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Storico italiano (Aosta 1901 - Roma 1960); prof. di storia mod.
nelle univ. di Perugia (1934), Milano (1938) e Roma (1946),
redattore, per la parte storica, dell'Enciclopedia Italiana dal 1928
al 1943, direttore dell'Istituto italiano per gli studi storici in
Napoli dal 1947, socio nazionale dei Lincei (1956). È stato
presidente del Comité international de sciences historiques
dal 1955 al 1960. La sua tematica storiografica, amplissima, dai
primi studî sulle signorie italiane del Trecento, si è
andata sempre più precisando, anche per influsso di F.
Meinecke, intorno al problema dello stato, considerato sia nelle sue
formulazioni teoriche (Del Principe di N. Machiavelli, 1926;
Giovanni Botero, 1933), sia nell'analisi attenta dei rapporti tra le
varie forze politiche ed etiche che lo hanno caratterizzato in certi
momenti della storia (Per la storia religiosa dello stato di Milano
durante il dominio di Carlo V, 1938), sia ancora, specie nella fase
conclusiva della sua opera e della sua esperienza, nella
ricostruzione attentissima delle vicende politico-diplomatiche
dell'Italia postunitaria, al momento del suo affacciarsi nel
concerto delle nazioni, alla fine dell'Ottocento, periodo in cui lo
Chabod ha riconosciuto il momento più alto della
realizzazione del suo ideale di stato liberale (Storia della
politica estera italiana dal 1870 al 1896, vol. I: Le premesse,
1951). Sul piano di questi interessi, lo Chabod tenne corsi
universitarî famosi, raccolti postumi dalle dispense: L'Italie
contemporaine, 1918-1948, tenuto alla Sorbona (1950) e ristampato in
italiano nel 1961; L'idea di nazione, 1961; Storia dell'idea
d'Europa, 1961; La politica di Paolo Sarpi, 1962. Il vol. IX della
Storia di Milano (1961) comprende un suo ampio contributo su L'epoca
di Carlo V (1535-1559), completa rielaborazione di un vecchio studio
su Lo Stato di Milano nell'impero di Carlo V (1934). Dal 1948 al
1958 ha diretto la Rivista storica italiana. Appassionato alpinista,
fu comandante di bande partigiane durante la Resistenza e primo
presidente della Val d'Aosta.
*
DBI
di Franco Venturi
CHABOD, Federico.
Nacque ad Aosta il 23 febbr. 1901. Il padre
Laurent, notaio, era originario della Valsavaranche; la madre,
Giuseppina Baratono, era di famiglia eporediese. Lo Ch. venne presto
conquistato dalla passione dell'alpinismo (il 29 agosto del 1920
compì con lo zio Michele Baratono e con Mario Schiagno la
prima ascensione della cresta Sud della Dent d'Hérens). Dopo
gli studi medi ad Aosta, entrò nel novembre del 1918 nella
facoltà di lettere dell'università di Torino. Un
testimone attento e sensibile, M. Fubini, lo ha descritto "come
appartato" nel gruppo dei suoi coetanei (p. 629). Non fu
direttamente legato con l'attività politica che andava
sviluppandosi attorno a Piero Gobetti. Discusse d'arte e di
letteratura con professori e compagni (fra questi in specie con
Fubini, Sapegno, Rho), ma prescelse la ricerca storica, sotto la
guida di Pietro Egidi. Come per molti piemontesi dell'età
risorgimentale, la sua dedizione alla storia italiana fu il frutto
di una scelta civile, quasi il doveroso superamento del regionalismo
originario, a servizio dell'Europa. Concentrò presto la sua
attenzione su Commynes, e soprattutto su Machiavelli, così
risalendo alle origini della storia moderna per via più
diretta di quanto fosse quella inizialmente prescelta, di una tesi
sul passaggio dal Comune alla Signoria. Scrisse una introduzione al
Principe da cui trasse una breve presentazione dell'opera,
pubblicata a Torino nel 1924, ed un saggio d'un centinaio di pagine,
che apparve l'anno successivo nella Nuova Rivista storica (IX, pp.
35-71, 189-216, 437-73). Evidenti i "motivi di vita", come egli
diceva, che l'avevano portato ad affrontare Machiavelli; ma, per
calare questi motivi nella realtà storica, egli riprese gli
studi da cui era partito negli anni universitari, pubblicando
nell'anno 1925 sulla Rivista storica italiana (XLII, pp. 29-47)
un'ampia rassegna degli "studi recenti" sull'età comunale e
signorile, che andava "arditamente oltre l'Ottokar
nell'accentuazione dei motivi personalistici nella lotta politica" e
risentiva dell'atmosfera italiana di quella primavera del 1924 in
cui furono scritti, quando "sotto i nostri occhi si veniva
sterilmente spegnendo l'insurrezione morale per l'assassinio di
Matteotti e si manifestava l'insufficienza politica dell'Aventino"
(Sestan, p. 684).
A questa atmosfera lo Ch. reagì con coraggio, collaborando
con Salvemini, di cui era diventato alunno a Firenze (ne
organizzò l'espatrio attraverso il Piccolo San Bernardo il 16
ag. 1925). Storiograficamente reagì sottolineando, con
crescente energia, il valore etico-politico della ricerca.
