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La Civiltà Cattolica è una rivista della Compagnia di
Gesù, tra le più antiche esistenti nel panorama
culturale italiano.
Tra le molte riviste cattoliche, la Civiltà Cattolica
è l'unica ad essere esaminata in fase di bozza dalla
Segreteria di Stato della Santa Sede e ad averne l'approvazione
definitiva. Si considera una rivista di alta divulgazione.
Storia
La fondazione
La nascita della rivista può essere convenzionalmente fissata
il 9 gennaio 1850, quando Pio IX ordinò d’autorità ai
gesuiti italiani che si desse inizio alla pubblicazione di una
rivista o di un "giornale popolare" scritto in lingua italiana, che
combattesse gli «errori moderni» e che difendesse la
dottrina cattolica e gli interessi della Santa Sede dagli attacchi
dei liberali e dei razionalisti. I gesuiti diedero immediatamente
esecuzione all’ordine papale e il padre generale Joannes Philippe
Roothaan divenne il più efficace patrono dell’impresa voluta
dal papa, sostenendola contro tutti gli oppositori.
Nel febbraio del 1850 Pio IX fece versare dal cardinale Giacomo
Antonelli 1250 ducati destinati alla rivista, presso la banca
Rothschild di Napoli, dichiarandosi disponibile ad assumersi
l’incarico di ulteriori necessità finanziarie. La campagna
che precedette l’uscita della rivista fu organizzata con grande
cura: nelle maggiori città italiane furono costituiti degli
uffici incaricati di fare pubblicità e di raccogliere
adesioni e abbonamenti: agli organizzatori, convocati a Napoli per
coordinarne le attività, furono distribuiti 120.000 prospetti
programmatici e 4000 cartelloni pubblicitari.
Direttore e responsabile della rivista fu padre Carlo Maria Curci,
autore di opere teologiche contro Vincenzo Gioberti. Il primo
numero, che uscì il 6 aprile 1850, portava impresso sulla
copertina il 15º versetto del salmo 143: Beato il popolo il cui
Signore è Dio e fu stampato in 4200 copie, ma già
nello stesso mese di aprile se ne stamparono 6000: nel giro di pochi
mesi la tiratura giunse a più di 8000 copie, il numero degli
abbonati del primo trimestre salì a 6307.
Un articolo apparso sul primo numero della rivista, a firma dello
stesso padre Curci, informava circa gli obiettivi della nuova
pubblicazione. "La Civiltà Cattolica" si proponeva di
ricorrere al nuovo mezzo inventato dalla società moderna per
guidare la pubblica opinione, non solo nello Stato della Chiesa,
bensì in tutta l'Italia, proprio per combattere la
modernità e giungere così alla ricostruzione della
cristianità medievale.
Padre Curci ottenne l'appoggio pieno di papa Pio IX, che voleva
disporre di uno strumento adatto a difendere il pensiero cattolico,
e del cardinale Giacomo Antonelli.
Tra i primi redattori si annoverano i gesuiti:
* Luigi Taparelli D'Azeglio (1793-1862), filosofo
del diritto.
* Matteo Liberatore (1810-1892), cultore della
filosofia tomista, e precursore dell'insegnamento sociale della
Chiesa, al punto che Leone XIII lo chiamerà a stendere la
Rerum Novarum.
* Antonio Bresciani (1798-1862), letterato.
* Giovanni Battista Pianciani (1784-1862),
studioso di scienze naturali.
Vi collaborarono anche i padri Carlo Piccirillo (1821-1888) e
Giuseppe Oreglia di Santo Stefano (1823-1895), a quel tempo ancora
studenti.
Molti di questi padri formeranno in seguito il primo Collegio degli
Scrittori, costituito "perpetuamente" il 12 febbraio 1866 con il
breve apostolico Gravissimum supremi di papa Pio IX. Fino al 1933
gli autori conservarono l'anonimato, e da quell'anno gli articoli
furono firmati.
