Dei sepolcri

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Dei sepolcri è l'opera di Ugo Foscolo più compatta e conclusa, scritta in pochi mesi tra l'estate e l'autunno del 1806 ed in seguito pubblicata nel 1807.

È probabile che l'idea di scrivere Dei sepolcri sia nata nel poeta a seguito di una discussione avuta con il letterato Ippolito Pindemonte, a cui è dedicato il componimento, ispirandosi a ciò che era stato scritto nell'editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone, che regolamentavano le pratiche sepolcrali secondo cui non si dovevano più avere tombe all'interno delle mura cittadine e doveva essere mantenuto l'anonimato delle sepolture per coloro che non potevano permettersi una grande tomba. Foscolo non è innovativo per il tema sepolcrale trattato già dai poeti preromantici inglesi; l'innovazione sta nel fatto che l'autore mette nell'opera i principali temi della sua poetica. Vi troviamo infatti il materialismo, il significato della civiltà e della poesia, la condizione storica dell'Italia e le possibilità di riscatto d'identità individuale e sociale del poeta.


Struttura

I Sepolcri sono costituiti da 295 endecasillabi sciolti. Il testo è suddivisibile a livello tematico in quattro parti:

   1. versi 1-90: utilità delle tombe e dei riti funebri come legame tra vivi e defunti, ricordo delle imprese dei morti.
   2. versi 91-150: descrizione dei vari riti funebri; sono esaltati i riti inglesi e quelli classici.
   3. versi 151-212: significato privato e pubblico della morte; descrizione delle tombe dei grandi del passato presenti nella Chiesa di Santa Croce a Firenze.
   4. versi 213-295: valore della poesia che sa eternare le virtù molto più delle tombe, poiché rimane nella memoria e non si distrugge con il tempo.

L'ispirazione politico-culturale

L'idea per la composizione del carme venne al Foscolo dall'estensione all'Italia, avvenuta il 5 settembre del 1806, dell'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), che aveva imposto di seppellire i morti al di fuori delle mura cittadine e aveva inoltre regolamentato, per ragioni democratiche, che le lapidi dovessero essere tutte della stessa grandezza e le iscrizioni controllate da una commissione apposita. L'editto offre al poeta l'occasione per svolgere una densa meditazione filosofica sulla morte e sul significato dell'agire umano.

L'estensione del decreto all'Italia aveva acceso vivaci discussioni sulla legittimità di questa legislazione di impronta illuministica che era contraria alle tradizioni radicate nel nostro paese. Foscolo si era trovato presente ad una di queste discussioni nel maggio del 1806 nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi che risiedeva nella stupenda Villa Franchetti e aveva affrontato il problema con Ippolito Pindemonte, che stava lavorando ad un poemetto, I cimiteri, con il quale intendeva riaffermare i valori del culto cristiano. Proprio nel parco secolare di Villa Franchetti, ancor oggi molto suggestivo, dove riposò persino Napoleone, Foscolo trovò l'ispirazione per comporre questo poema, che chiamò Dei sepolcri. Fu così che con Ippolito Pindemonte era nata una disputa perché il Foscolo, in quell'occasione, lo aveva contraddetto con considerazioni scettiche e materialistiche. Più tardi, riesaminando la questione da un altro punto di vista, era nata in lui l'idea del carme che aveva voluto indirizzare «per fare ammenda del mio sdegno un po' troppo politico» al suo interlocutore di una volta. Da ciò nasce la forma esterna del carme che si presenta come un'epistola poetica a Pindemonte.

Durante la permanenza in Francia Foscolo aveva infatti avuto occasione di seguire tutto un filone di discussioni che si erano sviluppate sull'argomento tra il 1795 e il 1804 e che tendevano alla rivalutazione dei riti e delle tradizioni funerarie (da cui il "Deorum manium iura sancta sunto"[1] e cioè le leggi degli Dei Manii sono sacre e, pertanto, devono essere rispettate), del culto dei morti e del ricordo perpetuo delle loro virtù. I Sepolcri si richiamano alla contemporanea letteratura sepolcrale inglese, tra cui si ricordano le Notti di Edward Young, le Meditazioni sulle tombe di James Hervey e la celebre Elegia scritta sopra un cimitero di campagna di Thomas Gray.

