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Diplomatico italiano (Bologna 1867 - ivi 1929); fu ministro
plenipotenziario a Sofia (1910-13) e ad Atene (1913-18),
ambasciatore in Brasile (1918), governatore di Rodi (1921-22) e
ambasciatore a Berlino (1922-26). Scrisse: Delle guerre balcaniche,
della grande guerra e di alcuni fatti precedenti ad esse: appunti
diplomatici (1928).
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DBI
di Vincenzo Clemente
Nacque a Bologna il 10 maggio 1867 da Gerolamo e da Eleonora Ajucchi
Legnani, rappresentante di una famiglia di origine albanese alla
quale erano stati riconosciuti i titoli di nobiltà di Ragusa
e di Ancona ed il titolo comitale del S. R. Impero. Laureato in
giurisprudenza nell'università di Bologna il 21 giugno 1888,
il 15 febbr. 1891 fu nominato volontario per gli impieghi di prima
categoria al ministero degli Affari Esteri in seguito ad esame di
concorso.
Destinato a Berna in qualità di addetto di legazione (21
genn. 1892), fu poi trasferito ad Atene (20 genn. 1893) ed a Londra
(22 febbr. 1895); segretario di legazione di seconda classe dal 22
apr. 1897. venne destinato a Berlino dal 3 apr. 1898. Fu segretario
particolare del ministro degli Esteri E. Visconti Venosta nel 1899,
quindi trasferito a Madrid 01 marzo 1900) ed all'Aia (17 ag. 1901):
qui resse la legazione dal 22 gennaio al 1° marzo 1902.
Segretario di legazione di prima classe dal 28 giugno 1903, fu
agente del governo presso la Corte arbitrale dell'Aia nel
contenzioso per i reclami contro il Venezuela. Trasferito a Madrid
il 4 marzo 1904, quindi a Londra il 7 dic. 1905, si trovò a
reggere questa ambasciata dal 24 maggio all'11 sett. 1906 e poi
ancora nel 1908 e nel 1909 in assenza dell'ambasciatore marchese
Antonino di San Giuliano.
Cavaliere (18 giugno 1899), ufficiale (17 genn. 1904), commendatore
(10 nov. 1910) e quindi grand'ufficiale della Corona d'Italia (27
maggio 1917), fu creato cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (24
maggio 1906), quindi ufficiale (3 giugno 1903) e commendatore (4
genn. 1914) di quest'Ordine. Venne nominato consigliere di legazione
di seconda classe (5 maggio 1907), e di prima classe (19 giugno
1908).
Nel volume Delle guerre balcaniche, della grande guerra e di alcuni
fatti precedenti ad esse (appunti diplomatici), Milano 1928 (seconda
ed. nel 1931), raccolse memorie della propria attività dal
1908 al 1918, incentrando l'attenzione sulla crisi nello scacchiere
danubiano-balcanico, della quale era stato testimone e partecipe
prima da Budapest, poi da Sofia - nel periodo della impresa libica e
delle guerre balcaniche -, quindi in Atene dal febbraio 1913 al
maggio 1918; infine come rappresentante del nostro ministero degli
Esteri nella commissione per i prigionieri di guerra.
I primi allarmanti sintomi di crisi del concerto delle sei grandi
potenze e di immediata minaccia della pace europea sarebbero stati
dal D. sperimentati a Londra dal 1908 in occasione dell'annunciato
progetto ferroviario Uvac-Mitrovica, che Vienna aveva contrattato
con Costantinopoli al di fuori del concerto europeo e che avrebbe
costituito un collegamento diretto tra Germania ed Impero ottomano
attraversando il sangiaccato di Novi Bazar, nella direzione della
città greca di Salonicco.
Registrava al tempo stesso certa grave mancanza di un organico
disegno e di consequenzialità nella politica britannica di
sir Edward Grey, che avrebbe in seguito assai nuociuto alla condotta
della guerra, specie nei Balcani, dove la politica francese
eserciterà continue prevaricazioni ai danni della
neutralità greca. L'anno seguente (1909), riprendendo la
direzione dell'ambasciata di Londra, si era trovato a dover fare
fronte alla nuova crisi provocata dall'improvvisa annessione
austriaca della Bosnia Erzegovina e all'accresciuta tensione
austro-serba che ne conseguiva. La politica britannica - scriveva il
D. - oscillava in questa fase fra l'affermazione di principio
secondo cui ogni violazione del trattato di Berlino (dell'art. 29 in
specie) dovesse essere emendata solennemente e con adeguati compensi
alle parti sia pure indirettamente lese, e l'esigenza concreta di
conservare a ogni costo la pace (cfr. Delle guerre balcaniche…, p.
18).
