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DBI
di F. Parente
Nacque il 25 ott. 1742 a Castelnuovo (oggi Villa Castelnuovo),
frazione di Sale (oggi Castelnuovo Nigra in prov. di Torino) da
Pietro Ubertino ed Anna Caterina Bellino.
Compiuti gli studi primari a Bairo, per quelli di grammatica,
umanità e retorica, nel 1756 passò ad Ivrea. Deciso ad
abbracciare lo stato ecclesiastico, nel 1758, entrò nel
seminario vescovile di Ivrea ove, per un biennio, studiò
filosofia e, per un altro biennio, teologia prendendo, nel contempo,
lezioni di disegno dal canonico S. Pernotti di Rivarolo. Nel 1762 si
recò a Torino per addottorarsi in teologia e l'anno
successivo, ottenuta un'abbreviazione del periodo prescritto, prese
il baccellierato. Prevedendo le riforme del 1729
dell'università di Torino, per la laurea in teologia,
l'obbligo dello studio dell'ebraico, nel 1764 iniziò lo
studio di questa lingua sotto la guida di G. F. Marchini.
I progressi furono rapidissimi. Compose, infatti, in ebraico una
Lettera ed un Cantico che dedicò al Marchini (Parma, Bibl.
Palatina, ms. par. 3452/1-2) e tradusse in latino passi biblici (ms.
par. 3450/2) nonché un libro ebraico di preghiere (ms. par.
3453). Del medesimo anno è la sua prima opera a stampa: un
poema ebraico con versione latina, in Componimenti poetici per mons.
Rorà vescovo di Ivrea (Torino 1764, pp. 60 s.). Come ricorda
nelle Memorie (pp. 9-10), la padronanza degli strumenti linguistici
gli apparve, fin d'allora, presupposto imprescindibile per la
polemica antiebraica che, negli anni successivi. lo occuperà
precipuamente e, tra il 1764 e il 1766, si dette infatti allo studio
di altre lingue semitiche quali l'ebraico postbiblico, l'aramaico,
il siriaco, il samaritano, l'arabo.
La letteratura rabbinica, tema poi dominante nella sua
attività di studioso, attirò quindi la sua attenzione
fin dal primo suo accostarsi allo studio dell'ebraico: ne sono
testimonianza una Raccolta di varj scritti rabbinici in due volumi
redatta nel 1765 (ms. par. 3455/2), un Compendio di sentenze
rabbiniche ricavato dal Florilegium rabbinicum (1645) di J.
Plantavit de la Pause (ms. par. 3455/1) ed una traduzione di poesie
liturgiche da un Maḥazor (ms. par. 3455/3). Nello stesso anno
redasse varie poesie ebraiche (ms. par. 3445/1-2) e si occupò
di siriaco traducendo passi di Efrem (ms. par. 3455/3) e
cimentandosi nella composizione di un carme in dialetto occidentale
(giacobitico) (ms. par. 3384). Un inedito commento a Giobbe di Yosef
ibn Kaspi, Èulḥan kesef (La mensa d'argento) contenuto in un
manoscritto di opere del Kaspi della Biblioteca reale di Torino
(A.VI. 34: n.XCVII del catalogo Pasini e n. CXCVII del catalogo di
B. Peyron) attirò la sua attenzione: ne trascrisse e tradusse
ampi brani che utilizzerà nel De praecipuis caussis e in De
studio biblico ex rabbinorum praeceptis optime instituendo (inedito:
mss. par. 3376 e 3369: compendio italiano). Per questi lavori
utilizzò anche un'altra opera ebraica conservata parimenti
nella Bibl. reale: il Ma'aséh 'efod (L'opera di Efod),
pseudonimo di Profiat Duran, Isaac ben Moses ha-Levi (A. VI. 23: n.
XCVI del catalogo del Pasini e n. CLXXXVI del catalogo del Peyron),
un trattato di grammatica del quale riuscirà a procurarsi ben
quattro esemplari (Parma, Bibl. Palatina, mss. deross. hebr. 755,
800, 806, 1175).
Il 21 giugno 1766 conseguì la laurea ed il 9 novembre venne
consacrato sacerdote. L'anno successivo compose nove Poëmata
anatolico polyglotta in laudem regis Sardiniae Caroli Emmanuelis ac
ducum Vict. Amedei ac Bened. Mauritù (ms. par. 3389), con una
introduzione copta ed un elogio etiopico. Nel 1768 compose e
stampò (con i testi orientali intagliati in tavolette di
legno per mancanza di caratteri mobili) due poemi siriaci ed un
terzo in varie lingue per la promozione di monsignor Rorà a
vescovo di Torino, Taurinensi ᾿Αρχιεπίσκοπῳ ... Francisco
Lucerna-Rorengo de Rorà ... Carmina Orientalia Hebr. Syr.
Rabb. Samor. et Syro-Estrang. (Augustae Taurinorum 1768), e venne
componendo due opere di maggior respiro in cui raccolse i primi
frutti del suo lavoro: il cennato De studio biblico, rimasto
inedito, e De praecipuis caussis, et momentis neglectae a nonnullis
Hebraicarum litterarum disciplinae disquisitio elenchtica (Augustae
Taurinorum 1769).
L'opera è importante sotto vari riguardi. Nelle Memorie (p.
