Opere di Benedetto Croce


www.parodos.it

Filosofia dello spirito

È l'opera fondamentale del pensiero crociano (il suo titolo completo è Filosofia come scienza dello spirito); consta di quattro volumi, pubblicati dal 1902 al 1917.

Il primo volume (Estetica come scienza dell'espressione. Teoria e storia e linguistica generale, pubblicato nel 1902) tratta del primo grado della attività teoretica, l'intuizione del particolare da cui scaturisce l'arte. La conoscenza intuitiva è indipendente dalla conoscenza intellettuale, in quanto l'una è "conoscenza dell'individuale", mentre l'altra è "conoscenza dell'universale". Il fatto estetico o artistico si identifica con l'intuizione che è di tutti gli uomini: l'uomo è per sua natura poeta ed è sempre cosciente anche quando manca della riflessione critica e storica. L'opera d'arte è unità indivisibile di intuizione e di espressione, di forma e di contenuto, è"unità nella varietà". Il concetto non è possibile senza l'intuizione, perciò la scienza è congiunta all'arte, come la prosa alla poesia. Al di fuori di queste non c'è alcuna altra forma di conoscenza: la stessa conoscenza storica che è rivolta ai particolari è da ricondurre a quella intuitiva. Scienza dell'universale è la filosofia dello spirito, mentre le scienze naturali sono "astrazione e arbitrio". Sono inaccettabili le teorie che fanno dell'arte una rappresentazione del verosimile, o un'imitazione della natura, un'esposizione di idee, o una dimostrazione di tesi o di tipi, un'allegoria, e che distinguono diversi generi letterari e artistici: quest'ultima partizione ha solo un valore pratico. Attività teoretica (di cui fanno parte la conoscenza intuitiva e quella intellettiva) e attività pratica dello spirito sono in relazione. "L'attività pratica è la volontà", in quanto determina l'azione: "Con l'attività teoretica l'uomo comprende le cose, con la pratica le viene mutando"; ma la prima è la base della seconda. Quindi l'arte è indipendente da qualsiasi attività pratica ed esclude qualsiasi fine (pratico) e qualsiasi scelta (pratica) del contenuto, che quindi non può essere giudicato da un punto di vista pratico (per esempio morale). Anche l'attività pratica si distingue in due momenti: quello economico, che vuole "un fine" particolare e quello morale che vuole "il fine" razionale, universale. Nell'attività morale "lo spirito vuole se stesso";"l'universale ch'è nello spirito empirico è finito", "l'assoluta libertà".
Queste quattro forme dello spirito escludono qualsiasi altra forma spirituale: il diritto, la religiosità e la metafisica.

L'arte è indivisibile, perciò non esistono diversi modi di espressione. Per questo motivo è impossibile una vera e completa traduzione. Tanto meno valgono le categorie retoriche, che hanno solo un significato empirico. Cade così anche la disputa tra classicismo e romanticismo. Il romanticismo si dice fondato sul sentimento; ma il sentimento si identifica con l'attività economica e può essere concomitante a ogni altra forma di attività senza sostituirvisi. Il sentimento estetico è quello che accompagna l'intuizione del bello cioè l'"espressione riuscita". Il bello non si identifica col piacevole, non col"simpatico", non con il"bello fisico". Il bello nell'atto stesso in cui è intuito è espresso, ma poi interviene la volontà di comunicarlo e qui occorre la conoscenza di tecniche adatte a questo scopo. Il giudizio estetico coincide con la riproduzione estetica e il gusto, che giudica con il genio che crea. La storia letteraria e artistica è "un'opera d'arte storica, sorta sopra una o più opere d'arte".

La prima parte dell'opera si conclude con l'identificazione di estetica e linguistica, in quanto questa ha "per oggetto l'espressione che è per l'appunto il fatto estetico".

Nella seconda il Croce espone la storia dell'estetica. Il pensiero estetico del Croce, che venne integrato in altre opere (Breviario di estetica, Aesthetica in nuce, La poesia), ebbe un'importanza storica notevole perché influenzò tanta parte della critica estetica successiva. Il secondo volume (Logica come scienza del concetto puro, pubblicato nel 1909) studia il secondo momento dell'attività teoretica dello spirito, quello della conoscenza intellettiva o concetto. Questo non è intuizione, non è finzione utile, non è rappresentazione, ma è ultrarappresentativo, universale e concreto, esprime la realtà nella sua pienezza e nella sua vitalità. Non va confuso con gli pseudoconcetti, che hanno soltanto funzione pratica e nei quali universalità e concretezza si scindono, per cui sono "finzioni concettuali" con fini pratici (perciò fanno parte dell'attività pratica), dei quali si servono le scienze naturali (pseudoconcetti empirici, concreti ma particolari) e quelle matematiche (pseudoconcetti universali ma astratti). Il concetto universale concreto o puro non può essere confuso con la rappresentazione; perciò cadono le dispute tra realismo e nominalismo, basate appunto sul valore rappresentativo del concetto e tutte le altre dispute sulla sua origine e significato. I concetti, distinti nella loro unità, coincidono con le forme (o distinti) dell'attività spirituale: bello-vero-utile-bene; essi possono convertirsi in pseudoconcetti quando arbitrariamente vengono astratti per ragioni pratiche; il loro rapporto è circolare dialettico; in ciascuno di essi si risolve l'opposizione in quanto "l'opposto non è positivo, ma negativo, e, come tale, accompagna il positivo";"gli opposti non sono concetti, ma l'unico concetto stesso"e solo astrattamente possono essere distinti: il male non esiste come opposto al bene, ma solo come altro rispetto al bene, cioè come appartenente a un altro momento dello spirito (per esempio all'attività economica). Il pensiero e il linguaggio sono distinti, ma in rapporto dialettico, così come il giudizio e la proposizione. Il giudizio logico è la definizione, che costituisce l'unità inscindibile di un soggetto e di un predicato, non può essere pensato indipendentemente dal suo contenuto. Il giudizio definito-rio, cioè il concetto puro, pur essendone distinto si identifica col giudizio individuale in quanto è "reale l'esistenza dell'elemento storico nelle definizioni apprese nella loro concretezza"; in questo senso esso è un giudizio storico, una sintesi a priori logica di distinti. Viene così ribadita l'unicità del concetto, che rifiuta qualsiasi elenco di categorie, qualsiasi distinzione in metafisica e filosofia, in filosofia razionale e filosofia reale, in filosofia e logica.

Nella seconda parte dell'opera il Croce identifica la filosofia, che è logica, con la storia, per la necessità dell'elemento storico (giudizio individuale) alla formulazione del concetto (giudizio definitorio). Riafferma invece il carattere semplicemente pratico delle scienze naturali e della matematica.

Nella terza parte considera l'errore come negatività: l'errore che ha esistenza non è errore perché non è negatività, ma qualcosa di positivo, un prodotto dello spirito che, essendo privo di verità, non fa parte dell'attività teoretica ma di quella pratica, nella quale non è un errore. L'errore logico sta quindi nel combinare "sconciamente" il concetto puro (filosofia) con la pura rappresentazione (arte) o col concetto empirico o astratto delle scienze, oppure nello scindere la sintesi a priori logica in cui esso consiste. L'autore passa poi a esaminare i principali errori nella storia della filosofia.

Nella quarta parte espone una storia della logica e della filosofia. In questa opera il sistema filosofico di Croce appare ormai come completamente delineato nelle sue caratteristiche idealistiche; le due opere successive non faranno che sviluppare, chiarendoli, gli stessi temi.

