Egidi, Pietro

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Storico italiano (Viterbo 1872 - La Souche, Courmayeur, 1929); prof. all'univ. di Messina, poi di Torino. Pubblicò numerosi lavori sul Lazio e l'Italia meridionale nel Medio Evo: La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione (1911-14); edizione dei Necrologi e libri affini della provincia romana (2 voll., 1908-14) e del Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera (1917); Ricerche sulla popolazione dell'Italia meridionale nei secc. XIII e XIV (1920). Successivamente si cimentò con la storia del Piemonte nell'età moderna: Emanuele Filiberto (1928). Diresse negli anni 1923-1929 la Rivista storica italiana.

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DBI

di Rossano Pisano

Nacque a Viterbo il 6 dic. 1872 da" Salvatore e da Eurosia Giovannini. Compiuti gli studi liceali nella città natale, si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Roma, dove fu allievo di G. Monticolo e di E. Monaci, esponenti di spicco della scuola storica di impianto filologico allora dominante. Laureatosi a vent'anni. il 5 dic. 1892, dopo il servizio militare come ufficiale di fanteria, insegnò in istituti superiori di varie città italiane. Tale attività lo impegnò, in maggiore o minore misura, per numerosi anni, parte dei quali, vissuti in luoghi inadatti alla ricerca, egli considerò "perduti quasi del tutto per lo studio" (p. Egidi, Mezzogiorno medievale e Piemonte moderno, a cura di F. Lemmi, Bari 1931, p.VII). A partire dal 1894 infatti era stato dapprima docente di materie letterarie nei ginnasi dell'Aquila e di Arpino, poi professore di storia e geografia negli istituti tecnici di Girgenti, Terni, Forli e infine Napoli, dove esercitò l'insegnamento ininterrottamente dal 1904 al 1912.

La sua attività storiografica, pur destinata a fare i conti con cosi frequenti cambiamenti di sede, tanto da esserne globalmente condizionata anche nella individuazione dei vari campi di indagine, ebbe tuttavia inizio già sullo scorcio dell'Ottocento, allorché l'E., a ciò sollecitato dalle lezioni universitarie dello storico G. Tomassetti, elaborò alcuni materiali relativi all'ordinamento della milizia regionale romana in età comunale (Intorno all'esercito del Comune di Roma nella prima metà del secolo XIV, Viterbo 1897), rettificando le conclusioni cui era pervenuto in proposito il Gregorovius. Manifestava in tal modo la sua propensione da un lato a muoversi in un ambito strettamente specialistico, dall'altro a considerare la sfera municipale quale dimensione privilegiata della ricerca storica.

Nel 1901 era entrato a far parte della Società romana di storia patria, presieduta dal medievista U. Balzani, che ne era stato uno dei fondatori, e fu allievo della scuola storica di perfezionamento da questo promossa. Qui completò il suo apprendistato di paleografo e filologo, cui era stato avviato soprattutto dal Monaci, e sviluppò quel culto del documento che lo avrebbe contraddistinto per tutta la vita, anche in periodi non più legati all'esperienza della scuola storica erudita.

Da una ricerca già intrapresa dalla Società di storia patria negli anni 1880trasse spunto per effettuare, limitatamente alla provincia romana e alla Sabina e in un arco cronologico estendentesi dagli inizi del basso Medioevo al XVI secolo, una rigorosa ricognizione volta al reperimento di libri mortuari e di oblazioni, matricole di canonici, "libri confraternitatum", "libri vitae" appartenenti a chiese canonicali e monasteri. Ne scaturirono due poderosi volumi di Necrologi e libri affini della provincia romana (editi a Roma dall'Istituto storico italiano, nel quadro delle Fonti per la storia d'Italia, rispettivamente nel 1908 e nel 1914) i quali, seppure inconclusi per la mancata pubblicazione di un terzo volume progettato e annunciato dall'E. come sede di un possibile bilancio delle indagini svolte, gettavano luce su tratti poco conosciuti della Roma medievale. Con la medesima competenza tecnica e con l'acribia di cui aveva dato prova in tale impresa, giudicata "un monumento della scuola storica filologica" (F. Lemmi, prefaz. a P. Egidi, Mezzogiorno medievale e Piemonte moderno, cit., p.VIII), lavorò attivamente durante il primo decennio del secolo - nel quale risulta collocabile il momento "romano" della sua produzione - sul fronte delle edizioni di fonti (a cui non avrebbe, come si vedrà, mai rinunciato definitivamente), ora promuovendo la pubblicazione di codici da lui rinvenuti, ora intervenendo con rilevanti contributi in opere collettanee e in riviste specializzate quali il Bullettino dell'Ist. stor. ital. e l'Archiviodella Società romana di storia patria. Su quest'ultimo apparve nel 1903 la Carta di rappresaglia concessa da Luigi di Savoia, senatore di Roma (XXVI, pp. 471-484), dove l'analisi e la descrizione di un reperto d'archivio ancora una volta riguardante il Comune romano, dilatandosi fino a includere una pregevole messa a punto dell'istituto medievale della rappresaglia, indicava l'intendimento dell'autore di andare oltre il mero dato documentario per pervenire a considerazioni di più ampia portata. Nella stessa ottica si collocava, d'altronde, la prefazione a Lo statuto di Castel Fiorentino, pubblicato in Statutidella provincia romana (a cura di F. Tomassetti - V. Federici - P. Egidi, Roma 1910, pp. 305-359).