La rivista ebbe quindi subito un carattere polemico e combattivo,
che si mantenne per lungo tempo. Era lo stile tipico dell'Ottocento,
stile che peraltro era tipico anche degli avversari della Chiesa.
A causa della censura ordinata dalla polizia del Regno delle Due
Sicilie, la redazione dopo pochi mesi dalla fondazione fu trasferita
a Roma. La rivista si sentì vittima di una persecuzione da
parte di «consiglieri e ministri massoni imbevuti di spirito
anticurialista». A Roma La Civiltà Cattolica
uscì in fascicoli quindicinali di 128 pagine.
Dopo tale passaggio La Civiltà Cattolica assunse sempre
più il carattere dì interprete fedele del pensiero e
delle direttive della Santa Sede.
La direzione effettiva passò a padre Giuseppe Calvetti e
successivamente a padre Giuseppe Paria, che la resse dal 1854 al
1856. La direzione nominale della rivista rimase invece nelle mani
di padre Curci.
La Civiltà Cattolica sospese le pubblicazioni dopo il 20
settembre 1870, in seguito all'ingresso delle truppe italiane in
Roma. La redazione fu trasferita a Firenze, dove la rivista
riapparve il 24 dicembre successivo. La sede ritornò
definitivamente a Roma il 26 dicembre 1887.
Le battaglie dell'Ottocento
Protagonista del dibattito culturale che si svolse in Italia e nella
Chiesa nella seconda metà del secolo XIX, La Civiltà
Cattolica portò un contributo decisivo al Sillabo, al
Concilio Vaticano I (1869-1870) e, soprattutto, all'opera di
restaurazione della filosofia tomista, che avrà il suo
coronamento durante il pontificato di papa Leone XIII (1878-1903).
Nel corso dei lavori preparatori del Concilio Vaticano I, La
Civiltà Cattolica condusse una campagna preventiva contro gli
ambienti cattolici che non vedevano di buon occhio la proclamazione
del dogma dell'infallibilità papale. Un articolo comparso il
6 febbraio 1869 stroncava le perplessità e le inquietudini
dei cattolici liberali affermando che avrebbero ricevuto “con gioia
la proclamazione del futuro Concilio sull’infallibilità
dommatica del sommo pontefice. […] Si spera che la manifestazione
unanime dello Spirito Santo per la bocca dei padri del futuro
Concilio ecumenico, la definirà per acclamazione”.
Rivestì sempre un ruolo di primo piano anche sulla scena
politica italiana, seguendo con attenzione le vicende che portarono
all'unificazione politica d'Italia e alla nascita della Questione
Romana: la rivista si oppose sul piano ideologico, con tutte le sue
forze, all'Italia riunificata, per difendere il potere temporale dei
pontefici. Dopo la breccia di Porta Pia (1870), si pose sempre
come pietra d'inciampo per la classe politica liberale, minoritaria
nel paese. Ugualmente portò avanti la polemica contro il
modernismo.
Reazioni laiciste
Il mondo culturale laicista reagì all'opera de La
Civiltà Cattolica con la fondazione, a Torino, della rivista
Il Cimento, uscita dal 1852 al 1856. Attraverso di essa il filosofo
Bertrando Spaventa (1817-1883), vicino al pensiero di Hegel, e lo
storico della letteratura Francesco De Sanctis si proposero di
confutare gli articoli della rivista cattolica.
La prima metà del Novecento
All'inizio del Novecento la rivista si rivolgeva alla maggioranza
cattolica degli italiani, nel tentativo di costruire una scuola per
una classe dirigente preparata ad affrontare il futuro, soprattutto
dopo il graduale venir meno del non expedit.
Pio XI ricordava in una lettera del 31 luglio 1924 che "fin dagli
inizi del periodico gli scrittori si prefissero quale sacro e
immutabile dovere la difesa dei diritti della Sede Apostolica e
della fede cattolica, e la lotta contro il veleno della dottrina che
il liberalismo aveva inoculato nelle vene stesse degli Stati e delle
società".
