DOUHET, Giulio


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Generale italiano (Caserta 1869-Roma 1930). Ufficiale di Stato Maggiore, comandò dal 1912 al 1915 il primo battaglione di aviatori costituitosi in Italia. Spirito spregiudicato, consegnò all'onorevole Bissolati un memoriale con cui biasimava l'operato del comando supremo e fu condannato a un anno di reclusione a Fenestrelle (1917), dopo di che abbandonò il servizio attivo. Nel 1918 fu però nominato direttore generale del Commissariato dell'aviazione. Famoso il suo saggio Il dominio dell'aria (1921), in cui previde la forza risolutiva dell'aviazione nei conflitti futuri e seppe illustrarne le modalità di impiego e le implicazioni strategiche.

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DBI


di Giorgio Rochat

Nacque a Caserta il 30 maggio 1869 in una buona famiglia patriottica: il padre Giulio era nizzardo, aveva combattuto le guerre di indipendenza come ufficiale farmacista e, avendo nel 1860 optato per l'Italia al momento della cessione alla Francia della sua terra d'origine, amava dirsi italiano due volte; la madre Giacinta Battaglia era di famiglia vercellese di giornalisti e letterati impegnati. Scelse la carriera delle armi: allievo nel collegio militare di Firenze nel 1882, il 30 sett. 1886 entrò all'accademia militare di Torino, da cui poi passò alla scuola di applicazione d'artiglieria e genio. Tenente d'artiglieria nel 1890, prestò servizio in vari reggimenti, frequentò i corsi della scuola di guerra, fu promosso capitano a scelta nel 1900 ed entrò nel corpo di stato maggiore nel 1902. Contemporaneamente seguiva corsi di elettrotecnica e dava alle stampe studi sulle applicazioni della basse temperature, sui motori a campo rotante e tra il 1901 e il 1904 sulle applicazioni militari dell'automobilismo. Nel 1904-05 pubblicò sul quotidiano genovese Caffaro una serie di articoli di commenti tecnici sulla guerra russo-giapponese, cogliendone gli elementi di modernità. Nel dicembre 1905 sposò Gina Casalis, il cui padre Bartolomeo era stato protagonista non minore della vita politica italiana, come stretto collaboratore di Depretis, prefetto a Genova e Torino, senatore. Nel 1910 fu promosso maggiore a scelta e decorato della croce di cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia; lo stesso anno pubblicò sul giornale La Preparazione sei articoli su I problemi dell'aeronavigazione (raccolti anche in opuscolo, Roma 1910), che aprirono un ampio dibattito sulle possibilità di sviluppo dell'aviazione e il suo impiego militare, dibattito cui egli partecipò con una fitta serie di interventi nel 1910-11.

Il suo attivo interessamento alla nuova specialità fece sì che il 1° luglio 1912 fosse destinato come comandante in seconda al battaglione aviatori di nuova creazione in Torino, che riuniva tutti gli aeroplani dell'esercito, con il compito di promuoverne lo sviluppo tecnico e industriale, curare l'addestramento del personale e studiare l'utilizzazione bellica della nuova arma. Nel febbraio 1913 assunse il comando del battaglione, che tenne anche dopo la sua promozione a tenente colonnello nell'aprile 1914. Della notevolissima attività spiegata in questi anni ricordiamo la stesura nel 1913 delle Norme per l'impiego degli aeroplani in guerra per conto dello stato maggiore dell'esercito e la serie di lezioni, articoli e conferenze sulle prospettive dell'aeronautica, ma anche il volumetto di sintesi L'arte della guerra (Torino 1915) e gli - articoli quasi quotidiani con cui commentò sulla Gazzetta del popolo di Torino gli sviluppi delle operazioni belliche dall'agosto 1914 al marzo 1915. Contemporaneamente curava la preparazione dei reparti di volo del battaglione e ne sperimentava l'impiego in apposite manovre; e molto si adoperava per il miglioramento del materiale, in stretta collaborazione con l'ing. Gianni Caproni, che assunse come capo dell'ufficio tecnico del battaglione dopo il fallimento della sua piccola azienda di costruzioni aeronautiche. Questa dinamica attività e l'intransigente fermezza con cui gestiva la disciplina del battaglione e i rapporti con la nascente industria aeronautica gli attirarono due inchieste successive dei generali R. Brusati e O. Ragni, risoltesi interamente a suo favore. Nell'autunno 1914, sempre più convinto del ruolo che l'aviazione da bombardamento avrebbe avuto nella guerra, si assunse la responsabilità di ordinare la costruzione del biplano da bombardamento Caproni Ca. 300 (destinato a grande successo), entrando in aperta polemica con i suoi superiori, che non avevano colto le possibilità della nuova arma. La situazione di tensione creatasi alla fine del 1914 determinò il suo esonero dal comando del battaglione aviatori. Per difendere il suo operato e continuare con maggiore libertà la battaglia per lo sviluppo dell'aeronautica presentò allora le dimissioni dal servizio, che ritirò su richiesta delle più alte autorità dell'esercito, cui si era rivolto denunciando i limiti della gestione dell'aeronautica militare. Non ottenne però di tornare a prestare servizio nella nuova arma, con sua grave delusione.