Trasferito a Budapest con patente di console generale (24 maggio
1909), operò nella capitale ungherese fino all'autunno 1910.
Vi rilevava fra l'altro l'attività dei console generale
francese L.-G. de Fontenay, che, guidato dall'idea fissa della
penetrazione germanica in Ungheria, vi contrapponeva una propaganda
francese attraverso la Revue de Hongrie da lui fondata. Nonostante
le tensioni interne al sistema dualista dell'Impero asburgico e le
rimostranze ungheresi, il D. era convinto che l'interesse ad
assicurare il predominio di Tedeschi e Magiari sulle
nazionalità slave e sulle etnie minori dell'Impero legava
indissolubilmente le due nazionalità egemoni. Distingueva
tuttavia il proprio atteggiamento da quello decisamente austrofilo
dell'ambasciatore italiano a Vienna G. Avarna duca di Gualtieri, che
in questo periodo egli aveva frequente occasione di ncontrare a
Vienna.
Il D. riteneva allora che la monarchia asburgica, sia pure
modificata, dovesse mantenersi, e che su di essa e sulla Bulgaria la
nostra politica balcanica dovesse fondarsi. Il ministro degli Esteri
Aehrenthal lo insigniva nel 1910 dei gran cordone dell'Ordine di
Francesco Giuseppe in segno di riconoscenza "per avere compreso
esattamente la natura dei rapporti che dovevano esistere fra
l'Italia e la monarchia austro-ungarica".
Trasferito a Sofia con credenziali di inviato straordinario e
ministro plenipotenziario (20 maggio 1910), trovava la politica
bulgara dominata dalla personalità del re Ferdinando.
Dietro le ambiguità dell'atteggiamento di questo, sempre
molto attento a dissimulare la direttiva della propria politica
estera, in specie nei confronti della Russia, il D. non aveva
tardato a scoprire una completa adesione all'Austria-Ungheria,
fondata su un trattato segreto del 1898. Riteneva che a tale
politica l'Italia non dovesse opporsi, ma anzi procurare di
congiungersi per creare un blocco austro-italiano attorno alla
Bulgaria, la cui egemonia nei Balcani riteneva la meno pericolosa
per l'Italia. Tali idee, trasmesse confidenzialmente al San
Giuliano, trovarono l'ambasciatore a Vienna G. Avarna fortemente
critico in quanto, dando credito a notizie a suo avviso poco fondate
e tendenziose, ipotizzavano una politica separata
dell'Austria-Ungherià in Bulgaria suscettibile d'intorbidare
i rapporti italo-austriaci. L'interesse della questione si sarebbe
reso in seguito evidente in occasione dei disgraziati tentativi per
ottenere l'allineamento della Bulgaria nell'Intesa.
Il D. non prestava invece credito alle notizie, che pure gli
pervenivano con anticipo e da parti diverse, circa le convenzioni
stipulate fra gli Stati balcanici tra febbraio e settembre 1912,
preludenti alla guerra della costituita lega balcanica contro la
Turchia.
La lega si avvantaggiava della crisi prodotta dall'aggressione
italiana all'Impero ottomano nella propaggine libica. Ma la
diplomazia italiana era in questo momento ispirata a un rigoroso
contenimento della crisi libica e quindi contraria a un
coinvolgimento balcanico suscettibile di precipitare una crisi
generale. La pace di Losanna poneva dunque fine alla guerra
italo-turca nei primissimi giorni di guerra nei Balcani.
Per suo conto, il D. aveva ritenuto opportuno avvalersi della buona
conoscenza stabilita a Sofia con Assim Bey, ora ministro degli
Esteri turco, per tentare nella prima metà del 1912 una
mediazione che concludesse il conflitto libico. Ne otteneva dal
ministro turco interessanti offerte che comunicava personalmente al
San Giuliano ed a Giolitti nel giugno 1912. Ma Giolitti non intese
servirsi del suo tramite.
Trasferito ad Atene con medesime credenziali di plenipotenziario, vi
giungeva il 26 febbr. 1913.
Le relazioni con l'Italia erano allora fortemente pregiudicate
dall'occupazione italiana delle isole del Dodecanneso; ed ancor
più a causa dei territori del Nord Epiro rivendicati dalla
Grecia nei confronti dell'Albania: rivendicazione questa cui
l'Italia si opponeva in vista di ipoteche italiane sul territorio
albanese. Le tensioni italo-greche erano accompagnate da una
violenta campagna di stampa e boicottaggio greco delle merci
italiane. La posizione italiana era di assoluto isolamento, tanto
più che la Germania manovrava segretamente per attrarre la
Grecia nella Triplice Alleanza.
