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La Storia delle dottrine politiche moderne è
una disciplina delle Scienze politiche che ha l'obiettivo di studiare e
comprendere le cause che hanno portato alla nascita, allo sviluppo e
talvolta alla morte delle dottrine politiche con cui oggi conviviamo
(nei partiti, nelle istituzioni e nei movimenti).
Indice
1 Liberalismo, idealismo, marxismo
1.1 Liberalismo da Constant a Cavour
1.1.1 Constant
1.1.2 Tocqueville
1.1.3 Mill
1.1.4 Mazzini
1.1.5 Cattaneo
1.1.6 Cavour
1.2 Idealismo
1.2.1 Kant
1.2.2 Hegel
1.3 Materialismo storico
1.3.1 Marx e Engels
1.3.2 Stato operaio
1.3.3 Socialdemocrazia e comunismo
2 Politica della soggettività
2.1 Mosca
2.2 Pareto
2.3 Michels
2.4 Max Weber
2.5 Schmitt
3 Nazionalfascismo
3.1 Fascismo
4 Concezione psicologica della storia
Liberalismo, idealismo, marxismo
Liberalismo da Constant a Cavour
Quando nel 1700 vi fu l'illuminismo, si verificò un vento di novità
tesa all'enfatizzazione della ragione, dell'anticlericalismo e del
rigetto nei confronti dell'ancien regime. Nonostante l'illuminismo fu
padre diretto della rivoluzione francese, si trattò sostanzialmente di
una corrente riformista, volta a modificare in alcune istanze i regimi
politici che fino ad allora vigevano. Ma ben presto l'atmosfera
culturale prese a mutare, Napoleone aprì la strada al romanticismo,
alla restaurazione e alla negazione del razionalismo illuminista.
Constant
Constant fu un romantico, profondamente religioso e
controrivoluzionario. Per egli sia i rivoluzionari che gli
antirivoluzionari erano due facce della stessa medaglia: il dispotismo.
Fu proprio lui a formulare la famosa distinzione tra "libertà di"
(propria dell'antichità) e la "libertà da" (propria dei regimi politici
moderni). Fu quindi un liberale radicale, anche a scapito
dell'uguaglianza.
Tocqueville
Tocqueville rese democratica la visione liberale precedente sostenendo
l'idea dell'inarrestabilità della democrazia. Molto religioso, studiò
gli effetti benefici che lo spirito cristiano aveva portato alla
nascente potenza mondiale, gli USA. Infatti laddove l'altare fosse
lontano dal trono, la chiesa diverrebbe un fattore di democrazia e
modernizzazione. Trovò anche dei limiti nel sistema americano, come la
famosa "dittatura della maggioranza" e l'illiberale schiavitù dei neri
anche se controbilanciava questi difetti con le numerose associazioni
ritenute dei veri e propri "anticorpi". La rivoluzione francese la
guardò da un particolare punto di vista: la nobiltà francese non aveva
saputo modernizzarsi. Non si trasformò in un ceto capitalista, come
invece in Gran Bretagna avvenne, riducendosi così a corpo parassitario
e attirandosi le antipatie del terzo stato.
Mill
John Stuart Mill si propose di includere nello spirito liberal
democratico anche una visione sociale, facendo emergere la necessità di
un settore privatistico affiancato da uno pubblico. Fu dunque in
contrasto con il famoso economista Smith, il quale sostenne l'esistenza
di una "mano invisibile" dell'economia ritenuta benefica in un contesto
di liberalismo "tout court".
Mazzini
Mazzini fu un repubblicano democratico ed ebbe un ruolo centrale nei
movimenti per l'unità nazionale italiana. Si propose di storicizzare le
forme di governo sostenendo quindi che per evoluzione l'uomo sarebbe
passato dal dispotismo alla monarchia e infine alla repubblica. La sua
visione politica fu incentrata su tutti e tre i valori della
rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fraternità), senza
rinunciare a nessuno di essi. Per questo motivo condannò sia il
liberalismo che il collettivismo. Fu fondatore, inoltre, della Giovine
Italia, la quale si può definire il primo vero partito socialista del
nostro paese. Tuttavia nella sua prassi politica entrò in polemica con
Cattaneo, il quale non condivideva l'idea di Mazzini di potersi alleare
con il Regno Sabaudo pur di unificare il paese.
