dottrine sovversive del defunto professor Hegel?
b4. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Ora per la prima volta
spuntava la luce del giorno, il regno della ragione
b5. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Ma, accanto all'antagonismo
tra nobiltà feudale e la borghesia che si presentava come
rappresentante di tutto il resto della società
b6. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Così nell'epoca
tedesca della Riforma e della guerra dei contadini gli anabattisti e
Thomas Münzer
b7. (nell'opuscolo "Il socialismo...") La prima forma con cui la
nuova dottrina fece la sua comparsa fu così un comunismo
ascetico che si ricollegava a Sparta e vietava ogni gioia della vita
b8. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Come gli illuministi, essi
non vogliono liberare dapprima una classe determinata, ma tutta
l'umanità ad un tempo
b9. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Il modo di vedere degli
utopisti ha dominato a lungo le idee socialiste del XIX secolo ed in
parte le domina ancora. Ad esso, fino a pochissimo tempo fa, si
inchinavano ancora tutti i socialisti francesi ed inglesi, ad esso
appartiene anche il comunismo degli inizi, compreso quello di
Weitling. Il socialismo è per tutti loro l'espressione
dell'assoluta verità
b10. (nel primo abbozzo dell'"Introduzione") Gli antichi filosofi
greci erano stati tutti dei dialettici nati, spontanei, e
Aristotele, l'Hegel del mondo antico, aveva già indagato
anche le forme più essenziali del pensiero dialettico.
b11. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [aggiunta] Noi, quindi, in
un primo tempo vediamo il quadro d'insieme nel quale i particolari
passano più o meno in seconda linea e badiamo più al
movimento, ai passaggi, ai nessi, che a ciò che si muove,
passa e sta in connessione.
b12. (nell'opuscolo "Il socialismo...") e sino a quando non
conosciamo questi
b13. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [aggiunta] Solo dopo che una
certa quantità di dati naturali e storici è stata
accumulata, può cominciare il vaglio critico, il raffronto e
rispettivamente la divisione in classi, ordini e specie.
b14. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [aggiunta] che non si muove
nell'eterna uniformità di un circolo che di continuo si
ripete, ma percorre una vera storia. Qui bisogna far menzione, prima
di ogni altro, di Darwin che ha assestato alla concezione metafisica
della natura il colpo più vigoroso con la sua dimostrazione
che tutta quanta la natura organica, quale oggi esiste, piante e
animali, e conseguentemente anche l'uomo, è il prodotto di un
processo di sviluppo che è durato milioni di anni.
b15. (nel primo abbozzo dell'"Introduzione") Il sistema hegeliano fu
l'ultima, la più compiuta forma della filosofia, intesa come
scienza particolare, superiore a tutte le altre scienze. Con esso
naufragò tutta la filosofia. Ma ciò che rimase fu il
modo di pensare dialettico e la concezione del mondo naturale,
storico e intellettuale visto come un mondo che si muove e si
trasforma all'infinito, in un processo continuo di divenire e di
trapassare. Non solo alla filosofia, ma a tutte le scienze ora si
poneva l'esigenza di mettere in luce, nel proprio campo particolare,
le leggi del movimento di questo continuo processo di
trasformazione. E questa era la parte di eredità che la
filosofia hegeliana lasciò ai suoi successori.
b16. (nell'opuscolo "Il socialismo...") Che il sistema hegeliano non
abbia assolto il compito che esso si era posto, qui non ha
importanza.
b17. (nell'opuscolo "Il socialismo...") E per quanto, quindi,
b18. (nell'opuscolo "Il socialismo...") progressi da gigante.
b19. (nell'opuscolo "Il socialismo...") quanto ancora
b20. (nell'opuscolo "Il socialismo...") che rimase sempre
b21. (nell'opuscolo "Il socialismo...") nella misura in cui
rimangono
b22. (nel primo abbozzo dell'"Introduzione") [di seguito] In Francia
l'insurrezione lionese del 1834 aveva proclamato altresì la
lotta del proletariato contro la borghesia. Le teorie socialiste
inglesi e francesi acquistarono importanza storica e dovettero
suscitare eco e critica anche in Germania, benché là
la produzione cominciasse soltanto allora ad aprirsi la strada
partendo dalle piccole attività. Il socialismo teorico, quale
ora si formava non tanto in Germania quanto fra tedeschi, doveva
dunque importare tutto il suo materiale...
b23. (nell'opuscolo "Il socialismo...") che tutta la storia
precedente, ad eccezione delle condizioni primitive,
b24. (nell'opuscolo "Il socialismo...") di ogni periodo storico.
Hegel aveva liberato la concezione della storia dalla metafisica,
l'aveva resa dialettica, ma la sua concezione della storia era
essenzialmente idealistica. Ora l'idealismo
b25. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [aggiunta] Conseguentemente
il socialismo appariva adesso non più come scoperta
accidentale di questa o quella testa geniale, ma come il risultato
necessario della lotta tra due classi formatesi storicamente: il
proletariato e la borghesia. Il suo compito non era più
quello di apportare un sistema quanto più possibile perfetto
della società, ma quello di indagare il processo storico
economico da cui necessariamente sono sorte queste classi e il loro
conflitto, e scoprire nella situazione economica, così
creata, il mezzo per la soluzione del conflitto.
b26. (nell'opuscolo "Il socialismo...") [aggiunta] Quanto più
violentemente esso inveiva contro lo sfruttamento della classe
operaia, inseparabile dal modo di produzione capitalistico, tanto
meno era in grado di spiegare chiaramente in che cosa consista e
come sorga questo sfruttamento.
II. Che cosa promette il sig. Dühring
Gli articoli di Dühring che anzitutto rientrano nella seguente
trattazione sono il suo "Corso di filosofia", il suo "Corso di
economia politica e sociale" e la sua "Storia critica dell'economia
politica e del socialismo". Per ora ci interessa soprattutto la
prima opera.
Fin dalla prima pagina Dühring si annunzia come "colui che
pretende di rappresentare [22] questo potere" (la filosofia) "nella
sua epoca e per gli sviluppi che immediatamente se ne possono
prevedere". Egli si proclama l'unico vero filosofo del presente e
del futuro "che si può prevedere". Chi si allontana da lui,
si allontana dalla verità. Molta gente, già prima di
Dühring, aveva pensato di se stessa qualche cosa di simile, ma
egli è probabilmente il primo, eccettuato Richard Wagner, che
con l'aria più tranquilla di questo mondo si sia espresso
così parlando di se stesso. E, a dire il vero, la
verità di cui egli si occupa è "una verità
definitiva di ultima istanza".
La filosofia di Dühring è
"il sistema naturale ossia la filosofia della realtà... la
realtà nel suo sistema è pensata in una maniera che
esclude ogni velleità di rappresentare il mondo in modo
fantastico e soggettivamente limitato".
Questa filosofia è quindi di tal natura da elevare
Dühring al di sopra di quei limiti della sua personale e
soggettiva limitatezza che egli stesso non può negare. E
veramente questo è necessario se egli deve essere in grado di
stabilire saldamente delle verità definitive di ultima
istanza, sebbene sino al presente noi non scorgiamo ancora come
debba prodursi questo miracolo.
Questo "sistema naturale del sapere che in se stesso ha valore per
lo spirito", "senza derogare in niente dalla profondità del
pensiero", ha "stabilito saldamente le forme fondamentali
dell'essere". Dal suo "punto di vista effettivamente critico" questo
sistema offre
"gli elementi di una filosofia positiva e, conseguentemente, rivolta
alla realtà della natura e della vita, di una filosofia che
non ammette orizzonti meramente parventi, ma invece, col suo moto
possentemente rivoluzionario, dispiega tutte le terre e i cieli
della natura esterna e interna".
Nel campo economico e politico Dühring non soltanto ci
dà "dei lavori storicamente e sistematicamente comprensivi",
che, mentre quelli storici se ne contraddistinguono, per di
più, per "la mia maniera di delineare la storia in grande
stile", nell'economia hanno introdotto "delle svolte feconde", ma
anche conclude con un suo specifico piano socialista completamente
elaborato per la società dell'avvenire, che è "il
frutto pratico di una teoria chiara e che si profonda sino alle
radici" e che perciò, come la filosofia di Dühring,
è altrettanto infallibile ed unica via per la salvezza.
Infatti
"solo in quella struttura socialista che io ho caratterizzato nel
mio "Corso di economia politica e sociale", una proprietà
autentica può sostituire la proprietà semplicemente
parvente e transitoria o piuttosto fondata sulla violenza".
L'avvenire dovrà regolarsi in conformità.
Questo florilegio di elogi che Dühring tributa a Dühring
potrebbe essere agevolmente decuplicato. Ma sin da ora esso potrebbe
aver suscitato nel lettore qualche dubbio se realmente ha da fare
con un filosofo o con... ma noi preghiamo il lettore di sospendere
il suo giudizio sino a quando abbia conosciuto più da vicino
quell'andare alle radici, del quale abbiamo detto. Noi abbiamo
esposto il florilegio di cui sopra solamente per mostrare che non
abbiamo davanti un filosofo e socialista dei soliti, che
semplicemente esprime i suoi pensieri e rimette la decisione sul
loro valore allo sviluppo ulteriore, ma abbiamo a che fare con un
essere assolutamente al di fuori dell'ordinario, che afferma di
essere non meno infallibile del papa e la cui dottrina, che è
la sola via per la salvezza, si deve accettare senz'altro, se non si
vuol cadere nella più riprovevole eresia. Non abbiamo
assolutamente a che fare con una di quelle opere di cui sono
straricche tutte le letterature socialiste e recentemente anche la
tedesca, opere nelle quali gente di diversa statura cerca, nella
maniera più sincera del mondo, di veder chiaro su questioni
per rispondere alle quali probabilmente le manca più o meno
il materiale; opere in cui, quali che ne siano le deficienze
scientifiche e letterarie, è sempre apprezzabile la buona
volontà socialista. Al contrario, Dühring ci offre dei
principi che dichiara verità definitive di ultima istanza e
di fronte alle quali ogni altra opinione è quindi a priori
falsa; e come della verità definitiva, egli è in
possesso dell'unico metodo di indagine rigorosamente scientifico di
fronte al quale tutti gli altri non sono scientifici. O egli ha
ragione, e allora noi siamo al cospetto del più grande genio
di tutti i tempi, del primo uomo sovrumano perché
infallibile. O ha torto, e anche allora, quale che sia il giudizio
che diamo di lui, un atteggiamento di benevolo rispetto verso la sua
eventuale buona volontà sarebbe pur sempre l'offesa
più mortale per Dühring.