13) il D. accenna alle circostanze che lo indussero a redigerla:
l'impulso gli era venuto da "discorsi di ... miei compagni, i quali
molti e gravi motivi ... producevano contro l'utilità e la
necessità della lingua ebrea ...". Si trattava delle
tradizionali obiezioni di carattere dogmatico circa
l'attendibilità del testo masoretico del quale il D.
difenderà sempre la sostanziale integrità (tale
sarà il senso della raccolta delle varianti che costituisce
l'opera sua maggiore). Il libro consente di identificare la
letteratura sulla quale egli (in larga misura autodidatta) compiva
la propria formazione e di cogliere, nel loro abbozzarsi, i filoni
di interesse che indirizzeranno le sue ricerche nelle loro
intrinseche connessioni con la problematica storico-teologica del
XVIII secolo. Ai "discorsi dei compagni", cioè alle posizioni
teologicamente meno avanzate, risponde citando quei teologi (tra cui
lo stesso Bellarmino) che, dopo il concilio tridentino, avevano
ritenuto di poter ancora correggere la Vulgata sui testi originali.
Nel V capitolo vengono illustrate le caratteristiche del greco
neotestamentario non del tutto comprensibile se non a partire dalla
lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù (tema ripreso
poi in Della lingua di Cristo), soffermandosi su quegli autori che
avevano illustrato il Nuovo Testamento sulla base della letteratura
rabbinica. Tra gli ebraisti italiani del suo tempo, oltre al Pasini
e al Marchini, cita il domenicano I. C. Ansaldi e B. Finetti. Nel
capitolo X è anticipata la problematica che sarà
svolta nella Vana aspettazione: gli Ebrei aspettano ancora il messia
perché, immaginandoselo terreno ed umano, errano
nell'interpretazione dei passi messianici, ma, per poter discutere
con successo con essi, occorre padronanza degli strumenti
linguistici e conoscenza approfondita della letteratura rabbinica.
L'opera è, quindi, significativa testimonianza della tensione
tra teologia e filologia determinatasi nel mondo cattolico sullo
scorcio del XVIII secolo a seguito della conoscenza dell'ebraistica
protestante facilitata anche da opere quali il Thesaurus
dell'Ugolini ed i Critici sacri.
Durante questo periodo il D. andava progettando e distendendo
essenzialmente opere di polemica antiebraica rimaste inedite e i cui
materiali confluiranno in parte nella Vana aspettazione. Tra esse
vanno ricordate: Manuductio, ad Hebraeorum confutationem (ms. par.
3372); Catechismo per li catecumeni ebrei (ms. par. 3372/4); Systema
recentioris Iudaeorum theologiae de eorum rege Messia (ms. par.
3372/3). Iniziò altresì la redazione delle Miscellanee
(che occuperanno tredici volumi: mss. par. 3390-3402), quaderni in
cui, da ogni libro o manoscritto che leggesse, curava "di notare ...
tutto quello che era confacente alle concepite mie idee" (Mem., p.
18).
La pubblicazione del De praecipuis caussis gli valse un impiego nel
Museo reale di Torino, ma, pochi mesi dopo, ricevette, da parte
della corte di Parma, l'invito a diventare professore nella
facoltà di teologia di quella università.
Il riordino degli statuti dell'università parmense era stato
compiuto da C.M. Paciaudi l'anno precedente (Costituzioni per i
nuovi registudi, Parma 1768) a seguito della cacciata dei gesuiti
dai ducati, episodio saliente della politica antiecclesiastica del
Du Tillot. Dopo il rifiuto di G. Gallicciolli, il Paciaudi ottenne
la chiamata del D. e l'istituzione per lui della cattedra di "lingue
orientali". Il D. venne anche nominato vicepreside della
facoltà. Se si tien conto che il Paciaudi e il Du Tillot
miravano non soltanto ad innovare le strutture della vecchia
università gesuitica, ma altresì (Cesarini Sforza, pp.
125 ss.) a porre sulle cattedre più importanti uomini
culturalmente capaci ed aperti alle nuove idee, si comprende come,
proprio le posizioni teologicamente avanzate espresse dal D. in De
praecipuis caussis, devono aver convinto il Paciaudi a volerlo a
Parma.
Il 2 agosto il D. rispose accettando; e l'8 dello stesso mese il
Paciaudi gli tracciava il programma d'insegnamento che comprendeva
anche il greco; il 14, il D. gli rispondeva chiedendo di essere
dispensato "d'insegnare una lingua, in cui sono infatti scolaro e
non maestro". Va in effetti, rilevato come, ad onta delle sue
importanti osservazioni sul greco ellenistico (lettera del 2 maggio
1773 al Paciaudi, in Tamani, Cart. D.-Paciaudi, pp. 287-288, e la
Praeliminaris Dissertatio agli Epithalamia exoticis linguis reddita,
pp. XXX-XXXI), questa lingua rimarrà, nel suo orizzonte
culturale, sostanzialmente in secondo piano ed i più tardi
lavori di filologia biblica concerneranno di prevalenza il testo
ebraico.
Con l'invito, il D. aveva ricevuto l'incarico di redigere un "carmen
polyglottum" per le nozze del duca Ferdinando I con Maria Amalia
d'Austria, che inviò a Parma con la lettera di accettazione
del 2 agosto. È questa (Innuptiis Augustorum Principum
Ferdinandi Borbonii et Amaliae Austriacae poéma
Anatolico-polyglottum..., Parmae 1769) la sua prima opera uscita dai
torchi della "tipografia regia", impiantata da G. Bodoni (chiamato a
Parma nel marzo dell'anno precedente), iniziandosi così una
lunga e feconda collaborazione.