Cattaneo
Cattaneo fu vicino alle ideologie di Mazzini, tuttavia se ne distinse
in quanto ebbe un approccio federalista. Sperò pure in una federazione
asburgica piuttosto che accettare l'annessione lombarda al Piemonte
sabaudo. Fu anche un pioniere nel sostenere la necessità di una
federazione europea.
Cavour
Fu un grande uomo politico italiano. Seppe fare del Piemonte il polo
d'attrazione di tutto il liberalismo patriottico italiano. Egli fu un
liberale, patriota, fedele alla corona (moderato). Riuscì pure ad
attirare alla sua causa molti ex mazziniani. Quando nel 1870 i
bersaglieri entrarono a Roma, il nascente stato si presentò con una
netta divisione tra Stato e Chiesa.
Idealismo
Kant
Kant fu uno dei principali illuministi. Egli ritenne che la verità non
fosse una proiezione della realtà, ma una sintesi a priori e
convenzionale, data dal fatto che è intersoggettivamente valida per
tutti gli esseri raziocinanti. Per lui possiamo conoscere solo ciò che
è finito (come l'uomo); valorizzò quindi ciò che la ragione può
sperimentare. Arrivò ad affermare anche che l'amore per il prossimo non
sarebbe dovuto allo spiritualismo religioso, bensì alla nostra stessa
razionalità: l'umanità vive in ciascuno di noi e viceversa.
Contrapponendosi al machiavellismo (realismo politico/moralista
politico), egli propose il politico morale, ovvero quel politico che
subalterna le scelte politiche (i mezzi) al bene della società (il
fine).
Hegel
Hegel vide in ogni individuo un anello necessario, la vera realtà
sarebbe non già l'insieme delle parti che la costituiscono, ma il tutto
al di là delle sue parti così come è intuito dal pensiero umano. Quindi
mentre Kant riduceva l'applicabilità delle sintesi a priori al campo
dei fenomeni quantificabili, Hegel la estendeva a tutti i campi e
specialmente alla storia. La visione hegeliana della storia infatti è
quella che guarda a quest'ultima come lo svolgimento dell'idea, in un
perenne processo a spirale. La verità resta assoluta come per Kant, ma
non rimane sempre la stessa: non appena essa si afferma viene messa
nuovamente in discussione. Si entra dunque nello storicismo, cioè nella
visione del mondo come progressiva presa di coscienza degli uomini.
Egli identificò la storia come la storia religiosa degli uomini,
valorizzò pure l'idea di rivoluzione, non sociale come farà Marx, ma
spirituale, reputata base imprescindibile per la rivoluzione di cui
prima. Lo stato ideale per Hegel è quello etico, che è insomma sia fine
che mezzo del singolo individuo. Non ritenne inoltre benefica la
separazione netta tra Chiesa e Stato, sostenendo che la sacralizzazione
da parte della chiesa dello stato fosse necessaria. Proprio questo è
per Hegel il limite della rivoluzione francese: l'irreligiosità. Nei
paesi protestanti infatti, laddove una rivoluzione religiosa si era già
verificata non ci fu bisogno di arrivare a situazioni simili alla
rivoluzione francese. Egli cercò una terza via tra spirito illumista
rivoluzionario e quello reazionario. Condivise infatti l'idea di stato
come volontà generale dei cittadini (Rousseau) ma non l'istanza di
contrattualismo; di reazionario condivise l'idea dello stato come
costante storica che nasce e si rigenera. Il diritto da compiersi
sarebbe dunque astratto e subordinato allo stato, sintetizzatore dei
bisogni particolari. Spiegò la necessaria eticità di stato
paragonandola al buon membro di una famiglia, il quale fa il bene di se
stesso solo relativamente al bene generale. Si pose dunque per la
restaurazione, ma anche al di là di essa. Nonostante la sua polemica
costante con il collettivismo spianò la strada alle idee marxiste che
molto si rifaranno alle sue teorie. Infatti si generarono due
interpretazioni contrapposte: la destra hegeliana (incentrata
sull'importanza dello stato) e la sinistra hegeliana (basata sulle
istanze di stato che cambia e da cambiare).
