La Civiltà Cattolica

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La Civiltà Cattolica è una rivista della Compagnia di Gesù, tra le più antiche esistenti nel panorama culturale italiano.

Tra le molte riviste cattoliche, la Civiltà Cattolica è l'unica ad essere esaminata in fase di bozza dalla Segreteria di Stato della Santa Sede e ad averne l'approvazione definitiva. Si considera una rivista di alta divulgazione.

Storia

La fondazione

La nascita della rivista può essere convenzionalmente fissata il 9 gennaio 1850, quando Pio IX ordinò d’autorità ai gesuiti italiani che si desse inizio alla pubblicazione di una rivista o di un "giornale popolare" scritto in lingua italiana, che combattesse gli «errori moderni» e che difendesse la dottrina cattolica e gli interessi della Santa Sede dagli attacchi dei liberali e dei razionalisti. I gesuiti diedero immediatamente esecuzione all’ordine papale e il padre generale Joannes Philippe Roothaan divenne il più efficace patrono dell’impresa voluta dal papa, sostenendola contro tutti gli oppositori.

Nel febbraio del 1850 Pio IX fece versare dal cardinale Giacomo Antonelli 1250 ducati destinati alla rivista, presso la banca Rothschild di Napoli, dichiarandosi disponibile ad assumersi l’incarico di ulteriori necessità finanziarie. La campagna che precedette l’uscita della rivista fu organizzata con grande cura: nelle maggiori città italiane furono costituiti degli uffici incaricati di fare pubblicità e di raccogliere adesioni e abbonamenti: agli organizzatori, convocati a Napoli per coordinarne le attività, furono distribuiti 120.000 prospetti programmatici e 4000 cartelloni pubblicitari.

Direttore e responsabile della rivista fu padre Carlo Maria Curci, autore di opere teologiche contro Vincenzo Gioberti. Il primo numero, che uscì il 6 aprile 1850, portava impresso sulla copertina il 15º versetto del salmo 143: Beato il popolo il cui Signore è Dio e fu stampato in 4200 copie, ma già nello stesso mese di aprile se ne stamparono 6000: nel giro di pochi mesi la tiratura giunse a più di 8000 copie, il numero degli abbonati del primo trimestre salì a 6307.

Un articolo apparso sul primo numero della rivista, a firma dello stesso padre Curci, informava circa gli obiettivi della nuova pubblicazione. "La Civiltà Cattolica" si proponeva di ricorrere al nuovo mezzo inventato dalla società moderna per guidare la pubblica opinione, non solo nello Stato della Chiesa, bensì in tutta l'Italia, proprio per combattere la modernità e giungere così alla ricostruzione della cristianità medievale.

Padre Curci ottenne l'appoggio pieno di papa Pio IX, che voleva disporre di uno strumento adatto a difendere il pensiero cattolico, e del cardinale Giacomo Antonelli.

Tra i primi redattori si annoverano i gesuiti:

    * Luigi Taparelli D'Azeglio (1793-1862), filosofo del diritto.
    * Matteo Liberatore (1810-1892), cultore della filosofia tomista, e precursore dell'insegnamento sociale della Chiesa, al punto che Leone XIII lo chiamerà a stendere la Rerum Novarum.
    * Antonio Bresciani (1798-1862), letterato.
    * Giovanni Battista Pianciani (1784-1862), studioso di scienze naturali.

Vi collaborarono anche i padri Carlo Piccirillo (1821-1888) e Giuseppe Oreglia di Santo Stefano (1823-1895), a quel tempo ancora studenti.

Molti di questi padri formeranno in seguito il primo Collegio degli Scrittori, costituito "perpetuamente" il 12 febbraio 1866 con il breve apostolico Gravissimum supremi di papa Pio IX. Fino al 1933 gli autori conservarono l'anonimato, e da quell'anno gli articoli furono firmati.

La rivista ebbe quindi subito un carattere polemico e combattivo, che si mantenne per lungo tempo. Era lo stile tipico dell'Ottocento, stile che peraltro era tipico anche degli avversari della Chiesa.

A causa della censura ordinata dalla polizia del Regno delle Due Sicilie, la redazione dopo pochi mesi dalla fondazione fu trasferita a Roma. La rivista si sentì vittima di una persecuzione da parte di «consiglieri e ministri massoni imbevuti di spirito anticurialista». A Roma La Civiltà Cattolica uscì in fascicoli quindicinali di 128 pagine.