Anche durante il fascismo la rivista puntò soprattutto alla
formazione della classe dirigente, ovviando all'assenza di figure di
rilievo nel movimento cattolico. Nel 1930, nell'ambito dello scontro
fra Stato e Chiesa verificatosi dopo il Concordato del 1929, venne
scoperto un legame fra il gruppo antifascista d'ispirazione
monarchico-cattolica Alleanza Nazionale per la Libertà e
padre Enrico Rosa, in quel tempo direttore della rivista.
Nel 1936 La Civiltà Cattolica trattò della
liceità delle annessioni coloniali. Il tema fu affrontato da
padre Antonio Messineo (1897-1968) in un frangente delicato: in quel
tempo infatti l'Italia era impegnata nella conquista dell'Etiopia e
stava vivendo il conseguente scontro con la Società delle
Nazioni.
Nel 1937 pubblicò la lettera, con cui i vescovi spagnoli
presero posizione il 1º luglio dello stesso anno 1937 sulla
guerra civile, sostenendo il movimento dittatoriale del generale
Franco.
È del 1938 un articolo a firma di Enrico Rosa, in cui il
gesuita analizza alcune critiche rivolte alla rivista da uno studio
sulla questione ebraica. L'autore respinge le accuse secondo le
quali la rivista assecondò nel 1890 due misure contro gli
ebrei: la confisca dei beni e l'espulsione dall'Italia; il padre
Rosa afferma che nessuna delle due può essere ammessa da uno
spirito cristiano, e che la rivista non le appoggiò, pur
ammettendo che il vigore della polemica propria di quel momento
storico non aiutò a esprimere le posizioni nella forma
più chiara. Al tempo stesso l'articolo di Enrico Rosa prende
le distanze dal nascente antisemitismo fascista. Nello stesso anno,
però, la rivista commentò favorevolmente le Leggi
razziali fasciste, volendo addirittura rilevarvi una notevole
differenza con quelle naziste.
Secondo il giudizio degli storici cattolici La Civiltà
Cattolica continuò sempre nella denuncia di tutti i
totalitarismi che insanguinarono il 1900. Tale lettura non è
condivisa dal resto degli storici, ed è stata messa in
questione anche in tempi recenti (vedi oltre).
È degna di nota l'opera di padre Robert Graham, dedicatosi a
smentire le teorie storiche sul preteso "silenzio" di papa Pio XII a
proposito dei campi di sterminio nazisti.
Nel secondo Dopoguerra mise in guardia contro il pericolo comunista
in Italia e nei paesi dell'Est europeo. Articoli di fuoco, come
quelli firmati da padre Riccardo Lombardi (1908-1979), richiamavano
il mondo cattolico alla necessità di organizzarsi per
combattere le sinistre nelle elezioni politiche del 1948.
In quel momento si verificò un dissidio interno al Collegio
degli Scrittori sull'opportunità che i cattolici si
alleassero con schieramenti diversi:
* Il direttore della rivista, padre Giacomo
Martegani (1902-1981), vedeva con favore un "asse" di destra fra
Uomo Qualunque, Movimento Sociale Italiano e parte della Democrazia
Cristiana e, insieme al vescovo di Pompei, monsignor Roberto Ronca
(1901-1978), favoriva la costituzione del movimento Civiltà
Italica.
* In pratica prevalse invece una linea conforme,
anche se critica, alle strategie di Alcide De Gasperi (1881-1954),
rappresentata da padre Antonio Messineo e da padre Salvatore Lener
(1907-1983).
Dopo il Vaticano II
Prospettiva ecclesiale
La rivista diede un'amplissima informazione sul Concilio Vaticano
II, al quale alcuni suoi scrittori parteciparono anche in
qualità di periti.
Da allora la rivista non assunse più un tono di opposizione,
ma di dialogo con il mondo moderno, nello sforzo di non venire meno
alla verità cristiana e senza compromessi, alla ricerca di un
dialogo tra fede e cultura.