Fu durante il lungo soggiorno napoletano - il quale lo vide, peraltro, assumere nell'ambito scolastico l'incarico di presidente della Federazione degli insegnanti - che l'E. impresse una svolta al suo lavoro storiografico, poiché non solo abbandonò progressivamente le ricerche concernenti la provincia romana per accostarsi alla storia dell'Italia meridionale sotto il dominio angioino, ma, pur senza prender le distanze dall'indirizzo filologico-erudito, si mostrò sempre più sensibile alle esigenze di rinnovamento delle metodologie e degli strumenti di indagine poste dalla ormai agguerrita storiografia economico-giuridica, che ebbe in E. Ciccotti, G : Salvioli, G. Salvemini, G. Volpe i suoi più illustri rappresentanti. Senonché, laddove nell'attività di questi operavano in vario modo e in varia misura le suggestioni derivanti dal materialismo storico, nell'E. l'incontro con i nuovi orientamenti della ricerca storica italiana maturava piuttosto (e in tono, per cosi dire, minore) nel solco di particolari problematiche alle quali egli era già stato iniziato, fin dagli anni degli studi universitari., da storici come K. J. Beloch, di cui aveva seguito le lezioni incentrate su temi demografici.

È in risposta a tali sollecitazioni che videro la luce lavori quali Carlo I d'Angiò e l'abbazia di S. Mariadella Vittoria presso Scurcola e La politica del Regno di Napoli negli ultimi mesi del 1480, entrambi apparsi in Arch. stor. per le prov. napoletane frail 1909 e il 1910, nei quali l'entità del mutamento di rotta attuato dall'E. emerge con evidenza dalla cura posta nel rimarcare gli aspetti economico-amministrativi e sociali del periodo considerato, un elemento tanto più rilevabile, per contrasto, nel primo di questi due saggi, se raffrontato con lavori precedentemente dedicati alla vita comunitaria ecclesiastica nel Medioevo, quali Notizie storiche dell'abbazia sublacense nel Medio Evo (Roma 1904), incaricato "solamente di tracciare le linee principali della storia sublacense" (p. 41), e L'abbazia di San Martino al Ciminopresso Viterbo (in Rivista storicabenedettina, I [1906], 4, pp. 579-590; II [1907], 6-7, pp. 161-199, 481-552), focalizzata sulla storia del monastero in un'ottica storico-artistica. In Carlo Id'Angiò l'analisi della struttura del monastero acquista, infatti, una ben diversa valenza, situata com'è in una cornice che tende a privilegiare i problemi connessi con l'amministrazione delle fabbriche regie e la determinazione anche salariale del trattamento riservato agli operai.

Di qui alla produzione di opere di più sicuro e definito impianto economico-sociale e di autentico spessore storico il passo era breve. Fu la volta di La colonia saracena diLucera e la sua distruzione, pubblicataa più riprese in Archivio storico per le provincie napoletane fra il 1911 e il 1914 ed edita quindi in volume (Napoli 1915), nella quale, come ebbe a dire il suo allievo F. Chabod, l'E. manifestava finalmente qualità di vero storico. L'occasione per tale studio gli fu fornita da G. De Blasiis, fondatore della Società napoletana di storia patria e dell'Archiviostorico napoletano, dal quale ricevette una gran quantità di documenti e lo stimolo a reperirne altri ancora (ciò che permise al sempre fedele discepolo della scuola filologica di tornare qualche anno dopo alle edizioni di fonti proponendo, con la consueta meticolosità, il monumentale Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera dall'anno 1285 al 1343, Napoli 1917). L'efficacia del saggio su Lucera derivava non tanto dalla tesi che vi era sostenuta, secondo la quale lo sterminio della colonia saracena voluta dagli Svevi sarebbe stato perpetrato da Carlo II d'Angiò unicamente con il proposito di rimpinguare le finanze del Regno, dato che "mai forse fino a quel momento il re s'era trovato in più disperante necessità" (p. 248), quanto dal considerevole apparato analitico-descrittivo che ne costituiva il supporto in relazione alle condizioni della popolazione dell'Italia meridionale sullo scorcio del XIII secolo.