Se si è in possesso della verità definitiva di ultima
istanza e del suo metodo rigorosamente scientifico, ovviamente si
dovrà avere un discreto disprezzo per il resto
dell'umanità errante e sprovvista di scienza. Non dobbiamo
quindi meravigliarci se Dühring parla dei suoi predecessori col
più straordinario dispregio e se solo pochi grandi uomini,
nominati tali da lui stesso a titolo d'eccezione, trovino grazia di
fronte a quel suo andare alle radici.
Ascoltiamo anzitutto quello che dice dei filosofi: "Leibniz,
sprovvisto di ogni sentimento un po' elevato... il migliore tra
tutti i filosofi cortigiani possibili". Kant è ancora ancora
tollerato, ma dopo di lui tutto è andato sottosopra: sono
venute le "confusioni e le stoltezze altrettanto puerili quanto
quelle degli ultimi epigoni, e quindi specialmente di un Fichte e di
uno Schelling... enormi caricature di un'ignorante filosofastreria
della natura... le enormità postkantiane" e "i deliri
febbrili" che "un Hegel" portò al culmine. Costui parlava un
"gergo hegeliano" e diffondeva la "peste hegeliana" mediante quella
sua "maniera per giunta non scientifica anche nella forma" e le sue
"crudezze".
Né i naturalisti hanno miglior trattamento, ma solo Darwin
è citato per nome e così dobbiamo limitarci a lui:
"Semipoesia di Darwin e sua abilità nel presentare
metamorfosi con la sua ristrettezza grossolana di comprensione e
l'ottusità del suo discernimento... secondo il nostro parere
il darwinismo specifico, da cui naturalmente si devono eccettuare le
tesi lamarckiane, è un atto di brutalità contro
l'umanità".
Ma quelli che escono peggio di tutti sono i socialisti. Ad
eccezione, se mai, di Luois Blanc, il più insignificante di
tutti, essi sono, tutti insieme, dei peccatori e mancano di quella
gloria che dovrebbero avere davanti (o dietro) a Dühring. E non
solo per quel che concerne la verità e il metodo scientifico,
ma anche per quel che concerne il carattere. Ad eccezione di Babeuf
e di alcuni comunardi del 1871, essi, tutti quanti insieme, non sono
degli "uomini". I tre utopisti vengono chiamati "alchimisti
sociali". Di essi Saint-Simon è ancora trattato con
bontà, in quanto gli si rimprovera solo della "esaltazione" e
si accenna con compassione che era affetto da mania religiosa. Con
Fourier, invece, a Dühring scappa la pazienza. Infatti Fourier
"rivelava tutti gli elementi della follia... Idee che invece si
possono trovare piuttosto nei manicomi... i sogni più
confusi... risultati della follia... Il Fourier indicibilmente
sciocco", questa "testolina da bambino", questo "idiota", inoltre
non è neanche un socialista; il suo falansterio [23] non
è affatto un elemento del socialismo razionale, ma è
"una caricatura costruita sulla falsariga del commercio quotidiano".
E finalmente:
"Colui, al quale queste invettive" (di Fourier contro Newton) "non
sono sufficienti per convincersi che nel nome di Fourier e in tutto
il fourierismo solo la prima sillaba" (fou = pazzo) "dice qualcosa
di vero, dovrebbe, proprio lui, essere classificato in qualche
categoria di idioti".
Infine, Robert Owen "aveva delle idee fiacche e meschine... il suo
pensiero così rozzo in materia di morale... pochi luoghi
comuni degenerati in bislaccherie... maniera assurda e rozza di
vedere le cose... Il corso del pensiero di Owen merita appena di
essere sottoposto ad una critica più seria... la sua
vanità" ecc. Se dunque Dühring caratterizza gli utopisti
col loro nome in modo estremamente spiritoso come segue:
Saint-Simon-saint (santo), Furier-fou (pazzo), Enfantin-enfant
(bambinesco), ci manca solo che aggiunga Owen-oweh! [ahimè!]
e semplicemente con quattro parole è condannato un periodo di
importanza capitale della storia del socialismo, e chi dubita di
questo "dovrebbe, proprio lui, essere classificato in qualche
categoria di idioti"
Dai giudizi di Dühring sui socialisti che sono venuti dopo, per
brevità estraiamo solo quelli su Lassalle e su Marx.
Lassalle:
"Tentativi di popolarizzazione che sofisticano pedantescamente...
scolastica soffocante... miscela mostruosa di teorie generali e di
robaccia di poco conto... superstizione hegeliana priva di senso e
di forma... esempio ripugnante... limitatezza peculiare... vanteria
di cianfrusaglie di nessun valore... il nostro eroe ebreo...
libellista... volgare... intrinseca volubilità nella visione
della vita e del mondo".
Marx:
"Ristrettezza di concezione... i suoi lavori e le sue produzioni in
sé e per sé, cioè considerandole dal punto di
vista teorico, sono per il nostro campo" (la storia critica del
socialismo) "prive di un significato durevole per la storia generali
delle correnti spirituali, tutt'al più sono a citare come
sintomi dell'influenza della moderna scolastica settaria...
incapacità di concentrare ed ordinare... pensiero e stile
informi... eloquio privo di dignità... vanità
anglicizzata...turlupinature... concezioni confuse, che in
realtà sono solo prodotti bastardi di fantasie storiche e
logiche... giri di pensiero fallaci... vanità personale...
mezzucci vili... insolente... scoppiettii e piccoli lazzi di bello
spirito... erudizione cinese... arretratezza filosofica e
scientifica".
E così via, e così via, che anche questo è solo
un piccolo e superficiale florilegio del roseto di Dühring.
Beninteso, per il momento ancora a noi non interessa affatto se
questi amabili insulti, che dovrebbero impedire a Dühring,
posto che abbia una certa educazione, di trovare qualche cosa vile
ed insolente, siano parimente verità definitive di ultima
istanza. E anche - per ora - ci guarderemo bene dall'esprimere
qualche dubbio sulla loro capacità di andare alle radici,
perché, se no, ci potrebbe essere probabilmente perfino
impedito di indagare la categoria di idioti alla quale apparteniamo.
Abbiamo creduto solamente che fosse nostro dovere da una parte dare
un esempio di quello che Dühring chiama "la sceltezza della
maniera di esprimersi riguardosa e, nel senso genuino della parola,
modesta", e dall'altra parte assodare che per Dühring la
riprovevolezza dei suoi predecessori è non meno certa della
sua infallibilità. Dopo di che noi ci sentiamo venir meno,
presi dal più profondo ossequio di fronte al genio più
possente di tutti i tempi, se le cose stanno precisamente
così.
Note
22. Tutti i corsivi, nelle citazioni dagli scritti di Dühring,
sono di Engels.
23. Col nome di falansteri Fourier designava gli edifici in cui
dovevano vivere, coltivando in comproprietà i terreni
circostanti, le comunità di lavoratori da lui ideate.
Prima Sezione: Filosofia
III. Suddivisione. Apriorismo
La filosofia è per Dühring lo sviluppo della forma
più alta della coscienza del mondo e della vita, e abbraccia,
in un senso alquanto lato, i principi di tutto il sapere e di tutto
il volere. Laddove una serie qualsiasi di conoscenze o di impulsi o
un gruppo di forme di esistenza si pongono problematicamente alla
coscienza umana, i principi di queste forme costituiscono
necessariamente un oggetto della filosofia. Questi principi sono le
parti costitutive semplici, o che sinora si sono presupposte
semplici, da cui si fa risultare il sapere e il volere nella loro
complessità. Analogamente alla costituzione chimica dei
corpi, anche la concezione generale delle cose può essere
ridotta a forme ed elementi fondamentali. Queste ultime parti
costitute, o principi, una volta che siano state acquisite, sono
valide non semplicemente per ciò che è immediatamente
noto e accessibile, ma anche per il mondo a noi ignoto e
inaccessibile. Conseguentemente i principi filosofici costituiscono
l'ultima integrazione di cui abbisognano le scienze per diventare un
sistema unitario di spiegazione della natura e della vita umana.
Oltre alle forme fondamentali di ogni esistenza, la filosofia ha
solo due oggetti peculiari di indagine, ossia la natura e il mondo
umano. Conseguentemente, per disporre ordinatamente la nostra
materia, ci si offrono in modo assolutamente spontaneo tre gruppi,
cioè la schematizzazione generale del mondo, la dottrina dei
principi della natura e finalmente quella dell'uomo. Questa
successione contiene ad un tempo un ordinamento logico interno;
infatti, i principi formali, che sono validi per tutto l'essere,
hanno la precedenza, e i campi oggettivi, a cui essi devono
applicarsi, seguono in ordine discendente, secondo il loro rapporto
di subordinazione. Sin qui Dühring, e quasi completamente alla
lettera.