Dopo tale passaggio La Civiltà Cattolica assunse sempre più il carattere dì interprete fedele del pensiero e delle direttive della Santa Sede.

La direzione effettiva passò a padre Giuseppe Calvetti e successivamente a padre Giuseppe Paria, che la resse dal 1854 al 1856. La direzione nominale della rivista rimase invece nelle mani di padre Curci.

La Civiltà Cattolica sospese le pubblicazioni dopo il 20 settembre 1870, in seguito all'ingresso delle truppe italiane in Roma. La redazione fu trasferita a Firenze, dove la rivista riapparve il 24 dicembre successivo. La sede ritornò definitivamente a Roma il 26 dicembre 1887.

Le battaglie dell'Ottocento

Protagonista del dibattito culturale che si svolse in Italia e nella Chiesa nella seconda metà del secolo XIX, La Civiltà Cattolica portò un contributo decisivo al Sillabo, al Concilio Vaticano I (1869-1870) e, soprattutto, all'opera di restaurazione della filosofia tomista, che avrà il suo coronamento durante il pontificato di papa Leone XIII (1878-1903). Nel corso dei lavori preparatori del Concilio Vaticano I, La Civiltà Cattolica condusse una campagna preventiva contro gli ambienti cattolici che non vedevano di buon occhio la proclamazione del dogma dell'infallibilità papale. Un articolo comparso il 6 febbraio 1869 stroncava le perplessità e le inquietudini dei cattolici liberali affermando che avrebbero ricevuto “con gioia la proclamazione del futuro Concilio sull’infallibilità dommatica del sommo pontefice. […] Si spera che la manifestazione unanime dello Spirito Santo per la bocca dei padri del futuro Concilio ecumenico, la definirà per acclamazione”.

Rivestì sempre un ruolo di primo piano anche sulla scena politica italiana, seguendo con attenzione le vicende che portarono all'unificazione politica d'Italia e alla nascita della Questione Romana: la rivista si oppose sul piano ideologico, con tutte le sue forze, all'Italia riunificata, per difendere il potere temporale dei pontefici. Dopo la breccia di Porta Pia (1870), si pose sempre come pietra d'inciampo per la classe politica liberale, minoritaria nel paese. Ugualmente portò avanti la polemica contro il modernismo.

Reazioni laiciste

Il mondo culturale laicista reagì all'opera de La Civiltà Cattolica con la fondazione, a Torino, della rivista Il Cimento, uscita dal 1852 al 1856. Attraverso di essa il filosofo Bertrando Spaventa (1817-1883), vicino al pensiero di Hegel, e lo storico della letteratura Francesco De Sanctis si proposero di confutare gli articoli della rivista cattolica.

La prima metà del Novecento

All'inizio del Novecento la rivista si rivolgeva alla maggioranza cattolica degli italiani, nel tentativo di costruire una scuola per una classe dirigente preparata ad affrontare il futuro, soprattutto dopo il graduale venir meno del non expedit.

Pio XI ricordava in una lettera del 31 luglio 1924 che "fin dagli inizi del periodico gli scrittori si prefissero quale sacro e immutabile dovere la difesa dei diritti della Sede Apostolica e della fede cattolica, e la lotta contro il veleno della dottrina che il liberalismo aveva inoculato nelle vene stesse degli Stati e delle società".

Anche durante il fascismo la rivista puntò soprattutto alla formazione della classe dirigente, ovviando all'assenza di figure di rilievo nel movimento cattolico. Nel 1930, nell'ambito dello scontro fra Stato e Chiesa verificatosi dopo il Concordato del 1929, venne scoperto un legame fra il gruppo antifascista d'ispirazione monarchico-cattolica Alleanza Nazionale per la Libertà e padre Enrico Rosa, in quel tempo direttore della rivista.

Nel 1936 La Civiltà Cattolica trattò della liceità delle annessioni coloniali. Il tema fu affrontato da padre Antonio Messineo (1897-1968) in un frangente delicato: in quel tempo infatti l'Italia era impegnata nella conquista dell'Etiopia e stava vivendo il conseguente scontro con la Società delle Nazioni.

Nel 1937 pubblicò la lettera, con cui i vescovi spagnoli presero posizione il 1º luglio dello stesso anno 1937 sulla guerra civile, sostenendo il movimento dittatoriale del generale Franco.