Il terzo volume (Filosofia della pratica Economia ed Etica, pubblicato nel 1908) esamina i due momenti dell'attività pratica dello spirito, quello economico o volizione del particolare, e quello morale o volizione dell'universale. L'attività pratica è una forma dello spirito distinta dalla attività teoretica; non esiste una terza attività, quella del sentimento. Con il sentimento si indica impropriamente l'intuizione o il concetto puro, quando questi non sono chiaramente definiti. L'attività teoretica precede quella pratica, ma nell'unità dello spirito esse sono compresenti, nel senso che l'atto pratico richiede la conoscenza storica, per cui "azione è conoscenza e volontà è sapienza, cioè ... volere ed operare ... presuppongono conoscere e sapere". I concetti e i giudizi pratici sono posteriori all'azione. Nell'azione concreta intenzione e volizione coincidono, come, nell'estetica, coincidono intuizione ed espressione; però bisogna distinguere tra volizione e successo o accadimento, e quest'ultimo non testimonia il valore intrinseco all'azione. All'atto volitivo consegue il giudizio pratico, che è un giudizio storico, in quanto ciò che è accaduto viene collocato nella categoria pratica che gli è propria. Poiché volizione e azione coincidono, coincidono anche la libertà del volere e la libertà dell'azione: l'atto volitivo "è necessitato e libero insieme", perché nasce in una situazione storica determinata, ma produce qualcosa di nuovo. La libertà non è quindi arbitrio ed è il bene. Il male è la sua antitesi, la non libertà. L'individuo è sollecitato da una molteplicità di volizioni che "genera il momento dell'arbitrio, della contraddizione, del male". L'attività pratica consiste nella"volizione che vince le volizioni"; essa si realizza nell'individuo che progredisce continuamente, così come la realtà nel suo complesso è"un continuo crescere su se stessa". L'attività teoretica e quella pratica sono nella realtà (spirito) in rapporto circolare, cioè l'una condiziona l'altra.

Nella seconda parte dell'opera vengono distinte le due forme dell'attività pratica: l'economia e l'etica. La prima è volizione di fini individuali, la seconda di fini universali. Vengono poi criticate le teorie morali fondate sull'utile, che è invece amorale e premorale. Economia ed etica sono due gradi dell'attività pratica. La filosofia dell'economia non va confusa con la scienza dell'economia, che è utile, ma ha carattere matematico e non filosofico. Ogni morale che non faccia coincidere la forma etica con l'attuazione dello spirito in universale non è morale, ma deve essere ricondotta ad altre forme dello spirito. Nella terza parte si tratta della legge, che è "atto volitivo che ha per contenuto una serie o classi di azioni"ed è un prodotto dell'individuo. È falsa ogni distinzione tra leggi giuridiche, sociali o altre. Le leggi sono sempre imperative, mutevoli per il loro contenuto contingente; non esiste un codice eterno o un diritto naturale; esse non devono essere confuse con i principi pratici, che vogliono l'universale.

Ognuna delle tre parti del volume si conclude con interessanti annotazioni storiche. In quest'opera Croce definisce il rapporto tra i quattro gradi dello spirito ed enuncia un concetto, che lo guiderà anche in campo storiografico e nel ripensamento della sua estetica: la coincidenza del bene universale con la libertà.

Il quarto volume (Teoria e Storia della storiografia, pubblicato nel 1917), esamina la storia come processo dello spirito. La storia è sempre contemporanea, perché "solo un interesse della vita presente ci può muovere ad indagare un fatto passato, il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde ad un interesse passato ma presente". La storia passata è cronaca: "La storia è la storia viva, la cronaca la storia morta ... La storia è precipuamente un atto del pensiero, la cronaca un atto di volontà". Diverse sono le pseudostorie: quella filologica, quella poetica, l'oratoria o retorica, ma l'unica vera storia è quella dell'universale, in quanto il suo soggetto è lo spirito (non però lo spirito empirico, individuale, ma quello universale). È storia dell'universale, ma non è "storia universale", perché non presume di ridurre in un unico quadro tutti i fatti del genere umano, è "conoscenza dell'eterno presente"e perciò si identifica con la filosofia. In questo modo la filosofia diventa metodologia della storia, cioè ricerca dei concetti puri concreti nella storia. Lo spirito si identifica con lo svolgimento storico, che si attua nei concetti puri universali concreti che sono oggetto della filosofia; perciò realtà, spirito, storia, filosofia coincidono. Non è perciò possibile una filosofia della storia, che "rappresenta la concezione trascendente del reale", così come una falsa concezione immanente del reale genera il determinismo storico: l'una e l'altra "abbandonano la realtà della storia". La storia non va giudicata con giudizi morali, è sempre positiva e non muore mai, in quanto è continuo processo. Essa è "opera dell'uomo", "prodotto dall'intelletto e dal volere umani", perciò la storia è "umanistica", nel senso che è "lo spirito eternamente individuantesi". Tutti i fatti sono storici in quanto pensati, cioè se non sono solo oggetto di erudizione. In questo volume è chiaramente definito quello storicismo, di derivazione idealistica e vichiana, consistente nell'identificazione realtà spirito-storia, al quale Croce rimarrà costantemente fedele.

*

Wikipedia

Opere di B. Croce

L'opera Teoria e storia della storiografia è una raccolta di brevi testi che Benedetto Croce aveva già pubblicato in riviste filosofiche specializzate italiane tra il 1912 e il 1913.
Il volume stampato originariamente in Germania col titolo Zur Theorie und Geschichte der Historiographie, nel 1915, fu pubblicato in Italia nel 1917 ampliato con tre brevi saggi.
Nel 1927 fu aggiunta al libro la parte dei Marginalia, consistente in annotazioni esplicative.
In una successiva edizione dell'opera Croce nell'Introduzione avvertiva il lettore che un «completamento alla Teoria e Storia della Storiografia ho dato col libro: La Storia come pensiero e come azione (1938), e con i "Paralipomeni" raccolti nell'altro volume: Il carattere della filosofia moderna (1941)».

Nella prefazione all'opera, Croce spiega al lettore perché consideri la sua opera come un "quarto" volume della "Filosofia dello Spirito" da non considerare superfluo e ridondante ma «piuttosto approfondimento ed ampliamento alla teoria della storiografia già delineata in alcuni capitoli della seconda parte, ossia della Logica.»
Se egli quindi riprende il tema già trattato lo fa perché ritiene che tutta la vita dello Spirito «è svolgimento e storia» e quindi «ripigliare di proposito, dopo il lungo giro compiuto, il discorso sulla storiografia, traendolo fuori dai limiti della prima trattazione, era la più naturale conclusione che si potesse dare all'opera intera.»

La struttura dell'opera

L'opera è divisa in quattro parti:
Teoria della storiografia
Tre appendici aggiunte al testo italiano e che mancano in quello in tedesco
Storia della storiografia
Le Marginalia fanno da conclusione.
Teoria della storiografia
La storia contemporanea

La prima questione affrontata tratta della Storia contemporanea. La contemporaneità però è tale solo nell'attimo presente che sarà immediatamente sostituito da un altro.
Dunque come può darsi una storia contemporanea?
Croce ritiene che la contemporaneità di cui tratta la storia non è quella impossibile degli eventi che si svolgono nel tempo ma quella che riguarda quegli avvenimenti che il pensiero dello storico sta pensando alla luce dei documenti che sta analizzando.
Chiarirà ulteriormente in un'opera successiva che «Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.»

Documenti e narrazione

Ma non bastano i documenti a fare la storia occorre che questi rientrino nella interpretazione storiografica dello storico attraverso la narrazione che egli ne fa.
Documentazione e narrazione costituiscono un nesso inscindibile per la storia altrimenti se quel nesso si rompe «...ciò che resta non è più storia (perché la storia altra non era che quel nesso), e si può seguitare a chiamare storia solo a quel modo che si chiama ancora uomo il cadavere di un uomo, non perciò quel che resta è nulla [...]» è semplicemente cronaca.

La cronaca

La cronaca è l'insieme dei documenti a disposizione della narrazione storica ma questa è preminente poiché prima viene la storia viva e poi la cronaca morta e sarebbe inutile per la storia conservare negli archivi e nelle biblioteche i documenti morti che potranno al più servire per la cronaca.