In lui si tratta, quindi, di principi, di principi formali, dedotti
dal pensiero e non dal mondo esterno, i quali devono essere
applicati alla natura e al regno dell'uomo, e ai quali, quindi,
devono conformarsi la natura e l'uomo. Ma da dove prende il pensiero
questi principi? Da se stesso? No, infatti Dühring stesso dice
che il campo puramente ideale si limita a schemi logici e a
formulazioni matematiche (la quale ultima cosa, per giunta, come
vedremo, è anche falsa). Gli schemi logici si possono
riferire solo a forme di pensiero; qui si tratta invece, solo di
forme dell'essere, del mondo esterno, e queste forme il pensiero non
può mai crearle né dedurle da se stesso, ma
precisamente solo dal mondo esterno. Ma con ciò tutto il
rapporto si inverte: i principi non sono il punto di partenza
dell'indagine, ma invece il suo risultato finale; non vengono
applicati alla natura e alla storia dell'uomo, ma invece vengono
astratti da esse; non già la natura e il regno dell'uomo si
conformano ai principi, ma i principi, in tanto sono giusti, in
quanto si accordano con la natura e con la storia. Questa è
l'unica concezione materialistica dell'argomento e quella di
Dühring, ad essa contrapposta, è idealistica, sovverte
completamente le cose e costruisce il mondo reale partendo dal
pensiero, da schematismi, schemi o categorie esistenti
dall'eternità in qualche luogo prima del mondo, precisamente
come un Hegel.
Infatti, raffrontiamo l'"Enciclopedia" di Hegel, con tutti i suoi
deliri febbrili, e le verità definitive di ultima istanza di
Dühring. In Dühring abbiamo in primo luogo la
schematizzazione generale del mondo, che in Hegel si chiama Logica.
Abbiamo poi l'applicazione di questi schemi, ovvero categorie
logiche, alla natura: Filosofia della natura, e infine la loro
applicazione al regno dell'uomo, che è ciò che Hegel
chiama Filosofia dello spirito. L'"ordinamento logico interno" della
successione dühringiana ci riporta dunque "in modo
assolutamente spontaneo" all'Enciclopedia di Hegel da cui è
stata desunta con una fedeltà che muoverebbe alle lacrime
l'ebreo errante della scuola hegeliana, il professor Michelet di
Berlino [24].
Questo è il risultato che si ha, se si accetta "la
coscienza", "il pensiero", in modo assolutamente naturalistico, come
qualche cosa di dato, di contrapposto a priori all'essere, alla
natura. Si deve trovare allora sommamente strano che coscienza e
natura, pensiero ed essere, leggi del pensiero e leggi della natura
coincidano tanto. Ma se ci si chiede ulteriormente che cosa siano
allora pensiero e coscienza, e da dove essi traggono origine, si
trova che essi sono prodotti dal cervello umano e che l'uomo stesso
è un prodotto della natura che si è sviluppato col e
nel suo ambiente; da ciò si intende allora senz'altro che i
prodotti del cervello umano, i quali in ultima istanza sono
anch'essi prodotti naturali, non contraddicono il restante nesso
della natura, ma invece vi corrispondono [25].
Ma Dühring non si può permettere una trattazione
così semplice della cosa. Egli pensa non solo in nome
dell'umanità, il che sarebbe già un bell'affare, ma in
nome degli esseri coscienti e pensanti di tutti i corpi celesti.
In effetti sarebbe "una degradazione delle forme fondamentali della
coscienza e del sapere, il volere, con l'epiteto di umane, escludere
o anche solo mettere in dubbio la loro sovrana validità e il
loro incondizionato diritto alla verità".
Poiché, quindi, non sorga il sospetto che in qualche altro
corpo celeste due e due non facciano cinque, Dühring non
può dare al pensiero la qualifica di umano, e deve
conseguentemente separarlo dall'unica base reale su cui esso esiste
per noi, ossia dall'uomo e dalla natura; e con ciò piomba
senza scampo in un'ideologia che lo rivela epigono dell'"epigono"
Hegel. Del resto incontreremo ancora spesso Dühring su altri
corpi celesti.
Si intende facilmente che su una siffatta base ideologica non si
può fondare nessuna dottrina materialistica. Vedremo
più tardi che Dühring più di una volta è
costretto a sostituire alla natura un modo di agire cosciente, e
dunque ciò che in linguaggio comune si chiama dio.
Ma il nostro filosofo della realtà ha ancora un altro motivo
per trasferire la base di tutta la realtà dal mondo reale al
mondo del pensiero. Invero, la scienza di questo schematismo
generale del mondo, di questi principi generali dell'essere,
è precisamente la base della filosofia di Dühring. Se
non facciamo poggiare lo schematismo del mondo sulla testa, ma
semplicemente deduciamo per mezzo della testa i principi dell'essere
dal mondo reale, da ciò che è, non abbiamo bisogno per
far questo di alcuna filosofia, ma di conoscenze positive del mondo
e di ciò che avviene in esso, e parimente ciò che ne
risulta non è filosofia, ma scienza positiva. Ma così
tutto il volume di Dühring non sarebbe che una fatica d'amore
perduta.
Inoltre: se non è più necessaria una filosofia come
tale, allora non sarà più necessario neanche un
sistema e neppure un sistema naturale di filosofia. L'aver compreso
che la totalità dei fenomeni della natura sta in un nesso
sistematico, spinge la scienza a dimostrare questo nesso sistematico
dappertutto, così nel particolare come nell'insieme. Ma
un'esposizione adeguata, esauriente, scientifica di questo nesso, la
costruzione di un'immagine concettuale esatta del sistema del mondo
in cui viviamo resta impossibile per noi come per ogni altra epoca.
Se in un qualsiasi momento dello sviluppo umano fosse portato a
compimento un tale sistema definitivamente conclusivo dei nessi del
mondo, tanto fisici che spirituali e storici, il regno della
conoscenza umana sarebbe così concluso, e dal momento in cui
la società si fosse organizzata in accordo con quel sistema,
sarebbe troncato il futuro sviluppo storico progressivo: la qual
cosa sarebbe un assurdo, un puro controsenso. Gli uomini si trovano
quindi davanti a questa contraddizione: da una parte di aver da
conoscere in modo esauriente il sistema del mondo in tutti i suoi
nessi, dall'altra, sia per la propria natura che per la natura del
sistema del mondo, di non poter mai assolvere completamente a questo
compito. Ma questa contraddizione non è insita solo nella
natura dei due fattori, mondo e uomo, ma è anche la leva
principale di tutto il progresso intellettuale e si risolve
giornalmente e continuamente nell'infinito sviluppo progressivo
dell'umanità, precisamente come certi problemi matematici
trovano la loro soluzione in una serie infinita o in una frazione
continua. In effetti ogni immagine concettuale del sistema mondo
è e resta limitata oggettivamente dalla posizione storica, e
soggettivamente dalla costituzione fisica e spirituale del suo
autore. Ma Dühring proclama a priori che la sua maniera di
pensare è tale da escludere ogni velleità di
rappresentare il mondo in modo soggettivamente limitato. Abbiamo
visto prima che egli è onnipresente in tutti i corpi celesti.
Ora vediamo anche che è onnisciente. Ha risolto i problemi
ultimi della scienza e così ha sprangato il futuro di ogni
scienza.
Come le forme fondamentali dell'essere, Dühring ritiene di
poter far nascere bella e pronta dalla testa anche tutta la
matematica pura, aprioristicamente, cioè senza servirsi
dell'esperienza che il mondo esterno ci fornisce. Nella matematica
pura l'intelletto deve occuparsi "delle sue proprie libere creazioni
ed immaginazioni"; i concetti di numero e di figura sono "un oggetto
adeguato ad essa e che da essa stessa può essere prodotto", e
conseguentemente essa ha una "validità indipendente
dall'esperienza particolare e dal reale contenuto del mondo".
Che la matematica pura abbia una validità indipendente
dall'esperienza particolare di ogni singolo individuo è
certamente giusto e vale per tutti i fatti stabiliti di ogni
scienza, anzi per tutti i fatti in generale. Il fatto che l'acqua
è composta di idrogeno e di ossigeno, il fatto che Hegel
è morto e Dühring vive, hanno una validità
indipendente dall'esperienza mia o di altri singoli individui e
persino indipendente dall'esperienza di Dühring, non appena
egli dorme il sonno del giusto. Ma non è affatto vero che
nella matematica pura l'intelletto si occupi semplicemente delle
creazioni e delle immaginazioni sue proprie. I concetti di numero e
di figura non sono presi assolutamente da altro che dal mondo reale.