È del 1938 un articolo a firma di Enrico Rosa, in cui il gesuita analizza alcune critiche rivolte alla rivista da uno studio sulla questione ebraica. L'autore respinge le accuse secondo le quali la rivista assecondò nel 1890 due misure contro gli ebrei: la confisca dei beni e l'espulsione dall'Italia; il padre Rosa afferma che nessuna delle due può essere ammessa da uno spirito cristiano, e che la rivista non le appoggiò, pur ammettendo che il vigore della polemica propria di quel momento storico non aiutò a esprimere le posizioni nella forma più chiara. Al tempo stesso l'articolo di Enrico Rosa prende le distanze dal nascente antisemitismo fascista. Nello stesso anno, però, la rivista commentò favorevolmente le Leggi razziali fasciste, volendo addirittura rilevarvi una notevole differenza con quelle naziste.

Secondo il giudizio degli storici cattolici La Civiltà Cattolica continuò sempre nella denuncia di tutti i totalitarismi che insanguinarono il 1900. Tale lettura non è condivisa dal resto degli storici, ed è stata messa in questione anche in tempi recenti (vedi oltre).

È degna di nota l'opera di padre Robert Graham, dedicatosi a smentire le teorie storiche sul preteso "silenzio" di papa Pio XII a proposito dei campi di sterminio nazisti.

Nel secondo Dopoguerra mise in guardia contro il pericolo comunista in Italia e nei paesi dell'Est europeo. Articoli di fuoco, come quelli firmati da padre Riccardo Lombardi (1908-1979), richiamavano il mondo cattolico alla necessità di organizzarsi per combattere le sinistre nelle elezioni politiche del 1948.

In quel momento si verificò un dissidio interno al Collegio degli Scrittori sull'opportunità che i cattolici si alleassero con schieramenti diversi:

    * Il direttore della rivista, padre Giacomo Martegani (1902-1981), vedeva con favore un "asse" di destra fra Uomo Qualunque, Movimento Sociale Italiano e parte della Democrazia Cristiana e, insieme al vescovo di Pompei, monsignor Roberto Ronca (1901-1978), favoriva la costituzione del movimento Civiltà Italica.
    * In pratica prevalse invece una linea conforme, anche se critica, alle strategie di Alcide De Gasperi (1881-1954), rappresentata da padre Antonio Messineo e da padre Salvatore Lener (1907-1983).

Dopo il Vaticano II

Prospettiva ecclesiale

La rivista diede un'amplissima informazione sul Concilio Vaticano II, al quale alcuni suoi scrittori parteciparono anche in qualità di periti.

Da allora la rivista non assunse più un tono di opposizione, ma di dialogo con il mondo moderno, nello sforzo di non venire meno alla verità cristiana e senza compromessi, alla ricerca di un dialogo tra fede e cultura.

Il lungo pontificato di papa Giovanni Paolo II influì inevitabilmente anche sulle scelte della Compagnia di Gesù e sulla rivista, favorendo la prospettiva missionaria e la ripresa di articoli apologetici, e il lavoro sulla Nuova Evangelizzazione di un mondo culturalmente sempre più disomogeneo e attratto da punti di riferimento diversi da quelli del Vangelo.
Nel contesto politico italiano

Nel momento del compromesso storico la rivista portò avanti un costante appello all'unità politica e partitica dei cattolici, cosa che sfociò in un pressante e perdurante richiamo a «rifondare» la DC.

Nel frattempo stava avanzando il processo di secolarizzazione della società italiana, visibile nelle sconfitte referendarie su temi come il divorzio e l'aborto. I cattolici divennero minoranza nel paese, e s'indebolì la loro forza politica, fino alla frammentazione e alla «libera uscita» dell'elettorato democristiano dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e l'inizio di Tangentopoli.