Materialismo storico
Marx e Engels
Marx si formò nella sinistra Hegeliana, ma ben presto abbracciò il
materialismo andando oltre Hegel. Criticò Hegel per la sua concezione
delle realtà particolari come manifestazioni accidentali o specifiche
del generale e per la sua giustificazione (in quanto stato etico) dei
problemi esistenti nello Stato attuale. Per Marx invece era necessario
realizzare la democrazia vera sia nella sfera politica che economica
nell'ottica di uno stato sì etico, ma da farsi. Ma vero punto di
partenza del materialismo storico è l'idea che l'economia (struttura)
sia dominante sulla società e istituzioni (sovrastruttura) per cui
l'emancipazione umana la si potrebbe ottenere solo scardinando
l'attuale assetto capitalista (struttura).
Stato operaio
Il pensiero rivoluzionario si fonderebbe sull'idea che ogni assetto
economico nella storia sviluppa delle contraddizioni interne che ne
determinano l'implosione. In questo caso, in regime capitalista, la
classe subalterna (operaia) avrebbe teso a conquistare il potere in
quanto classe formata da uomini e perciò naturalmente tendenti
all'emancipazione. La questione della formazione storica della
coscienza di classe sarebbe dunque data da un processo naturale, ma
questa idea non fu condivisa da altri pensatori pure marxisti come Rosa
Luxemburg e Lenin, convinti della necessità di una avanguardia
cosciente. Riguardo alla religione, Marx la vide come l'oppio dei
popoli, essa infatti determinerebbe l'inerzia delle classi meno
abbienti, fiduciose in un premio nell'al di là. Riguardo l'economia
l'opera di Marx fu notevole, come nel primo libro de "Il Capitale"
(unico dei tre pubblicato in vita), nel quale descrisse la teoria del
"plusvalore" profitto economico dell'imprenditore che sarebbe dato
dall'unica merce in grado di produrre più ricchezza di quella che
consuma: il lavoro subordinato. Egli comunque ben poco ebbe a che fare
con l'economia pianificata che caratterizzerà i regimi autoproclamatosi
marxisti o comunque comunisti. Egli ritenne quindi che la rivoluzione
fosse inevitabile, ma ammise pure che essa si sarebbe potuta presentare
sia in maniera rivoluzionaria che riformistica legale. Vi furono pure
delle voci discordanti al suo pensiero come Bakunin il quale fu
contrario all'idea di uno stato comunista, inquadrando lo stato di per
sé come il nemico da abbattere, dunque non conquistabile nemmeno da una
forza proletaria rivoluzionaria, mentre per Marx e Engels e poi Lenin,
lo stato borghese sarebbe dovuto essere spezzato ma non eliminato,
nell'ottica di un processo di trasformazione a un regime simile a
quella che fu la comune di Parigi (ritenuta da Marx il primo esempio di
regime comunista). L'utopia Marxista terminava con l'idea che con la
scomparsa delle classi, a seguito dell'ascesa proletaria, vi sarebbe
stato sempre meno Stato fino alla sua scomparsa.
Socialdemocrazia e comunismo
Marx prevedeva due fasi nel processo di rivoluzione sociale. La prima
fase, individuata come Socialismo, consisteva nella dittatura del
proletariato, fase in cui ognuno avrebbe ricevuto in base a quanto
dato. La seconda, invece, sarebbe stata il Comunismo che, superate le
forze contro-rivoluzionarie, non avrebbe più avuto la necessità di
imporre la dittatura. Secondo Marx "solo allora l'angusto orizzonte
giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle
sue bandiere: - Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi
bisogni!"
Secondo Kautsky, la "dittatura de proletariato" sarebbe sfociata in un
maggior potere dello stato sul singolo. L'autore propose di conquistare
politicamente, anziché abbattere, lo stato capitalista per realizzare
il progetto socialista. "Il rivolgimento sociale verso il quale noi
tendiamo può essere realizzato solo per mezzo di una rivoluzione
politica, per mezzo della conquista del potere politico del
proletariato in lotta. La specifica forma costituzionale, in cui solo
il socialismo può essere realizzato, è la repubblica, nel significato
più ampio della parola: la repubblica democratica".