Giunto a Parma il 15 ottobre, dopo una pausa dovuta ad una grave
malattia, il 1º apr. 1770, nella sede dell'Accademia Parmense,
lesse una Dissertazione sopra l'epoca della prima origine e
varietà delle lingue contro la Dissertatio de confusione
linguarum di C. Vitringa (ms. par. 3373: sarà stampata negli
Annali delle Scienze Religiose, XII[1841], 35, pp. 171-194), ed
altre tre sulla lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù
contro De Christo graece loquente (Neapoli 1767) di D. Diodati, il
quale, contro l'opinione tradizionale, aveva sostenuto che tale
lingua fosse il greco. Le tre dissertazioni, rispettivamente
concernenti L'introduzione dell'ellenismo in Palestina; L'uso
dell'ellenismo negli ebrei palestinesi e L'uso dell'ellenismo in
Cristo particolarmente e negli Appostoli (ove "ellenismo" sta per
"greco ellenistico"), vennero stampate dal Bodoni nel 1772 col
titolo: Della lingua propria di Cristo e degli Ebrei nazionali della
Palestina da' tempi de' Maccabei, dissertazioni ... in disamina del
sentimento di un recente scrittore italiano.
Il D. dimostrava in modo "convincente" (Schweitzer) l'uso, da parte
degli Ebrei palestinesi del tempo, di un dialetto aramaico che
indicava, con termine allora usitato, come "sirocaldeo". Nonostante
indubitabili debolezze, l'opera si pone come un contributo di
rilievo alla discussione di un problema centrale della filologia
neotestamentaria (Méyer, Jesu Mutterspr., pp. 7-35).
Nel 1773 il D. pubblicò a Roma Della vana aspettazione degli
Ebrei del loro re Messia dal compimento di tutte le epoche. Trattato
... con dedica a Vittorio Amedeo III.
Ristampata a Roma nel 1840, l'opera è preparata da numerosi
lavori rimasti inediti cui si è accennato ed è
importante (Parente, Confronto, pp. 371-373) soprattutto come presa
di coscienza, lucidamente esposta nel prologo, della totale
insufficienza della letteratura controVersistica cristiana, dovuta
perlopiù ad autori privi dei necessari strumenti linguistici
e delle più elementari conoscenze della teologia ebraica.
Appunto per tale risvolto polemico, essa fu attaccata con violenza
estrema da due domenicani, G. Masi e L. Ceruti, in un'opera anonima
pubblicata a Venezia l'anno successivo: Riflessioni
teologico-critiche contro il libro del teologo Giambernardo De Rossi
Della vana ... stampato in Parma l'anno 1773, esposte al suddetto in
una lettera di Azaria Natani ed alcune osservazioni del Teologo N.
N. Espressione, verosimilmente, della reazione all'atteggiamento di
tolleranza del Ganganelli, l'opuscolo accusava il D. di essersi
"immerso nella lettura dei Rabbini" e di esser "caduto in non pochi
errori di costoro" difendendone la buona fede e mostrando "una
soverchia, nauseante circospezione a non offendere questi empi",
atteggiamento che "fa ribrezzo". Il D. dovette averne conoscenza
prima della stampa poiché il 1º ag. 1773 scriveva da
Parma al Paciaudi (Tamani, Cart. D.-Paciaudi, p. 290) di essere
occupato "per la risposta di due frati, per le iscrizioni
stravagantissime, per la dissertazione ...". Stava, infatti,
occupandosi di una iscrizione fenicia di Cagliari a proposito della
quale era stato interpellato dall'Amaduzzi, che pubblicò la
sua lettera di risposta (datata 3 ag. 1773) nelle Efemeridi
letterarie di Roma, XLVI, [29 ott.] 1774, pp. 348a-351a; vedi Guzzo
Amadasi, Le iscrizioni, pp. 83-87 e tav. XVII: iscrizione arcaica di
Nora), e della Praeliminaris dissertatio qua generatim exoticarum
linguarum origo, fontes, progressus ... natura atque charactere
illustrantur, che verrà pubblicata l'anno successivo in
Epithalamia exoticis linguis reddita. Nel 1774, intanto, il Bodoni
dava alle stampe In solemni baptismate Ludovici parmensis principis
Inscriptiones exoticae cum latina versione ac Joannis Baptistae
Bodoni praefatione per la nascita del primogenito del duca con venti
iscrizioni in lingue orientali e relativa versione latina opera del
De Rossi. I caratteri orientali erano stati incisi e fusi
espressamente; e l'opera venne stampata anche in italiano.
Il D. era comunque angustiato dal libello dei due domenicani che, in
una lettera al Paciaudi del 28 dicembre 1774 (Tamani, Cart.
D.-Paciaudi, pp. 297-298), definiva "una cosa la più bislacca
del mondo, piena di abbagli indegni di due uomini di senso". La
risposta, Esame delle riflessioni teologico-critiche contro il libro
Della vana aspettazione ... (Parma 1775), fu, comunque, pacata e,
nonostante fosse rimasto ferito da tanta "inurbanità" "in un
secolo si civilizzato" (Mem., pp. 32-33), volle, trovandosi a
Bologna, render visita al Masi. Si preoccupò, comunque, che
la risposta avesse sufficiente eco e ne scrisse all'Amaduzzi l'8
sett. 1775 (Bonola, Il semitista, pp. 423-424) per averne una
recensione favorevole sulle Efemeridi, che avevano ribattuto (X [11
marzo] 1775, c. 70a-b) le accuse di affrettata condiscendenza
rivolte dal Masi e dal Ceruti alla rivista per la favorevole
recensione alla Vana aspettazione ivi comparsa (XXXVIII [11 sett.]
