da http://www.drammaturgia.it/recensioni/recensione2.php?id=2672
di Massimo Bertoldi
Il numero delle rielaborazioni teatrali della figura di Don Giovanni
è tanto elevato da rendere difficile, forse impossibile,
contare i testi che si sono susseguiti dal 1630, anno in cui Tirso
de Molina inaugurò il fortunato filone con El burlador de
Sevilla y convidado de piedra (L’ingannatore di Siviglia e il
convitato di pietra). A metà Seicento si assiste ad un
fiorire di commedie e tragedie, spettacoli fieristici e scenari
della Commedia dell’arte. Sul finire del secolo il personaggio
seduttore invade melodrammi e opere buffe, drammi giocosi e commedie
per musica, nei primi decenni dell’Ottocento il racconto-saggio di
E.T.A. Hoffmann disegna una nuova visione fantastica della
personalità dell’eroe e del suo destino che rigenera
l’interesse e apre la strada ad inediti scenari e alla parallela
proliferazione di opere in prosa, poemi, romanzi, balletti, poemi
sinfonici. L’emancipazione dal modello originale continua nel
Novecento e coinvolge l’insieme delle discipline espressive, cinema
compreso, che concorrono a definire Don Giovanni il mito della
modernità.
Una verifica delle tappe evolutive più significative vissute
dall’indomito corteggiatore nel corso dei secoli è offerta da
una preziosa pubblicazione di Marsilio che raccoglie in volume
quattro testimonianze teatrali. Affidato alla cura di Umberto Curi,
già autore di Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un
mito moderno (Milano, Mondatori, 2002), il libro è inserito
nella serie Variazioni sul mito e affianca analoghi progetti
editoriali dedicati a Medea, Orfeo, Fedra, Antigone ed Elettra.
Apre la serie El burlador de Sevilla, l’opera di Tirso de Molina che
ha segnato l’avvio alla fortuna del personaggio nella cultura
europea. Il drammaturgo spagnolo prese spunto da materiali
folklorici di area spagnola e napoletana, ricavò notizie da
fonti religiose, drammi e opere teatrali dell’epoca, tra le quali la
Storia del conte Leonzio che, corrotto dal Machiavelli, ebbe una
fine terribile forse scritta da Jacob Gretser e rappresentata ad
Ingolstadt nel 1615. L’elaborazione dell’archetipo di Don Giovanni
"non si caratterizza per una generica immoralità di costumi -
sottolinea Curi nell’Introduzione (p. 18) - né per un impulso
coattivo alla soddisfazione del desiderio sessuale, ma per la
negazione della trascendenza e per il rifiuto a riconoscere
qualsiasi manifestazione sovrannaturale." Questa interpretazione
supera le strettoie dell’etichetta comune di Don Giovanni quale
seduttore impenitente e focalizza l’attenzione sul tema
dell’incontro-scontro con la credenza che la morte venga a prendere
i vivi e che l’uomo morto uccida il suo assassino. L’agghiacciante
punizione finale inflitta da Leonzio è una chiara risposta ad
una posizione eversiva verso la religione, corrisponde alla vittoria
della fede sull’Anticristo-Don Giovanni, perché l’abusare
delle donne, ferendole nel loro onore, significa realizzare le
teorie morali e politiche elaborate da Machiavelli sull’esercizio
della conquista, che per la cultura del XVII secolo è
sinonimo di eresia ed ateismo. "Il più grande scellerato che
la terra abbaia mai generato", così il servo Sganarello
definisce il suo padrone.
Con Molière il Burlador di Tirso diventa Dom Juan, un
libertino scettico e senza scrupoli, protagonista di una commedia
segnata da sintomatiche traversie. Dopo il debutto nel febbraio 1665
nella sala del Palais-Royal, il capolavoro, con il quale l’autore
tentava il rilancio dopo le difficoltà incontrate dal
Tartufo, seguono solo quindici repliche con gli incassi che
precipitano rapidamente. Un mese dopo il testo fu messo al bando e
rimase lontano dai palcoscenici francesi per quasi due secoli. A
provocare un simile destino fu la radicalità con la quale
Molière avanzò critiche feroci all’ipocrisia e al
conformismo della società del suo tempo, smascherando le sue
debolezze e denunciando le contraddizioni. Inoltre, l’attento rigore
censorio colpì un altro tratto assolutamente originale del
personaggio, il suo modo di pensare e interpretare il mondo secondo
i principi filosofici del libertinismo. Don Giovanni sostiene che
l’amore è "la continuazione della guerra con altri termini",
e che la pulsione sessuale è sete di conquista, desiderio di
vittoria. L’amore perde la sostanza platonica, si allontana dalla
protezione divina, diventa istinto e bisogno in una nuova visione di
stampo meccanicistico.
Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, il testo poetico di
Lorenzo Da Ponte musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, costituisce il
passaggio dal 'parlato' al 'cantato' del mito di Don Giovanni, in un
orizzonte dove amore e morte si intrecciano in senso tragico.
Scritto di getto in sessantatre giorni di isolamento interrotto solo
dalla "compagnia di una giovinetta di sedici anni", come l’autore
riferì nelle sue Memorie, il libretto risente dell’influenza
della commedia goldoniana. Da Ponte trasformò il libertino
Don Giovanni in un "malandrino", lo allontanò dal "dissoluto
punito" e dal conquistatore moleriano, per sminuire lo spessore
tragico ed enigmatico, trasformandolo in un giovane lezioso privo di
scrupoli e dubbi. Indossa gli abiti dell’uomo semplice nella
psicologia e fallito nelle sue imprese. Sono interessanti e
significativi gli interventi correttivi operati da Mozart nel
libretto. Il compositore cercò di restituire forza al mito
conferendo alla musica il delicato compito di "contraddirne
sistematicamente l’impostazione" - osserva sempre Curi (p. 38) -
introducendo "deliberatamente conflitti e dissonanze, scarti e
anomalie, squilibri e forzature nella geometria elementare
dell’universo delineato da Da Ponte."
Originali rielaborazioni del mito di Don Giovanni, che si
allontanano sempre più dalle lezioni dei modelli anteriori,
si incontrano nel corso del Novecento. Nella commedia Uomo e superuomo (1901-1903) George
Bernard Shaw capovolse l’impostazione tradizionale
affidando alle donne il compito di corteggiare Don Giovanni, il
quale fugge e si nasconde per poi rassegnarsi al ruolo di colui che
garantisce la riproduzione della specie umana. In Don Giovanni o
l’amore per la geometria di Max Frisch (1953), l’antico
corteggiatore è impegnato con qualsiasi mezzo a sottrarsi
alle donne per potersi dedicare in pace alla sua vera passione,
l’amore per la geometria. Si iscrive in questa corrente di
stravolgimento del mito il dramma Don Giovanni ritorna dalla guerra
scritto da Ödön von Horvàth nel 1936 e pubblicato
in questo volume. L’autore magiaro ambientò la vicenda in un
periodo di crisi, durante "la grande inflazione" del 1919-1923, e
trasforma il personaggio in uno smarrito e debole reduce dalla
Grande Guerra. Rimane vivo il desiderio erotico che però non
significa spregiudicata avventura sessuale bensì ricerca di
una perfezione impossibile, sebbene le trentacinque donne coinvolte
si sforzino non poco per dimostrare il contrario. Questo Don
Giovanni convive con lo struggente desiderio di morte, appagato solo
nella scena finale quando si accascia sulla tomba della fidanzata
lasciando che la neve lentamente lo trasformi in un "pupazzo di
neve" come indica il titolo dello splendido atto terzo.