Il lungo pontificato di papa Giovanni Paolo II influì
inevitabilmente anche sulle scelte della Compagnia di Gesù e
sulla rivista, favorendo la prospettiva missionaria e la ripresa di
articoli apologetici, e il lavoro sulla Nuova Evangelizzazione di un
mondo culturalmente sempre più disomogeneo e attratto da
punti di riferimento diversi da quelli del Vangelo.
Nel contesto politico italiano
Nel momento del compromesso storico la rivista portò avanti
un costante appello all'unità politica e partitica dei
cattolici, cosa che sfociò in un pressante e perdurante
richiamo a «rifondare» la DC.
Nel frattempo stava avanzando il processo di secolarizzazione della
società italiana, visibile nelle sconfitte referendarie su
temi come il divorzio e l'aborto. I cattolici divennero minoranza
nel paese, e s'indebolì la loro forza politica, fino alla
frammentazione e alla «libera uscita» dell'elettorato
democristiano dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e l'inizio
di Tangentopoli.
La Civiltà Cattolica e l'antigiudaismo
L'attenzione nei confronti della "questione ebraica" ebbe inizio nel
1880, quando la rivista lanciò una lunga campagna contro gli
ebrei con una serie di 36 articoli che furono pubblicati per i
successivi 40 mesi. In uno dei primi numeri si raccontava di recenti
scoppi di violenza antisemita in Germania. L'articolista scriveva
che gli ebrei erano costretti dalla loro religione a detestare tutti
i non ebrei e, di conseguenza, i cristiani li detestavano. Le
società dovevano proteggersi dagli ebrei e quindi,
concludeva, sarebbe stato auspicabile che i governi introducessero
«leggi eccezionali per una razza sì eccezionalmente e
sì profondamente perversa»[13]. L'impegno sistematico
nei confronti degli ebrei fu inizialmente inserito nell'ambito della
polemica contro liberalismo e massoneria: gli ebrei erano visti come
complici e istigatori del tentativo di arrivare al potere politico
ed economico e instaurare un nuovo ordine sociale. La rivista
moltiplicò i suoi interventi diffamatori dando ampio spazio
alle accuse di omicidio rituale, con una linea che proseguirà
per almeno tre decenni[4]. La polemica proseguì con una serie
di precisi inviti a controllare e reprimere il pericolo ebraico,
insistendo nella richiesta di leggi speciali che facciano tornare
gli ebrei alla originaria condizione di subordinati. A partire dalla
rivoluzione russa del 1917 gli attacchi sono rivolti al bolscevismo
e all'ebraismo accusato di esserne il promotore, designato come
giudeobolscevismo.
Con '’avvento del nazionalsocialismo e lo scatenarsi delle
persecuzioni antisemite, la rivista conosce una nuova stagione nella
quale si tenta di precisare i concetti introducendo nuove
distinzioni. Pur condannando alcuni aspetti dell'ideologia razzista,
la Civiltà Cattolica ribadisce la liceità
dell'opposizione nei confronti del giudaismo e di moderate misure
discriminatorie da adottare nei confronti degli ebrei, come ad
esempio la segregazione sociale. Scrive il p. Mario Barbera che una
volta che lo Stato abbia «amichevolmente» segregato gli
ebrei, occorrerebbe, da parte cattolica, «adoperarsi per la
conversione». Un articolo, pubblicato dalla rivista nel 1936,
affermava che non si può «dimenticare che gli ebrei
medesimi hanno richiamato su di sé le giuste avversioni dei
popoli con i loro soprusi troppo frequenti e con l'odio loro verso
Cristo medesimo, la sua religione e la Chiesa cattolica».
David Kertzer, nel suo libro I Papi contro gli ebrei (2001), accusa
la Chiesa cattolica di aver sostenuto, con il suo antigiudaismo,
l'antisemitismo dei totalitarismi del XX secolo. In particolare
riporta che nel 1882 La Civiltà Cattolica annunciò con
soddisfazione le prime manifestazioni dei movimenti politici
antisemiti moderni che organizzavano congressi internazionali.