Le pseudo storie

Una falsa storia è quella che egli chiama la storia filologica che si basa sulle tradizioni e i documenti. Anche questa non è storia ma semplicemente cronaca, una elencazione di eventi senza l'interpretazione di ciò che i documenti attestano.
Un'altra pseudo storia è la storia poetica che pretende basarsi come la storia antica, ma anche quella rinascimentale e risorgimentale, sui valori individuali.
Anche qui siamo di fronte a una falsa storia: «per convertire la biografia poetica in biografia veramente storica bisogna reprimere, come si suol inculcare ai biografi, i nostri amori, le nostre lacrime, i nostri sdegni, e ricercare a quale ufficio abbia adempiuto l'individuo, di cui si narra la vita, nell'opera sociale o della civiltà; e il medesimo deve farsi per la storia nazionale e per quella dell'umanità, e per qualunque ordine di accadimenti: bisogna superare, ossia trasformare, i valori di sentimento in valori di pensiero.»
Infine vi è la pseudo storia della storia oratoria che viene recitata per suscitare buoni sentimenti in chi l'ascolta per incitarlo ad agire nel modo voluto dallo storico oratore, alterando così la funzione principale della storia che mira alla conoscenza e non alla pratica.
Si invoca da più parti, dice Croce, una riforma della storia, ma la storia viva non ha nessun bisogno di essere riformata. Sono le pseudo storie che sentono la loro inadeguatezza e che proclamano la necessità di essere riformate. In vero esse non vanno riformate ma eliminate.

La storia universale

Assurda poi è la pretesa di scrivere una storia universale quando è già arduo delineare l'intera vita di un singolo personaggio. È impossibile conoscere tutti gli eventi che si sono susseguiti dall'origine del mondo sino alla contemporaneità.
Ma poi, anche se fosse possibile delineare una storia universale questa risulterebbe inutile proprio per la sua vastità.
Molto meglio concentrare le forze sulle piccole storie anche perché «la via del processo all'infinito è larghissima al pari della via dell'inferno, e, se non conduce all'inferno, conduce di certo al manicomio.» E non sarebbe neppure una rinunzia quella di mettere da parte il tentativo di scrivere una storia universale perché «... si rinunzia a cosa, che non si è mai posseduta perché non si poteva possedere; e che perciò tale rinunzia non è punto dolorosa».

Storia e filosofia, filosofia e storia

Come ogni particolare per essere inteso deve riferirsi all'universale e questo acquista significato concreto se riportato ai particolari, così la storia vera è sempre quella pensata dallo storico, riportata nella sua particolarità ad un significato universale che a sua volta avrà bisogno di essere riferito ad eventi particolari per avere senso, così come ad esempio accade se si chiede a chiunque quale sia l'oggetto della poesia, non sarà certo risposto Dante o Shakespeare, ma la Poesia stessa (cioè un universale). Ma per parlare della poesia, nessuno mai parlerà della Poesia, bensì si parlerà, appunto, dei vari autori (un particolare).
Ogni storia dunque riporta alla filosofia, ogni evento storico è contemporaneo perché interpretato alla luce delle concezioni filosofiche del tempo attuale così come la filosofia è sempre quella incarnata da un filosofo storicamente determinato, vissuto nel suo tempo ma che viene considerato alla luce degli interessi filosofici attuali per cui ogni storia della filosofia è filosofia.
« La storia, facendosi storia attuale, come la filosofia facendosi filosofia storica, si sono liberate l'una dall'ansia di non poter conoscere ciò che non si conosce solo perché fu o sarà conosciuto, e l'altra dalla disperazione di non raggiungere mai la verità definitiva: cioè entrambe si sono liberate del fantasma della cosa in sé. »

Il determinismo storico

L'assurdità di voler cercare nella storia le cause prime degli eventi è tipica del determinismo storico che di fronte all'impossibilità di risalire nella catena cause-effetti alla causa prima sostiene che lo storico si limiterà a ricercare le cause "prime-prossime" quelle cioè che gli siano più vicine nel tempo. Il che vuol dire spostare arbitrariamente il problema non risolverlo.
Non diversamente operano gli storici che ricercano il fine ultimo degli eventi che incappano nella stessa difficoltà dei deterministi: ricercare un significato ultimo di una complessità di fatti così come i deterministi cercavano di concatenare tutti i fatti insieme.
In realtà è la mente dello storico che pensa e costruisce il fatto. Che dunque non è un punto di partenza per la ricerca storica, ma è la storia stessa. Non va dunque cercata una causa o un fine al di fuori dei fatti, perché è già tutto insito in loro.

La positività della storia


Nella storia è errato credere ad una presenza del negativo, del male, ma vi è invece sempre un progresso inarrestabile che fa della negatività un gradino su cui esercitare la forza del positivo. Se così non è stato nella visione storica questo è accaduto per l'insuffcienza dell'analisi storica che ha portato a condanne arbitrarie come quella nei riguardi del Medioevo, condannato nel Rinascimento ed apprezzato invece nel Romanticismo.
Una storia solo negativa è una non storia, una pseudo storia poetica dove prevalgono i sentimenti e i giudizi morali.
Certo periodi critici esistono nella storia ma questi vanno considerati non in sé ma come momenti di passaggio da un periodo, per certi aspetti positivo, ad un altro migliore.

La storia umanistica

La storia umanistica è quella che fa protagonista degli eventi storici il singolo uomo capace di operare grandemente in base alla teoria delle «piccole cause e dei grandi effetti» che non ha senso se non si suppone l'intervento sull'agire del singolo di un'entità esterna che il più delle volte viene indicata nella Provvidenza che guiderebbe la storia dell'uomo.
In realtà c'è un elemento che fa parte della storia umana e le dà un significato superiore alla storia degli individui e questo «è l'umanità comune agli uomini, anzi all'universo tutto, che tutto è umanità, cioè spiritualità.»

Storia delle masse o degli individui


Da qui nasce un nuovo problema, quello del dualismo che è stato creato tra Storia delle masse e Storia degli individui: problema che, o è una follia, o è un falso problema: se per massa s'intende un insieme d'individui, allora è una follia, perché non può esistere una storia di un insieme d'individualità; se invece per massa s'intende lo spirito che guida l'insieme degli individui, allora è un falso problema, perché si parla della Provvidenza.
Da questo problema, Croce prende spunto per criticare chi pensa di poter fare una storia sociologica: «chi taglia fuori dalla storia gl'individui, osservi bene, e si accorgerà che o non li ha tagliati punto via, come immaginava, o ha tagliato fuori, con essi, la storia stessa».

Storia ed erudizione

Croce continua la sua opera, tornando all'inizio, ovvero ponendosi la domanda di chi ha deciso finora, e con che mezzi cosa fosse storia e cosa non lo fosse.
La risposta sono gli eruditi: uomini che sceglievano cosa fosse storia e cosa no, unicamente sulla base dei loro interessi e delle loro idee, confondendo la storia con l'erudizione.
Infatti, io posso anche decidere di studiare solo una parte di storia, ma non per questo il resto non lo è. Non si può certo fare la differenza tra fatti storici e fatti non degni di essere storia.

La periodizzazione storica

Altro discorso Croce lo fa riferendosi alla periodizzazione della storia: è ovvio che serva una periodizzazione per meglio pensarla, ma ciò non vuol dire che questa sia reale.
È, infatti, indubbiamente più comoda la suddivisione in Storia Antica, Medievale, Moderna e Contemporanea, rispetto al dover parlare di un'unica storia dagli antichi ai giorni nostri; ma cosa succederà tra mille anni? Cosa ci sarà dopo la storia contemporanea? Una contemporaneissima?
È forse più facile che siano riviste le periodizzazioni e, magari, anche i nomi dati ai diversi periodi.
Ed è importante smantellare la valenza ontologica che diedero i cristiani ai vari periodi: è assurdo pensare alla storia come a una vita sulla falsa riga di quella umana: la storia non ha un inizio, e non ha una fine.
Legato a questo, Croce parla della distinzione e della divisione della Storia: una distinzione all'interno della Storia non esiste, e non potrà mai esistere, perché non si può, ad esempio, distinguere la materia storica dalla forma storica.
Altro discorso, invece, è quello riguardante le divisioni: è lecito, e anche più comodo, dividere la storia in vari periodi, o in varie materie, sempre che non si metta in discussione che si sta sempre e comunque parlando di un unicum.