Le dieci dita con cui gli uomini hanno imparato a contare e quindi a
compiere le prime operazioni aritmetiche sono tutto quel che si
vuole fuorché una libera creazione dell'intelletto. Per
contare occorrono non solo oggetti numerabili, ma anche la
capacità di prescindere, nella considerazione di questi
oggetti, da tutte le altre loro proprietà tranne che dal loro
numero: e questa capacità è il risultato di un lungo
sviluppo storico fondato sull'esperienza. Come il concetto di
numero, così il concetto di figura è preso a prestito
esclusivamente dal mondo esterno e non è nato nella mente per
opera del puro pensiero. Prima che si sia potuto arrivare al
concetto di figura, ci dovevano essere delle cose che avevano una
forma e le cui forme sono state raffrontate. La matematica pura ha
per oggetto le forme spaziali e i rapporti quantitativi del mondo
reale, è quindi una materia molto reale. Il fatto che questa
materia si presenti in una forma estremamente astratta, solo
superficialmente può nascondere la sua origine dal mondo
esterno. Ma per potere indagare queste forme e questi rapporti nella
loro purezza è necessario separarli completamente dal loro
contenuto e accantonare questo contenuto come cosa irrilevante;
così si perviene al punto senza dimensioni, alle linee senza
spessore e senza lunghezza, agli a e b e x e y, alle costanti e alle
variabili e poi proprio solo alla fine di tutto questo si arriva
alle vere e proprie libere creazioni e immaginazioni
dell'intelletto, ossia alle grandezze immaginarie. Anche l'apparente
deduzione delle grandezze matematiche l'una dall'altra non prova la
loro origine a priori, ma solo il loro nesso razionale. Prima di
arrivare all'idea di dedurre la forma di un cilindro dalla rotazione
di un rettangolo intorno ad uno dei suoi lati, si son dovuti
esaminare un buon numero di rettangoli e cilindri reali, se pure in
una forma tanto imperfetta. Come tutte le altre scienze la
matematica è sorta dai bisogni degli uomini: dalla
misurazione di terre e dalla capacità dei vasi, dal computo
cronologico e dalla meccanica. Ma, come tutti i campi del pensiero,
ad un certo grado di sviluppo le leggi, astratte dal mondo reale,
vengono separate dal mondo reale e contrapposte ad esso come qualche
cosa di indipendente, come leggi che vengono dall'esterno e a cui il
mondo deve conformarsi. Così avviene nella società e
nello Stato e così non altrimenti la matematica pura viene
applicata al mondo posteriormente, sebbene proprio da questo mondo
essa sia presa a prestito e rappresenti solo una parte delle sue
forme di composizione e proprio solo per questo possa in generale
avere applicazione.
Ma Dühring, come immagina di poter dedurre, senza alcuna
aggiunta sperimentale, degli assiomi matematici, i quali, "anche
secondo l'idea puramente logica che se ne ha, non sono né
suscettibili né bisognevoli di una dimostrazione", tutta la
matematica pura e di poterla poi applicare al mondo, del pari
immagina di potere far prima sorgere dalla testa le forme
fondamentali dell'essere, le parti costitutive semplici di tutto il
sapere, gli assiomi della filosofia, di poter poi dedurre da essi
tutta la filosofia o schematizzazione del mondo, e di poter
finalmente, da sovrano, elargire questa sua concezione alla natura e
al mondo umano. Disgraziatamente la natura non è per nulla
costituita dalla Prussia di Manteuffel del 1850 e il mondo umano lo
è solo per una parte infinitesima [26].
Gli assiomi matematici sono espressioni di quel contenuto
concettuale estremamente povero che la matematica deve prendere a
prestito dalla logica. Essi si possono ridurre a due:
1. Il tutto è maggiore della parte. Questo principio è
una pura tautologia, giacché l'idea quantitativamente
concepita di parte si riferisce a priori precisamente all'idea di
tutto, di guisa che "parte" dice, senz'altro, che il "tutto"
quantitativo consta di più "parti" quantitative. Constatando
semplicemente questo fatto, il cosiddetto assioma non ci fa avanzare
di un passo. Questa tautologia può in certo modo essere
dimostrata dicendo: un tutto è ciò che consta di
più parti; una parte è una delle cose la cui
pluralità costituisce un tutto, conseguentemente la parte
è minore del tutto. E qui lo squallore della ripetizione fa
emergere ancora più vivamente lo squallore del contenuto.
2. Se due grandezze sono eguali a una terza esse sono eguali tra
loro. Questo principio, come ha già dimostrato Hegel,
è una conclusione della cui esattezza è garante la
logica [27]: esso è dunque provato, anche se provato fuori
dalla matematica pura. Gli altri assiomi sull'eguaglianza e sulla
disuguaglianza sono semplici estensioni logiche di questa
conclusione.
Questi magri principi roncavano un ragno dal buco né nella
matematica né altrove. Per andare avanti dobbiamo introdurre
rapporti reali, rapporti e forme spaziali che sono tratti da corpi
reali. Le rappresentazioni di linee, piani, angoli, poligoni, cubi,
sfere, ecc. sono tutte prese a prestito dalla realtà e ci
vuole un bel po' di ingenuità ideologica per prestar fede ai
matematici secondo cui la prima linea si sarebbe generata dal
movimento di un punto nello spazio, il primo piano dal movimento di
una linea, il primo corpo dal movimento di un piano, ecc. Perfino la
lingua vi si ribella. Una figura matematica di tre dimensioni si
dice corpo, corus solidum, quindi in latino perfino corpo tangibile;
essa dunque porta un nome che non è affatto preso a prestito
dalla libera immaginazione, ma dalla solida realtà.
Ma perché tutta questa prolissità? Dopo avere, a pp.
42 e 43 [28], cantato entusiasticamente l'indipendenza della
matematica pura dal mondo sperimentale, la sua apriorità, il
suo occuparsi delle libere creazioni e immaginazioni intellettive
che le sono proprie, Dühring dice a p. 63:
"È certo facile scorgere che quegli elementi matematici"
("numero, grandezza, tempo, spazio e movimento geometrico") "sono
ideali solo per la loro forma (...) che le grandezze assolute sono
perciò qualcosa di assolutamente empirico, a qualunque specie
esse appartengono"... ma "gli schemi matematici sono suscettibili di
una caratterizzazione che, pur avulsa della esperienza, è
tuttavia sufficiente",
la quale ultima affermazione vale più o meno per ogni
astrazione, ma non dimostra affatto che essa non sia astratta dalla
realtà. Nella schematizzazione del mondo la matematica sorge
dal puro pensiero, nella filosofia della natura è qualcosa di
assolutamente empirico, tratto dal mondo esterno e poi separato da
esso. A chi dunque dobbiamo credere?
IV. Schematizzazione del mondo
"L'essere che tutto abbraccia è unico. Nella sua
autosufficienza esso non ha niente accanto a sé. Associargli
un secondo essere significa farlo diventare ciò che non
è, cioè una parte o un elemento costitutivo di un
tutto più ampio. Poiché noi distendiamo il nostro
pensiero unitario, per così dire, come una cornice, niente di
ciò che deve rientrare in questa unità di pensiero
può contenere in sé una dualità. Ma niente
può neppure sottrarsi a questa unità di pensiero (...)
l'essenza di tutto il pensiero consiste nella riunione degli
elementi della coscienza in una unità (...) Proprio
l'unità puntuale della sintesi fa sorgere il concetto del
mondo indivisibile e riconoscere l'universo, come dice la parola,
come qualcosa in cui tutto è riunito come in una
unità".
Sin qui Dühring. Il metodo matematico per cui "ogni questione
deve risolversi assiomaticamente in forme fondamentali semplici,
come se si trattasse di semplici... principi della matematica",
questo metodo è qui applicato per la prima volta.
"L'essere che tutto abbraccia è unico." Se una tautologia,
semplice ripetizione nel predicato di ciò che è
già espresso nel soggetto, costituisce un assioma, qui ne
abbiamo uno della più bell'acqua. Nel soggetto Dühring
ci dice che l'essere che tutto abbraccia è unico e nel
predicato afferma intrepido che allora niente è fuori di
esso. Che colossale idea "creatrice di un sistema"!
Creatrice di un sistema, infatti. Non son ancora passate altre sei
righe ed ecco che Dühring, per mezzo del nostro pensiero
unitario, ha trasformato l'unicità dell'essere nella sua
unità. Poiché l'essenza di tutto il pensiero consiste
nell'attività sintetica unitaria, l'essere, tosto che viene
pensato, viene pensato come unitario: il concetto del mondo è
un concetto indivisibile; e poiché l'essere pensato, il
concetto del mondo, è unitario, l'essere reale, il mondo
reale, è parimente una unità indivisibile.
Conseguentemente, "una volta che lo spirito abbia imparato a
concepire l'essere nella sua omogenea universalità, non
c'è più luogo per le trascendenze".
È questa una campagna di fronte alla quale scompaiono
completamente Austerlitz e Jena, Königgrätz e Sedan [29].
Con poche frasi, appena una pagina dopo che abbiamo mobilitato il
primo assioma, abbiamo già abolito, eliminato, annientato
ogni trascendenza, dio, le schiere celesti, il cielo, l'inferno e il
purgatorio, insieme all'immortalità dell'anima.
Come arriviamo dall'unicità dell'essere alla sua
unità? In generale col pensarlo nella mostra mente. L'essere
unico diventa nel pensiero un essere unitario, una unità
ideale, non appena intorno ad esso tendiamo il nostro pensiero
unitario come una cornice; infatti l'essenza di tutto il pensiero
consiste nella riunione di elementi della coscienza in una
unità.
Quest'ultima proposizione è semplicemente falsa. In primo
luogo il pensiero consiste tanto nella scomposizione degli oggetti
della coscienza nei loro elementi, tanto nella riunione di elementi
omogenei in una unità. Senza analisi non c'è sintesi.
In secondo luogo, il pensiero non può, se non vuol prendere
un granchio, che raccogliere in una unità quegli elementi
della coscienza nei quali, o nei prototipi reali dei quali, questa
unità esisteva già da prima. Se si assume una spazzola
da scarpe sotto l'unità mammifero, ci vuol altro
perché le crescano le mammelle. L'unità dell'essere,
ossia la legittimità del fatto che esso venga concepito nel
pensiero come unità, è quindi proprio ciò che
si doveva dimostrare, e se Dühring ci assicura che egli pensa
nella sua mente l'essere unitariamente e non già come
dualità, con ciò non ci racconta altro che la sua non
autorevole opinione.
Se vogliamo presentare nettamente la linea del suo pensiero, essa
è la seguente: Io comincio con l'essere. Quindi io penso
nella mia mente l'essere. Il pensiero dell'essere è unitario.