La Civiltà Cattolica e l'antigiudaismo

L'attenzione nei confronti della "questione ebraica" ebbe inizio nel 1880, quando la rivista lanciò una lunga campagna contro gli ebrei con una serie di 36 articoli che furono pubblicati per i successivi 40 mesi. In uno dei primi numeri si raccontava di recenti scoppi di violenza antisemita in Germania. L'articolista scriveva che gli ebrei erano costretti dalla loro religione a detestare tutti i non ebrei e, di conseguenza, i cristiani li detestavano. Le società dovevano proteggersi dagli ebrei e quindi, concludeva, sarebbe stato auspicabile che i governi introducessero «leggi eccezionali per una razza sì eccezionalmente e sì profondamente perversa»[13]. L'impegno sistematico nei confronti degli ebrei fu inizialmente inserito nell'ambito della polemica contro liberalismo e massoneria: gli ebrei erano visti come complici e istigatori del tentativo di arrivare al potere politico ed economico e instaurare un nuovo ordine sociale. La rivista moltiplicò i suoi interventi diffamatori dando ampio spazio alle accuse di omicidio rituale, con una linea che proseguirà per almeno tre decenni[4]. La polemica proseguì con una serie di precisi inviti a controllare e reprimere il pericolo ebraico, insistendo nella richiesta di leggi speciali che facciano tornare gli ebrei alla originaria condizione di subordinati. A partire dalla rivoluzione russa del 1917 gli attacchi sono rivolti al bolscevismo e all'ebraismo accusato di esserne il promotore, designato come giudeobolscevismo.

Con '’avvento del nazionalsocialismo e lo scatenarsi delle persecuzioni antisemite, la rivista conosce una nuova stagione nella quale si tenta di precisare i concetti introducendo nuove distinzioni. Pur condannando alcuni aspetti dell'ideologia razzista, la Civiltà Cattolica ribadisce la liceità dell'opposizione nei confronti del giudaismo e di moderate misure discriminatorie da adottare nei confronti degli ebrei, come ad esempio la segregazione sociale. Scrive il p. Mario Barbera che una volta che lo Stato abbia «amichevolmente» segregato gli ebrei, occorrerebbe, da parte cattolica, «adoperarsi per la conversione». Un articolo, pubblicato dalla rivista nel 1936, affermava che non si può «dimenticare che gli ebrei medesimi hanno richiamato su di sé le giuste avversioni dei popoli con i loro soprusi troppo frequenti e con l'odio loro verso Cristo medesimo, la sua religione e la Chiesa cattolica».

David Kertzer, nel suo libro I Papi contro gli ebrei (2001), accusa la Chiesa cattolica di aver sostenuto, con il suo antigiudaismo, l'antisemitismo dei totalitarismi del XX secolo. In particolare riporta che nel 1882 La Civiltà Cattolica annunciò con soddisfazione le prime manifestazioni dei movimenti politici antisemiti moderni che organizzavano congressi internazionali. Riporta pure che nel 1890 nella stessa rivista apparvero tre lunghi articoli sulla "questione giudaica" che negli anni successivi furono riuniti in un libretto di 90 pagine.

Tale libro è stato oggetto di un pubblico dibattito sul Corriere della Sera tra lo stesso autore del libro e padre Giovanni Sale S.J.. Nella sua replica, il gesuita ammette l'antigiudaismo, ma osserva che «la rivista però modificò poi il suo antigiudaismo... E per impulso di Pio XI, a partire dal 1934, pubblicò alcuni articoli contro l'antisemitismo razziale». Inoltre «La Civiltà Cattolica fu l'unica rivista italiana che si oppose, già nell'agosto 1938, alla legislazione razziale emanata da Mussolini il 1º settembre 1938».

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La Civiltà cattolica e l'antigiudaismo

L'impegno sistematico de La Civiltà Cattolica nei confronti degli ebrei fu inizialmente inserito nell’ambito della polemica contro liberalismo e massoneria: gli ebrei erano visti come complici e istigatori del tentativo di arrivare al potere politico ed economico e instaurare un nuovo ordine sociale. Per corroborare la tesi della malvagità satanica degli ebrei, la rivista moltiplicò i suoi interventi diffamatori dando ampio spazio alle accuse di omicidio rituale, con una linea che proseguirà per almeno tre decenni[1]. La polemica proseguì con una serie di precisi inviti a controllare e reprimere il pericolo ebraico, insistendo nella richiesta di leggi speciali che facciano tornare gli ebrei alla originaria condizione di subordinati. Emblematica fu la posizione del papato e della rivista, nel sostegno all'attività dei cristiano-sociali austriaci di Karl Lueger, apertamente schierati su posizioni radicalmente antiebraiche. A partire dalla rivoluzione russa del 1917 gli attacchi sono rivolti al bolscevismo e all'ebraismo accusato di esserne il promotore, designato come giudeobolscevismo.