Capo di stato maggiore della 5a divisione, prima a Milano e poi al fronte, pur assolvendo onorevolmente i suoi compiti, continuò a seguire con passione le vicende dell'aeronautica, sostenendo particolarmente la necessità della creazione di una forte flotta da bombardamento con appelli e memoriali alle alte autorità politiche e militari. Promosso colonnello, rifiutò il comando di un reggimento di fanteria nella speranza di avere nuovamente responsabilità in aeronautica, ma fu invece destinato nel 1916 alla zona Carnia come capo di stato maggiore. Veniva nel frattempo stendendo note di diario intelligenti e spietate sul modo con cui gli alti comandi dirigevano la guerra italiana, con critiche spesso unilaterali ma sempre acute (note successivamente pubblicate nel suo Diario critico di guerra 1915-16, Torino 1921-22, che, malgrado il taglio fortemente polemico, costituisce una delle fonti più preziose per lo studio della guerra italiana). E queste critiche non esitava a esternare alle personalità politiche che incontrava al fronte e nelle licenze romane, stringendo rapporti in particolare con il ministro L. Bissolati, cui consegnò nel giugno 1916 una memoria sulla condotta delle operazioni assai dura verso L. Cadorna e gli alti comandi. Il 23 agosto inviò una nuova memoria sulla situazione strategica, altrettanto polemica, ai ministri Bissolati, S. Sonnino e F. Ruffini; in circostanze mai del tutto chiarite, una copia pervenne al comando supremo di Cadorna, che dispose il suo arresto il 16 settembre e il suo deferimento al tribunale militare di Codroipo sotto l'accusa di propalazione di informazioni riservate sulla guerra in violazione di precise disposizioni sul segreto militare. Nella sua brillante Autodifesa (pubblicata dopo il conflitto con i documenti contestati) sostenne di non aver commesso alcun reato passando informazioni a ministri in carica; ma era proprio questo che gli rimproverava il comando supremo, che desiderava limitare le ingerenze del governo nella condotta delle operazioni. Il 15 ott. 1916 fu quindi condannato a un anno di fortezza, che scontò a Fenestrelle sorretto dalla solidarietà della moglie amatissima e dalla convinzione assoluta di avere operato rettamente, scrivendo vivaci note sulle operazioni terrestri e aeree e il romanzo L'onorevole che non poté più mentire (pubblicato a Roma nel 1921), una acre satira del ceto politico liberale, di mediocre livello letterario.

Nell'ottobre 1917, al compimento dell'anno di fortezza, fu posto in congedo d'autorità; ma in dicembre fu richiamato in servizio come capo della direzione generale di Aviazione di nuova costituzione che, nell'ambito del commissariato generale per l'Aeronautica retto dall'on. E. Chiesa, aveva il compito di curare lo sviluppo delle costruzioni aeronautiche e in particolare il grandioso programma per la creazione di una flotta di 3.500 aeroplani Caproni Ca. 600 da bombardamento, che avrebbe dovuto dare all'aviazione italiana la potenza distruttrice per cui egli si era sempre battuto. Senonché il programma (nella cui ambiziosa impostazione egli non aveva avuto parte) doveva rivelarsi troppo superiore alle possibilità dell'industria e dell'aeronautica nazionali e concludersi con un sostanziale fallimento; nel tentativo di portarlo avanti egli profuse le sue energie senza risparmio, attirandosi inimicizie per il suo carattere non privo di "qualche asperità" (come scriveva nel 1923 la commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra, che, dopo aver tributato un alto riconoscimento alle sue qualità intellettuali e al suo assoluto disinteresse, rilevava in lui la mancanza di "una vera e propria mentalità organizzatrice" e di "una solida competenza tecnica" sui problemi della produzione industriale, esacerbati dalla concorrenza tra le ditte interessate). Sta di fatto che il 4 giugno del 1918 egli presentò le sue dimissioni e lasciò il commissariato, chiudendo in pratica la sua carriera nell'esercito.

