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Filosofo ed erudito italiano (Pistoia 1857 - Firenze 1931);
professore di storia della filosofia all'univ. di Napoli
(1887-1908), il suo pensiero, basato sul kantismo, si venne
svolgendo come un idealismo teistico. Il Ch. si occupò anche
di origini cristiane e di socialismo (cfr. la sua autobibliografia
Laboravi fidenter. Cinquant'anni di opera scientifica e letteraria
1877-1927, 1928). Interventista, aderì poi al fascismo. Fu
socio naz. dei Lincei (1899) e senatore del regno (1914).
*
DBI
di Carlo Coen
CHIAPPELLI, Alessandro.
Nacque a Pistoia il 20 nov. 1857 da Francesco, medico, e da
Clementina Sozzifanti, di nobile e antica famiglia. La sua vasta e
multiforme cultura trovò uno dei suoi elementi di formazione
già nell'educazione familiare: sin dalla più tenera
età ebbe a disposizione le fornite biblioteche di casa
Sozzifanti, Franchini e Civinini, famiglie amiche, oltre a quella
paterna.
Ebbe un'educazione religiosa attraverso la madre, ma non chiusa al
pensiero moderno, attraverso il padre, di moderata fede liberale.
Studiò al liceo "Forteguerri", dove ebbe come professore di
lettere G. Procacci. Si iscrisse poi alla facoltà di lettere
e filosofia dell'istituto di studi superiori di Firenze, dove ebbe
per insegnanti, tra gli altri, F. Tocco e F. Fiorentino, che con la
loro impostazione neokantiana influirono molto sul suo pensiero.
I primi anni della sua attività di pensatore e pubblicista
furono caratterizzati da numerosi, saggi sulla storia della
filosofia greca, che gli aprirono la via dell'insegnamento
filosofico a Padova (1883), a Firenze (1885) e all'università
di Napoli, dove tenne la cattedra di storia della filosofia dal 1887
al 1908, anno in cui egli si ritirò dall'insegnamento per
dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pubblicistica; inoltre
gli fruttarono una lunga serie di cariche onorifiche, da quella di
accademico nazionale dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia
della Crusca, a quella di senatore del Regno (30 dic. 1914).
Tra il 1881 e il 1904 apparve una serie di monografie su Talete, su
Pitagora e Anassimene, su Senofane, Melisso, la sofistica, Socrate,
Panezio, sullo stoicismo, e soprattutto su Platone e le sue opere:
furono lavori a impostazione filologica, per i quali il C. raccolse
il plauso di studiosi autorevoli; particolarmente felice fu un
saggio del 1904 (Ueber die Spuren einer doppelten Redaktion des
plat. Theaetets, in Archiv für Gesch. der Philosophie
[Berlino]) sul Teeteto platonico, in cui si avanzava l'ipotesi di
una duplice redazione di questo dialogo: l'anno seguente il Diels e
lo Schubart pubblicarono il frammento di un commentario anonimo, che
esplicitamente confermava quell'ipotesi.
Contemporaneamente il C. s'impegnava nello studio delle origini
cristiane, seguendo con attenzione e competenza, fra i primi in
Italia, le scoperte di papiri, testi paleocristiani e frammenti
evangelici; egli raccolse gli articoli e i saggi scritti su questo
argomento in due volumi successivi: Studi d'antica letteratura
cristiana (Torino 1887) e Nuove pagine sul cristianesimo antico
(Firenze 1902).
Altro interesse coltivato dal C. fu quello per le questioni
politico-sociali: lo dimostrò partecipando appassionatamente
al dibattito che, nell'ultimo decennio del XIX secolo, si stava
sviluppando in Italia attorno al socialismo e al nascente movimento
operaio; egli espresse pubblicamente la sua posizione prima con la
memoria accademica Le premesse filosofiche del socialismo (Napoli
1896), in seguito con il volume Il socialismo e il pensiero moderno
(Firenze 1897).
Il C. si muove sulla stessa linea revisionista di Bernstein, tanto
da anticiparne alcune posizioni, contribuendo al processo di
revisione del marxismo in atto in questo periodo.
Il suo approccio al dibattito sul marxismo è caratterizzato
dalla definizione del materialismo storico come mero canone
interpretativo e dall'accentuazione dell'elemento etico nella lotta
politica. La natura del movimento operaio è, appunto, etica
(lo sfruttamento capitalistico è l'uso dell'uomo come mezzo e
non come fine) e i suoi ideali ultimi coincidono con quelli del
cristianesimo; cosicché socialismo e cristianesimo, seppure
diversi tra di loro, possono e devono allearsi e conciliarsi. Se il
socialismo muta di natura, e secondo il C. ciò stava
avvenendo, le classi superiori hanno dei precisi doveri: rinunciare
a difendere a oltranza i loro privilegi ed educare il proletariato,
attraverso una maggiore diffusione della cultura ed una più
avanzata legislazione sociale.