Ma pensare ed essere devono armonizzare; essi sono in corrispondenza
l'uno con l'altro: "coincidono". Quindi l'essere è unitario
anche nella realtà. Quindi non ci sono "trascendenze". Ma se
Dühring avesse parlato così scopertamente invece di
regalarci le sentenze oracolari che abbiamo riportate sopra,
l'ideologia sarebbe stata chiaramente visibile. Voler dimostrare,
partendo dall'unità di pensiero ed essere, la realtà
di qualsiasi prodotto del pensiero: questo è stato
precisamente uno dei più folli deliri febbrili di un Hegel.
Anche se il suo procedimento dimostrativo fosse giusto, Dühring
non avrebbe guadagnato sugli spiritualisti neanche un pollice di
terreno. Gli spiritualisti gli risponderebbero in breve: il mondo
è semplice anche per noi; la divisione in al di qua e al di
là esiste solo per il nostro punto di vista specificamente
terreno, inficiato dal peccato originale; di sé e per
sé, cioè in dio, tutto l'essere è uno. E
accompagnerebbero Dühring sugli altri corpi celesti a lui cari
e gliene mostrerebbero uno e più in cui non ha avuto luogo
nessun peccato originale; in cui quindi non esiste antitesi tra al
di qua e al di là e in cui l'unità del mondo è
un postulato della fede.
L'elemento più comico della cosa è che Dühring
per dimostrare la non esistenza di dio partendo dal concetto
dell'essere, applica la prova ontologica dell'esistenza di dio. Essa
suona così: se noi immaginiamo dio, lo immaginiamo come la
somma di tutte le perfezioni. Ma alla somma di tutte le perfezioni
è inerente prima di tutto l'esistenza, infatti un essere
inesistente è necessariamente imperfetto. Quindi tra le
perfezioni di dio dobbiamo annoverare anche l'esistenza. Quindi dio
deve esistere... Precisamente nella stessa maniera ragiona
Dühring: se noi pensiamo nella nostra mente l'essere, lo
pensiamo come un concetto. Ciò che è compreso in un
concetto è unitario. L'essere dunque non corrisponderebbe al
suo concetto se non fosse unitario. Conseguentemente dio non esiste,
ecc.
Se noi parliamo dell'essere, e semplicemente dell'essere,
l'unità può consistere solo nel fatto che tutti gli
oggetti di cui si tratta sono, esistono. Essi sono raccolti
nell'unità di quest'essere e in nessun'altra, e l'espressione
comune che, essi tutti, sono, non solo non può dar loro
nessun'altra proprietà comune o non comune, ma esclude, per
il momento, dalla nostra considerazione ogni altra proprietà.
Infatti appena ci allontaniamo anche solo di un millimetro dal
semplice fatto fondamentale che tutte queste cose hanno in comune
l'essere, cominciano a balzarci agli occhi le differenze di queste
cose, e se queste differenze consistono nel fatto che di queste cose
le une sono bianche e le altre sono nere, le une sono animate e le
altre inanimate, le une sono, diciamo, dell'al di qua, le altre
dell'al di là, è cosa che non possiamo decidere
partendo dal fatto che ad esse tutte egualmente è attribuita
la semplice esistenza.
L'unità del mondo non consiste nel suo essere, sebbene il suo
esser sia un presupposto della sua unità, poiché esso
deve anzitutto pur essere, prima di poter essere uno. Invero
l'essere è in generale una questione aperta a partire da quel
limite oltre il quale cessa il nostro orizzonte visivo.
L'unità reale del mondo consiste nella sua
materialità, e questa è dimostrata non da alcune frasi
cabalistiche, ma da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e
delle scienze naturali.
Andiamo avanti nella lettura del testo. L'essere, sul quale ci
intrattiene Dühring,
"non è quel puro essere che, eguale a se stesso, sarebbe
privo di ogni determinazione particolare ed effettivamente
rappresenta solo un riflesso del nulla di pensiero o dell'assenza di
pensiero".
Ma vedremo ora molto presto che il mondo di Dühring in
verità prende l'inizio da un essere che è privo di
ogni distinzione interna, di ogni movimento e di ogni cambiamento e
quindi è effettivamente solo un riflesso del nulla di
pensiero, dunque un reale nulla. Solo da questo essere-nulla si
sviluppa l'attuale stato del mondo, differenziato, pieno di
cambiamenti e che presenta uno sviluppo, un divenire; e solo dopo
aver compreso questo, arriveremo a "tener fermo il concetto
dell'essere universale eguale a se stesso", pur in questo eterno
cambiamento. Noi quindi abbiamo ora il concetto dell'essere a un
grado superiore, grado in cui comprende in se stesso il permanere
quanto il mutare, tanto l'essere quanto il divenire. Arrivati a
questo punto troviamo che "genere e specie o, in generale,
universale e particolare, sono i più semplici mezzi di
differenziazione, senza i quali non può essere compresa la
costituzione delle cose". Ma questi sono mezzi di differenziazione
della qualità; e avendone trattato, possiamo dire "di fronte
ai generi sia il concetto della grandezza, come concetto di
quell'omogeneo nel quale non si trova più nessuna differenza
specifica"; cioè dalla qualità passiamo alla
quantità, e questa è sempre "misurabile".
Confrontiamo ora questa "distinzione precisa degli schemi generali
d'azione" e il suo "punto di vista realmente critico" con le
crudezze, le confusioni, i deliri febbrili di un Hegel. Troveremo
che la logica di Hegel comincia dall'essere, come Dühring; che
l'essere risulta come il nulla, come in Dühring; che da questo
essere-nulla si passa al divenire, il cui risultato è
l'esistenza, cioè una forma più alta, più piena
dell'essere, precisamente come in Dühring. L'esistenza porta
alla qualità, la qualità alla quantità,
precisamente come in Dühring. E perché non manchi nessun
elemento essenziale, ecco che cosa ci racconta Dühring in
un'altra occasione:
"Dal regno della insensibilità non si entra in quello della
sensazione, malgrado ogni gradualità quantitativa, che con un
salto qualitativo del quale noi (...) Possiamo affermare che si
differenzia infinitamente dalla semplice gradazione di una medesima
proprietà".
Questa è precisamente la linea nodale dei rapporti di misura
di Hegel, nella quale un incremento o una diminuzione semplicemente
quantitativi causano, in certi particolari punti nodali, un salto
qualitativo; il che si ha per es. nel caso dell'acqua riscaldata o
raffreddata in cui il punto di ebollizione e il punto di
congelamento sono quei nodi nei quali si compie, a pressione
normale, il salto in un nuovo stato di aggregazione, nei quali,
quindi, la quantità si converte repentinamente in
qualità.
La nostra indagine ha tentato, anch'essa, di andare sino alle radici
e ha trovato, quali radici di quegli schemi fondamentali
dühringiani che vanno alle radici... i "deliri febbrili" di un
Hegel, le categorie della "Logica" hegeliana, Parte prima, Dottrina
dell'essere, con la "sequenza" rigorosamente conforme al vecchio
hegelismo e con un timido tentativo di occultare il plagio!
E non contento di rubare al più calunniato dei suoi
predecessori tutta la schematizzazione dell'essere, Dühring,
dopo aver portato egli stesso l'esempio surriferito della
conversione repentina, a salti, della quantità alla
qualità, ha la faccia tosta di dire di Marx:
"Come è comico per esempio l'appello" (di Marx) "alla confusa
è nebulosa idea hegeliana che la quantità si muta in
qualità!".
Confusa e nebulosa idea! Chi si converte qui repentinamente e chi
è comico, signor Dühring?
Tutte queste belle cosette, quindi, non solo non sono
"assiomaticamente risolte", secondo le prescrizioni, ma sono
semplicemente riportate dall'esterno, cioè dalla "Logica"
hegeliana. E precisamente, in modo tale che in tutto il capitolo non
figura mai, neppure una volta, neanche la parvenza di un nesso
interno, se non nella misura in cui anch'esso è preso in
prestito da Hegel, e finalmente il tutto va a finire in un vuoto
sottilizzare sullo spazio e il tempo, sul permanere e il cambiare.
Dall'essere, Hegel passa all'essenza, alla dialettica. Qui egli
tratta delle determinazioni della riflessione, delle loro
opposizioni e contraddizioni interne, come per es. positivo e
negativo, arriva poi alla causalità o rapporto di causa ed
effetto e chiude con la necessità. Non diversamente
Dühring. Ciò che Hegel chiama dottrina dell'essenza,
Dühring lo traduce in proprietà logiche dell'essere. Ma
queste consistono anzitutto nell'"antagonismo di forze", in
opposizioni. La contraddizione, per contro, Dühring la nega
radicalmente. Ritorneremo più tardi su questo argomento. Egli
passa poi alla causalità e da questa alla necessità.
Se dunque Dühring dice di se stesso: "Noi che non filosofiamo
da una gabbia", probabilmente intende che filosofa in gabbia,
cioè nella gabbia dello schematismo hegeliano delle
categorie.
V. Filosofia della natura. Tempo e spazio
Passiamo ora alla filosofia della natura. Qui Dühring ha ancora
una volta tutte le ragioni di essere insoddisfatto dei suoi
predecessori. La filosofia della natura "è caduta così
in basso da essere diventata un'arida pseudopoesia fondata
sull'ignoranza" e "da esser toccata in sorte alla prostituita
filosofastreria di uno Schelling e simili piccoli barattieri del
sacerdozio dell'assoluto e mistificatori del pubblico". La
stanchezza ci ha salvato da queste "deformità", ma sino ad
ora essa ha fatto posto solo all'"inconsistenza"; "e per quel che
concerne il gran pubblico, è notorio che la scomparsa di un
ciarlatano più grande spesso non è stata, per un
successore minore, ma più esperto negli affari, che
l'occasione per ripetere, sotto mutata insegna, le produzioni
dell'altro". Gli stessi naturalisti sentono poco "gusto per una
escursione nel regno delle idee che abbracciano l'universo" e
perciò non compiono, in campo teorico, che delle
"improvvisazioni sconclusionate". C'è qui da fare un urgente
salvataggio, e fortunatamente è presente Dühring.