La storia della Natura
Per finire la prima parte di trattazione della teoria della storiografia, Croce si pone il problema della "Storia della Natura" che dovrebbe ritenersi una storia astratta in quanto la natura considerata nella sua interezza è un'astrazione.
Ma in realtà, l'uomo e la natura dinanzi al pensiero storico non hanno nulla di diverso, e dunque non può esistere una storia della natura che prenda le mosse dall'astratto. Questa è solo un'altra pseudo storia.
La verità è che la natura allo stesso tempo non ha storia e l'ha: la natura come ente di ragione ed escogitazione astratta non ha storia, perché non è nulla di reale; allo stesso tempo la natura ha storia, perché facendo parte della realtà, unica e sola, ha uno svolgimento e una vita, e dunque ha anche una storia.

Storia della storiografia
La storia della storiografia scritta da benedetto Croce è particolare, perché più che una storia vera e propria, sembra maggiormente una riesposizione delle teorie espresse nella prima parte dell'opera, ma da un punto di vista cronologico.
Erodoto e Tucidide
Croce inizia subito, stravolgendo le origini stesse della storiografia: i compilatori di elenchi cronologici, altro non erano che cronisti.
Erodoto, altro non era che uno storico poetico, e dunque non vero storico.
Il primo vero storico, fu Tucidide, che per primo cercò di analizzare le fonti, e di capire quali fossero vere e quali no, e condusse la sua ricerca storica impegnandosi nella stessa realtà storica.
Fu, insomma, il primo che intuì quale fosse, veramente, il compito di uno storico. Non di meno, mancò in lui e in tutta la storiografia antica la ricerca di come si siano formati i concetti e i sentimenti nel corso della storia, il vero compito di uno storico. Mancanza che non fu percepita come tale da parte degli storici antichi, che per questo sono da biasimare.
Aristotele
In particolare, Croce riconosce in due opere il primo segnale che qualcosa sta veramente cambiando nel mondo classico: nel primo libro della Metafisica di Aristotele, Croce vede l'evoluzione del pensiero filosofico greco verso la giusta direzione; nello incipit dell'opera di Tucidide, invece, vede degli accenni all'evoluzione del pensiero storico, da una falsa storia al vero modo di fare storia, propugnato da Tucidide stesso. D'altra parte si rende anche conto di come la filosofia non abbia mai ricercato il concetto di spirito, e per questo è stata sempre vista come antistorica.

Catone e Polibio
Nota inoltre come la storia del pensiero, soprattutto romano, sia percorso da un'onda amara nei confronti della storia, il cui paladino è Catone: un eterno rimpianto del passato, che nulla ha a che vedere con la storia.
Prima di terminare il suo ragionamento sulla storiografia greco–romana, Croce fa un accenno a Polibio, che considera lo storico che si sia maggiormente avvicinato al giusto modo di fare, ma che, non essendoci riuscito, va criticato al pari de suoi predecessori.

La storiografia medioevale
Se parlando della storiografia greco–romana la si può intendere come una storia umanistica, per la storiografia medioevale bisogna parlare di una caduta, di un passo indietro: la divinità si mescola antropomorficamente alle faccende degli uomini, e il mito e il miracolo, già presenti presso gli antichi, diventano più complessi di prima, dato che diventano un pensiero e un pregio spirituale comune a tutti gli uomini, le cui virtù sono al centro di tutto e riconducibili tutte alla fede in Dio.
La storia di questo periodo è una storia della verità, perché storia del Cristianesimo, e pervasa dalla provvidenza che guida l'uomo verso un fine ben preciso: Dio. Un Dio che, però, nel pensiero degli uomini medievali è incompleto, vista la massiccia presenza di prodigi e miracoli che servono a spiegare tutto ciò che non ha una spiegazione razionale.
Nel Medioevo la storia era vista al pari della vita di un uomo: aveva un inizio, delle fasi spirituali al suo interno, grazie alle quali si evolveva, e poi arrivava alla morte, che nel caso della storia era il Giudizio Universale: una data non ancora stabilita, ma che certamente sarebbe arrivata, presto o tardi.
Ma la Storia veniva anche vista come il dramma spirituale della comunità, e questo provocava l'indebolimento del falso concetto antico ed eteronomo della storia indirizzata a somministrare degli insegnamenti. Ed essendo un dramma, il modo più utilizzato per raccontarlo, era l'epica.
Nel Basso Medioevo ci fu uno sviluppo alla razionalizzazione della storia, che contenne molti meno miti e allegorie. E nel momento in cui non ci furono più le storie fantastiche, ma delle cronache attente, ci fu la negazione del miracolo cristiano; negazione che portò alla nascita di un nuovo modo di pensare: il Rinascimento.
La storiografia rinascimentale
La storiografia rinascimentale viene criticata aspramente da Croce, accusandola di non aver fatto altro che ricercare costantemente di tornare al fantomatico modello degli antichi, con l'unica conseguenza di fare un passo indietro nella conoscenza storica.
Anche perché l'esperienza medioevale non era passata senza lasciare tracce. Non di meno ci fu chi, come il Machiavelli, cercò di andare oltre «il paludamento troppo ricco di pieghe e di strascichi», e individuò l'errore commesso dai suoi contemporanei.
Tuttavia, anche in lui persistevano dei residui inevitabili del passato, come il forte pragmatismo delle sue opere (basti pensare al Il principe) e la sua ricerca del fine ultimo non dentro la storia stessa, ma fuori di essa.
Dal mondo medievale quella rinascimentale prendeva la forte presenza di un'entità superiore, che non è più il Dio medioevale, ma l'Umanità.
Non mancò, inoltre, un ricorso smodato alla storiografia poetica, al fine di esaltare le virtù dei personaggi storici.

La storiografia illuministica
La storiografia che seguì quella rinascimentale, ebbe un procedere spregiudicato e radicale, spingendo all'estremo la duplice aporia dell'antichità e del Medioevo, e distruggendo la parvenza di copia del mondo greco–romano che aveva in origine: all'autorità degli antichi che rappresentavano la Ragione del loro tempo, segue l'autorità della Ragione stessa; all'umanismo (che considerava positivamente solo alcuni popoli) si sostituisce l'umanitarismo (il culto dell'umanità).
Il tutto sottoponendo sotto un'aspra critica di tutto ciò che viene dal passato, al fine di scoprire cosa ci fosse di vero, e cosa invece fosse solo frutto della fantasia e delle false credenze degli antichi.
È questo il periodo in cui «il sole della Ragione è alto sull'orizzonte e rischiara gli intelletti», ma non di meno il pensiero cristiano–teologico persiste e anzi si potenzia: il progresso non aveva uno svolgimento, ma era un tirarsi fuori dal passato che è visto con sommo disprezzo.
Ci fu così chi, come Rousseau, vide l'ideale della Ragione, non come ideale da raggiungere nel futuro, ma come lo stato che c'era nel passato preistorico, in quello "stato di natura" da cui poi la storia si era discostata.
Ma per Croce questo è solo un esercizio retorico: considerando che lo stato di natura non è mai esistito nella realtà che si è fatta storia, rimane allora sempre e comunque un ideale da raggiungere nel futuro.
Ma con questi presupposti, cos'è l'illuminismo se non un cristianesimo ateo? Basta invertire Dio con la Ragione, e tutto rimane inalterato.
In ugual modo crebbe notevolmente l'aporia storiografica antica del pragmatismo: esempio lampante è Voltaire, che loda Machiavelli e il suo modo di fare storia. E con il pragmatismo rimase quel fine estrinseco che portò alle stesse conseguenze antiche e rinascimentali: la storia oratoria.
La storiografia illuministica fu una storiografia fatta di eccessi ed esagerazioni, ma fu comunque un passo in avanti rispetto alla storiografia rinascimentale: «Il Voltaire storiografo meritava di essere difeso perché egli avvertì in modo vivo il bisogno di riportare la storia dall'esterno all'interno e si sforzò di appagarlo.».
Per Croce gli illuministi furono i primi a capire che la storia, quella vera, era altra cosa rispetto a quella raccontata fino allora. Furono inoltre i primi ad accostarsi in maniera corretta alle storie speciali (che si moltiplicarono e perfezionarono): non storie distinte tra loro, ma divise.
Inoltre gli Illuministi misero a frutto i vari reperti e documenti che gli esploratori rinascimentali avevano riportato dai loro viaggi, ampliando cronologicamente e territorialmente la portata dei loro studi.
Inoltre, grazie al loro senso critico, gli illuministi affinarono il pragmatismo antico, assottigliandolo e spiritualizzandolo, cadendo a volte in eccessi dovuti a una scarsa chiarezza.
Venne così a crearsi uno Spirito, che aleggiava su tutto, e che secondo il campo di riferimento, assumeva ora un significato, ora un altro; ed era uno Spirito “salterino”: non procedeva nel corso della storia con un moto ripercorribile, ma saltava da un periodo all'altro, presentandosi con gradi diversi, ed essendo totalmente assente per lunghi tratti, o in molti luoghi.