1773, cc. 292b-295a) e ciò nel timore che l'editto di Pio VI
contro gli Ebrei (5 aprile) potesse rendere ora difficile un nuovo
intervento. Ma l'Amaduzzi mostrò coraggio e, in due riprese
(XXXIX [30 sett.] 1775, cc. 306a-308a e XL [7 sett.] 1775,
cc.315b-318a), recensì la "trionfale risposta" del D.
definendo il Masi e il Ceruti "due critici imbecilli armati di uno
zelo incomodo e puerile".
In quell'anno il Bodoni stampò un libro che "fece epoca negli
annali della tipografia": Epithalamia exoticis linguis reddita. In
nuptiis Augustorum principuni Caroli Emmanuelis Ferdinandi
Subalpinae Galliae Principis et Mariae Adelaidis Clothildis Ludovici
XVI Francorum Regis Sororis Epithalamia dovuti al D. e preceduti
(pp. VII-XLI) dalla cennata dissertazione. Diverse lingue (e
relativi caratteri tipografici) compaiono qui per la prima volta:
etiopico, palmireno, giudaico-tedesco, gotico, russo, tibetano,
georgiano. È questo l'ultimo saggio di virtuosismo poliglotta
del D., ché, d'ora innanzi, egli si dedicherà a lavori
di bibliografia ebraica ed alla raccolta delle varianti del testo
biblico e, nel trentennio successivo, questi saranno, quasi
esclusivamente i temi delle sue ricerche. Nel condurle innanzi, egli
si gioverà perlopiù della propria privata biblioteca,
il "gabinetto", com'egli la chiamava, alla cui formazione già
da tempo dedicava ogni sforzo, anche finanziario, giungendo,
più avanti negli anni, a formare una delle principali
raccolte di manoscritti e stampati ebraici d'Europa.
Il primo saggio di bibliografia ebraica comparve nel 1776 stampato
dal Bodoni: De hebraicae typographiae origine ac primitiis, seu
antiquis ac rarissimis hebraicorum librorum editionibus saec. XV.
Disquisitio historico-critica (rist. ad Erlangen da W.F. Hufnagel
nel 1778). Vi sono descritte 50 edizioni anteriori al 1500 (di cui
soltanto 15 non possedute dal D.) con attenzione alle varianti
riscontrabili nei testi biblici ed alle censure cristiane negli
scritti rabbinici.
Nel 1778 il D. dette alle stampe un saggio su uno dei più
rari e preziosi manoscritti dell'Ambrosiana (C 313 inf.),
proveniente dal monastero della Madre di Dio a Wâdi'n
Natrûn nel Basso Egitto e contenente gli agiografi, i profeti
e taluni apocrifi della versione di Paolo di Tellá, detta
"siro-esaplare" perché condotta sul testo dei Settanta
secondo la recensione origeniana completa di asterischi ed obeli,
del quale A. M. Ceriani avrebbe dato, nel 1874, una edizione
fotolitografica. Scoperto da J.J. Biörnståhl nel 1773,
nel 1778, contemporaneamente, il D. e P. J. Bruns ne fecero oggetto
delle loro ricerche. Il D. pubblicò il testo del primo salmo
col testo masoretico, con quello dei Settanta, della Peèiṭtāe
con le note origeniane: Specimen ineditae et hexaplaris Bibliorum
versionis Syro-estranghelae cum simplici atque utriusque fontibus
graeco et hebraeo, collatae. Edidit ac diatribam de rarissimo codice
ambrosiano unde illud haustum est, praemisit J. B. De Rossi (Parmae
1778) e, del Bruns, comparve (in Rep. für bibl. und morgenl.
Litt., III[1777], pp. 166-187) Von einem syrischhexaplarischen
Manuscripte in der AmbrosianischenBibliothek zu Mailand con la
pubblicazione di Dan., 9.24-27. Ricevuta che ebbe la pubblicazione,
l'editore (J. C. Eichhorn) la ristampò di seguito
all'articolo del Bruns con una premessa: Johann Bernhard De Rossi
von der syrisch-hexaplarischen Handschriff zu Mayland, nebst ein
Vorbericht (pp. 187-212: 187-197 premessa dello Eichhorn; 197-209,
introduzione del D.; 209-212 testo, solo siro-esaplare).
Nel settembre del 1778 il D. partì per Roma ove si trattenne
per tre mesi. Scopo del viaggio era quello di raccogliere materiale
per dar corpo al progetto che andava disegnando dopo la
pubblicazione del primo volume della raccolta delle varianti del
Vecchio Testamento di B. Kennicott (Vetus Test. hebraicum cum variis
lectionibus, Oxonii 1776): dare una nuova collazione fondata su un
numero maggiore di manoscritti. Poté esaminarne un gran
numero tra cui due particolarmente importanti: una Bibbia rabbinica
di proprietà di Pio VI ed un codice samaritano della
Biblioteca Barberini. Delle varianti contenute in questi dette un
saggio che sarà stampato a Roma nel 1782: Specimen variarum
lectionum sacri textus et chaldaica Estheris additamenta cum latina
versione ac notis ex singulari codice Pii VI. P.O.M., edidit
variisque dissertationibus illustravit I. B. De Rossi. Accedit
eiusdem auctoris appendix de celeberrimo Codice Tritaplo Samaritano
Bibliothecae Barberinae et Censoris [Gabriel Fabricy] theologi
diatribe qua bibliographiae antiquariae, et sacrae critices capita
aliquot illustrantur.