Dopo che un suo primo ricorso contro la legittimità della sentenza del tribunale di Codroipo era stato respinto dalla Cassazione, il Tribunale supremo di guerra e marina nel novembre 1920 annullò la condanna del 1916 accogliendo in sostanza la tesi difensiva che la consegna a un ministro di informazioni riservate non costituisse violazione del segreto militare. Di conseguenza il D. fu richiamato in servizio e promosso maggiore generale con anzianità al 1917, ma subito collocato nuovamente in aspettativa perché riconosciuto non idoneo al grado superiore "per carattere": una formula che riassumeva i giudizi negativi degli alti comandi sul suo difficile temperamento, sulle sue aspre polemiche con i superiori e sulla battaglia politica che aveva intrapreso. Fu poi promosso generale di divisione nel 1923, sempre in aspettativa.

L'abbandono del servizio attivo e la fine del conflitto permisero al D. di dare corso a un'attività pubblicistica di grande intensità e forza polemica, che spaziava dal campo militare a quello politico, senza dimenticare la letteratura.

Il tema più noto e ricco di futuro era ancora la rivendicazione del ruolo dell'arma aerea: più dei suoi numerosi scritti su riviste e periodici (troppi per poterli elencare in questa sede) è significativo il volume Come finì la grande guerra. La vittoria alata (pubblicato a Roma all'inizio del 1919), in cui il D. immaginava che le potenze dell'Intesa, accogliendo le sue intuizioni, avessero dato vita a un'armata aerea alleata di straordinaria potenza, capace di risolvere da sola il conflitto in pochi giorni con la conquista del dominio dell'aria e il bombardamento massiccio delle maggiori città e dei centri militari austro-tedeschi, fino a imporre una resa senza condizioni. Mediocre nelle pagine più propriamente letterarie e condizionato dalla propaganda bellica nella schematizzazione dei personaggi, il volume merita tuttora molta attenzione come prima formulazione delle teorie del D. sulla capacità di distruzione totale e risolutiva del bombardamento aereo.

Contemporaneamente apriva un altro fronte di battaglia con la pubblicazione del settimanale Il Dovere, edito, diretto e in buona parte da lui scritto dal marzo 1919 al dicembre 1921, per un totale di 75 numeri di quattro pagine formato quotidiano. Il giornale portava avanti un'intransigente rivendicazione della guerra e della vittoria, con un'energica polemica verso governo e alti comandi e una difesa talora corporativa degli ufficiali effettivi "silurati" durante il conflitto; in campo politico sosteneva posizioni nazionaliste senza identificarsi con forze politiche organizzate, viste sempre con malcelata diffidenza. Significativa la proposta lanciata nell'agosto 1920 di erigere nel Pantheon romano una tomba al "soldato ignoto", simbolo della grande vittoria ottenuta malgrado i limiti dei dirigenti politici e militari: una proposta che altri avrebbero realizzato con l'erezione della tomba del ".milite ignoto", lasciandone cadere gli spunti polemici. Il Dovere inoltre difendeva attivamente il ruolo dell'aeronautica nazionale contro il ridimensionamento in atto nel dopoguerra; e lasciava spazio alle aspirazioni letterarie del D., che vi pubblicò sceneggiature cinematografiche interessanti soprattutto come testimonianza della sua sensibilità ai nuovi strumenti di comunicazione di massa. In sostanza il giornale (che ebbe una discreta eco e diffusione negli ambienti militari) rifletteva la complessa personalità del suo direttore, che in una visione generale fortemente conservatrice inseriva aperture di straordinaria attualità e modernità.