La storiografia romantica
La reazione a questa storiografia fu il Romanticismo, con la sua storiografia nostalgica e quella restauratrice.
Sarebbe riduttivo far consistere la storiografia nostalgica solo in alcune opere, considerando che fu un sentimento che pervase direttamente gli animi delle persone a tal punto che venne a crearsi un nuovo genere letterario: il romanzo storico.
Questa per Croce non può essere considerata una vera storiografia, ma piuttosto una pseudo – storiografia, quella poetica.
Per quanto riguarda la storiografia restauratrice, si nota come lo spirito fosse di cercare le proprie basi nel passato, e appoggiarsi a esse senza nuovi studi o approfondimenti, e fu una storiografia che influenzò notevolmente la politica, l'economia e gli studi a esse collegate (basti pensare a Marx e al suo socialismo).
Come ovvio, neanche questa può essere considerata come la vera storiografia del Romanticismo, che si concentrò in modo polemico sulla forma del pensiero illuministico: non ci sarà più, dunque, il dualismo precedente, né uno Spirito salterino, bensì ci sarà il concetto di "svolgimento" della storia. Concetto che prima di allora solo pochi filosofi isolati avevano utilizzato, ma capendone appieno le implicazioni.
Implicazioni che risaltano e sono al centro del sistema hegeliano, che sovrasta ogni altro schema, compreso il positivismo evoluzionistico di Auguste Comte, o gli studi di Schopenhauer.
Ora la Storia, per la prima volta, viene vista in maniera vicina al vero, ossia come svolgimento necessario, e come tale non accusabile degli accadimenti negativi al suo interno.
Grande merito c'è, inoltre, per lo sforzo fatto nel cercare un organico congiungimento di tutte le singole storie di valori spirituali (valori che vengono ora messi al centro della storia).
E, inoltre, grande riconoscimento va a chi capì che gli eruditi non potessero essere che storici, e viceversa, formando così dei sapienti che riunirono in sé filosofia e filologia.
Grazie a quest'opera, questo secolo fu, giustamente, chiamato "Secolo della Storia", anche in considerazione del fatto che molte delle pseudo storie individuate da Croce, furono già accantonate come erronee dai romantici.
Nondimeno questo secolo non fu esente da gravi errori: basti pensare che la filosofia della storia, intesa come quella che Croce aveva avversato tra le pseudo storie, nacque proprio in seno agli storiografi romantici, che cercarono con questa formula di salvare quel poco che per loro c'era di buono negli storiografi precedenti, quando, invece, questo poco non esisteva.
Oltretutto, alcuni tra i più fervidi propugnatori di questa filosofia della storia, non si accorgevano che, di fatto, il loro ideale li avrebbe portati a cercare di eliminare proprio quell'erudizione che era, invece, alla base delle loro stesse teorie. E, sempre a causa di questa filosofia della storia, tornarono prepotentemente alla ribalta quelle storie universali che erano state, invece, faticosamente fatte sparire dalle menti degli storiografi nei secoli precedenti.
L'età romantica fu, insomma, per Croce un'età contrastata al suo interno: si passava da chi era stato a un passo dal capire quale fosse la vera Storia, a chi, invece, vanificava questi passi in avanti con altrettanti, se non di più, passi indietro.
La filosofia della storia, aveva fatto saltare tre punti che sono, invece, basilari per la vera Storia: l'integrità degli avvenimenti storici; l'unità della narrazione con il documento e l'immanenza dello svolgimento.

La storiografia positivista
E proprio da questi tre punti partono le tre critiche che, insieme, formano la storiografia positivista.
La prima cosa che i positivisti criticano duramente è l'unione di storia e filosofia, seguendo il motto «La Storia debba essere storia, e non già filosofia»; e criticano, inoltre, il ricorso smodato alle storie universali, alle quali preferiscono quelle particolari.
La storiografia positivista si può, in ogni modo, suddividere in tre filoni: gli storici diplomatici, i filologi e i filosofi.
I primi erano propugnatori della teoria «della via di mezzo»: non c'erano mai da parte loro delle chiusure decise nei confronti di qualcuno, o di una qualche teoria, ma c'era sempre un qualcosa di vero in quello che tutti dicevano.
I filologi propugnavano un ritorno allo studio dei testi come univoca fonte del sapere.
I filosofi, infine, furono i creatori della sociologia, andando a ricercare le cause ultime di tutto nel comportamento degli uomini.
Inutile a dirsi, queste tre visioni avevano più punti di discordia che in comune: ad esempio, gli storici erano fortemente contrari all'erudizione nuda e cruda propugnata dai filologi, che d'altro canto accusavano gli storici di un'eccessiva disinvoltura negli studi e nelle faccende umane; i filosofi, infine, criticavano storici e filologi perché, a loro modo di vedere, erano futili, e guardavano le cose unicamente in superficie.
Tutti e tre erano, però, d'accordo su una ferma opposizione alla trascendenza nella storia, e alla possibilità che la storia e la filosofia potessero formare una materia, anche solo di studio, unica.
Indubbiamente, per Croce il Romanticismo è molto migliore del Positivismo, che non è, però, tutto da buttare. Alcune cose, infatti, erano state mantenute dal Romanticismo (quali lo svolgimento, chiamato ora Evoluzione o le diverse fasi della storia), o addirittura migliorate (come la connessione tra gli ideali, che ora viene cercata nella maniera più organica possibile).
Un caso a parte lo merita la connessione tra spirito e natura: questo dualismo era stato lasciato aperto dai romantici, per cui era lo Spirito che, alla fine, sovrastava la natura; ora, invece, per i positivisti è il contrario: la Natura che sovrasta lo Spirito.
La realtà, però, è che sono in errore entrambi: questo dualismo non dovrebbe esistere, essendo entrambi parti di un unicum, che dovrebbe essere indissolubile.

Ultime considerazioni
Per concludere il suo libro, Croce fa un breve accenno a quella che è la nuova filosofia del suo periodo: una filosofia che riprende le forme migliori del Romanticismo, sopravvissute al Positivismo, dichiarato fallito dagli stessi ultimi positivisti.
Non sa come trattarla, perché non può dirla finita, però non può neanche far finta che non esista, e dunque ricorre a brevi accenni: dice che è una filosofia che richiede di guardare dentro sé, e non al di fuori, e che dichiara che la Realtà è Spirito.
Prendendo le mosse da un libro di Storia appena uscito, Croce dice anche che bisogna trovare il giusto mezzo tra l'universalismo e il particolarismo, ma non ci dice come fare. Ma di una cosa è certo: alla fine, tra tutte le teorie filosofiche ha prevalso, almeno per ora, l'Hegelismo.
I Marginalia
A concludere veramente il libro ci sono I Marginalia, ovvero una serie di appunti e riflessioni fatte da Croce durante la stesura dell'opera, o in momenti successivi.
Indubbiamente l'appunto più importante è quello riguardante la storia etico – politica, ovvero quella da lui propugnata: per lui la storia deve puntare soprattutto sui valori morali e ideali, e sulla vita civile.
Precisa, inoltre, che la sua non è una ricerca della "storia più storia delle altre", ricerca molto comune, invece, in quel periodo, ma un'indicazione di studio per chi, invece, cerca una storia che sia la più vicina possibile all'uomo. Così una storia della vita morale e della Civiltà.