Nel 1912, mentre andava assumendo contorni più netti la sua immagine di studioso dei Medioevo, l'E., vincitore di concorso, ottenne come professore straordinario la cattedra di storia moderna nell'università di Messina, la qual cosa, se da un lato sanciva il suo ingresso effettivo nel mondo accademico (era stato, però, libero docente a Roma nel 1910), lo induceva, d'altro canto, a mutare nuovamente la direzione delle sue ricerche.

Nel quadro variegato e composito degli interessi da lui manifestati nell'indagine storiografica, in stretta connessione con la mutevole geografia delle sua vicende personali - un dato, questo, che ha autorizzato il suo amico e allievo F. Lemmi a riferirne la "curiosità pronta e viva" alle "circostanze esterne" piuttosto che ad "un intimo bisogno spirituale" (F. Lemmi, prefaz. a P. Egidi, Mezzogiorno medievale …cit., p. XV) -, un posto tutt'altro che secondario occupa la natia Viterbo.

Alla città, oltre ad una cospicua produzione relativa ad aspetti di storia municipale e a fonti narrative e archivistiche (Relazioni delle croniche viterbesi del secolo XV tra di loro e con le fonti, in Scritti vari di filologia, Roma 1901, pp. 37-59; Le Croniche di Viterbo scritte da frate Francesco d'Andrea, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XXIV [1901], pp. 197-371; L'Archivio della cattedrale di Viterbo, Roma 1906), l'E. consacrò un'agile monografia (Viterbo, Napoli 1912). Tanto in quest'opera, che raccoglieva il testo di una conferenza tenuta nell'ottobre 1910 in preparazione di una visita guidata della città, quanto in precedenti scritti, per lo più articoli, di alcuni dei quali si è già fatto cenno, si potevano facilmente individuare, nel prevalere del profilo artistico su quello più propriamente storico, le tracce dell'insegnamento di A. Venturi, l'autore della colossale Storia dell'arte italiana, del quale l'E. era stato allievo all'università. Ma se il fronte della sua attività di studioso pareva, in tal modo, frastagliarsi piuttosto che complicarsi e arricchirsi, la sua aspirazione a concepire una articolata sintesi storica traspariva dall'accostamento a tematiche politiche, già chiaramente distinguibile nella prolusione da lui letta all'università messinese sul governo della Sicilia al tempo dei Vespri (La "Communitas Siciliae"del 1282, Messina 1915).

L'evoluzione verso una rinnovata e più matura impostazione del lavoro storico, ancorché persistentemente soggiacente alle contingenze, conobbe una tappa decisiva a Torino, nella cui università l'E. fu incaricato di occupare dal 1915 (e l'anno seguente già come professore ordinario) quella cattedra di storia moderna che era stata di E. Ricotti, C. Cipolla, P. Fedele. Non meno decisiva fu, per altri versi, l'esperienza della guerra che egli affrontò volontariamente, lasciandosi alle spalle, oltre all'insegnamento e alla ricerca, la famiglia che nel frattempo si era venuto formando.

Se su tale esperienza (tre anni vissuti nei luoghi di combattimento con un impegno che gli valse la croce di guerra) mantenne un atteggiamento assai schivo - tanto che, come testimoniò un suo amico, "non apri mai bocca con nessuno" (D. Provenzal, Un educatore e un maestro, in In memoria di P. E., s. l. 1931, p. 48) - è certo che ne ritornò con un più marcato interesse per i problemi politici. Scrisse fra l'altro, con riferimento all'attualità, La Venezia Giulia (Viterbo 1919). Nel centenario dei moti torinesi, non esitò ad abbracciare la storia politica con La rivoluzione piemontese del 1821 (Torino 1921). Fra il 1920 e il 1925 compi, per conto del governo, alcune missioni all'estero. Fu in Palestina, a Corfú, a Copenaghen. Nel marzo 1925 coadiuvò il governo di Rodi nell'elaborazione di un nuovo ordinamento delle scuole delle isole egee.