Nel 1921 il ministero della Guerra, dopo un parere favorevole del generale A. Diaz, pubblicò a Roma l'opera più nota del D., Il dominio dell'aria, un testo di un centinaio di pagine destinato a diventare rapidamente un classico del pensiero militare moderno, conosciuto in tutto il mondo attraverso traduzioni e volgarizzazioni. Il volume si inseriva nel vivacissimo dibattito del dopoguerra, che vedeva i sostenitori delle nuove armi, dagli aerei ai carri armati, dai gas ai sommergibili, in aspra polemica contro i difensori delle strutture tradizionali degli eserciti di massa. In particolare rivendicava la straordinaria efficacia dei bombardamenti aerei con esplosivi e gas, capaci di stroncare ogni possibilità di resistenza nemica, materiale e morale; e scriveva che "per assicurare la difesa nazionale è necessario e sufficiente mettersi nelle condizioni di conquistare, in caso di conflitto, il dominio dell'aria". Ne derivava la necessità di concentrare la maggior parte, se non la totalità, delle energie nazionali nello sviluppo di un'armata aerea in grado di conquistare e sfruttare appieno la superiorità nei cieli in tutte le sue illimitate possibilità. A questo scopo il D. chiedeva la costruzione in grandi serie di due tipi soltanto di apparecchi: l'aereo da combattimento, potentemente armato con mitragliatrici e cannoncini e parzialmente blindato, per distruggere l'aviazione nemica e conquistare il pieno dominio dell'aria; e l'aereo da bombardamento, capace di trasportare 2 tonnellate di bombe a 200-300 km di distanza anche al di sopra delle Alpi, con il compito di sfruttare fino in fondo il conquistato controllo dei cieli. Gli spaventosi lutti che il bombardamento delle città nemiche avrebbe provocato non venivano minimizzati, perché una guerra brutale, ma breve, appariva preferibile alle immense perdite di una prolungata guerra di trincea, di cui era viva la memoria. Alla costituzione di un'armata aerea indipendente doveva infine essere decisamente subordinato lo sviluppo delle forze armate tradizionali di terra e di mare e delle rispettive aviazioni ausiliarie, ossia dei reparti aerei alle loro esclusive dipendenze con compiti di esplorazione e collaborazione tattica.

Una valutazione di questa nuova dottrina della guerra aerea va in primo luogo ricondotta alle vivaci polemiche del dopoguerra: il D. non era il solo a esaltare il ruolo dell'aviazione in reazione al conservatorismo degli stati maggiori, ma nessuno dei sostenitori della modernizzazione delle forze armate aveva la sua forza di lucido ragionamento e la sua capacità di portare all'estremo le proprie convinzioni, senza riguardo per gli interessi costituiti e per le altre esperienze scaturite dalla grande guerra. La battaglia per l'indipendenza dell'aeronautica e la rivendicazione delle sue straordinarie possibilità erano indubbiamente fondate e per molti aspetti profetiche; ma il ruolo di geniale anticipatore e precursore del D. non deve far dimenticare la sua insufficiente valutazione dei problemi tecnici (il progresso aeronautico era ancora ben lontano dal garantire la potenzialità di distruzione ipotizzata) e l'unilateralità della sua dottrina, che trascurava tutti gli altri elementi della guerra moderna, dallo sviluppo degli armamenti di terra e di mare alla straordinaria capacità di Stati e popolazioni di resistere agli effetti dei bombardamenti aerei, come il secondo conflitto mondiale avrebbe evidenziato.

Il D. condusse la sua battaglia con una fitta serie di interventi su periodici di diverse tendenze. Nel 1922 Mussolini, sempre attento alle possibilità pubblicitarie offerte da un'arma nuova e capace di colpire l'opinione pubblica come l'aeronautica, gli aprì largamente le colonne del Popolod'Italia e, all'indomani della marcia su Roma, gli affidò la responsabilità dell'aviazione militare. La nomina incontrò la ferma opposizione degli ambienti militari (in particolare di quelli navali), che rimproveravano al D. il rifiuto di un'autentica collaborazione tra l'aeronautica e le forze di terra e di mare. Mussolini insisté sulla creazione di un'aeronautica indipendente, attraverso successivi provvedimenti dei primi mesi del 1923, ma rinunciò alla collaborazione di una personalità controversa come il D., che non ebbe così il comando lungamente desiderato.