Tutta la seconda parte del saggio su Machiavelli, del 1925, era
dedicata a porre il segretario fiorentino "di fronte al suo tempo",
a determinare "il carattere e i limiti del suo pensiero, a scoprire
gli errori" della sua "valutazione", della sua "fiducia illimitata
nell'uomo di governo", nel "nuovo redentore". Vano ogni tentativo di
"infondere virtù". Post res perditas il Principe diventava
"puro criterio d'interpretazione storica". Machiavelli sboccava
insomma sulla ragion di Stato.
Il soggiorno presso il seminario storico dell'università di
Berlino per due semestri nel 1925 e 1926 e la discussione là
sostenuta con Friedrich Meinecke circa la data e le modalità
della composizione del Principe confermarono lo Ch. nella sua
volontà di trovare nella filologia il necessario distacco
dalle passioni circostanti. Il saggio Sulla composizione de "Il
Principe", uscito nell'Archivum romanicum del 1927 (XI, pp.
330-383), si appaia a un articolo su Uno storicotedesco
contemporaneo: Federico Meinecke, apparso lo stesso anno nella Nuova
Rivista storica (XI, pp. 592-603): lo Ch. manteneva la
volontà politici al centro della sua ricostruzione del
passato, ma esitava ad accertare la volontà statalistica, di
potenza della scuola storiografica tedesca.
La recente Storia del Regno di Napoli di B. Croce gli proponeva una
ricerca d'altro tipo, "dell'anima del popolo, del sorgere della
nazione, del sentimento civile, di una coscienza insomma che segni
veramente l'inizio di una tradizione e di una storia propria". La
Idee der Staatsräson di Meinecke restava per lui una delle
"creazioni più suggestive della storiografia europea di
questi ultimi tempi". Ma la ragion di Stato non poteva esser
scartata, all'inizio del periodo più chiuso dell'Italia
fascista.
Il mestiere dello storico (come egli amava dire) e l'eccezionale
ampiezza dei suoi interessi furono le armi con cui egli difese se
stesso dal crescente isolamento di quegli anni. Insieme col maestro
Pietro Egidi e con Vittorio Di Tocco, entrambi prematuramente
scomparsi, intraprese la sistematica esplorazione dell'Archivio di
Simancas, fondamentale per la conoscenza dell'Italia dell'età
di Carlo V e di Filippo II.
Nel dicembre del 1928 lo Ch. divenne redattore per la storia
medievale e moderna dell'Enciclopedia Italiana, per la quale scrisse
molti articoli che testimoniano della sua volontà di dominare
uomini e cose dell'Europa moderna, dal Quattrocento all'Illuminismo.
Attivo egli fu pure nella Scuola di storia moderna e contemporanea
di Roma, diretta da G. Volpe, di cui fece parte dal 1930 al 1934,
avendo a colleghi Carlo Morandi e Walter Maturi. Nel 1930
sposò Jeanne Rohr, che gli fu compagna tutta la vita.
Nominato professore universitario nel 1935 fu chiamato a Perugia
nella facoltà di scienze politiche, donde passò alla
facoltà di lettere dell'università di Milano
nell'autunno del 1938.
Su tre argomenti andò concentrando negli anni '30 la sua
attività di studioso: il Rinascimento, la formazione degli
Stati moderni, da ultimo anche la politica estera dell'Italia unita.
Il Rinascimento fu per lui sempre meno connesso al passaggio tra
l'età comunale e quella delle Signorie, spostandosi verso il
pieno Cinquecento. Ebbe meno il carattere d'un dramma politico e si
configurò ai suoi occhi come civiltà, come Riforma e
Controriforma, come costruzione statale. Sempre vivo rimase
l'interesse giovanile per Machiavelli, come risulta dalla voce che
lo Ch. nel 1934 gli dedicò nell'Enciclopedia. Ma già
nel 1933, sempre nell'Enciclopedia, era apparsa la voce
"Guicciardini" che rivelava come nella sua maturità di
storico lo Ch. fosse venuto modificando le sue idee giovanili.
Lontano ormai il giudizio desanctisiano sul Guicciardini. Certo lo
sguardo teorico di Machiavelli gli pareva giungere più
lontano. Ma Guicciardini era maggior storico, anzi "il massimo fra
tutti gli storici italiani". Era "assai più complesso" di
Machiavelli, possedendo una "impassibilità disincantata" che
gli permetteva di penetrare nel profondo della grande crisi italiana
del Cinquecento.
Ricco di spunti nuovi anche l'ampio studio, composto nel 1931-1932 e
pubblicato a Roma nel 1934, dedicato a Giovanni Botero. Esplicito
anche qui il paragone con Machiavelli e l'avanzamento della ricerca
dal primo al tardo Cinquecento, all'età della Controriforma,
di cui lo Ch. seguiva le più riposte vie. Questo ed altri
suoi ritratti erano nati ai margini dei grandi affreschi che fin dal
1933 lo Ch. era andato ridipingendo del Rinascimento tutto intero.