Nascevano, frattanto, ancora una volta sul terreno della medievalistica, i primi apprezzabili frutti di questa sua nuova fase della vita e della ricerca. Nel caso delle Ricerche sulla popolazione dell'Italia meridionale nei sec. XIII e XIV, un penetrante saggio pubblicato nella Miscell. di studi storici in onore di G. Sforza (Lucca 1920, pp. 731-750), sitrattava della ripresa di un tema già toccato nello scritto sui saraceni di Lucera. L'autore, che maneggiava ormai con perizia gli strumenti dell'indagine economico-giuridica e riteneva di possedere sul tema elementi tali da "condurre a qualche conclusione positiva" (p. 731), si proponeva di sgombrare il campo dagli errori commessi da altri studiosi. Basandosi sul sistema di tassazione ricavabile dai registri curiali e individuando l'importante divaricazione esistente fra unità contribuente reale ("fuoco") e "aliquota focularia teorica" fissata dalla Curia, giungeva infatti ad una più realistica quantificazione della densità demografica nel Regno di Napoli tra la fine del '300e la prima metà del '400.

Su un piano di bilancio della produzione e delle teorie storiografiche si attestava invece La storia medioevale (Roma 1922), guida bibliografica concernente gli studi effettuati a partire dall'Unità d'Italia, nel cui saggio introduttivo, che riproponeva parte di una conferenza tenuta alla torinese Società di cultura nel 1922, l'E. si preoccupava di evidenziare la soggettività del lavoro storico, giustificando l'avvicendarsi di scuole diverse (come, nel caso che lo riguardava più da vicino, il prevalere dell'indirizzo economico-giuridico su quello filologico-erudito) con la necessità avvertita da ciascuna generazione "di rifarsi la storia secondo quei sentimenti e quei concetti che per essa sono i più importanti" (p. 36).

Dal 1923 diresse la Rivista storica italiana, che era stata fondata a Torino circa quarant'anni prima da C. Rinaudo, e assolse questo impegno con autentico zelo fino alla morte, promuovendo un sensibile rinnovamento del periodico, anche attraverso una maggiore apertura alla storiografia internazionale.

L'occasione di un ritorno in grande stile alla storia politica gli fu offerta dal concorrere di due eventi esterni: le celebrazioni progettate in vista del quarto centenario della nascita di Emanuele Filiberto e la morte dello storico A. Segre, sopraggiunta quando questi aveva appena ultimato il primo volume della vasta biografia del duca di Savoia commissionatagli dalla casa editrice Paravia come avvio di una collana storica appositamente pensata per raccogliere "i fasti gloriosi della Dinastia Sabauda" (A. Segre, Emanuele Filiberto, 1528-1559, I, Torino 1928, p.V). All'E. fu affidato l'incarico di portare a compimento l'opera.

Si trattava di sviluppare il racconto dalla pace di Cateau-Cambrésis, che segnò anche l'effettiva assunzione della guida del ducato da parte del vincitore di San Quintino. Il suo Emanuele Filiberto, 1559-1580 (Torino 1928), seppure di taglio divulgativo, mostrava di avere solide basi documentarie, ricavate dall'esplorazione dell'Archivio di Stato di Torino e, soprattutto, dell'Archivo general di Simancas, dove giacevano importanti documenti della storia dei Savoia fra il XVI e il XVII secolo.

Attorno a tale storia l'E. fece ruotare dal 1927 la propria attività di docente e di studioso. Aveva declinato ogni altro impegno, eccettuata la direzione della rivista. Nel gennaio dell'anno precedente aveva motivato le sue dimissioni dall'Istituto storico italiano per il Medio Evo (del quale era membro dal 1924) con il proponimento di rinunciare a tutte le incombenze che non gli fossero strettamente necessarie per vivere. Nel 1928 si recò nuovamente negli archivi spagnoli, alla testa di una missione finanziata dall'industriale R. Gualino. Si riprometteva di dare alle stampe entro due anni la biografia di Carlo Emanuele I, cogliendo una nuova occasione celebrativa, il terzo centenario della morte del successore di Emanuele Filiberto. Mori improvvisamente a La Souche, presso Courmayeur (prov. Aosta), il 1ºag. 1929.

Postuma vide la luce la sua ultima fatica di editore di fonti, Glistatuti viterbesi del 1237-38, del 1251-52 e del 1356 (in Statuti della provincia romana, a cura di V. Federici, Roma 1930, pp. 29-282). Nella premessa alla prima edizione italiana di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (Torino 1952) F. Braudel, che aveva frequentato l'E. a Torino nel 1928, lo ricordò come il primo intellettuale italiano che egli avesse "a un tempo veramente ammirato e veramente amato" (p. LII).