Bernstein fu uno dei sostenitori del revisionismo marxista, egli
guardava al socialismo non come l'opposto del liberalismo, ma come suo
erede, il quale aveva già i suoi frutti con l'aumento dei diritti dei
lavoratori. "Il suffragio universale è soltanto un frammento di
democrazia, anche se è un frammento che alla lunga è destinato ad
attrarre agli altri come il magnete attrae i frammenti di ferro. È un
processo che certamente avanza più lentamente di quanto molti
desiderano, e tuttavia è in atto. Per favorire questo processo, la
socialdemocrazia non ha strumento migliore di quello di porsi senza
reticenza, anche sul piano dottrinale, sul terreno del suffragio
universale e della democrazia, con tutte le conseguenze che ne derivano
per la sua tattica". Il movimento operaio non avrebbe minacciato lo
stato in quanto tale, ma "al massimo una determinata forma di stato o
un determinato regime".
Rosa Luxemburg, a differenza dei marxisti leninisti non assolutizzò mai
la figura del partito ritenendolo si necessario, ma solo come mezzo a
completa disposizione delle masse e non come avanguardia presunta
cosciente.
Sorel, rifacendosi a Bergson, attuava una strana commistione tra
marxismo e spiritualismo. Secondo l'autore "si può parlare all'infinito
di rivolte senza mai provocare un movimento rivoluzionario, fin tanto
che non vi sono miti accettati dalle masse (…) il mito è
un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i
sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra
intrapresa dal socialismo contro la società moderna"
Henri de Man fu vicino al pensiero di Sorel, per lui però il socialismo
era l'erede delle tendenze solidaristiche anteriori allo stesso
capitalismo. Perciò il socialismo dovrebbe mirare, secondo de Man,
all'umanizzazione del capitalismo attraverso una corporativizzazione di
sinistra.
Politica della soggettività
Il pensiero politico contemporaneo si caratterizza per un marcato
tratto soggettivistico in riferimento al ruolo degli individui visti
come forza dinamica della storia. Nel periodo tra fine 1800 e inizio
1900, vi furono diversi pensatori neomachiavellici con conseguente
visione disincantata della politica:
Mosca
Gaetano Mosca fu liberale autoritario antisocialista, ma
successivamente anche antifascista. Egli era anche positivista per la
sua visione non storicista della politica per cui ritenne di avere
individuato le costanti politiche applicabili in ogni contesto politico
storico. Notò innanzitutto che è sempre una minoranza che domina una
maggioranza, e questo semplicemente per la capacità di organizzarsi
meglio della prima. Per questo motivo, per Mosca, studiare la storia
significherebbe semplicemente studiare la minoranza politica, la classe
dirigente. Criticò anche la visione marxista della storia vista come
competizione fra più classi, in quanto per Mosca la storia era
competizione in una sola classe, quella politica. Rigettò anche la
distinzione storica di diverse forme di governo ritenendo che ognuna di
esse fosse sostanzialmente una aristocrazia.
Pareto
Vilfredo Pareto inquadrò il principio di Mosca (la minoranza governa
sempre la maggioranza) in una visione sociologica complessa. Ingegnere
ferroviario, poi economista liberista e "marginalista",quindi sociologo
all'Università di Losanna, ribadi infatti l'importanza delle ideologie,
le quali possono permettere ad una classe di salire al potere. Ci
sarebbe infatti un permanente prevalere delle azioni "non logiche",
basate sui sentimenti e gli interessi, spacciati da ciascuno per
razionali. Tuttavia per lui ogni classe al potere si farebbe corrompere
dal potere stesso e dai propri limiti, per cui sarebbe fisiologica e
ben vista la concorrenza tra classi politiche (alternanza), cosi come è
accolta nell'economia. Si avrebbe cosi una circolazione delle elites di
tipo "volpe" e "leone", già descritte dal Machiavelli. In tal senso,
Paretò apprezzò sia Mussolini che Lenin. Morirà nel 1923.