Con l'avvento del nazionalsocialismo e lo scatenarsi delle persecuzioni antisemite, la rivista conosce una nuova stagione nella quale si tenta di precisare i concetti introducendo nuove distinzioni. Pur condannando alcuni aspetti dell'ideologia razzista, la Civiltà Cattolica ribadisce la liceità dell'opposizione nei confronti del giudaismo e di moderate misure discriminatorie da adottare nei confronti degli ebrei, come ad esempio la segregazione sociale.

Dal 1850 al 1914

La nascita della rivista aveva coinciso con la restaurazione del ghetto di Roma da parte di papa Pio IX. Durante i suoi primi anni di vita La Civiltà Cattolica non dedicò particolare spazio alla trattazione del "problema ebraico", ma nel 1858 la rivista scese in campo per difendere l'operato di Pio IX sul caso Edgardo Mortara, affermando la legittimità del prelevamento coatto «stanteché i genitori [...] non avrebbero mai consentito per cosa del mondo che si facesse col loro beneplacito» e affermando che il bambino, una volta condotto a Roma non aveva più alcuna intenzione di far ritorno alla casa paterna[.

L’attenzione nei confronti della "questione ebraica" ebbe inizio nel 1880, quando la rivista lanciò una lunga campagna contro gli ebrei con una serie di 36 articoli che furono pubblicati per i successivi 40 mesi. In uno dei primi numeri si raccontava di recenti scoppi di violenza antisemita in Germania. L'articolista scriveva che gli ebrei erano costretti dalla loro religione a detestare tutti i non ebrei e, di conseguenza, i cristiani li detestavano. Le società dovevano proteggersi dagli ebrei e quindi, concludeva, sarebbe stato auspicabile che i governi introducessero «leggi eccezionali per una razza sì eccezionalmente e sì profondamente perversa». Nel corso dei primi mesi del 1881 il p. Giuseppe Oreglia scriveva: «Tutto il nervo del moderno Giudaismo [...] consiste essenzialmente in questo suo domma fondamentale, secondo il quale l'ebreo non può né deve riconoscere mai nel suo Prossimo altri che un ebreo; tutti gli altri o cristiani o non cristiani dovendo essere da ogni buon ebreo osservante della sua legge come non-prossimo, non-fratelli ed anzi come nemici odiabili, perseguitabili e sterminabili, se fosse possibile, con qualsiasi mezzo dalla faccia della terra». E proseguiva: «Sono però, in sostanza, questi ebrei conservatori e progressisti tutti una razza sola, varianti solo nei mezzi; cioè sceglienti ognuno i mezzi più adatti all'intelligenza dei loro lettori, per arrivare sempre allo stesso scopo, che è la padronanza generale del mondo considerato come naturale proprietà, nel corpo e nei beni, della razza ebrea e del suo Messia». Nel 1884 la rivista tornerà ad affermare che gli ebrei costituiscono un gruppo non solo religioso, ma anche nazionale e razziale, demonizzando l’ebraismo e indicandolo come cagione di massoneria, liberalismo e cospirazioni contro l’umanità, riesumando persino la medievale accusa del sangue. La campagna denigratoria continuò nel 1885 con una lunghissima confutazione del Pro Judaeis[7] di Corrado Guidetti, che si protrasse per circa due anni.

Tra il 1886 e il 1887 la rivista pubblicò una serie di scritti di p. Oreglia che tentavano di dimostrare come, nel corso della storia, gli ebrei avessero sempre perseguitato i cristiani. Gli articoli, apparsi a puntate sotto il titolo Dell’ebraica persecuzione contro il cristianesimo, intendevano svelare come le persecuzioni anticristiane degli imperatori romani, a partire dai tempi di Nerone sino a Costantino fossero state tutte segretamente istigate dagli ebrei. Anche nelle rubriche, nelle note, nelle cronache e nelle recensioni la rivista dedicò molto spazio alla "questione ebraica"; particolare importanza ebbero tre articoli pubblicati nel 1890 a firma di p. Raffaele Ballerini, Della questione giudaica in Europa, ai quali, pubblicati in un unico pamphlet, fu data massima diffusione. Scriveva Ballerini che: «Dell'Italia non accade ragionare: dal 1859 in qua, essa è divenuta un regno degli ebrei, che hanno saputo gabbare la moltitudine dei grulli, spacciandosi per i più sfegatati patrioti della Penisola. I circa 50.000 giudei che si annidano nella Penisola, vi hanno il centro principale nel Veneto, nel Mantovano, negli antichi Stati Estensi e nel Ferrarese. In questa regione, che si può chiamare la Giudea italica, sono essi i sopracciò in tutto e per tutto. Non si spende quasi una lira senza il loro beneplacito. Il commercio, l'industria, il cambio, la proprietà rustica e urbana dipende da loro. [...] Nulla diciamo di Roma più che dalle baionette italiane occupata dai lacci della grande rete giudaica [...] l'usura, in questa capitale ben più del giudaismo che dell'italianità, vi regna sovrana; e con l'usura vi passeggiano fastose la frode, la camorra e la rapina. Milano, Torino, Venezia, Modena, Bologna, Firenze vivono nell'opinione pubblica fabbricata nei ghetti e nelle sinagoghe».