Queste posizioni lo portarono a presentarsi come candidato delle
sinistre (presentato dai radicali, ebbe l'appoggio di socialisti e
repubblicani) alle elezioni per la Camera dei deputati del 23 giugno
1901 nel collegio di Pistoia II. Pochi giorni prima della votazione,
a causa di una pubblica dichiarazione di fiducia al governo,
l'appoggio dei partiti popolari gli venne però meno e il C.
fu nettamente battuto dal conservatore Morelli Gualtierotti.
Il C. si dedicò anche a studi di arte rinascimentale e
letteratura, coltivandoli lungo tutto l'arco della sua vita. I suoi
saggi di critica letteraria sullo Schiller e sul Leopardi, e
soprattutto su Dante, di cui fu profondo conoscitore, furono
pubblicati su varie riviste e poi raccolti in volumi, al pari di
quelli sull'arte del Rinascimento, che lo impegnarono fino agli
ultimi giorni di vita.
In mezzo a tanta varietà d'indirizzi il filo conduttore della
personalità del C. fu però la sua attività di
riflessione e rielaborazione intorno ai grandi temi della filosofia
contemporanea. La sua opera in questo campo non fu né
originale, né profonda, ma rappresentò un momento
significativo nella cultura filosofica italiana del tempo,
poiché introdusse in essa alcune tematiche, affrontate da
filosofi poco conosciuti nel nostro paese, dibattute all'estero e
scarsamente considerate in Italia. Il tentativo di superare il
criticismo, considerato un equilibrio instabile e provvisorio fra la
scienza e la coscienza, fra la ragione e la vita, caratterizza tutto
il primo periodo della riflessione filosofica del Chiappelli. Il
solo vero e legittimo criticismo è quello che tende a
elaborare e a superare Kant: intorno a questo principio, sostenuto
dal Windelband e dal Wundt, si fonda l'opera del C. negli anni
1884-1910, che culminò nella raccolta degli scritti di questo
periodo in un volume dal titolo molto indicativo, Dalla critica al
nuovo idealismo (Torino 1910). La trasformazione che, a parere del
C., occorrecompiere, consiste nel procedere dalla kantiana critica
della metafisica ad una metafisica critica, o, meglio, ad un
"idealismo metafisico", basato cioè sull'esigenza che al
fondo della realtà naturale sia presente la
razionalità, senza la quale la stessa natura sarebbe
inintellegibile e l'apparizione della coscienza inesplicabile.
In questo quadro il C. si avvicina agli idealisti anglo-americani
(Green, Royce, Caird, Bradley, Bosanquet) ed entra in una lunga
polemica con le correnti vitalistiche e irrazionalistiche,
discutendo animatamente in vari articoli il pragmatismo del James e
l'intuizionismo bergsoniano. Riaffermando il carattere sintetico e
non astratto della ragione, il C. precisa le sue posizioni sui
rapporti tra filosofia, scienza e religione.
Se i progressi della scienza esigono il tentativo, da parte di essa,
di dare forma e legge alla vita, d'altra parte la applicazione della
causalità meccanica al mondo spirituale ripugna alle
più profonde persuasioni dell'uomo. Da questa antinomia trae
la sua ragion d'essere la speculazione filosofica contemporanea. La
scienza riconosce, classifica, spiega, ma non è mai
valutazione, mentre la filosofia è scienza dei valori, forma
di conoscere superiore a quella scientifica, in quanto la giustifica
e la comprende. Nella legge della conservazione dei valori
all'infinito, parallela a quella della conservazione dell'energia
nel mondo fisico, il C. fonda l'essenza della religione; sulla scia
del Lotze e del Hoeffding; la scienza e la religione sono i due
aspetti complementari, ambedue compresi nella filosofia, della vita
spirituale dell'umanità. Ma quella si fonda e si circoscrive
nell'esperienza; questa edifica una realtà che è oltre
l'esperienza. Ed è in grado di edificarla, perché nel
mondo moderno essa non dipende più da una determinata
concezione del mondo (non è più, in altre parole,
teologia), ma sa di avere le sue radici nella vita interiore
dell'uomo e nei suoi più profondi bisogni.