La storia come pensiero e come azione di Benedetto Croce è il primo di una serie di saggi che costituiscono l'intera opera pubblicata nel 1938 che porta lo stesso titolo e che è così strutturata:
La storia come pensiero e come azione
Lo storicismo e la sua storia
La storiografia come problema storico
La certezza e la verità storica
Storiografia e politica
Storiografia e morale
Prospettive storiografiche
Considerazioni finali
Appendice
Recenti controversie intorno all'unità della storia d'Italia

Noterella filologica

Nell'introduzione al volume Croce sinteticamente accenna al clima politico in cui l'opera nasce (il fascismo nella sua fase ascendente) e al significato stesso del tema trattato: «Un'insistenza particolare è messa in questo volume sul rapporto tra storiografia e azione pratica» non tanto per respingere le proteste di chi si pone come portatore di «un astratto assolutismo morale» e dichiarando di agire in basi a valori morali assoluti si oppone a quella morale che si invera nella storia e ne assume la realtà. Questa «gente... ha i suoi buoni motivi per porre la moralità fuori dalla storia, ben in alto, la quale posizione ne agevola la riverenza da lontano e l'inosservanza da vicino...» Quindi non rispondere a questi ipocriti oppositori è lo scopo dell'opera ma per mostrare come «il pensiero storico nasce da un travaglio di passione pratica, lo trascende liberandosene», elaborando cioè un pensiero vero che si tradurrà in azione.
Il problema sottinteso in questa concezione è quello di stabilire il rapporto tra teoria e pratica: se la storia è conoscenza cosa spinge la teoria a concretarsi nella pratica?

La storicità di un libro di storia

Un libro di storia non va giudicato come un libro di buona letteratura: anche se fosse mal scritto esso conserva il suo pensiero storico. Un'opera di storia non ha la sua validità nell'abbondanza delle notizie che esso riporta poiché in questo caso siamo di fronte alla cronaca non alla storia. Le notizie riportate dalla cronaca per essere storia devono diventare «verità nostra, che val quanto dire, prodotta da noi, sulla nostra esperienza interiore.»
Un libro di storia non è tale se ecciti più o meno la mia immaginazione o mi commuova o mi annoi: in questi casi ci troveremo di fronte a opere di vario genere: poetiche, esortatorie, satiriche.
«Il giudizio di un libro di storia deve farsi, dunque, secondo la sua s t o r i c i t à » intesa come «un atto di comprensione e d'intelligenza» che nasca dall'esigenza pratica che non potrà diventare concreta azione se prima non diventi chiaro il problema teorico da risolvere. «Un bisogno di vita pratica» che può essere «un bisogno morale» che presuppone la conoscenza della situazione in cui ci si trovi per poi agire bene, o un bisogno economico per decidere come conseguire il proprio utile o un bisogno d'altra natura. «Tutte le storie di tutti i tempi e di tutti i popoli» sono nate per soddisfare nuovi bisogni dopo aver resa chiara la «situazione reale» di partenza per la loro soddisfazione. Dalla storia quindi nasce la necessità di capire, rendere chiaro, risolvere un problema teorico che troverà la sua soluzione per una successiva azione nella storia
«Molte volte la storicità di un libro è per noi inerte o morta» lo leggiamo per erudizione, per piacere emotivo ma accade che i bisogni del tempo presente che «si accendono in noi», ci portano a collegarci a quella storia passata finalmente per capirla e tentare di risolvere così i bisogni che quelli che ci precederono avevano risolto.

La verità di un libro di storia

Il bisogno pratico che sta a fondamento di ogni conoscenza storica fa sì che ogni storia sia storia contemporanea, perché per quanto lontani da noi nel tempo siano i fatti che essa tratta «essa è in realtà sempre storia riferita al bisogno e alla situazione presente nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni».
Quelli stessi che nella storiografia costituiscono i documenti storici passerebbero dallo storico inosservati se non suscitassero in lui emozioni, interessi e sentimenti. Ma il bisogno pratico e lo stato d'animo dello storico non possono di per sé costituire storia, questa si avrà quando quel materiale darà luogo alla conoscenza, suprema sintesi di particolare (i fatti) e universale (la loro interpretazione):
« I fatti dimostrano la teoria, e la teoria i fatti »

L'unità di un libro di storia

L'oggetto che rende unitario un libro di storia è il problema che lo storico definisce logicamente a conclusione e soluzione del suo lavoro: si tratta quindi di un'unità logica che non si ritrova in tutti quei libri che pretendono di scrivere storia ma che hanno la loro unità non in un problema ma in una cosa come le storie di una nazione, di una città, di un singolo individuo o di un gruppo d'individui. Queste se svolte in modo coerente sono tutt'al più cronache ordinate riguardo ad un oggetto oppure sono un'incoerente mescolanza di pensieri storici con fantasie.
« ...queste morbose e mostruose storie di cose mostruose e morbose si manifestano ai giorni nostri come storie "nazionalistiche" o "razzistiche", e come "biografie" che per una sorta di consapevolezz che hanno della natura loro, si dicono "romanzate", cioè si riconoscono da sè non storiche....Quanta e quale letteratura si produca di questa sorte particolarmente e anzi quasi unicamente ai nostri giorni in Germania, sanno tutti. »
Il significato storico della necessità

«Il giudizio nel pensare un fatto lo pensa quale esso è e non già come sarebbe se non fosse quello che è...Questo è il significato della necessità storica.»
La storia non può essere divisa in fatti necessari e in fatti contingenti. Immaginare una storia diversa da quella che è stata "se" si fosse verificato un certo fatto, è un gioco della nostra fantasia.
Una necessità che dobbiamo escludere dalla storia è poi quella che ci fa pensare che ci sia una catena di fatti nella quale i precedenti determinano i successivi, in una sorta di rapporto di causa ed effetto. Ma il concetto di causa appartiene alla scienza e non alla storia e nessuno storico è mai riuscito a dimostrare che un evento si sia prodotto per delle cause determinanti. In realtà noi abbiamo la tendenza a ricercare una causa necessitante nell'evento che attraversiamo quando presupponevano che si verificasse il fatto atteso e invece se ne è verificato uno inaspettato.
È pur vero che nella storia c'è una logica «perché se la logica è nell'uomo è anche nella storia» la quale appunto l'uomo pensa logicamente; ma la logica della storia non è quella che viene chiamata logicità, cioè l'idea che nella storia ci sia un progetto, un piano predeterminato a cui gli avvenimenti si adeguano e si svolgono secondo quanto stabilito, e che tocca allo storico identificare e rivelare. Gli storici siffatti si sono sempre trovati nella difficoltà di trovare i documenti a sostegno di questo progetto trascendente la storia. «Al pari della causalità, il Dio trascendente è straniero alla storia umana...»
Collegata a questa idea della necessità storica è quella che si possa prevedere il corso degli eventi «perché se del programma divino era rivelato l'atto ultimo (per esempio la venuta dell'Anticristo, la fine del mondo...) [di] tutto il resto intermedio tra il presente e quello [...] un qualche tratto ne poteva essere per grazia rivelato a qualche pio uomo...».
Il medesimo atteggiamento si ritrova nella concezione causalistica della storia ma alla fine sia la prima idea di prevedibilità falliva dinanzi alla imperscrutabile volontà di Dio, sia la seconda si trovava avviluppata nella complessità delle cause degli eventi.
La conoscenza storica come tutta la conoscenza