Michels
Robert Michels fu prima anarcosindacalista e poi nazionalista fascista,
seguace di Mussolini. Egli si rese conto della centralità dei partiti
nella formazioni delle élite, ma non li considerava organismi
democratici. Allievo di Max Weber, trasferitisi in Italia formulò
infatti la "legge ferrea delle oligarchie" sostenendo che i partiti in
realtà occultano dietro una parvenza di democrazia la loro sostanza
oligarchica. Dunque nonostante fosse a favore di una democrazia vera,
per lui era comunque irrealizzabile tanto da stringersi infine al
fascismo giudicandolo più democratico del sistema liberale precedente.
Rettore dell'Università di Perugia, morirà nel 1936.
Max Weber
Max Weber fu il Marx della borghesia, egli volle dimostrare che il
capitalismo non è semplicemente figlio di un cambiamento nei rapporti
di produzione, ma che oltre a questo, la dimensione religiosa avrebbe
contribuito pesantemente alla sua nascita e al suo sviluppo. Criticò
Marx per il fatto che avrebbe voluto fare non solo lo studioso
rigorosamente scientifico, ma anche il profeta, volendo a tutti i costi
dimostrare una presunta rivoluzione che da lì a poco si sarebbe
verificata, tradendo così i reali fini di uno studioso che si attiene
solo a descrivere la realtà. Weber parlò del politico come di un tipo
sociale sintesi assoluta tra passione (politica del "fai quel che devi
e accada quel che può") e calcolo (che tiene conto delle conseguenze).
Egli inoltre distinse fra tre forme di dominio differenti:
Potere tradizionale, quando la legittimità del governante si basa su
antichi ordinamenti;
Potere burocratico, basato su norme e leggi certe e sulla gerarchia di
poteri;
Potere carismatico, basato sull'idea di qualità straordinarie possedute
da una persona;
Sarebbe proprio quest'ultimo l'unico tipo di potere rivoluzionario, in
quanto l'unico capace di spezzare un assetto vigente. Tuttavia,
l'ideale sarebbe la sua trasformazione in "razionale".
Schmitt
Schmitt, giurista e teorico politico tedesco, è uno dei maggiori (e più
controversi) interpreti della crisi dello Stato moderno. La sua
riflessione sul concetto di sovranità, a partire dall'opera Politische
Theologie (1922), individua l'origine della politica moderna in un
processo di secolarizzazione dei concetti teologici, in virtù del quale
fra le due discipline della dottrina dello Stato e della teologia
esiste un'analogia sistematica. Schmitt dedica una particolare
attenzione al tema dello "stato di eccezione" (Ausnahmezustand) che,
sospendendo temporaneamente la legalità costituita, rappresenta
l'analogo del miracolo e permette di individuare la "funzione
sovrana".
La crisi dello Stato nasce dall'incompatibilità fra democrazia e
liberalismo: la prima si afferma come nuovo criterio di legittimità
dopo il crollo dell'Antico Regime e consiste nella "identità di
governanti e governati"; il secondo invece non è una vera e propria
teoria politica, quando piuttosto una teoria contro la politica, in
quanto consiste in una serie di restrizioni legali all'esercizio della
sovranità, e in ultima istanza nel tentativo di abolire la politica.
Il liberalismo si sviluppa infatti insieme al positivismo giuridico,
cioè all'idea che dalla politica si possa eliminare ogni residuo di
arbitrarietà (inclusa la decisione sovrana sullo stato di eccezione)
per trasformarla in un meccanismo formale perfettamente prevedibile,
interamente riconducibile a una struttura chiusa e autosufficiente di
norme. Ma la democrazia parlamentare si trasforma così in un sistema
debole e incapace di unità politica, in cui partiti ostili alla
democrazia (i comunisti e i nazisti, nel contesto storico di Schmitt)
sfruttano le regole democratiche e i diritti liberali per sovvertire
l'ordinamento vigente, che - non potendo ricondurre l'emergenza suprema
a una norma positiva - è destinato a soccombere.