Nei mesi immediatamente successivi al suo arrivo, il D. partecipava
alla attività di mediazione collettiva delle sei grandi
potenze per la pace tra Grecia e Turchia. Seguiva al tempo stesso il
deteriorarsi dei rapporti serbo-greco-bulgari, in specie per la
divisione dei territori di Tracia e Macedonia: contrasti che
avrebbero provocato la seconda guerra balcanica. Al primo ministro
Venizelos, venuto a salutarlo in partenza per la conferenza della
pace di Bucarest (fine luglio 1913), il D. comunicava la direttiva
ufficiale italiana favorevole ad un equilibrio balcanico, esclusa
ogni idea di egemonia.
Lo scoppio della grande guerra nei Balcani dava in un primo momento
nuovo impulso al movimento di liberazione epirota e ad una
occupazione greca dell'Epiro settentrionale, sia pure indicata come
provvisoria e dettata da motivi puramente militari. All'inizio di
gennaio del 1915 Venizelos proponeva, in caso di dissolvimento
dell'Albania, una spartizione con l'Italia ed acquisizioni ancora
più ampie per la Grecia, cui Sonnino non intese consentire. A
frenare l'occupazione di territori albanesi provvedevano in questo
periodo i rappresentanti dell'Intesa, interessati a determinare
l'atteggiamento italiano nella guerra, con una perentoria
dichiarazione diretta a Grecia, Serbia e Montenegro a termine della
quale il territorio albanese sarebbe stato ulteriormente delimitato
alla fine della guerra d'accordo con l'Italia.
Una prima fase della politica dell'Intesa ad Atene dopo lo scoppio
della grande guerra fu determinata dal tentativo di attrarre la
Bulgaria promettendole l'assegnazione del territorio di Cavalla da
togliersi alla Grecia, che sarebbe stata indennizzata con territori
turchi in Asia Minore. Contro tale politica di manomissione del
proprio territorio la Grecia protestò violentemente in una
nota del 13 ag. 1915. Il D., che aveva ritenuto vano il tentativo
dell'Intesa, basato sul presupposto del fermo allineamento bulgaro a
fianco degl'Imperi centrali, intuì che conseguenza di tale
erronea politica era l'allontanamento della Grecia dai suoi alleati
naturali - cioè dall'Intesa - per oltre due anni; e che il
tardivo recupero della Grecia sarebbe poi avvenuto a prezzo di una
rivoluzione - quella franco-venizelista - "fatta d'inganni e di
soprusi". Intanto, la bulgarofilia dell'Intesa produceva per
reazione in Grecia una corrente germanofila, la quale assumeva toni
fortemente antitaliani in occasione dell'uscita dell'Italia dalla
neutralità.
Sul radicale presupposto della impossibilità di un
désistement greco nei confronti dell'Italia il D. suggeriva a
Roma disinteresse a una politica di alleanza, giungendo a ipotizzare
un blocco delle coste e una occupazione di isole in via di
prevenzione contro un neutro malfido. Aveva pero il sopravvento la
direttiva dell'Intesa di attrarre a ogni costo la Grecia appoggiando
il partito venizelista. La presenza del D. ad Atene durante quasi
tutta la grande guerra avrebbe dato voce e continuità ad una
divaricazione tra la politica italiana e quella franco-britannica
nello scacchiere balcanico, che venne progressivamente accentuandosi
con il prevalere delle direttive francesi. L'atteggiamento del D.,
che ottenne stabile avallo da parte di Sonnino e del governo fino
alla seconda metà del 1917, e si esplicò nel
contrastare la politica francese dei generali Serrail e Caboue che
tendevano a porre la Grecia in stato di virtuale occupazione
attraverso un controllo militare e politico generalizzato.
Sollecitava in più occasioni la presenza militare italiana a
fianco di quella francese, ad impedire l'assoluta predominanza di
questa; ed in altri casi dissociava l'Italia da note minacciose e
ricattatorie intese a piegare la neutralità ellenica.
Certa ambiguità derivava alla politica greca dal
convincimento di re Costantino che la potenza germanica fosse
largamente preponderante. Inoltre la Germania aveva garantito
l'integrità territoriale greca alla sola condizione che
questo Stato si mantenesse neutrale. La politica delle cosiddette
potenze protettrici culminava nel giugno 1917 costringendo re
Costantino ad abdicare a favore del figlio secondogenito Alessandro
e con il reinsediamento di Venizelos a capo dei governo. Seguiva sul
piano internazionale l'immediata rottura delle relazioni
diplomatiche con il blocco germanico.