Tornato a Parma, nel 1780, il D. dette alle stampe due opere di
bibliografia ebraica: De typographia hebraeo-ferrariensi.
Commentarius historicus, quo ferrarienses judaeorum editiones
hebraicae, hispanicae, lusitanae recensentur et illustrantur (con le
varianti del Pentateuco ferrarese del 1555, pp. 46-62), ristampata
dallo Hufriagel ad Erlangen l'anno successivo con l'aggiunta di una
Epistola del D., qua nonnulla ferrariensis typographiae capita
illustrantur e, in appendice alla Vita di Vespasiano Gonzaga di I.
Affò (pp. 137-167), pei tipi del Carmignani, Annali ebreo-
tipografici di Sabbioneta (tirati anche separatamente) che, tradotti
in latino da J. F. Roos, vennero pubblicati ad Erlangen nel 1783 con
un'appendice dell'autore (pp. 49-52).
La sua attenzione era, comunque, ormai interamente volta alla
collazione delle varianti il cui più volte dichiarato intento
era quello di dimostrare la sostanziale attendibilità del
testo masoretico. Per il suo scopo ricercava, oltre a testi completi
del Vecchio Testamento, anche frammenti di manoscritti. E dei
manoscritti del D., cento, almeno, sono, in effetti, frammentari.
Nel 1782 venne pubblicato a Roma (e, l'anno successivo, a Tubinga
con un'aggiunta dell'autore) il cennato Specimen variarum lectionum
con in appendice (pp. 227-479) uno scritto di G. Fabricy, dottore
della Biblioteca Casanatense, col quale il D. aveva stretto "grande
amicizia" nel tempo del suo soggiorno romano, durante il quale era
altresì entrato in stretti rapporti col prefetto di quella
biblioteca, G. B. Audiffredi.
Nello Specimen, redatto nel 1778, il D. dava già notizia (p.
10) del progetto delle varianti. Il 3 genn. 1782 ne lanciò la
sottoscrizione con un Programma pubblicato a Parma che ebbe
vastissima diffusione e fu tradotto e ristampato in Olanda,
Danimarca e Germania. Anche nei lavori a carattere bibliografico,
l'attenzione alle varianti è, d'altra parte, ormai dominante,
come appare dall'appendice alla ristampa della Biblioteca sacra di
J. Le Long pubblicata da A. F. Masch a Erlangen (1778-1790 in due
parti e cinque volumi): De ignotis nonnullis antiquissimis hebr.
Textus Editionibus ac critico eorum usu. Accedit de editionibus
hebraeobiblicis Appendix historicocritica ad nuperrimam Bibliothecam
sacram Le Longio-Maschianam (Erlangae 1782; rist. fotogr., Amsterdam
1969). Si tratta di due lavori distinti, il primo dei quali è
una sistematica rilevazione delle varianti contenute in una serie di
edizioni del Vecchio Testamento non registrate nel Le Long-Masch.
Pochi mesi dopo il Programma, per "far meglio conoscere ... tutte le
ricchezze letterarie che destinava a quest'opera" (Mem., p. 43), il
D., descrivendovi 413 manoscritti e 159 edizioni del Vecchio
Testamento in suo possesso, stampò a Parma un Apparatus
hebraeo-biblicus, seu mss. editique codices sacri textus, quos
possedit novaeque variarum lectionum collationi destinat auctor.
Ormai universalmente noto, in quell'anno ricevette l'offerta di una
cattedra di lingue orientali e della carica di bibliotecario
nell'università di Pavia, ma rifiutò, come farà
con altre offerte analoghe (nel 1784 a Madrid come bibliotecario per
le lingue orientali nella Biblioteca reale; nel 1805 a Roma, su
espresso invito di Pio VII).
Nel 1784, avendo la sottoscrizione ottenuto un grande successo,
venne pubblicato il primo volume delle varianti bibliche: Variae
lectiones Veteris Testamenti ex immensa mss. editorumque codicum
congerie haustae, et ad samaritanum textum, ad
vetustissimasversiones, ad accuratiores sacrae criticae fontes
acleges examinatae. I. Prolegomena, clavis codicum, Genesis, Exodus,
Leviticus dedicato a Vittorio Amedeo III dal quale ebbe una pensione
ed una medaglia d'oro. L'anno seguente venne pubblicato il secondo
volume: Numeri, Deuteronomium, Josue, Judices, libri Samuelis ac
Regum; nel 1786, il terzo: Isaias, Jeremias, Ezechiel, XII Prophetae
minores, Canticum, Ruth, Threni, Ecclesiastes, Esther; nel 1788,
infine, il quarto: Psalmi, Proverbia, Job, Daniel, Ezras, Nehemias,
Chronica seu Paralip., Appendix con una Dissertatio praeliminaris de
hujus collationis praestantia, utilitate et usu (pp. III-XXI) che
tratta soprattutto del rapporto con l'analoga opera del Kennicott.
I manoscritti utilizzati (479 per il primo volume) erano, alla fine,
giunti al numero di 617 di cui 134 di altre biblioteche che, con i
579 della collazione del Kennicott, 116 samaritani, nonché le
310 edizioni del D. e le 42 di altre biblioteche, formavano un
totale di 1.698 manoscritti e edizioni di solo testo senza contare
le versioni, i commenti e le fonti di natura diversa. Vengono
riportate le varianti "più interessanti" (Mem., p. 46)
tralasciando gli errori dei copisti e le "minuzie" masoretiche
prendendo a base l'edizione di E. van der Hooght
(Amstelaedami-Ultraiccti 1705) con la traduzione latina e
l'indicazione del manoscritto da cui la variante è tratta.