Legato ai concetti di sovranità, legalità e legittimità è quindi il
tema della dittatura, che Schmitt sviluppa dal punto di vista storico e
teorico nell'opera Die Diktatur (1921), e sotto il profilo giuridico
(con riferimento all'attualità, ovvero alla crisi della Repubblica di
Weimar) in Der Hüter der Verfassung (1931). Con una distinzione che
verrà ripresa da vari politologi (ad esempio Carl Joachim Friedrich e
Clinton L. Rossiter), Schmitt individua due tipi di dittatura: quella
"commissaria", finalizzata alla difesa e al ripristino della legalità
costituita (il modello paradigmatico è rappresentato dalla figura del
dictator nella Roma repubblicana), e quella "sovrana" che mira invece
alla rimozione dell'ordinamento vigente e alla sua sostituzione con uno
nuovo (l'esempio è la dittatura del proletariato secondo la dottrina
marxista-leninista). La dittatura sovrana crea un temporaneo "vuoto
giuridico", in cui il dittatore agisce come sovrano esercitando un
informe "potere costituente".
A Schmitt si deve inoltre la discussa definizione del "criterio del
politico" come distinzione fra "amico" e "nemico". Anche se è stata
interpretata come una riduzione della politica alla dimensione del
conflitto, tale definizione significa piuttosto che l'esistenza
politica presuppone sempre la possibilità concreta della guerra, e
pertanto richiede la capacità di decisione (Entscheidung) sull'amico e
il nemico. Decisione che in età moderna è stata monopolizzata dallo
Stato, ma nel XX secolo è stata assunta dai partiti totalitari, che
hanno trasformato la politica interna in una guerra civile che lo Stato
liberale non è in grado di sedare.[9]
Nazionalfascismo
Il Nazionalismo italiano, sorto sulle idee imperialiste del primo
Novecento - si veda la rivista fiorentina Il Regno di Enrico Corradini
- divenne organizzazione politica all'epoca della guerra di Libia.
Raccolto nel 1912 attorno al quotidiano "L'Idea nazionale", dopo la
Grande Guerra le sue "camicie azzurre" confluirono, al Congresso di
Napoli del 1923, nel Partito Nazionale Fascista. Esponenti suoi di
spicco furono Luigi Federzoni, Rocco e Bottai, invisi alla base
fascista perché monarchici e favoriti dall'apparato dello Stato nelle
carriere.
Fascismo
Il fascismo si produsse in seguito ai tanti fermenti antipositivistici
sviluppatisi dopo il 1848 e specie verso fine secolo. Furono in
incubazione fermenti antidemocratici caratterizzati dall'esaltazione
della violenza detta liberatrice e dall'affermazione non più
patriottica, ma imperialista dell'identità nazionale.
Concezione psicologica della storia
Le grandi svolte storiche sono state sempre anticipate da svolte
culturali, ideali, spesso religiose. I paradigmi ideali che influenzano
l'azione intersoggettiva, non possono essere ricondotti a un solo
protagonista, ma richiedono pure la comprensione del pensiero generale
(lo Zeitgeist o spirito del tempo). Tutto ciò è dimostrato con la
rivoluzione capitalistica e protestante o con la rivoluzione francese e
l'illuminismo. Per contro la rivoluzione socialcomunista è fallita dato
che l'uomo borghese è rimasto la figura centrale del mondo moderno,
anche l'operaio (o il suo rappresentante) al potere si sarebbe
imborghesito. La socialdemocrazia infatti, accettando il
parlamentarismo ne è uscita assolutamente condizionata, cosa che Marx
non valutò sostenendo che l'importante non fosse la forma di governo
quanto la classe al potere. Cosi il decorso avvenuto con Robespierre in
contesto borghese, avvenne anche con Lenin in contesto proletario. In
conclusione si può affermare che se il contesto economico conta
senz'altro moltissimo (come Marx ha fatto notare), le idee-passioni
restano la vera base dinamica di tutto: la psiche (come inconscio
sociale) è dunque in primo piano nella vita come nella storia. Affinché
si formi una governance globale democratica c'è dunque bisogno di un
sentimento diffuso ambientalista (spirituale) e federalista.