Questa autonomia della religione, nel rispetto della scienza,
legittima le istanze del modernismo; in numerosi articoli, tra i
quali occorre ricordare La nuova enciclica e la modernità (in
La Tribuna del 22 sett. 1907) e - più importante - Nuove voci
sul modernismo (Il Marzocco del 24 maggio 1908), il C. esprime il
suo giudizio su questo movimento.
Per il C. il cristianesimo non è solo una dottrina religiosa,
ma è anzitutto una rivoluzionaria concezione del mondo e
dell'uomo, sì che socialismo, democrazia, umanitarismo non
sono altro che la vera sostanza dell'idea cristiana, quale si
manifesta nel mondo moderno. I modernisti, dunque, con il loro
movimento d'idee, non anticattolico e antigerarchico, ma
antimedievale e antintellettualistico, possono far molto per
riconciliare la Chiesa con il mondo contemporaneo e la scienza,
rappresentati dai moderni metodi di critica storica e biblica. Sono
essi a rappresentare e continuare le genuine tradizioni cristiane, i
cui caratteri più vitali sono la perfettibilità e la
continua evoluzione nella storia; la loro interpretazione simbolica
del dogma attinge la sua validità pratica nelle sue attinenze
con la vita e con l'anima religiosa. Questo "eterno religioso",
sentimento fondamentale e ineliminabile dello spirito umano,
è una costante del pensiero del C. e il suo giudizio sul
movimento modernista è un suo diretto riflesso.
Negli anni successivi, fino alla guerra, il C. produsse una serie di
scritti intorno al tema dell'immortalità dell'anima,
compendiati nel volume Guerra,amore ed immortalità (Milano
1916), in cui sostenne, contro il panteismo e l'immanentismo,
l'immortalità delle singole anime. In quanto alla guerra e
alla posizione da assumere nei suoi confronti, egli si
dichiarò prima "neutralista attento" (in La Nazione del 13
dic. 1914); poi fucontrario a un'alleanza con l'Inghilterra, in
quanto la sua potenza marittima non avrebbe potuto che nuocere
all'Italia (soprattutto in La guerra,l'Italia e la pace futura,
nella Rassegna nazionale, 1º nov. 1915, pp. 3-26); infine
appoggiò la decisione dell'intervento contro la Germania,
giustificando i suoi precedenti atteggiamenti con l'affermare che
nel periodo di neutralità era stato giusto essere neutrali,
per frenare le impazienze, e gli impeti prematuri, mentre in seguito
la posizione migliore era stata quella interventista (cfr.
l'introduzione in F. Marazzi-V. Giglio-A. Ravenni, La guerra
mondiale, Milano 1932).
Nel campo strettamente filosofico il C. introdusse un parziale
sviluppo nella tematica affrontata in precedenza: frutto della nuova
fase della sua analisi fu il volume La crisi del pensiero moderno
(Città di Castello1920), che raccoglie gli scritti del
periodo 1911-20.
La crisi nasce dall'unilateralità delle principali correnti
filosofiche del '900, sviluppatesi in seguito alla morte del
positivismo: il neocriticismo non supera il dualismo di pensiero ed
essere; le dottrine attivistiche sono degenerate
nell'individualismo; l'idealismo, immanentistico nega la natura
oppure confonde ogni elemento dell'essere nell'atto puro. Occorre
quindi fondare il nuovo idealismo, sulla via tracciata da Platone e
dal cristianesimo. Il nostro pensiero è, sì, causa
della realtà, ma solo nel senso ideale, in quanto la
ricostruisce in sé. Lo spirito creatore può, essere
quindi solo assoluto e trascendente: il mondo è un sistema di
relazioni, unificate da un principio che aduna ciò che
è disperso nello spazio e transitorio nel tempo. Questa
concezione, che si riallaccia al pensiero americano, di cui il C.
traccia una storia, permette di superare, a suo parere, il dualismo
di immanenza e trascendenza e di pluralismo e monismo, poiché
lo spirito assoluto, unificando il molteplice, non lo annulla,
bensì lo vivifica comprendendolo nelle sue più varie
forme.
Negli anni dopo la guerra il C. aderì, al fascismo,
giustificando tale adesione con l'esigenza di una sintesi di
liberalismo, e socialismo, fonte di rinnovamento
dell'autorità dello Stato e del prestigio nazionale (cfr. i
volumi Distruzione e ricostruzione civile, Ferrara 1922, e Infanzia
e giovinezza del secolo XX, Firenze 1929).
Partendo dalle posizioni raggiunte con il volume del 1920, il C.
tentò, negli anni che vanno dal 1922 alla sua morte, di
fondare un "teismo critico" come sintesi e superamento delle
antinomie del neocriticismo e dell'idealismo.
Il C. morì a Firenze il 4 nov. 1931.