Dalla metà d'agosto del 1917 il D. aveva intanto registrato
un evidente afflevolimento nella politica greca, del governo
italiano. Ne chiedeva ragione a Sonnino in un colloquio a dicembre,
e ne apprendeva che dopo Caporetto la dipendenza italiana dagli
alleati era divenuta totale. In tali circostanze, il D. riteneva la
propria missione in Grecia esaurita e chiedeva al ministro il
richiamo. Ma questo non poteva realizzarsi prima della fine dei
maggio successivo. Particolarmente significativo era il colloquio di
congedo avuto con Venizelos il 24 maggio 1919 (Delle guerre
balcaniche..., pp. 209-213). Il re Alessandro gli rimetteva il gran
cordone dell'Ordine dei Salvatore.
Chiamato a rappresentare il ministero degli Esteri nella commissione
per i prigionieri di guerra, il D. era investito della questione
delle "legioni straniere" da costituire con i prigionieri delle
singole "nazionalità oppresse" dell'Impero asburgico:
politica funzionale alla dissoluzione di questa monarchia e
vigorosamente sostenuta dal ministro socialriformista L. Bissolati;
nei cui confronti il D. appoggiava tuttavia le notevoli
perplessità e prudenze di Sonnino in considerazione della
varietà di atteggiamenti tra quelle nazionalità e
dell'antagonismo tra gl'intenti di guerra italiani e quelli di molte
di esse. Fu quindi presidente della delegazione italiana nella
conferenza italoaustriaca di Berna sul trattamento dei prigionieri
di guerra, terminata il 21 settembre con la firma di una positiva
convenzione.
Destinato a Rio de Janeiro con credenziali di ambasciatore (3 ott.
1918), fu il primo ambasciatore d'Italia in Brasile. Riceveva le
insegne di grand'ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro (8 giugno
1919) e di gran cordone della Corona d'Italia. Governatore di Rodi e
di Castelrosso con nomina del 26 giugno 1921, fu quindi destinato a
Berlino con credenziali di ambasciatore straordinario e
pienipotenziario (10 nov. 1922), rimanendovi fino al marzo 1926.
Attraverso l'ambasciata di Berlino passavano in questo periodo i
contatti segreti avviati da Mussolini con gli ambienti nazionalisti
e di estrema Destra tedeschi, che, già allacciati nel
settembre 1923 dal D., furono ufficiosamente continuati fra gli
altri dal gen. L. Capello nel febbraio-marzo 1924. Né
mancarono contatti con gli analoghi ambienti bavaresi di Hitler, e
dichiarazioni da parte di questi di essere disposti ad accantonare
l'irredentismo tirolese in cambio di un appoggio italiano.
Nello stesso periodo Mussolini aveva anche concepito di assicurarsi
l'appoggio della Germania nel caso di un conflitto italo-iugoslavo
cui avesse partecipato la Francia. All'origine di questa idea vi
erano alcune dichiarazioni fatte da Stresemann al D. e subito
considerate da Mussolmi con particolare interesse, tanto da
incaricare l'ambasciatore di accertame l'effettiva
disponibilità. Successivi contatti chiarivano tuttavia che i
Tedeschi non consideravano possibile assumere una netta posizione in
caso di conflitto italo-francese: opinione del resto condivisa dallo
stesso D. in considerazione della debolezza morale e politica di
quello Stato (Toscano, p. 352).
Alla svolta del 1925 fu al centro della diplomazia europea il
problema della sicurozza, ed in esso fondamentale per l'Italia la
questione del minacciato Anschluss dell'Austria alla Germania. Fra i
collaboratori di Mussolini il D. non si dimostrava particolarmente
sensibile all'ipotesi di riconsiderare le linee maestre della
politica estera italiana di fronte alla indisponibilità
britannica a concedere per le frontiere meridionali ed orientali
della Germania le medesime garanzie previste a Locarno per le
occidentali. "Spalleggia ed aizza" anzi Mussolini in dissenso con S.
Contarini, favorevole questi alla partecipazione al patto di
garanzia renana (Carocci, p. 42). Riscuoteva invece l'approvazione
del "germanofilo" D. (Moscati) l'atteggiamento cauto ma non malevolo
tenuto dal governo italiano nell'elezione presidenziale di
Hindenburg, mentre C. Romano Avezzana segnalava il pericolo in
Europa di una forte Germania revanchista e l'opportunità
quindi di abbandonare la carta tedesca.
Ambasciatore a pieno titolo dal 31 dic. 1923; cavaliere di onore e
devozione dei S. M. Ordine di Malta (novembre 1925), compiva la
propria attività a Berlino nel marzo 1'926 con il
collocamento a riposo.
Autore di studi di storia e di politica estera apparsi nella Nuova
Antologia, Rassegna nazionale, Politica, Rivista d'Italia, ecc.,
pubblicò dopo il collocamento a riposo, oltre al cit. Delle
guerre balcaniche..., Studi di letterature straniere (Bologna 1929).
Morì a Bologna il 12 maggio 1929.