« Non basta dire che la storia è il giudizio storico, ma bisogna soggiungere che ogni giudizio è giudizio storico, o storia senz'altro. Se il giudizio è rapporto di soggetto e predicato, il soggetto, ossia il fatto, quale che esso sia, che si giudica, è sempre un fatto storico, un diveniente, un processo in corso, perché fatti immobili non si ritrovano né si concepiscono nel mondo della realtà. [...] per esempio che l'oggetto che mi ritrovo dinanzi al piede è un sasso e che esso non volerà via da sé come un uccellino al rumore dei miei passi, onde converrà che io lo discosti col piede o col bastone, [anche questo è un fatto storico] perché il sasso è un processo in corso che resiste alle forze di disgregazione o cede solo poco a poco, e il mio giudizio si riferisce a un aspetto della sua storia. »
Ogni conoscenza, come quella rappresentata dal giudizio storico è collegata alla vita, all'azione che interverrà, come nel caso del sasso che dopo aver conosciuto come un impaccio, scanserò dal mio percorso.
Non esiste un conoscere per il conoscere: senza lo stimolo pratico non vi è neppure conoscenza.
Si è voluto anche distinguere una conoscenza filosofica rivolta alle cose del cielo da cui essa attende che le provenga la verità. Ma questa filosofia trascendente è stata sottoposta al giudizio critico della storia che l'ha interpretata come nascente da bisogni storicamente determinati di modo che alla fine è stata "storicizzata" al punto che essa «non è più filosofia ma storia o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia.»
Le categorie della storia e le forme dello spirito

Avere escluso la trascendenza dalla storia ha generato l'errore di negare la distinzione delle categorie dal giudizio poiché si dice che quando esprimo un giudizio, ad esempio: «questo quadro è bello» la categoria della bellezza verrà storicizzata, si immedesimerà con quella particolare pittura perdendo ogni carattere di trascendenza.
L'errore qui consiste nella confusione di distinzione e trascendenza. Le categorie infatti non cambiano: il cambiamento riguarda i nostri concetti sulle categorie: cambierà il nostro intendere la bellezza ma la categoria di bellezza rimarrà costante e distinta dalla storia.

La distinzione di azione e pensiero

Una distorta concezione dell'immanenza ha portato a voler negare quello che la filosofia e il senso comune hanno sempre riconosciuto: la distinzione tra il pensiero e l'azione.
Certo il pensiero è anche azione e che quindi «il pensiero non stia fuori dalla vita, ma anzi sia funzione vitale, è da considerare risultamento di tutta la filosofia moderna» ma volere con questo negare che ci sia una distinzione tra conoscenza e volontà, tra pensiero e azione è un sofisma che va superato considerando che il pensiero-conoscenza precede sempre l'azione, la prassi e «se il conoscere è necessario alla praxis, altrettanto la praxis è necessaria al conoscere» quando appunto si osservi come il pensiero attivamente «porga e risolva problemi».
Così pensiero e azione realizzano la circolarità dello spirito mentre «identificato con la volontà e coi fini della volontà, il pensiero cesserebbe di essere creatore di verità e, facendosi tendenzioso, decadrebbe a menzogna; e la volontà e l'azione, non più rischiarata dalla verità, si abbasserebbe a spasimo e furore passionale e patologico.» Ma questo non accade perché lo spirito si oppone a che «gli interessi pratici [cerchino] di attraversare e sviare la logica della verità e di continuo lavora a cangiare la cieca passionalità in illuminata volontà e azione.»
Purtroppo la negazione della unità-distinzione tra pensiero e azione non rimane un'affermazione astratta e assurda poiché «è favorita da ben note malsanie dei nostri tempi [...] Basta guardarsi attorno [...] per trovarsi dinanzi le manifestazioni dell'indifferenza e dell'irriverenza per la critica e la verità e l'attivismo privo di ideale e tuttavia irruente e prepotente»
La storiografia come liberazione dalla storia

In questi tempi malsani assistiamo ad una serie di accuse di essere proprio il pensiero storico, lo "storicismo", la causa di queste storture; lo si accusa di fatalismo, di passatismo, di quietismo: accuse, atteggiamenti e comportamenti che non hanno a che fare con la storia ma con la morale e tutt'al più con i difetti dello storico come accade con il conservatorismo di Hegel. In vero il pensiero storico esprime tutto l'opposto di quei comportamenti.
Noi siamo prodotti del passato: per compiere azioni nuove e dirompenti con il passato che è in noi: l'unica via è quella di analizzare con il pensiero il passato, «ridurlo a problema mentale, e risolverlo in una proposizione di verità, che sarà l'ideale premessa per la nostra nuova azione e nuova vita.» È del resto quello che accade nella vita comune di tutti noi quando, attraversando una fase difficile, invece di ripiegarci inerti su noi stessi a commiserarci, esaminiamo quali errori abbiamo compiuto, programmiamo come rimediarvi e, infine, agiamo.
La storiografia, intesa come esame critico del passato e fonte di conoscenza vera, ci libera dalla storia del passato e ci avvia all'azione.
La storiografia come premessa della lotta del valore col disvalore

Gli avversari della storiografia sostengono la beatitudine dei popoli privi di storia ed esaltano quella storia fatta di semplici fatti senza alcuna interpretazione di essi così come sosteneva Ranke: «Esporre le cose così come propriamente sono state». Ma in vero i fatti non si possono esporre senza determinarne la qualità: dovremo sempre capire se si tratti di un fatto politico, religioso o di altra natura e per questo sarà necessario giudicarlo, formulare su di esso un giudizio, inteso come atto del pensiero.
Da questo giudizio, inteso come «legame del predicato di esistenza dal predicato qualificativo»[2] è da escludere quello morale che si avanza nei confronti di eventi e personaggi del passato. Questa è veramente una pronunzia di condanna o di assoluzione nei confronti di uomini che non vivono più. Questi ormai «non sono responsabili dinanzi a nessun nuovo tribunale appunto perché uomini del passato, entrati nella pace del passato, e come tali oggetto solo di storia, non sopportano altro giudizio che quello che penetra nello spirito dell'opera loro e li comprende. Li comprende e non già insieme...li perdona, perché ormai stanno al di là dalla severità e dall'indulgenza, come dal biasimo e dalla lode.»
«Solo il giudizio storico, che libera lo spirito dalla stretta del passato...mantiene la sua neutralità , ed attende unicamente a fornire la luce che gli si chiede...ed apre la via allo svolgersi dell'azione» concreta che dovrà travagliarsi per far prevalere il bene contro il male, l'utile contro il dannoso, il bello contro il brutto, il vero contro il falso.
« Il letteratuccio dei vecchi tempi, adulatore dei potenti del giorno, era sempre pronto ed instancabile a sermoneggiare e condannare i personaggi della storia, avvolgendosi nella dignità di storico togato, austero e incorruttibile; tranne il caso che quei personaggi non trovassero nel presente altri potenti che ne prendevano a cuore la riputazione a tutela della loro propria, poiché allora colui prontamente cambiave registro. Bisogna impedire che questo vecchio tipo di storiografo , così adatto ai tempi servili, ricompaia nei nostri tempi, desiderabilmente non servili; ma la sospirata restaurazione della storiografia tribunalizia prenunzia , o certamente favorisce la sua riapparizione. »
La storia come azione

La storiografia, la conoscenza della realtà, si traduce nel fare secondo le quattro forme della vita dello spirito, nella sfera del bello, del vero, dell'utile, del buono tramite un agire che «tutte le anima...il principio della libertà, sinonimo dell'attività o spiritualità , che non sarebbe tale se non fosse perpetua creazione di vita» . La stessa attività è caratterizzata dal progresso che, al di là delle apparenze, non cessa mai di essere nella storia: «non c'è mai decadenza che non sia insieme formazione o preparazione di nuova vita, e, pertanto progresso.»
Gli scettici e i negatori del progresso nella storia sono coloro che si illudono di poter vivere una vita facile e comoda e immaginano un'età di progresso infinito: un'illusione, la loro, destinata a scomparire. Così coloro che non accettano i travagli della vita vissuta negano il progresso relegandolo in un al di là fantasticato.
Anche nella filosofia hegeliana il progresso era concepito come «uno stato terminale e paradisiaco» dove esso si arresta «di sé soddisfatto e beato» giungendo così ad una perfetta stasi dove la vita non è più vita.