Per apprezzare giustamente le rivelazioni che ora seguiranno sul
dispiegamento del mondo nel tempo e sulla sua limitazione nello
spazio, dobbiamo rifarci ad alcuni passi della "schematizzazione del
mondo".
In perfetta concordanza con Hegel ("Enciclopedia", par. 93)
all'essere viene attribuita l'infinità, quella che Hegel
chiama la cattiva infinità, e questa infinità viene
ora sottoposta a indagine.
"La forma più evidente di una infinità che debba
essere pensata senza contraddizioni è l'indefinito
accumularsi dei numeri nella serie matematica (...) come ad ogni
numero noi possiamo sempre aggiungere un'altra unità, senza
mai esaurire la possibilità di un'ulteriore numerazione,
così anche ad ogni stato dell'essere succede uno stato
ulteriore; e nell'illimitato prodursi di questi stati consiste
l'infinità. Anche questa infinità, pensata con
esattezza, non ha perciò che una sola forma fondamentale con
una sola direzione. Cioè, sebbene per il nostro pensiero sia
indifferente tracciare una direzione opposta nell'accumulazione
degli stati, tuttavia l'infinità regressiva non è, con
precisione, che una affermazione ideale concepita affrettatamente.
Invero. Poiché essa dovrebbe aver percorso la realtà
in direzione inversa, in ognuno dei suoi stati avrebbe dietro di
sé una serie infinita di numeri. Ma con ciò si
andrebbe incontro alla contraddizione inammissibile di una serie
numerica infinita e numerata; e così si dimostra assurdo il
postulare ancora una seconda direzione dell'infinità".
La prima conclusione che si trae da questa concezione
dell'infinità è che il concatenamento di cause ed
effetti nel mondo deve, una volta, aver avuto un principio: "un
numero infinito di cause, che debbano essersi già allineate
in serie una accanto all'altra, è impensabile, non fosse
altro per il fatto che esso postula come numerato l'innumere".
Quindi l'esistenza di una causa ultima è dimostrata.
La seconda conclusione è "la legge del numero determinato:
l'accumulazione di ciò che hanno di identico cose
indipendenti di qualsiasi genere reale è pensabile solo come
formazione di un numero determinato". Non solo il numero attuale dei
corpi celesti deve in ogni istante essere un numero in sé
determinato, ma lo deve essere anche il numero reale di tutte le
più piccole parti di materia esistenti nel mondo.
Quest'ultima necessità è la vera ragione per cui non
può pensarsi nessun composto senza atomi. Ogni divisione
reale ha sempre un limite finale, e deve averlo se non ha da
presentarsi la contraddizione dell'innumere numerato. Per la stessa
ragione, non solo il numero delle rivoluzioni che sino ad ora la
terra ha compiuto intorno al sole deve essere un numero determinato,
sebbene non possa essere indicato, ma tutti i processi naturali
periodici debbono avere avuto un qualche principio, e tutte le forme
differenti e le varietà della natura che si susseguono devono
avere le loro radici in uno stato eguale a se stesso. Questo stato
può, senza contraddizione, essere esistito sin
dall'eternità, ma anche quest'idea sarebbe esclusa se in
sé il tempo stesso fosse costituito da parti reali e non
fosse invece diviso in modo meramente arbitrario mediante le
possibilità ideali che il nostro intelletto pone. La cosa
è diversa quando si tratta del contenuto reale ed in se
stesso differenziato del tempo; questo tempo realmente riempito di
fatti per loro natura distinguibili e le forme di esistenza di
questa sfera appartengono precisamente, per via del loro essere
distinto, all'ambito del numerabile. Immaginiamo uno stato che sia
senza cambiamenti e che, nella sua eguaglianza con se stesso, non
offra alcuna distinzione e alcuna successione di nessun genere; in
questo caso anche il concetto più specifico di tempo si
trasforma nell'idea più generale di essere. Che cosa possa
significare l'accumularsi di un durare vuoto, non si può
assolutamente pensare. Sin qui Dühring: ed egli è non
poco entusiasta dell'importanza delle sue scoperte. Dapprima spera
che esse "almeno non saranno prese per una verità di poco
conto"; ma più tardi dice:
"Ci si ricordi di quei procedimenti della più grande
semplicità con i quali noi abbiamo reso possibile ai concetti
di infinità e alla loro critica di raggiungere una portata
sinora sconosciuta (...) gli elementi della concezione universale
dello spazio e del tempo che, dalla precisazione e
dall'approfondimento presenti, hanno avuto una forma tanto
semplice".
Noi abbiamo reso possibile! Precisazione e approfondimento presenti!
Ma chi siamo noi, e quando ha luogo il nostro presente? Chi
approfondisce e precisa?
"Tesi. Il mondo ha un principio nel tempo e, per quanto concerne lo
spazio, è anche incluso in limiti. Dimostrazione: Infatti, se
si ammette che il mondo non abbia un principio nel tempo, fino ad
ogni istante dato sarà trascorsa una eternità, e
conseguentemente nel mondo sarà trascorsa una serie infinita
di stadi successivi delle cose. Ma ora, l'infinità di una
serie consiste precisamente nel fatto che essa non può mai
essere completata da una sintesi successiva. Dunque una serie
infinita di mondi passati è impossibile, e con ciò un
principio del mondo è condizione necessaria della sua
esistenza; come dovevasi dimostrare. Riguardo al secondo punto, si
ammetta, ancora una volta, il contrario; il mondo sarà un
tutto dato e infinito di cose coesistenti. Ora, noi non possiamo
pensare la grandezza di un quantum, che non sia dato ad ogni
intuizione entro certi limiti, in nessun'altra maniera che mediante
la sintesi delle due parti e non possiamo pensare la totalità
di un tale quantum se non per mezzo della sintesi completa o per
mezzo del ripetuto aggiungersi dell'unità a se stessa. Di
conseguenza, per pensare il mondo che riempie tutti gli spazi, come
un tutto, la sintesi successiva delle parti di un mondo infinito
dovrebbe ritenersi completata, cioè dovrebbe ritenersi
trascorso, nella enumerazione di tutte le cose coesistenti, un tempo
infinito, il che è impossibile. Per conseguenza un aggregato
infinito di cose reali non può ritenersi come un tutto dato e
conseguentemente nemmeno come dato nello stesso tempo. Ne consegue
che un mondo, per quel che concerne l'estensione nello spazio, non
è infinito, ma incluso nei suoi limiti; ciò che era il
secondo punto" (da dimostrare).
Queste proposizioni sono copiate letteralmente da un libro ben noto,
che apparve per la prima volta nel 1781 ed è intitolato
"Critica alla ragion pura", di Immanuel Kant, dove ognuno può
leggerle nella prima parte, seconda sezione, secondo libro, secondo
capitolo, secondo paragrafo: Prima antinomia della ragion pura. A
Dühring spetta perciò solamente la gloria di avere
applicato il nome di legge del numero determinato ad un'idea
espressa da Kant e di avere fatto la scoperta che una volta c'era un
tempo nel quale non c'era tempo, sebbene ci fosse un mondo. Per
tutto il resto, quindi per tutto ciò che nella disquisizione
di Dühring ha ancora qualche senso, "noi" è Immanuel
Kant e il "presente" non ha che novantacinque anni. "Semplicissimo",
in verità! Notevole "portata sinora sconosciuta"!
Ma invero Kant non sostiene affatto che i teoremi surriferiti siano
esauriti dalla sua dimostrazione. Al contrario: nella pagina di
fronte egli afferma e dimostra l'opposto: che il mondo non ha un
principio nel tempo e non ha un termine nello spazio; e fa
consistere l'antinomia, la contraddizione insolubile, proprio nel
fatto che delle due proposizioni l'una è altrettanto
dimostrabile quanto l'altra. Gente di minore statura sarebbe
probabilmente rimasta perplessa vedendo come "un Kant" trova qui una
difficoltà insolubile. Non così il nostro valoroso
manipolatore "di conclusioni e di vedute originali sin dalle
fondamenta": di una antinomia di Kant costui copia intrepidamente
ciò che gli può servire e il resto lo butta via.
Il problema per se stesso si risolve in modo molto semplice.
Eternità nel tempo e infinità nello spazio consistono,
già originariamente e secondo il semplice senso letterale
delle parole, nel non aver un termine in nessuna direzione,
né avanti né indietro, né su né
giù, né a destra né a sinistra. Questa
infinità è una cosa assolutamente diversa da quella di
una serie infinita, infatti questa comincia a priori sempre da uno,
da un primo membro. L'inapplicabilità di questa idea della
serie al nostro oggetto diviene immediatamente evidente se la
applichiamo allo spazio. La serie infinita, tradotta in linguaggio
spaziale, è la linea tirata da un punto determinato, in una
direzione determinata e prolungata all'infinito. È con
ciò espressa, sia pure solo lontanamente, l'infinità
dello spazio? Al contrario; per concepire le dimensioni dello
spazio, si devono avere giusto sei linee tirate da questo unico
punto in tre dimensioni opposte; e conseguentemente di queste
dimensioni ne avremmo sei. Kant comprese così bene tutto
questo, che solo indirettamente, per una via traversa,
trasportò la sua serie numerica anche nella spazialità
del mondo. Dühring, invece, ci costringe ad ammettere sei
dimensioni nello spazio e subito dopo non trova parole sufficienti
per esprimere la sua indignazione contro il misticismo matematico di
Gauss, che non intendeva accontentarsi delle solite tre dimensioni
dello spazio [30].