Il D. reagì pubblicando un'opera di notevole respiro, La difesa nazionale (Torino 1923), in cui sosteneva la necessità di una svolta radicale nella politica militare con la creazione di un ministero della Difesa nazionale in grado di unificare e razionalizzare le diverse istanze politiche e militari con l'affermazione, che non gli pareva dubbia, della superiorità della sua dottrina aerea. E non esitò a criticare duramente l'impostazione data dal governo fascista allo sviluppo dell'aeronautica, perseguita con troppi compromessi a tutti i livelli e concessioni pubblicitarie. Dovette però presto sperimentare i limiti che il regime mussoliniano imponeva al dibattito anche in materia di difesa, perché i suoi articoli polemici non trovavano spazio in una stampa sempre meno libera; e infatti tra il 1923 e il 1926 riuscì a pubblicare solo scritti relativamente anodini in materia aeronautica, mentre la sua vena satirica e polemica trovava sfogo nella stesura di una mezza dozzina di drammi e commedie di mediocre successo. Le sue ripetute denunce a Mussolini contro la gestione dell'aeronautica italiana e le sue richieste di posizioni di responsabilità venivano poi accolte dal dittatore con complimenti e promesse formali, tutte rimaste sulla carta.

La situazione cambiò con l'avvento alla testa dell'aeronautica di Italo Balbo-1 che si dimostrò subito interessato a utilizzare la crescente fama internazionale del D. e la sua brillante vena polemica per valorizzare le aspirazioni dell'aviazione italiana a un ruolo di maggiore prestigio, senza per questo concedergli posizioni di comando né la possibilità di tradurre in atto la sua dottrina, ponendogli anzi la condizione implicita di evitare critiche dirette alla politica aviatoria del governo fascista (che nelle grandi linee il D. appoggiava pienamente). Accettò il ruolo di teorico e profeta privo di poteri, che gli garantiva la possibilità di diffondere ampiamente la sua dottrina., nella cui forza e razionalità aveva fede assoluta. Poté quindi dare alle stampe nel 1927 la seconda edizione notevolmente ampliata del Dominio dell'aria presso l'Istituto nazionale fascista di cultura e nel 1928 presso lo stesso istituto il volumetto Probabili aspetti della guerra futura con una prefazione di G. Gentile; pubb licò quindi una folta serie di articoli sulla guerra aerea su giornali e riviste politiche e militari tra il 1927 e il 1930 e collaborò alla giovane Rivista aeronautica con una ventina di grossi articoli negli stessi anni. Questa ricca produzione fu scritta in assoluta libertà, salvo la rinuncia a esplicitare i dissensi parziali con la politica aeronautica del governo fascista, secondo tre filoni principali: l'importanza decisiva dell'aviazione e della sua piena indipendenza per la conquista del dominio dell'aria, condizione necessaria e sufficiente per la vittoria; poi un'aspra polemica contro ogni possibilità di collaborazione tra forze armate, e in particolare la richiesta di un drastico ridimensionamento delle aviazioni ausiliarie dell'esercito e della marina, viste come una pericolosa dispersione rispetto al principio del concentramento di tutte le forze aeree; infine l'insistenza sulla priorità assoluta di una flotta di apparecchi da bombardamento di grande portata e pesantemente armati, che, grazie all'aumentata potenza dei motori, avrebbero riunito le caratteristiche degli aerei da bombardamento e di quelli da combattimento previsti nel 1921.

Morì il 14 febbr. 1930 nella sua tenuta della Cecchina presso Albano (Roma).

Anche dopo la suá morte il prestigio e le opere del D. continuarono a essere utilizzate da Balbo e dai suoi successori alla testa dell'aeronautica in modo sostanzialmente acritico, senza alcun tentativo di evidenziarne limiti e originalità. Fu quindi valorizzata la sua giusta battaglia per l'affermazione e l'indipendenza dell'aeronautica, ma anche la sua polemica unilaterale contro ogni collaborazione tra forze armate, mentre invece la sua dottrina della guerra aerea, tutta centrata sul ruolo risolutivo dell'aviazione da bombardamento, veniva seguita più a parole che a fatti, come l'esperienza della guerra mondiale avrebbe dimostrato. All'estero, soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, la dottrina della guerra aerea del D. ebbe invece un successo maggiore, fino a essere considerata una delle componenti fondamentali dei grandi bombardamenti alleati sulla Germania nazista (la cui efficacia è ancora in discussione) e poi della strategia attualissima della guerra atomica. Senza addentrarci in una problematica assai complessa, due punti sono da mettere in evidenza: che il D. è il primo teorico militare italiano di fama internazionale dopo Machiavelli e che la sua dottrina della guerra aerea non può essere considerata in astratto senza forzature, ma deve essere rapportata al periodo in cui venne formulata, nelle geniali anticipazioni sulle possibilità dell'aviazione come nei limiti tecnici e politici caratteristici del suo tempo.