L'attività morale

Il fine dell'attività morale, escludendo quella che si limita ad obbedire ai comandamenti divini e quella che afferma che essa consiste nell'ascesi cioè nella rinuncia a vivere, è quello di promuovere la vita.
Le forme dello spirito assolvono già a questo compito con la creazione di opere di bellezza, utilità, verità alle quali la morale aggiunge la volontà di combattere il male per il trionfo del bene. Bene e male sono la vita stessa.
La morale attraversa tutte le forme dello spirito e le loro opere:
« L'attività morale che per un verso non fa alcuna opera particolare, per un altro verso essa le faccia tutte , e regga e corregga l'opera dell'artista e del filosofo, non meno che quella dell'agricoltore, dell'industriale...rispettandole nella loro autonomia e di tutte convalidando l'autonomia col mantenere ciascuna nei suoi confini. »
La storia come storia della libertà

L'asserzione di Hegel che "la storia sia storia di libertà" era inquadrata nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel successivo crescere ed infine nel raggiungimento di uno stadio finale e definitivo di maturità.
Croce fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso , il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità.»
Alcuni storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo.»
Ma si dice che queste affermazioni sono il tipico parlare del filosofo perso in un mondo tutto suo lontano da ogni realtà: di fronte alle sopraffazioni, violenze, persecuzioni e altri simili terribili eventi di cui è ricca la storia umana, sembrebbe che sostenere che la storia sia storia di libertà apparirebbe come una «balordaggine»
Ma la filosofia non si lascia sopraffare dall'immaginazione: essa interpreta razionalmente la realtà. «Così, indagando e interpretando , essa, la quale ben sa come l'uomo che rende schiavo l'altro uomo sveglia nell'altro la coscienza di sé e lo avviva alla libertà, vede serenamente succedere a periodi di maggiore altri di minore libertà, perché quanto più stabilito e indisputato è un ordinamento liberale, tanto più decade ad abitudine, e, scemando nell'abitudine la vigile coscienza di sè stesso e la prontezza della difesa, si dà luogo ad un vichiano ricorso di ciò che si credeva non sarebbe mai riapparso al mondo, e che a sua volta aprirà un nuovo corso.»
Nei tempi in cui è diffusa la libertà gli uomini hanno l'impressione che siano molti quelli che condividono i loro sentimenti, al contrario nei tempi illiberali si ha l'impressione di essere in solitudine o quasi. Ottimistica la prima illusione come pessimistica la seconda. La filosofia renderà chiaro che la storia non è un idillio ma neppure una tragedia di orrori, un dramma dove i protagonoisti sono colpevoli-incolpevoli «misti di bene e di male, e tuttavia il pensiero direttivo è in essa sempre il bene, a cui il male finisce per servire da stimolo...la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente...un mondo di libertà senza contrasti...senza oppressioni [è] un'immagine peggio che della morte, della noia infinita.»

Cultura e vita morale è un'opera di Benedetto Croce, pubblicata per la prima volta nel 1914 dall'editore Laterza. Per la stessa casa editrice ne è uscita una seconda edizione raddoppiata nel 1926 ed una terza nel 1955. Infine ristampata, nel 1993, da Bibliopolis, che ha in corso la pubblicazione dell'edizione nazionale delle opere di Croce.
« Il mondo corre rapido, e spesso non facciamo a tempo neppure
a dir male dei mali, perché, mentre stiamo terminando proposizione incominciata,
quei mali già sono trapassati e sostituiti da altri! »
(B. Croce, «Avvertenza» a Cultura e vita morale, Bari 1914)

I temi trattati


Giustino Fortunato


Dedicato a Giustino Fortunato, il volume raccoglie una serie di interventi, o più precisamente di Intermezzi polemici (sottotitolo dell'opera), usciti per lo più nella rivista La critica, mediante i quali il filosofo intendeva chiarire degli aspetti pregiudizievoli che si configuravano come ostacoli alla circolazione di idee di ordine sociale e politico. Pur essendo trascorso del tempo dalla loro pubblicazione, con la conseguente perdita di efficacia, Croce riteneva che la loro raccolta in volume potesse essere ugualmente di giovamento.
Si tratta, quindi, di riflessioni polemiche sotto forma di articoli che toccano ambiti e temi diversi, caratterizzati, tuttavia, dalla ricerca di una risposta che, come precisava l'autore, era costruita attraverso il passaggio dall'analisi etica a quella logica, come suo bisogno di segnalare i mali della società, mettendone in guardia senza indulgere alla «predica moralistica o filosofica». Sotto quest'aspetto, il volume raccoglie spunti sul risveglio filosofico in relazione alla cultura italiana, sulla rinascita dell'idealismo e del positivismo, come sulla filosofia e sul metodo empirico e sulla pietra di paragone delle diverse posizioni. Vi si affermano, inoltre, le contraddizioni degli scrittori, la mancanza di senso scientifico nei testi filosofici, l'attualità del pensiero di Giordano Bruno, al pari delle riflessioni volte a contrastare il regionalismo, la massoneria, l'astrattismo e il materialismo della politica.
Ad articoli sulla critica letteraria e sulla libertà di coscienza, ne seguono altri, poi, riservati all'universo giovanile.

I laureati al bivio

Fra i temi riservati alle "nuove leve", si segnalano gli intermezzi su L'aristocrazia e i giovani[13] e, in particolar modo, I laureati al bivio. Il bivio rappresenta, in sostanza, la scelta che devono compiere, fra insegnamento e giornalismo, i giovani usciti dalle facoltà di Lettere e filosofia, quelli che non hanno possibilità di far altro se vogliono avere di che vivere, perché «Corti e mecenati, benefizî e prebende, che facevano vivere i Petrarchi, gli Ariosti e i Tassi, non sono più cose dei tempi nostri».
In Scienza e università, fra i più attuali articoli compresi nel volume, Croce poneva l'attenzione sui mali dell'accademia italiana, per combatterne il mondo ma non già l'istituzione: «Chiunque osservi la vita universitaria, è continuamente offeso da manifestazioni pesudoscientifiche, che sono manifestazioni d'interessi. Raro è ormai che i giovani, che si dànno agli studî di filosofia, abbiano quel periodo di lotta interna, di angoscia, di tristezza, che precede ogni serio convincimento. I più, sotto la spinta della ricerca di collocamento, a vent'anni, hanno già preso il loro partito». Il pragmatismo di quel mondo, se lo si osservava a fondo, non confluiva come avrebbe dovuto, a detta del filosofo, nella ricerca e nei dibattiti scientifici, ma era finalizzato soltanto ad una mera promozione, «una promozione da "straordinario" a "ordinario"», oppure al soddisfacimento di un desiderio, del «passaggio da una cattedra a un'altra, da un'università a un'altra».
Sempre nello stesso contesto, da un esempio all'altro, Croce evidenziava anche quei professori che, una volta vinti i concorsi, sistemavano «il loro cervello come una casa nella quale si conti passare comodamente tutto il resto della vita», e che si attivavano solo quando veniva leso il loro status, dunque non per la difesa di una verità ideale ma per quella, materiale, della posizione acquisita. Secondo l'autore, per questi mali delle università italiane serviva, non la contrapposizione fra scienza e scienza, non la distruzione di un istituto, ma un rimedio da cogliere nel sentimento: «sentimento della dignità, nella libertà interiore, nello scrupolo morale, nella forza del volere». Perché queste «disposizioni morali», concludeva il Croce, non erano privilegio di nessuno.