L'ispirazione letteraria e le motivazioni interiori

Foscolo, nel riprendere il discorso interrotto con Pindemonte, si sofferma sul significato e la funzione che la tomba viene ad assumere per i vivi impostando il carme come una celebrazione di quei valori e di quegli ideali che possono dare un significato alla vita umana.

Questo non significa che il Foscolo abbia mutato le sue convinzioni materialistiche che sono sempre presenti, perché la morte non è altro che il disfacimento totale. Ma se il Foscolo accetta con la ragione questa legge ineluttabile egli la respinge con il sentimento e cerca di superarla stabilendo tra i vivi e i defunti una corrispondenza d'amorosi sensi.

Dal concetto materialistico al concetto di "illusione"

Il carme si apre infatti con la negazione di ogni trascendenza riaffermando la validità del pensiero materialistico e, se inizia con l'asserire l'inutilità delle tombe per i morti, ne afferma l'utilità per i vivi procedendo verso affermazioni sempre più alte che vanno dal loro valore civile e patriottico fino ad esaltare le tombe come ispiratrici della poesia che è, per il Foscolo, la scuola più alta dell'umanità. Il materialismo foscoliano si riallaccia al sensismo settecentesco di matrice illuministica e alle dottrine materialistico-meccanicistiche del Condillac e del d'Holbach.

Al centro di queste meditazioni vi è il concetto di "illusione" che riafferma sul piano del sentimento quanto viene negato dall'intelletto che può negare l'immortalità dell'anima ma non quegli affetti ai quali tutti gli uomini, per vivere, devono credere. Così, anche se la vita dell'individuo ha fine nella materia, le illusioni, gli ideali, i valori e le tradizioni dell'uomo vanno oltre la morte perché rimangono nella memoria dei vivi consentendo a chi ha lasciato eredità d'affetti una sopravvivenza dopo la morte.

Il Foscolo svolge nel carme questo concetto seguendo una linea ascendente che va dalla tomba come centro sul quale si uniscono la pietà e il culto degli amici e dei parenti, alla tomba come simbolo delle memorie di tutta una famiglia attraverso i secoli realizzando una continuità di valori da padre in figlio, dalla tomba come segno di civiltà dell'uomo stesso, alla tomba che porta in sé i valori ideali e civili di tutto un popolo e, infine, alla tomba i cui valori sono resi eterni dal canto dei poeti; quando il tempo fa scomparire le tombe dei grandi, resta dunque a preservarne la memoria la poesia "eternatrice".
La struttura del carme

Nell'estratto che accompagna la "Lettera a Monsieur Guillon sulla sua incompetenza a giudicare i poeti italiani", scritta nel 1807, in risposta alla critica che l'abate francese Amato Guillon aveva pubblicato contro il carme nel "Giornale Ufficiale di Milano" del 22 giugno del 1807, il Foscolo fornisce la struttura quadripartita del carme: I (vv. I-90), II (91-150), III (151-212), IV (213-295).

Prima sezione (vv. 1 - 90)

Il sonno della morte, afferma l'autore, non è certamente meno duro nei sepolcri curati e confortati dall'amore dei vivi e quando, per il poeta, le bellezze della vita saranno perdute, non sarà certo una tomba, che distingua le sue ossa dalle numerose altre sparse in terra e in mare, a compensarne la perdita. Anche la speranza, che è l'ultima dea, abbandona i sepolcri e l'oblio trascina con sé ogni cosa. Ma il poeta si chiede perché l'uomo debba togliersi l'illusione di vivere, anche dopo la morte, nel pensiero dei suoi cari se il suo sepolcro sarà curato e onorato nella sua terra natale da chi è rimasto in vita. Solamente coloro che morendo non lasciano affetti o rimpianti possono trarre poca gioia dalla tomba. Una legge ostile toglie oggi i sepolcri agli sguardi dei pietosi e tenta di strappare il nome ai morti e così il Parini, che in vita pur nella povertà coltivò gli allori della poesia ed ispirato dalla musa Talia condannava la nobiltà di Milano, giace senza tomba. La Musa sta cercando la sua salma nei cimiteri suburbani perché Milano non gli ha eretto un sepolcro tra le sue mura, ed ora, forse, le ossa del grande poeta si trovano nella desolata campagna mescolate a quelle di un ladro che ha scontato i suoi crimini sul patibolo.