Gli attacchi continuarono nel 1892 e nel 1893 con articoli a firma di p. Francesco Saverio Rondina, e nel 1896 con grande risalto alla pubblicazione in Italia del libro dell’arcivescovo Léon Meurin: La Franc-Maçonnerie, Synagogue de Satan (Parigi, 1893), che sviluppava la teoria del complotto giudaico-massonico in modo talmente articolato, da essere stato indicato come una delle fonti dei Protocolli dei Savi di Sion. La rivista descriverà il libro come «un insigne monumento di scienza, a cui ricorreranno quanti desiderano cercare l’intima struttura della massoneria».

Nel 1898 La Civiltà Cattolica interverrà sul caso Dreyfus, affermando che gli ebrei «in nessuna terra hanno raggiunto l’apice che occupano nella Francia. Quivi non hanno finora esercitata solo un immane potenza, ma addirittura l’onnipotenza, e politica e finanziaria. La massoneria, padrona dello Stato, dipende servilmente da essi; ed essi, per mezzo suo, hanno in mano la Repubblica, detta perciò ebraica più che francese». L’articolista spera che il caso possa convincere l’opinione pubblica dell’impossibilità di considerare gli ebrei come cittadini e si compiace nel constatare che nella condanna di Dreyfus venga colpito di fatto l’intero ebraismo. Gli attacchi continuarono nel 1910, con un articolo in difesa di karl Lueger, fondatore del gruppo dei cristiano-sociali dell’impero austroungarico e schierato su posizioni radicalmente antiebraiche: «Né il titolo di grande, applicato al merito del Lueger, che nel suo genere di attività fu anzi unico, deve sembrare esagerato, chi consideri, che il suo nome resterà nella storia glorioso per aver liberato Vienna dalla schiavitù economica e politica degli ebrei» e nel 1914 con l’articolo Raggiri ebraici e documenti papali. A proposito di un recente processo, che prendeva in considerazione il processo per un presunto omicidio rituale svoltosi a Kiev nel 1913 (nel quale l’imputato fu assolto), condividendo la posizione del sacerdote cattolico Justinus E. Pranaitis, presente al processo e autore di una lunga deposizione secondo la quale «La conclusione di queste dimostrazioni fu l’esistenza indubitabile di assassinii giudaici contro i cristiani per fine religioso come superstiziosa perversione talmudica».

Dal 1914 al 1937

Nel 1921 la rivista rivolse l’accusa di giudeobolscevismo agli ebrei russi, in seguito agli sconvolgimenti rivoluzionari del 1917-1918: «il bolscevismo è in fondo il vecchio giudaismo che stringe con audacia e con zelo degno di miglior causa le file della rivoluzione mondiale per estendere il suo regno plutocratico e dominare e sfruttare i popoli cristiani. È certo che il bolscevismo, dal suo primo erompere dalla disfatta degli eserciti russi fino ad oggi, è stato ispirato, diretto e fiancheggiato dagli Israeliti che con l’onnipotenza dell’alta banca e con la superiorità della cultura, con una coscienza purtroppo ottusa in quanto a morale, ha potuto in un periodo di scompiglio e di profonda depressione nazionale sovrapporsi dispoticamente al popolo russo. […] funzionari, commissari, comitati, soviety, la suprema direzione politica, amministrativa, finanziaria, tutto è nelle mani del semitismo strapotente», nel 1922 La rivista pubblicava l’articolo La rivoluzione mondiale e gli ebrei, largamente ispirato ai Protocolli dei Savi di Sion.