Nel 1798 il D. pubblicherà un quinto volume (indipendente
dagli altri per non obbligare i sottoscrittori del Programma, che ne
prevedeva quattro, ad acquistarlo) col titolo Scholia critica inV.
T. libros seu Supplementaad varias sacritextus lectiones ove sono
registrate con gli stessi criteri le varianti nel frattempo
individuate in altri 165 mss. acquistati tra il 1788 e il 1798 (v.
Mem., pp. 49-50).
Con la pubblicazione delle Variae lectiones, la fama del D. giunse,
nel mondo dei dotti, al suo apice e la pubblicazione dell'Apparatus
hebraeo-biblicus col catalogo dei manoscritti del suo "gabinetto"
ebbe una risonanza vastissima.
Nel 1785 Pio VI gli fece conoscere il suo desiderio di acquistare la
raccolta per la Biblioteca Vaticana; analoghe richieste gli
perverranno dalla corte spagnola, da Vittorio Amedeo III e, nel
1790, da Carl Eugen, duca del Württemberg.
In ogni caso, il D. intendeva cederla soltanto dopo averne compilato
il catalogo completo e "nelle mani d'un principe che me ne avesse
lasciato l'uso" (Mem., p.86); pertanto, prese col duca di Parma un
impegno in tal senso. Proseguiva, comunque, la sistematica ricerca
di manoscritti e stampati ebraici: in una lettera del 22 ag. 1786
(in Boselli, Cart. bodoniano, p. 229) il Bodoni si felicitava con
lui per "il fausto incontro di acquistare in Milano que' codici che
tanto sospirava di ottenere". Si tratta (lettera del 9 agosto del D.
al Bodoni in Tamani, Cart. D-Bodoni p. 50) di "tutti i codici
ebraici biblici" della biblioteca del conte Carlo Giuseppe di
Firmian (v. Biblioth. Firmiana..., VIII, Mediolani 1783).
L'arricchimento della sua biblioteca lo portò, nel 1795, a
pubblicare un rifacimento del catalogo degli incunaboli ebraici
comparso diciannove anni innanzi, Annales hebraeo-typographici sec.
XV. Descripsit fusoque illustravit auctor, ove sono descritte,
separatamente, 51 edizioni datate 35 non datate e 67 false
(Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 190-197), Continuato, nel 1799 col
catalogo delle edizioni ebraiche nei quarant'anni successivi,
Annales hebraeo-typographici ab anno MDI ad MDXL digesti, notisque
histcriticis ab auctore instructi, con la medesima partizione,
comprendente 292 edizioni datate, 49 senza data e 185 rettificate
(Mem., p. 50, Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 198-200) con la
descrizione di parecchie edizioni stampate a Costantinopoli e nel
Levante (i due volumi sono ristampati insieme con la data di
Amsterdam 1969).
Nel 1800 il D. dette un nuovo saggio di bibliografia ebraica, ma
organizzato, questa volta, tematicalnente: Bibliotheca judaica
antichristiana qua editi et inediti Judaeorum adversus Christianam
religionem libri recensentur (rist. fotogr., Amsterdam 1964) che
comprende la descrizione di 182 opere manoscritte e stampate in
ebraico, giudaico-tedesco, spagnolo e italiano perlopiù in
difesa della religione ebraica: per il D., infatti, "qualunque
scritto nel quale venga ... illustrato il senso letterale di qualche
profezia, è ... un'opera anticristiana" (Luzzatto, in Ugoni,
Lett., pp. 198-200). Nonostante questa indubbia ipoteca teologica,
l'opera rimane un insostituito strumento di lavoro ove è, tra
l'altro, segnalata per la prima volta una opera di Leon da Modena
(n. 16 = ms. Deross. hebr. 1141).
Negli anni immediatamente successivi il D. pubblicò due opere
di grande impegno: un dizionario degli autori ebraici ed il catalogo
dei manoscritti della propria collezione. Nato dall'avvertita
esigenza di fornire uno strumento più maneggevole delle
classiche opere del Bartolocci e del Wolf (pp. III-IV) e contenente
sommarie indicazioni bio-bibliografiche sui singoli autori, il
Dizionario storico degli autori ebrei e delle loro opere venne
pubblicato in due volumi nel 1802 (rist. fotogr., Bologna 1978) ed
ebbe una traduzione tedesca, Historisches Wörterbuch der
jüdischen Schrifisteller und ihrer Werke, a Lipsia nel 1839
(una seconda edizione non reca indicazione di anno), dovuta a C. H.
Hamburger. Nel 1846, sempre a Lipsia, A. Jellinek ne pubblicò
un indice preparato da H. Jolowicz: Ausfürliches Sachund
Namenregister zu de Rossis historischem Wörterbuch der
jüdischen ... Mit onomastischen Bemerkungen (rist. fotogr. con
la trad. ted., Amsterdam 1967). A detta dello Steinschneider (Cat.
Bodl., coll. 2152-2153), la traduzione è "negligentia
excellens". I tre volumi. MSS. codices hebraici bibliothecae J. B.
D. accurate descripti et illustrati. Accedit appendix qua
continentur mss. codices reliqui aliarum linguarum, furono stampati
a Parma nel 1803: vi sono descritti 1-377 manoscritti ebraici e 194
in altre lingue orientali ed europee (III, pp. 160-200) non senza
errori ed inesattezze.