La prima parte della sezione sembrerebbe negare la concezione di tipo materialistico di Foscolo: l'uomo è un aggregato di atomi (come sostenuto da Epicuro e anche da un poeta ben conosciuto dall'autore, Lucrezio) e tale rimane prima e dopo la morte. Le domande iniziali si riferiscono invece alla parte sensibile umana, che si dispiace per la morte, introducendo il tema della prima parte: la tomba e l'eredità affettiva ad essa associata. Procedendo nella lettura si comprende infatti che l'intento dell'autore non è rinnegare la sua concezione materialistica e meccanicistica dell'uomo, bensì sottolineare come sia possibile per l'uomo,che è destinato a perire, realizzare comunque una "corrispondenza di amorosi sensi": chi muore, perché potrà essere ricordato dai vivi (proprio attraverso la sepoltura), chi rimane in vita perché potrà compiangere e ricordare i cari perduti (ancora una volta attraverso la sepoltura). L'esistenza sulla Terra, dunque, non è del tutto vana. Di questa consolazione non può godere il poeta Parini. A lui la città non diede una dignitosa sepoltura e le sue ossa vennero gettate in una fossa comune. La presenza di Parini apre una serie di riferimenti ai grandi autori del passato che si incontreranno nelle seguenti sezioni.

Seconda sezione (vv. 91 - 150)

Gli uomini, iniziando ad istituire forme legali come le nozze, le leggi e la religione, diventarono civili e cominciarono a seppellire i morti e a considerare le tombe sacre (in questo Foscolo si richiama al pensiero storicistico del filosofo Giambattista Vico). I morti non furono sempre seppelliti nelle chiese in "cimiteri-pavimento" nelle cripte in cui il lezzo dei cadaveri contaminava gli incensi dei fedeli in preghiera; il terrore delle madri nel Medioevo (il tempo in cui le mura urbane erano cosparse d'effigiati scheletri) nasceva dal timore che i congiunti defunti spaventassero nel sonno i loro figli, chiedendo la venal prece, la preghiera a pagamento che avrebbe potuto alleviare le loro pene ultraterrene. Le tombe in un tempo più antico furono anche curate con alberi, fiori e lampade e i vivi indugiavano spesso a parlare con i cari estinti nella pietosa illusione che ancor oggi rende piacevoli alle giovani inglesi i confortevoli cimiteri suburbani dove esse pregano i numi perché facciano ritornare in patria Nelson. Dove però non esiste più il desiderio di gesta eroiche e lo Stato è servo di chi comanda, le tombe sono inutile pompa, come nel Regno d'Italia dove i dotti, i mercanti e i possidenti sono sepolti, ancora vivi, nei lussuosi palazzi mentre il poeta desidera solamente una semplice tomba dove poter riposare in pace dopo aver lasciato agli amici una poesia libera.

Il ragionamento nella seconda sezione, che introduce il valore civile del sepolcro, avviene attraverso immagini: due negative all'inizio e alla fine, due positive centrali. Inizialmente viene presentato il periodo classico come esempio di civiltà che si occupò di trasmettere il valore del culto dei morti, ma quest'immagine verrà ripresa meglio nella parte centrale poiché positiva. La prima epoca analizzata è, in realtà, il Medioevo, un'epoca in cui superstizione, cattive condizioni igieniche e nullo valore della tomba avevano la meglio. Il secondo esempio positivo della storia, accanto alla ripresa della civiltà classica, è quello dei cimiteri inglesi[2]. All'interno di questa penultima evocazione si inserisce l'episodio di Orazio Nelson, l'ammiraglio britannico che avrebbe dato ordine di costruire la sua bara con il legno dell'albero maestro della nave ammiraglia napoleonica Orient, da lui catturata durante la battaglia navale di Abukir. Le tombe e il culto dei morti sono alla base della civiltà umana: l'ultima immagine è proprio riferita al contemporaneo provvedimento napoleonico, che mostra di essere totalmente insensibile a quest'idea, con la creazione dell'editto di Saint Cloud (come chiarito nella prima parte) che colloca i cimiteri all'esterno delle città e impone che tutte le tombe siano prive di un'iscrizione funeraria personale.