Riporta pure che nel 1890 nella stessa rivista apparvero tre lunghi
articoli sulla "questione giudaica" che negli anni successivi furono
riuniti in un libretto di 90 pagine.
Tale libro è stato oggetto di un pubblico dibattito sul
Corriere della Sera tra lo stesso autore del libro e padre Giovanni
Sale S.J.. Nella sua replica, il gesuita ammette l'antigiudaismo, ma
osserva che «la rivista però modificò poi il suo
antigiudaismo... E per impulso di Pio XI, a partire dal 1934,
pubblicò alcuni articoli contro l'antisemitismo
razziale». Inoltre «La Civiltà Cattolica fu
l'unica rivista italiana che si oppose, già nell'agosto 1938,
alla legislazione razziale emanata da Mussolini il 1º settembre
1938».
*
La Civiltà cattolica e l'antigiudaismo
L'impegno sistematico de La Civiltà Cattolica nei confronti
degli ebrei fu inizialmente inserito nell’ambito della polemica
contro liberalismo e massoneria: gli ebrei erano visti come complici
e istigatori del tentativo di arrivare al potere politico ed
economico e instaurare un nuovo ordine sociale. Per corroborare la
tesi della malvagità satanica degli ebrei, la rivista
moltiplicò i suoi interventi diffamatori dando ampio spazio
alle accuse di omicidio rituale, con una linea che proseguirà
per almeno tre decenni[1]. La polemica proseguì con una serie
di precisi inviti a controllare e reprimere il pericolo ebraico,
insistendo nella richiesta di leggi speciali che facciano tornare
gli ebrei alla originaria condizione di subordinati. Emblematica fu
la posizione del papato e della rivista, nel sostegno
all'attività dei cristiano-sociali austriaci di Karl Lueger,
apertamente schierati su posizioni radicalmente antiebraiche. A
partire dalla rivoluzione russa del 1917 gli attacchi sono rivolti
al bolscevismo e all'ebraismo accusato di esserne il promotore,
designato come giudeobolscevismo.
Con l'avvento del nazionalsocialismo e lo scatenarsi delle
persecuzioni antisemite, la rivista conosce una nuova stagione nella
quale si tenta di precisare i concetti introducendo nuove
distinzioni. Pur condannando alcuni aspetti dell'ideologia razzista,
la Civiltà Cattolica ribadisce la liceità
dell'opposizione nei confronti del giudaismo e di moderate misure
discriminatorie da adottare nei confronti degli ebrei, come ad
esempio la segregazione sociale.
Dal 1850 al 1914
La nascita della rivista aveva coinciso con la restaurazione del
ghetto di Roma da parte di papa Pio IX. Durante i suoi primi anni di
vita La Civiltà Cattolica non dedicò particolare
spazio alla trattazione del "problema ebraico", ma nel 1858 la
rivista scese in campo per difendere l'operato di Pio IX sul caso
Edgardo Mortara, affermando la legittimità del prelevamento
coatto «stanteché i genitori [...] non avrebbero mai
consentito per cosa del mondo che si facesse col loro
beneplacito» e affermando che il bambino, una volta condotto a
Roma non aveva più alcuna intenzione di far ritorno alla casa
paterna[.