Stampato che fu l'ultimo volume, il D. ne fece tirare a parte il
titolo "con una iscrizione latina a tergo che dava un'idea succinta
del gabinetto ... e lo dichiarava a giuste condizioni vendibile"
(Mem., p. 60). La vendita della biblioteca sarebbe avvenuta soltanto
tredici anni più tardi e il D. continuerà ad
arricchirla e ad illustrarla, ma la stagione dei lavori di grande
respiro può dirsi ormai conclusa: d'ora in avanti, egli si
limiterà ad illustrare singoli manoscritti della sua
collezione, a tradurre testi biblici e a pubblicare manuali
scolastici allargando, però, il suo campo di interessi
all'arabistica.
Il Lexicon hebraicum selectum, quo ex antiquo et inedito R.
Parchonis lexico novas ac diversas variorum ac difficiliorum vocum
significatione sistit J.B.D., pubblicato nel 1805 è una breve
serie di estratti (dai manoscritti deross. hebr. 764 e 1038
già usati per le Variae lect.) di un lessico ebraico
compilato da Salomon Parlion, spagnolo stabilitosi a Salerno, nel
1161 sulla base di opere lessicografiche composte in arabo (Mem.,
pp. 61-62; Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 207-208). Dello stesso
anno è De Corano arabico Venetiis Paganini typis impresso sub
in [eunte] sec. XVI dissertatio (in forma di lettera allo Schnurrer)
su una edizione veneziana del Corano non anteriore al 1530 della
quale veniva posta in dubbio l'esistenza. D'importanza notevole
è la pubblicazione, l'anno seguente, di alcuni estratti (con
trad. lat. parallela) del commento ai Salmi del noto poeta R.
Immanu'el da Roma: R. Immanuelis F. Solomonis Scholia in selecta
loca psalmorum ex inedito eius commentario... con, in appendice (pp.
17-18), l'elenco di 13 opere del poeta. Su Immanu'el, il D. aveva
già lavorato (pur restando tali lavori inediti: ms. par.
3385: Mem., pp. 62-63) possedendo egli ben 22 manoscritti di sue
opere.
L'unico contributo del D. agli studi di arabistica è il
Dizionario storico degli autori arabi più celebri e delle
loro opere, pubblicato a Parma nel 1807 e nato dalla constatata
carenza di opere di tal genere, nonché della scarsa
maneggevolezza della Bibliotheca orientalis di Barthélemy
d'Herbelot (pp. VI-VII). Nel medesimo anno videro la luce due
operette ad uso scolastico, da lungo tempo preparate ed usate per le
lezioni, ma mai stampate (Mem., p. 65): Synopsis institutionum
hebraicarum e Perbrevis anthologia hebraica, complectens sapientiae
laudes et excerpta historiae Josephi (passi tratti dai Proverbi e
dalla Genesi); l'anno successivo, I Salmi di Davidde tradotti dal
testo originale (rist. in "Biblioteca scelta ...", vol. 448 [Milano
1842]): una versione molto aderente al testo con note essenziali
(Mem., p. 66), che è il primo di analoghi lavori pubblicati
negli anni successivi, e Annali ebreo-tipografici di Cremona con la
descrizione di 42 edizioni cremonesi tra il 1556 e il 1586, ultimo
lavoro di tal sorta che il D. abbia pubblicato (Luzzatto, in Ugoni,
Lett., p. 209) essendo rimasto inedito un Dizionario bibliografico
de' libri rari orientali (ms. par. 3447; Mem., pp.67-68). Insieme
con la traduzione dell'Ecclesiaste, L'Ecelesiaste di Salomone
tradotto dal testo originario (rist. in "Biblioteca scelta ...",
vol. 448), condotta con gli stessi criteri, pubblicò nel 1809
Scelta di affettuosi sentimenti di religione verso Dio di Davide
tirati dai Salmi, e le Memorie storiche sugli studi e sulle
produzioni del Dottore G. B. D., ove è tracciato un "quadro
breve, preciso, storico" della sua attività (Mem., pp.
70-74). Distese per soddisfare a richieste di notizie biografiche
rivoltegli da suoi conterranei, le Memorie rappresentano la fonte
essenziale, e perlopiù unica, per la ricostruzione della vita
del D. (da essa, in effetti, dipendono interamente tutte le notizie
posteriori), ma poco o nulla lasciano trasparire dell'atteggiamento
che egli assunse nei confronti delle vicende del suo tempo, sotto il
profilo sia politico sia ecclesiastico ricco di tensioni e di
contrapposizioni. Il D. visse a stretto contatto con uomini che,
come il Paciaudi, presero apertamente posizione a favore del
giurisdizionalismo e tenne assidua corrispondenza con uomini che,
come l'Amaduzzi, passarono per "giansenisti", ma su tutto ciò
le Memorie tacciono rigorosamente; né dalla poche lettere
pubblicate si ricava alcunché a tal riguardo. Nelle Memorie
sono, invece, denunciati gli incomodi dell'età ormai
avanzata, ed è esternato il proposito di non più
intraprendere lavori nuovi e di lasciare "l'impiego pubblico che
debolmente io copro da quarant'anni (ibid., p. 71).
In questa prospettiva si comprende meglio la determinazione di
conchiudere la vendita del "gabinetto" e, nel 1811, trattative a tal
fine corsero tra il D. e la Biblioteca Ambrosiana come ci testimonia
una lettera a carattere ufficioso del Mai (che era stato suo
allievo) del 22 gennaio di quell'anno. La transazione non ebbe
luogo, nonostante che il Bugati avesse personalmente offerto una
considerevole somma, perché la Biblioteca si trovava, al
momento, gravata da altre spese (Gervasoni, Mai, Cicconi e D., pp.