Terza sezione (vv. 151 - 212)

Le tombe dei forti rendono bella la terra che li ospita e spingono a grandi opere (egregie cose). Quando il Foscolo vide in Santa Croce le tombe di Machiavelli, di Michelangelo, di Galilei inneggiò a Firenze considerandola beata per la bellezza della sua terra e per aver dato i genitori e la lingua a Dante e al Petrarca (sepolti, rispettivamente, a Ravenna e Arquà), ma ancora più beata perché ha conservato in un tempio le glorie d'Italia che sono le uniche rimasteci dopo che gli stranieri ci hanno rapito tutto, tranne la memoria. In Santa Croce, dove ora riposa, veniva l'Alfieri per cercare di dar pace alla sua anima tormentata. La pace che ispira le tombe ha alimentato il valore dei greci contro i persiani a Maratona dove gli ateniesi caduti in quella battaglia furono seppelliti.

All'ultimo verso della seconda sezione si ricollega la terza:
    «... sensi e di liberal carme l'esempio»
   

Nella terza parte Foscolo si sofferma sul valore politico della tomba. Come è importante per i cari ricordare i propri defunti (parte 1), così per una civiltà è importante possedere un buon culto dei morti (parte 2), così dal ricordo dei morti si ricordano gli uomini di grande valore (e tanti ne vengono presentati in questa parte). Questi "grandi" uomini possono, attraverso il loro ricordo, suscitare nelle generazioni future la memoria dei grandi valori morali. Verso emblematico al riguardo è il 188 "quindi trarrem gli auspici", cioè dal ricordo di gesta valorose ecco che può scaturire l'azione politica futura, nel nome dei grandi valori. I personaggi presentati sono:

    * Machiavelli: chiaro riferimento al Principe ("quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli allòr ne sfronda"), dando però un'interpretazione particolare del suo messaggio, visto come un disvelamento delle miserie della tirannide;
    * Michelangelo: "colui che novo Olimpo / alzò in Roma a' Celesti";
    * Galilei: colui che tra i primi convalidò la concezione copernicana, e con le sue ricerche aprì la strada agli studi sulla gravitazione universale di Newton (l'Anglo)
    * Dante: definito il "ghibellin fuggiasco", mentre recita la Commedia che gli avrebbe consolato l'esilio. Diverse interpretazioni si scatenarono sull'epiteto: per alcuni sarebbe stato causato dall'abbandono da parte di Dante del gruppo dei ghibellini a cavallo della battaglia di Lastra (cui Dante non prese parte) con i quali cercava di rientrare nella sua amata Firenze, per altri il suo pensiero si sarebbe avvicinato moltissimo a quello dei ghibellini come si può notare nel X canto dell'inferno nella Divina Commedia nel discorso con Farinata Degli Uberti, per altri ancora si tratterebbe semplicemente di un mero errore dello stesso Foscolo;
    * Petrarca: poeta dell'amore (coperto di un velo candidissimo, quello dei sentimenti, rispetto all'amore nudo dei classici)
    * Alfieri: ultimo personaggio della sezione, che racchiude in sé il valore politico della poesia, appunto tema centrale.