Applicata al tempo, la linea, o serie di unità, infinita
nelle due direzioni ha un certo senso metaforico. Ma se ci
rappresentiamo il tempo come numerato a partire da uno, o come una
linea che parta da un punto determinato, con ciò diciamo in
anticipo che il tempo ha un principio: diamo come presupposto
precisamente ciò che dobbiamo dimostrare. Diamo
all'infinità del tempo un carattere unilaterale, dimezzato;
ma un'infinità unilaterale, un'infinità dimezzata,
è una contraddizione anche in se stessa, il contrario esatto
di una "infinità pensata senza contraddizioni". Da questa
contraddizione possiamo venir fuori solo se ammettiamo che l'uno con
cui cominciamo a numerare la serie, che il punto dal quale partiamo
per misurare la linea, sia un qualunque uno della serie, un punto
qualunque nella linea, riguardo ai quali, per la linea o per la
serie, non ha alcuna importanza dove li poniamo.
Ma la contraddizione della "serie numerica infinita e numerata"?
Saremo in grado di indagarla da vicino non appena Dühring ci
avrà esibito il pezzo di bravura di numerarla. Ne riparleremo
quando sarà riuscito a contare da -∞ (meno infinito) a zero.
È chiaro invero che dovunque egli comincerà a contare,
si lascerà sempre alle spalle una serie infinita e con essa
il compito che doveva assolvere. Si provi solo a rovesciare la sua
serie infinita 1 + 2 + 3 + 4... e tenti di contare da capo, partendo
dal termine infinito sino ad uno: sarà evidentemente il
tentativo di un uomo che non capisce affatto di che cosa si tratta.
Ma c'è di più. Dühring, affermando che la serie
infinita del tempo trascorso è numerata, afferma
conseguentemente che il tempo ha un principio; infatti, diversamente
non potrebbe, di certo, nemmeno cominciare a "numerare". Quindi
ancora una volta introduce di soppiatto come presupposto ciò
che deve dimostrare. L'idea della serie infinita e numerata, in
altri termini, la legge dühringiana del numero determinato,
legge che abbraccia l'universo, non è quindi che una
contradictio in adjecto, contiene in se stessa una contraddizione, e
invero una contraddizione assurda.
È chiaro che l'infinità che ha una fine, ma non ha un
principio, non è più né meno infinita di quella
che ha un principio ma non ha una fine. L'intuito dialettico
più modesto avrebbe dovuto suggerire a Dühring che
principio e fine sono necessariamente legati l'uno all'altra, come
il polo nord e il polo sud, che, se si omette la fine, il principio
diventa precisamente la fine, l'unica fine che la serie ha, e
viceversa. Tutta l'illusione sarebbe impossibile senza la
consuetudine propria della matematica di operare con serie infinite.
Poiché nella matematica si deve partire dal determinato, dal
finito, per arrivare all'indeterminato, all'infinito, tutte le serie
matematiche, positive o negative, devono cominciare da uno,
altrimenti sarebbe impossibile servirsene per calcolare. Ma
l'esigenza ideale del matematico è molto lontana dall'essere
una legge obbligatoria per il mondo reale.
Del resto Dühring non riuscirà a pensare senza
contraddizione la reale infinità. L'infinità è
una contraddizione ed è piena di contraddizioni. È
già una contraddizione che una infinità debba essere
composta puramente di cose finite, eppure questo avviene. La
limitatezza del mondo materiale porta a contraddizioni non meno
della sua illimitatezza, ed ogni tentativo di eliminare queste
contraddizioni porta, come abbiamo visto, a nuove e peggiori
contraddizioni. Precisamente perché l'infinità
è una contraddizione, essa è un processo infinito che
si svolge senza un termine nello spazio e nel tempo. La soppressione
della contraddizione sarebbe la fine dell'infinità. Tutto
questo Hegel lo aveva già compreso in modo assolutamente
giusto e perciò egli tratta con meritato disprezzo anche quei
signori che si stillano il cervello intorno a questa contraddizione.
Andiamo avanti. Dunque il tempo ha avuto un principio. Che cosa
c'era prima di questo principio? Il mondo che si trovava in uno
stato eguale a se stesso, immutabile. E poiché in questo
stato non abbiamo mutamenti successivi, anche il concetto più
specifico di tempo si trasforma nell'idea più generale
dell'essere. In primo luogo, qui a noi non interessa affatto quali
concetti si trasformino in testa a Dühring. Non si tratta del
concetto di tempo, ma del tempo reale e di questo Dühring non
si libererà tanto a buon mercato. In secondo luogo, per
quanto il concetto di tempo possa trasformarsi nell'idea più
generale dell'essere, non perciò noi faremo un passo avanti.
Infatti, le forme fondamentali di tutto l'essere sono spazio e
tempo, e un essere fuori del tempo è un assurdo altrettanto
grande quanto un essere fuori dello spazio. L'"essere trascorso
senza tempo" di Hegel, il neoschellingiano "essere impensabile in
precedenza" [31] sono idee razionali in confronto a quest'essere
fuori dal tempo. Perciò Dühring si mette all'opera anche
con molta cautela: parlando con precisione, probabilmente c'è
un tempo, ma è un tempo tale che in fondo non si può
chiamare tempo: il tempo, invero, in se stesso, non consta di parti
reali, e solo dal nostro intelletto viene arbitrariamente diviso,
solo un tempo realmente riempito di parti distinguibili appartiene
alla sfera del numerabile: che cosa possa significare l'accumularsi
di un vuoto durare è cosa che non si può assolutamente
pensare. Che cosa possa significare questo accumularsi è cosa
qui assolutamente indifferente; ci si chiede se il mondo, nello
stato che qui è presupposto, dura, ha una durata nel tempo.
Che a misurare una tale durata priva di contenuto non si ricavi
niente, precisamente come a misurare lo spazio vuoto senza scopo e
senza meta, è cosa che sappiamo già da lungo tempo, e
anzi, proprio per via dell'insulsaggine di questo procedere, Hegel
questa infinità la chiama anche cattiva infinità.
Secondo Dühring il tempo esiste solo in virtù del
cambiamento e non esiste il cambiamento nel tempo e in virtù
del tempo. Precisamente perché il tempo è diverso e
indipendente dal cambiamento, lo si può misurare per mezzo
del cambiamento, infatti il misurare implica sempre una cosa diversa
da quella da misurare. E il tempo nel quale non avvengono
cambiamenti avvertibili è molto lontano da non essere un
tempo; esso è invece il tempo puro, non affetto da mescolanze
estranee, e quindi il tempo vero, il tempo come tale. Infatti se noi
vogliamo cogliere il concetto di tempo in tutta la sua purezza,
separato da ogni mescolanza estranea e indebita, siamo costretti a
metter da parte come indebiti tutti i veri avvenimenti che accadono
simultaneamente o successivamente nel tempo, e conseguentemente a
rappresentarci un tempo nel quale non avviene niente. Con
ciò, dunque, noi non abbiamo fatto assorbire il concetto di
tempo dall'idea generale dell'essere, ma siamo solo arrivati al
concetto puro di tempo.
Ma tutte queste contraddizioni e impossibilità sono ancora un
puro giuoco da bambino di fronte alla confusione in cui cade
Dühring col suo stato iniziale eguale a se stesso del mondo. Se
una volta il mondo era in uno stato in cui non avveniva
assolutamente nessun cambiamento, come ha potuto passare da questo
stato al cambiamento? Ciò che è assolutamente privo di
cambiamento e che inoltre è in questo stato
dall'eternità, non può da se stesso uscire da questo
stato e passare a quello di movimento e di cambiamento. È
necessario quindi che dall'esterno, dal di fuori del mondo, sia
venuto un primo impulso che lo abbia posto in movimento. Ma è
noto che il "primo impulso" non è che un'altra espressione
per dire dio. Quel dio e quell'al di là che Dühring
nella sua schematizzazione del mondo pretendeva di aver così
bellamente liquidato, egli stesso li riporta tutti e due, precisati
e approfonditi, nella filosofia della natura.
Inoltre Dühring dice:
"Laddove un elemento costante dell'essere ha una grandezza, questa
rimarrà immutata nella sua determinatezza. Questo vale (...)
per la materia e per l'energia meccanica".
Detto di passaggio, la prima proposizione fornisce un esempio
prezioso della magniloquenza assiomatico-tautologica di
Dühring: laddove una grandezza non cambia, resta la stessa.
Quindi la quantità di energia meccanica che c'è nel
mondo resta eternamente la stessa. Noi prescinderemo dal fatto che,
nella misura in cui tutto questo è giusto, nella filosofia
Descartes lo aveva già saputo e detto circa trecento anni fa
[32], e che nella scienza della natura la dottrina della
conservazione dell'energia da vent'anni è in voga
dappertutto; prescinderemo anche dal fatto che Dühring,
limitandola all'energia meccanica, non migliora in nessun modo
questa dottrina. Ma dov'era l'energia meccanica al tempo dello stato
d'immutabilità? A questa domanda Dühring ci rifiuta
ostinatamente ogni risposta.