205-207). In quell'anno, il D. pubblicò Dell'origine della
stampa in tavole incise e di un'antica edizione zilografica e un
Compendio di critica sacra, dei difetti e delle emendazioni del
sacro testo e piano d'una nuova edizione (ristampati in "Biblioteca
scelta...", vol. 447); l'anno successivo, in vista della vendita,
vide la luce il catalogo degli stampati della sua biblioteca: Libri
stampati di letteratura sacra, ebraica ed orientale della biblioteca
del dottore G. B. D., divisa per classi, nella cui premessa
accennava all'indebolimento della vista e all'impossibilità
di tenere una corrispondenza. Nonostante ciò, proseguì
nella pubblicazione delle traduzioni bibliche: del 1812 è Il
libro di Giobbe tradotto e, dell'anno successivo, ITreni di Geremia
tradotti dal testo originale (ristampati col precedente e con I
Proverbi di Salomone in "Biblioteca scelta ...", vol. 448). L'anno
ancora successivo, pei tipi del Blanchon stampò un Omaggio di
religione e di riconoscenza consacrato alla memoria degli antenati
e, nel 1816, una Introduzione alla lingua ebrea, della importanza di
questo studio e della maniera di ben istituirlo e IProverbi di
Salomone tradotti dal testo originale. Da tali pubblicazioni si
ricava che egli era diventato preside della facoltà
teologica.
Nel 1816 ebbe luogo la vendita della biblioteca; il 13 giugno, il D.
sottoscrisse l'atto di cessione, e Maria Luigia l'atto di
accettazione e di acquisto. La transazione avvenne per la somma di
100.000 franchi, 3.000 dei quali "a capitale spento" per
l'accensione di un vitalizio. Maria Luigia fece dono della raccolta
alla Biblioteca di Parma facendone partecipe il bibliotecario, A.
Pezzana, e lo stesso D. e disponendo per la costruzione di
un'apposita sala.
Nel 1817, comparve una Introduzione alla Sacra Scrittura che
comprende le prenotazioni più importanti relative ai testi
originali e alle loro versioni, stampata dalla tipografia ducale, e,
due anni più tardi, una Sinopsidella ermeneutica sacra o
dell'arte di ben interpretare la Sacra Scrittura (rist. con la
precedente in "Biblioteca scelta ...", vol. 447), ove il D. è
qualificato "Preside della Facoltà Teologica e Riformatore
del Magistrato Supremo dell'Università di Parma".
Chiesto ed ottenuto il collocamento a riposo, il 29 dic. 1821 venne
nominato professore emerito ed onorario e fatto cavaliere
dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio. Le sue forze declinavano
lentamente. Pubblicò ancora, nel 1826, I Salmi penitenziali
tradotti dal testo originale e, nel 1828, l'ultima sua opera:
Osservazioni sopra i Salmi di Davidde tradotti dal testo originale.
Si spense a Parma il 23 marzo 1831. Fu sepolto nel cimitero pubblico
di Parma. Sulla sua tomba venne posto un busto eseguito da G. Carra
nel 1826 ed una epigrafe dettata dallo stesso D. e completata dopo
la sua morte (la si veda in Bertolotti, Passegg., p. 514).
Dell'opera del D. non è mai stata tentata una valutazione
complessiva. Soltanto il Luzzatto, discorrendo del Dizionario
storico degli autori ebrei, in alcune osservazioni di carattere
più generale, coglie l'intrinseca debolezza del suo
contributo scientifico ed il rapporto in cui questo si pone con la
Wissenschaft des Judentums della prima metà del XIX sec.:
"Invece ... di tante minuziosità intorno ai luoghi e agli
anni in cui i libri furono stampati, sarebbe stata desiderabile una
critica più profonda, che con occhio filosofico sapesse
internarsi nel merito intrinseco degli autori e dei libri" (Ugoni,
Lett., pp. 202-203). In effetti, se il D. può esser visto
come lo studioso che ha aperto la via alla Wissenschaft des
Judentums dall'altro è fuori dubbio che la sua opera va
nettamente distinta da quella di uno Zunz, di un Rapaport o di uno
Steinschneider, i quali, introducendo nello studio delle fonti
ebraiche il concetto di sviluppo, le hanno per la prima volta
considerate in una prospettiva propriamente storica.
Tale prospettiva è, nel D., totalmente assente, sia nello
studio degli autori ebraici, per i quali non va oltre la descrizione
di manoscritti e stampati, sia nel più impegnativo studio del
testo stesso del Vecchio Testamento al quale ha pur dato un
contributo considerevolissimo con la sua raccolta delle Variae
lectiones. Se, infatti, nel De praecipuis caussis aveva preso le
distanze da posizioni schiettamente dogmatiche, non per questo
saprà poi affrontare il problema della composizione del
Pentateuco e degli altri libri veterotestamentari, né
considererà in una prospettiva realmente filologica il
problema del testo stesso del Vecchio Testamento, per il quale la
scoperta della siro-esaplare aveva pur aperto prospettive nuove. Il
suo limite più immediatamente evidente, bene sottolineato dal
Luzzatto, è quello di non aver quasi mai spinto la sua
attenzione al di là della propria, pur eccezionale,
collezione di manoscritti stampati: per tale ragione, anche sul
piano della bibliografia, la Wissenschaft des Judentums lo
sorpasserà di molto. Fu e restò un uomo del XVIII
secolo e come tale va compreso e valutato.