Quarta sezione (vv. 213 - 295)

Probabilmente durante i suoi lunghi viaggi il giovane Pindemonte varcò l'Egeo e sentì dire che la marea aveva trasportato le armi gloriose di Achille, che erano state assegnate ingiustamente ad Ulisse, sopra la tomba di Aiace dal momento che solo la morte è dispensatrice della gloria. Foscolo, che è costretto a fuggire di gente in gente (In morte del fratello Giovanni, vv.1-2), spera che un giorno le Muse, che conservano la memoria dei defunti anche quando il tempo ne abbia distrutto le tombe, lo chiamino ad evocare gli eroi. Dove un giorno sorse Troia si trova un luogo che Elettra ha reso eterno, quando supplicò, morendo, l'antico amante Giove, di farla vivere nel ricordo dei posteri, e il dio rese sacra la sua tomba. In quel luogo furono sepolti Erittonio ed Ilio, e Cassandra che predisse la distruzione della città e insegnò ai nipoti un canto d'amore e di pietà nel quale li assicurava che, nelle rovine del centro, sarebbero rimaste in eterno le ombre degli eroi troiani nelle loro tombe circondate e protette dagli alberi coltivati con lacrime e devozione. E Cassandra evoca Omero stesso, che si sarebbe ispirato ad esse per rendere eterni in tutto il mondo i prìncipi di Argo ed Ettore, l'eroe troiano dell'amor di patria tra i più valorosi e infelici; i versi di Omero su Ettore saranno ricordati, finché il sole illuminerà le sciagure umane.

La poetica e l'arte

Attraverso il susseguirsi di determinati esempi, le idee del Foscolo si chiariscono in varie fasi. Se «Sol chi non lascia eredità d'affetti / poca gioia ha dell'urna» e la tomba del Parini confonde forse le sue ossa con quelle di un ladro, con il nascere degli affetti (della comunione di religiosi sensi) è nata dunque la santità delle tombe, del cimitero-giardino testimoniato ancora nel presente dai cimiteri inglesi; se «A egregie cose il forte animo accendono / l'urne de' forti», le tombe di Santa Croce rappresentano appunto questo exemplum che è d'insegnamento per i viventi; da queste immagini nasce l'excursus classico che parte dalla descrizione del campo di Maratona e che consacra la poesia come ultimo tramite storico di questa "religione del ricordo". E ancora, se la morte è «giusta di glorie dispensiera» per le anime nobili, si ritrova il mito di Aiace che, pur essendo stato privato delle armi di Achille da Ulisse le riceve, portate dal mare, sulla sua tomba. E infine le immagini conclusive, che vengono dalla predizione di Cassandra (dopo aver evocato la fine simbolica di Elettra) della distruzione di Troia e di Omero, si chiudono nel ricordo di Ettore, l'eroe che resterà nel tempo umano in virtù del suo sacrificio patriottico.

Il Foscolo riprende tutti questi simboli dagli scrittori o dalla mitologia classica o li inventa traendo lo spunto da materiale classico o moderno, e li presenta al lettore in modo che essi possano toccare le sue corde intime seguendo anche una logica emotiva. Scrisse infatti, nelle note che accompagnano il Carme: "Ho desunto questo modo di poesia da' Greci, i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia ed al cuore".

Lo stile

Il carme è strutturato per episodi e non per concetti che si susseguono logicamente perché il poeta, che intende cantare gli eroi, procede con la logica della fantasia. Il Foscolo concentra un intero mondo di pensieri, sentimenti, immaginazioni e miti in modo stringato senza eccedere in parole non necessarie e riuscendo, in 295 endecasillabi sciolti, a passare dalle tombe senza nome ai cimiteri medievali e quelli inglesi, dalle tombe di Santa Croce al campo di battaglia di Maratona, da Parini e Alfieri a Omero, da Nelson ad Aiace, dal mondo di Vico all'Italia di oggi e a Troia distrutta, con il medesimo impeto di affetti e di tesi che aveva adoperato nei Sonetti e che conferisce al suo stile quell'impronta originale che è connaturata alla forza della sua personalità. Hanno perciò un'importanza particolare - e lo segnalò lo stesso Foscolo - le transizioni, ovvero i passaggi, a volte fortemente ellittici, tra i momenti successivi dell'articolazione tematico.

La lingua e lo stile di cui si serve il Foscolo nei Sepolcri sono personali: lo stile è lapidario ed energico e tende ad imprimere le sentenze nella mente e nel cuore di chi legge; la lingua, anch'essa improntata a una concisione energica e vibrante, si avvale della esperta conoscenza dei classici antichi e italiani permettendosi di utilizzare modi di dire nuovi.