L’attenzione nei confronti della "questione ebraica" ebbe inizio nel
1880, quando la rivista lanciò una lunga campagna contro gli
ebrei con una serie di 36 articoli che furono pubblicati per i
successivi 40 mesi. In uno dei primi numeri si raccontava di recenti
scoppi di violenza antisemita in Germania. L'articolista scriveva
che gli ebrei erano costretti dalla loro religione a detestare tutti
i non ebrei e, di conseguenza, i cristiani li detestavano. Le
società dovevano proteggersi dagli ebrei e quindi,
concludeva, sarebbe stato auspicabile che i governi introducessero
«leggi eccezionali per una razza sì eccezionalmente e
sì profondamente perversa». Nel corso dei primi mesi
del 1881 il p. Giuseppe Oreglia scriveva: «Tutto il nervo del
moderno Giudaismo [...] consiste essenzialmente in questo suo domma
fondamentale, secondo il quale l'ebreo non può né deve
riconoscere mai nel suo Prossimo altri che un ebreo; tutti gli altri
o cristiani o non cristiani dovendo essere da ogni buon ebreo
osservante della sua legge come non-prossimo, non-fratelli ed anzi
come nemici odiabili, perseguitabili e sterminabili, se fosse
possibile, con qualsiasi mezzo dalla faccia della terra». E
proseguiva: «Sono però, in sostanza, questi ebrei
conservatori e progressisti tutti una razza sola, varianti solo nei
mezzi; cioè sceglienti ognuno i mezzi più adatti
all'intelligenza dei loro lettori, per arrivare sempre allo stesso
scopo, che è la padronanza generale del mondo considerato
come naturale proprietà, nel corpo e nei beni, della razza
ebrea e del suo Messia». Nel 1884 la rivista tornerà ad
affermare che gli ebrei costituiscono un gruppo non solo religioso,
ma anche nazionale e razziale, demonizzando l’ebraismo e indicandolo
come cagione di massoneria, liberalismo e cospirazioni contro
l’umanità, riesumando persino la medievale accusa del sangue.
La campagna denigratoria continuò nel 1885 con una
lunghissima confutazione del Pro Judaeis[7] di Corrado Guidetti, che
si protrasse per circa due anni.
Tra il 1886 e il 1887 la rivista pubblicò una serie di
scritti di p. Oreglia che tentavano di dimostrare come, nel corso
della storia, gli ebrei avessero sempre perseguitato i cristiani.
Gli articoli, apparsi a puntate sotto il titolo Dell’ebraica
persecuzione contro il cristianesimo, intendevano svelare come le
persecuzioni anticristiane degli imperatori romani, a partire dai
tempi di Nerone sino a Costantino fossero state tutte segretamente
istigate dagli ebrei. Anche nelle rubriche, nelle note, nelle
cronache e nelle recensioni la rivista dedicò molto spazio
alla "questione ebraica"; particolare importanza ebbero tre articoli
pubblicati nel 1890 a firma di p. Raffaele Ballerini, Della
questione giudaica in Europa, ai quali, pubblicati in un unico
pamphlet, fu data massima diffusione. Scriveva Ballerini che:
«Dell'Italia non accade ragionare: dal 1859 in qua, essa
è divenuta un regno degli ebrei, che hanno saputo gabbare la
moltitudine dei grulli, spacciandosi per i più sfegatati
patrioti della Penisola. I circa 50.000 giudei che si annidano nella
Penisola, vi hanno il centro principale nel Veneto, nel Mantovano,
negli antichi Stati Estensi e nel Ferrarese. In questa regione, che
si può chiamare la Giudea italica, sono essi i
sopracciò in tutto e per tutto. Non si spende quasi una lira
senza il loro beneplacito. Il commercio, l'industria, il cambio, la
proprietà rustica e urbana dipende da loro. [...] Nulla
diciamo di Roma più che dalle baionette italiane occupata dai
lacci della grande rete giudaica [...] l'usura, in questa capitale
ben più del giudaismo che dell'italianità, vi regna
sovrana; e con l'usura vi passeggiano fastose la frode, la camorra e
la rapina. Milano, Torino, Venezia, Modena, Bologna, Firenze vivono
nell'opinione pubblica fabbricata nei ghetti e nelle
sinagoghe».