Signor Dühring, dov'era allora quell'energia meccanica che
resta eternamente eguale a se stessa, e che cosa faceva? Risposta:
"Lo stato originario dell'universo o, più chiaramente, di un
essere della materia privo di cambiamenti, non includente nessun
accumularsi di cambiamenti nel tempo, è una questione che
può essere respinta solo da quell'intelligenza che vede
l'apice della saggezza nell'accumularsi della propria forza di
procreazione".
Dunque: o accettate ad occhi chiusi il mio stato originario di
immutabilità o io, il valido procreatore Eugen Dühring,
vi dichiaro spiritualmente eunuchi. Certo più d'uno si
spaventerà di tutto questo. Noi, noi che abbiamo visto
qualche esempio della forza di procreazione di Dühring, potremo
permetterci provvisoriamente di lasciare senza risposta l'elegante
ingiuria e domandare ancora una volta: Ma, signor Dühring, per
favore, come la mettiamo con l'energia meccanica?
Il sig. Dühring si confonde subito. In effetti, balbetta,
"l'assoluta identità di quello stato-limite iniziale non
fornisce in se stessa nessun principio di transizione. Richiamiamoci
tuttavia alla memoria che la situazione è, in fondo, eguale
in ogni nuovo anello, per piccolo che sia, della catena delle
esistenze che noi ben conosciamo. Chi, dunque, solleva
difficoltà nel caso principale che ci sta davanti, stia
attento a non dispensarsene in occasioni meno appariscenti. Inoltre
la possibilità di inserire stati intermedi in gradazione
progressiva sussiste, e con ciò si apre quel ponte della
continuità che ci fa arrivare regressivamente sino
all'estinzione del processo di cambiamento. In verità in sede
puramente concettuale questa continuità non ci aiuta a
superare la difficoltà dell'idea principale, ma essa è
per noi la forma fondamentale di ogni regolarità e di ogni
processo di transizione altrimenti noto, cosicché noi abbiamo
il diritto di servircene come di un anello di congiunzione tra quel
primo stato di equilibrio e la sua rottura. Invece, se noi
pensassimo l'equilibrio cosiddetto (!) immobile secondo quei
concetti che nella nostra meccanica odierna sono ammessi senza
nessuna particolare presa di posizione (!), non sarebbe
assolutamente possibile indicare in che modo la materia sia potuta
arrivare al processo di cambiamento".
Oltre alla meccanica delle masse ci sarebbe ancora una
trasformazione del movimento delle masse in movimento delle
particelle più piccole, ma riguardo al modo in cui questo
accade,
"per questo noi non abbiamo a disposizione sino ad ora nessun
principio generale e non dobbiamo perciò affatto
meravigliarci se questi fenomeni vanno a perdersi un po'
nell'oscurità".
Questo è tutto ciò che Dühring ha da dire. E in
effetti per farci pascere di questi sotterfugi e di queste
circonlocuzioni veramente miserevoli, dovremmo vedere il culmine
della saggezza non solamente nell'autolimitarsi della propria forza
di procreazione, ma anche nella più cieca superstizione. Da
se stessa, lo conferma Dühring, l'assoluta identità non
può pervenire al cambiamento. Non esiste di per sé
nessun mezzo per cui l'equilibrio assoluto possa passare nel
movimento. Che cosa c'è allora? Ci sono tre argomentazioni
false e miserevoli.
Primo: si afferma che è altrettanto difficile dimostrare il
passaggio da ogni anello, per piccolo che sia, della catena
dell'esistenza a noi ben nota, al successivo. Sembra che
Dühring ritenga i suoi lettori dei lattanti. La dimostrazione
dei singoli passaggi e dei singoli nessi dei più piccoli
anelli della catena dell'esistenza costituisce appunto il contenuto
della scienza della natura, e se qualche cosa non va, nessuno pensa,
neanche Dühring, di spiegare dal nulla il movimento avvenuto,
ma solo dalla trasmissione, dalla trasformazione o dalla
propagazione di un movimento precedente. Qui invece si tratta, come
ammette egli stesso, di far sorgere il movimento
dall'immobilità e quindi dal nulla.
Secondo: abbiamo il "ponte della continuità". Questo,
certamente, in sede puramente concettuale non ci aiuta a vincere la
difficoltà, ma noi abbiamo pure diritto di usarlo come anello
di congiunzione tra l'immobilità e il movimento.
Disgraziatamente la continuità dell'immobilità
consiste nel non muoversi; rimane più misterioso che mai. Il
modo con cui si possa così generare il movimento.
Dühring frazioni pure in particelle infinitamente piccole il
suo passaggio dal nulla di movimento al movimento universale e
attribuisca a questo nulla una durata temporale lunga quanto vuole,
non avremo progredito comunque neppure di un decimillesimo di
millimetro. Dal nulla non possiamo mai arrivare a qualcosa senza un
atto creativo, fosse anche questo qualche cosa piccolo come una
differenziale matematica. Il ponte della continuità non
è quindi neppure un ponte dell'asino, è un ponte che
solo Dühring può passare.
Terzo: sino a quando la meccanica odierna avrà
validità, ed essa secondo Dühring è una delle
leve essenziali per la formazione del pensiero, non si potrà
assolutamente indicare come si arriva dalla immobilità al
movimento. Ma la teoria meccanica del calore ci mostra che un
movimento di masse si trasforma, in circostanze determinate, in un
movimento molecolare (sebbene anche qui un movimento proceda da un
altro movimento e mai da uno stato d'immobilità) e questo,
accenna timidamente Dühring, potrebbe fornirci, eventualmente,
un ponte tra ciò che è strettamente statico (in
equilibrio) e ciò che è dinamico (in movimento). Ma
questi processi "vanno a perdersi un po' nell'oscurità". Ed
è proprio nell'oscurità che Dühring ci lascia.
Con tutto questo approfondimento e con tutta questa precisazione
siamo arrivati al punto di esserci sempre più sprofondati in
un assurdo sempre più precisato e di avere toccato terra alla
fine dove necessariamente dovevamo toccar terra:
"nell'oscurità". Ma tutto questo preoccupa poco Dühring.
Proprio alla pagina seguente ha la faccia tosta di affermare che
egli ha potuto "concordare il concetto del permanere immutabile di
un contenuto reale tratto immediatamente dal comportamento della
materia e dalle forze meccaniche". E quest'uomo dà del
"ciarlatano" ad altri!
Fortunatamente in tutto questo disperato smarrimento, in tutta
questa disperata confusione nell'"oscurità", resta ancora una
consolazione, ed è certo edificante: "La matematica degli
abitanti di altri corpi celesti non può poggiare su assiomi
diversi da quelli della nostra!".
Note
24. Karl Ludwing Michelet è detto "l'ebreo errante della
scuola hegeliana" evidentemente perché egli non faceva che
correre dietro a un hegelismo superficialmente inteso. Nel 1876
cominciò a pubblicare un "sistema di filosofia" in cinque
volumi (l'ultimo risale al 1881) che nella struttura generale
imitava il piano dell'"Enciclopedia" di Hegel (G. L. Michelet, "Il
sistema della filosofia come scienza esatta comprendente logica,
filosofia della natura e filosofia dello spirito").
25. Nel 1885, mentre preparava la seconda edizione
dell'"Anti-Dühring", Engels pensò di mettere a questo
punto una nota, il cui abbozzo ("Sui prototipi dell'infinito
matematico nel mondo reale") fu poi da lui incluso tra i materiali
per la "Dialettica della natura".
26. Allusione alla sottomissione servile dei prussiani, che
accettarono la costituzione "elargita" (oktroyert) loro il 5
dicembre 1848 da Federico Guglielmo IV, contemporaneamente allo
scioglimento dell'Assemblea nazionale. Nell'elaborazione di questa
"carta costituzionale per lo Stato prussiano" ebbe parte decisiva il
ministro reazionario Manteuffel.
27. Vedi Hegel, "Encyklopädie der philosophischen...", par.
188, e "Wissenschaft der Logik", libro terzo, sezione prima,
capitolo terzo, e sezione terza, capitolo secondo.
28. Nella prima sezione dell'"Anti-Dühring" tutti questi
riferimenti senza ulteriore indicazione concernono il "Cursus der
Philosophie..." di Dühring.
29. Ad Austerlitz, il 2 dicembre 1805, truppe russe e austriache si
scontrarono con le truppe francesi di Napoleone, che riportò
la vittoria. La battaglia di Jena, combattuta il 14 ottobre 1806 tra
l'esercito francese di Napoleone e le truppe prussiane, si concluse
con la disfatta di queste ultime e portò alla capitolazione
della Prussia. La battaglia di Königgrätz, il 3 luglio
1866, decise la vittoria della Prussia nella guerra
austro-prussiana; è ricordata anche come battaglia di Sedowa.
Nella battaglia di Sedan il 1° e il 2 settembre 1870, scontro
decisivo della guerra franco-tedesca del 1870-71, le truppe tedesche
sconfissero l'esercito francese di Mac-Mahon e lo costrinsero alla
capitolazione.
30. Il grande matematico Karl Friedrich Gauss fu un precursore della
geometria non euclidea.
31. Cfr. Hegel, "Wissenschaft der Logik", libro secondo: "Das
Wesen". Della categoria schellinghiana dell'"essere impensabile in
precedenza" Engels parla nel suo opuscolo "Schelling e la
Rivelazione" (1842).
32. La concezione del movimento come un quanto costante
(conservazione della qualità di movimento) fu sviluppata da
Cartesio nella sua trattazione sulla luce (parte prima dell'opera
"De Mundo", scritta negli anni 1630-1633 ma pubblicata nel 1664,
quattordici anni dopo la morte di Cartesio) e nella sua lettera a de
Beaune del 30 aprile 1639. Più ampiamente essa è
esposta nei suoi "Principia philosophiae", Amsterdam, 1644, parte
seconda, par 36.