Nel 1928 con l’articolo Il pericolo giudaico e gli “amici di Israele”, si prende in considerazione la prima importante condanna formale dell’antisemitismo, avvenuta per volere di papa Pio XI: L'articolista, pur condannando gli «eccessi di antisemitismo», ribadisce le accuse agli ebrei. La condanna dell'antisemitismo del 1928, spiega La Civiltà Cattolica, non va intesa come condanna dei pregiudizi contro l'ebraismo, ma come la condanna di quelle teorie che condannando l'ebraismo attaccano poi il cristianesimo. Secondo la dottrina cattolica esistono due periodi distinti nella storia di Israele: il periodo anteriore alla venuta di Cristo che rappresenta l’ebraismo buono, e il periodo posteriore che è quello in cui il popolo ebreo, accecato, maledetto e deicida, sviluppa una teologia da condannare. La Chiesa si proclama erede del primo Israele, lo assume come predecessore ma condanna e considera solo come territorio di missione il secondo. Quando le nuove teorie razziste, pur prendendo molto dalla demonizzazione dell'ebraismo fatta dalla Chiesa, non distinguono più tra i due Israele, la Chiesa percepisce il pericolo di una ripulsa del cristianesimo.

Nel settembre del 1934 il p. Enrico Rosa, analizzando il libro di Theodor Fritsch, Handbuch der Judenfrage un classico dell’antisemitismo ottocentesco riedito e diffuso dal NSDAP, riconosce che in questo e in altri testi, soprattutto di autori protestanti simpatizzanti del nazismo, pur essendo passibili di condanna, vi è «un fondo di verità» per quanto riguarda «lo studio […] della “dottrina giudaica”, riguardante il Talmud, la cabala giudaica, l’omicidio rituale e simili altre questioni», e che le informazioni contenute nell’Handbuch, sull’ Alliance Israélite Universelle, sull’Anglo Jewish Association e sul sionismo «confermano certamente l’esistenza e la gravità del pericolo ebraico».

Nell'ottobre del 1936, dopo l'emanazione delle leggi di Norimberga, il p. Mario Barbera con l'articolo La questione giudaica, tornava a denunciare la minaccia che il giudaismo rappresentava per tutti i popoli: ancora una volta, la radice della pericolosità ebraica veniva ravvisata nel suo messianismo «materialistico e temporalistico» che fa sì che anche coloro che hanno rinnegato la loro religione ed eventualmente rotto con la propria comunità, debbano essere considerati ebrei: «nel giudeo razionalista rivoluzionario, che non crede alle Scritture, il messianismo, latente nell'animo suo, diventa praticamente l'aspirazione al regno ideale di giustizia che sognano i comunisti, da dover conseguire anche a costo di stragi e rovine». Per Barbera «i giudei sono giudei; vogliono restare giudei; sempre, dappertutto anche loro malgrado restano giudei». L'assimilazione è impossibile e l'ipotesi sionista impraticabile «perché i giudei, dotati unicamente delle facoltà dei parassiti e dei distruttori non possiedono nessuna attitudine e nessun gusto per il lavoro manuale». Nel maggio del 1937 padre Barbera pubblicò tre articoli in cui la questione giudaica veniva indicata come un problema che occorreva affrontare con urgenza. Che il bolscevismo sia una creazione ebraica è fuori di dubbio: «i governi di tutte le nazioni, onde sarà costituita la Repubblica universale, passeranno tutti, senza sforzo, nelle mani israelite, mediante la vittoria del proletariato. [...] Per conquistare il dominio del mondo, il giudaismo si serve delle due potenze più efficaci di dominazione del mondo: l'una materiale, l'oro, che è al presente il padrone supremo del mondo, e l'altra ideale, l'internazionalismo». Una volta che lo Stato abbia «amichevolmente» segregato gli ebrei, occorrerebbe, da parte cattolica, «adoperarsi per la conversione».

Un articolo, pubblicato dalla rivista nel 1936, attaccò un libro di Rudolf Laemmel che criticava le dottrine razziste e nel quale si invocava un atteggiamento difensivo degli ebrei da parte della Chiesa cattolica. Affermava l’articolista che non si può «dimenticare che gli ebrei medesimi hanno richiamato su di sé le giuste avversioni dei popoli con i loro soprusi troppo frequenti e con l’odio loro verso Cristo medesimo, la sua religione e la Chiesa cattolica».