Gli attacchi continuarono nel 1892 e nel 1893 con articoli a firma
di p. Francesco Saverio Rondina, e nel 1896 con grande risalto alla
pubblicazione in Italia del libro dell’arcivescovo Léon
Meurin: La Franc-Maçonnerie, Synagogue de Satan (Parigi,
1893), che sviluppava la teoria del complotto giudaico-massonico in
modo talmente articolato, da essere stato indicato come una delle
fonti dei Protocolli dei Savi di Sion. La rivista descriverà
il libro come «un insigne monumento di scienza, a cui
ricorreranno quanti desiderano cercare l’intima struttura della
massoneria».
Nel 1898 La Civiltà Cattolica interverrà sul caso
Dreyfus, affermando che gli ebrei «in nessuna terra hanno
raggiunto l’apice che occupano nella Francia. Quivi non hanno finora
esercitata solo un immane potenza, ma addirittura l’onnipotenza, e
politica e finanziaria. La massoneria, padrona dello Stato, dipende
servilmente da essi; ed essi, per mezzo suo, hanno in mano la
Repubblica, detta perciò ebraica più che
francese». L’articolista spera che il caso possa convincere
l’opinione pubblica dell’impossibilità di considerare gli
ebrei come cittadini e si compiace nel constatare che nella condanna
di Dreyfus venga colpito di fatto l’intero ebraismo. Gli attacchi
continuarono nel 1910, con un articolo in difesa di karl Lueger,
fondatore del gruppo dei cristiano-sociali dell’impero
austroungarico e schierato su posizioni radicalmente antiebraiche:
«Né il titolo di grande, applicato al merito del
Lueger, che nel suo genere di attività fu anzi unico, deve
sembrare esagerato, chi consideri, che il suo nome resterà
nella storia glorioso per aver liberato Vienna dalla
schiavitù economica e politica degli ebrei» e nel 1914
con l’articolo Raggiri ebraici e documenti papali. A proposito di un
recente processo, che prendeva in considerazione il processo per un
presunto omicidio rituale svoltosi a Kiev nel 1913 (nel quale
l’imputato fu assolto), condividendo la posizione del sacerdote
cattolico Justinus E. Pranaitis, presente al processo e autore di
una lunga deposizione secondo la quale «La conclusione di
queste dimostrazioni fu l’esistenza indubitabile di assassinii
giudaici contro i cristiani per fine religioso come superstiziosa
perversione talmudica».
Dal 1914 al 1937
Nel 1921 la rivista rivolse l’accusa di giudeobolscevismo agli ebrei
russi, in seguito agli sconvolgimenti rivoluzionari del 1917-1918:
«il bolscevismo è in fondo il vecchio giudaismo che
stringe con audacia e con zelo degno di miglior causa le file della
rivoluzione mondiale per estendere il suo regno plutocratico e
dominare e sfruttare i popoli cristiani. È certo che il
bolscevismo, dal suo primo erompere dalla disfatta degli eserciti
russi fino ad oggi, è stato ispirato, diretto e fiancheggiato
dagli Israeliti che con l’onnipotenza dell’alta banca e con la
superiorità della cultura, con una coscienza purtroppo ottusa
in quanto a morale, ha potuto in un periodo di scompiglio e di
profonda depressione nazionale sovrapporsi dispoticamente al popolo
russo. […] funzionari, commissari, comitati, soviety, la suprema
direzione politica, amministrativa, finanziaria, tutto è
nelle mani del semitismo strapotente», nel 1922 La rivista
pubblicava l’articolo La rivoluzione mondiale e gli ebrei,
largamente ispirato ai Protocolli dei Savi di Sion.
Nel 1928 con l’articolo Il pericolo giudaico e gli “amici di
Israele”, si prende in considerazione la prima importante condanna
formale dell’antisemitismo, avvenuta per volere di papa Pio XI:
L'articolista, pur condannando gli «eccessi di
antisemitismo», ribadisce le accuse agli ebrei. La condanna
dell'antisemitismo del 1928, spiega La Civiltà Cattolica, non
va intesa come condanna dei pregiudizi contro l'ebraismo, ma come la
condanna di quelle teorie che condannando l'ebraismo attaccano poi
il cristianesimo. Secondo la dottrina cattolica esistono due periodi
distinti nella storia di Israele: il periodo anteriore alla venuta
di Cristo che rappresenta l’ebraismo buono, e il periodo posteriore
che è quello in cui il popolo ebreo, accecato, maledetto e
deicida, sviluppa una teologia da condannare. La Chiesa si proclama
erede del primo Israele, lo assume come predecessore ma condanna e
considera solo come territorio di missione il secondo. Quando le
nuove teorie razziste, pur prendendo molto dalla demonizzazione
dell'ebraismo fatta dalla Chiesa, non distinguono più tra i
due Israele, la Chiesa percepisce il pericolo di una ripulsa del
cristianesimo.
Nel settembre del 1934 il p. Enrico Rosa, analizzando il libro di
Theodor Fritsch, Handbuch der Judenfrage un classico
dell’antisemitismo ottocentesco riedito e diffuso dal NSDAP,
riconosce che in questo e in altri testi, soprattutto di autori
protestanti simpatizzanti del nazismo, pur essendo passibili di
condanna, vi è «un fondo di verità» per
quanto riguarda «lo studio […] della “dottrina giudaica”,
riguardante il Talmud, la cabala giudaica, l’omicidio rituale e
simili altre questioni», e che le informazioni contenute
nell’Handbuch, sull’ Alliance Israélite Universelle,
sull’Anglo Jewish Association e sul sionismo «confermano
certamente l’esistenza e la gravità del pericolo
ebraico».
Nell'ottobre del 1936, dopo l'emanazione delle leggi di Norimberga,
il p. Mario Barbera con l'articolo La questione giudaica, tornava a
denunciare la minaccia che il giudaismo rappresentava per tutti i
popoli: ancora una volta, la radice della pericolosità
ebraica veniva ravvisata nel suo messianismo «materialistico e
temporalistico» che fa sì che anche coloro che hanno
rinnegato la loro religione ed eventualmente rotto con la propria
comunità, debbano essere considerati ebrei: «nel giudeo
razionalista rivoluzionario, che non crede alle Scritture, il
messianismo, latente nell'animo suo, diventa praticamente
l'aspirazione al regno ideale di giustizia che sognano i comunisti,
da dover conseguire anche a costo di stragi e rovine». Per
Barbera «i giudei sono giudei; vogliono restare giudei;
sempre, dappertutto anche loro malgrado restano giudei».
L'assimilazione è impossibile e l'ipotesi sionista
impraticabile «perché i giudei, dotati unicamente delle
facoltà dei parassiti e dei distruttori non possiedono
nessuna attitudine e nessun gusto per il lavoro manuale». Nel
maggio del 1937 padre Barbera pubblicò tre articoli in cui la
questione giudaica veniva indicata come un problema che occorreva
affrontare con urgenza. Che il bolscevismo sia una creazione ebraica
è fuori di dubbio: «i governi di tutte le nazioni, onde
sarà costituita la Repubblica universale, passeranno tutti,
senza sforzo, nelle mani israelite, mediante la vittoria del
proletariato. [...] Per conquistare il dominio del mondo, il
giudaismo si serve delle due potenze più efficaci di
dominazione del mondo: l'una materiale, l'oro, che è al
presente il padrone supremo del mondo, e l'altra ideale,
l'internazionalismo». Una volta che lo Stato abbia
«amichevolmente» segregato gli ebrei, occorrerebbe, da
parte cattolica, «adoperarsi per la conversione».
Un articolo, pubblicato dalla rivista nel 1936, attaccò un
libro di Rudolf Laemmel che criticava le dottrine razziste e nel
quale si invocava un atteggiamento difensivo degli ebrei da parte
della Chiesa cattolica. Affermava l’articolista che non si
può «dimenticare che gli ebrei medesimi hanno
richiamato su di sé le giuste avversioni dei popoli con i
loro soprusi troppo frequenti e con l’odio loro verso Cristo
medesimo, la sua religione e la Chiesa cattolica».