La sua relazione al VII Congresso internazionale di scienze
storiche, tenutosi a Varsavia nel 1933, era ancora dedicata alle
"recenti interpretazioni" del Rinascimento. Seguì (1936)
l'articolo "Rinascimento" dell'Enciclopedia e infine il saggio sul
Rinascimento, pubblicato a Como nel 1942 nel volume Problemi storici
e orientamenti storiografici, a cura di Ettore Rota.
Lo Ch. non andava alla ricerca di una definizione, ma intendeva
fissare nel modo più ricco e completo possibile "il carattere
distintivo di un'epoca storica" (Sestan, p. 677). Intendeva pure
precisarne i limiti in termini cronologici e geografici, come
fenomeno prevalentemente italiano, compreso tra il Tre e il
Cinquecento.
In stretto legame con il problema del Rinascimento lo Ch.
affrontò il secondo dei suoi grandi temi, la formazione
cioè dello Stato moderno, quale gli appariva attraverso le
vicende e le strutture del Milanese nel secolo XVI. Nel 1934 usciva
a Roma Lo Stato di Milano nell'impero di Carlo V. Lo Ch. considerava
provvisoria e insoddisfacente questa redazione del suo libro, che fu
stampato in un numero limitatissimo di copie, non più d'una
cinquantina. Tuttavia l'impostazione del libro era solida, ferma
sulla sua radice risorgimentale: quale la posizione d'una terra
italiana in una età di dominazione straniera?
Al centro stava la figura di Carlo V. In forte rilievo i grandi
personaggi. Al di là degli avvenimenti e degli uomini lo Ch.
si volgeva a cogliere le realtà sociali ed amministrative,
incentrate sul "contrasto tra le vecchie gerarchie di luogotenenti e
ufficiali dell'amministrazione legati al sovrano da un vincolo di
natura personale e semifeudale e le nuove gerarchie di
amministratori e funzionari legati, invece, piuttosto allo stato che
al sovrano, e sulla base d'un vincolo che è già
prossimo parente della moderna coscienza burocratica" (Galasso, p.
720). Era un tema nuovo, al quale non corrispondeva una metodologia
affermata e che lo Ch. affrontava affidandosi alla maestria del suo
mestiere di storico. In questo quadro lo Ch. inserì, nel
1938, un indispensabile complemento, con titolo troppo restrittivo:
Per una storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di
Carlo V. Note e documenti (Bologna).
L'occasione per il terzo gruppo dei suoi interessi storiografici -
la politica estera dell'Italia nei primi decenni dell'Unità -
venne allo Ch. da una iniziativa presa nel 1936, per conto
dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, da A.
Pirelli, P. F. Gaslini e G. Volpe. Sotto la spinta di quest'ultimo,
molta storiografia italiana si volgeva allora a studiare i rapporti
internazionali. Venne progettata una Storia della politica estera
italiana dal 1861 al 1914, alla quale avrebbero dovuto partecipare
Walter Maturi e Augusto Torre. Allo Ch. fu affidato il periodo dal
20 sett. 1870 al marzo 1896. L'Archivio storico del ministero degli
Esteri gli venne aperto e lo Ch. vi lavorò sei anni, tra il
1936 e il 1943. Allargò contemporaneamente le sue ricerche
all'archivio dei Visconti Venosta, alle carte di Francesco Salata,
dei Savoia, così come a molti altri fondi pubblici e privati.
"Leggere tutto": questo il primo dettame dell'arte storica, come
spesso egli diceva. Egli lo applicò con una larghezza anche
maggiore di quanto non avesse fatto in passato quando, occupandosi
di Machiavelli, Guicciardini, Botero, i suoi occhi eran rimasti
fissi ai grandi modelli classici. Come per lo Stato di Milano,
così ora per l'Italia unitaria, egli fu preso dall'ansia di
tutto conoscere e capire.
Rinascimento e Unità: le due realtà avevano nell'animo
dello Ch. una radice comune. Dieci anni prima aveva abbandonato il
Due e Trecento per fermarsi alla crisi italiana tra Quattro e
Cinquecento. Aveva poi seguito le orme di uno dei suoi eroi
prediletti, Carlo V. Ora si lasciava alle spalle il Risorgimento,
gli ideali di Mazzini e di Cavour e volgeva il suo sguardo agli anni
delle delusioni e delle realizzazioni, agli anni di Depretis e di
Crispi. Altri accanto a lui, Salvemini, Gobetti, Omodeo erano per
vie diverse risaliti alle origini, ai momenti di creazione delle
forze nuove, all'Italia comunale, a Cattaneo, al Risorgimento senza
eroi, alla concordia discors di Mazzini e Cavour. Lo Ch. scelse la
nuova ragion di Stato, nata dalla coscienza che l'Italia unita
veniva prendendo dalla propria natura politica, economica e sociale.
Il termine di partenza era la formazione dello Stato italiano,
quello ad quem era stato indicato da Nello Rosselli nella nascita
del movimento operaio. Il periodo prescelto dallo Ch. resta
così quello che intercorse tra il Risorgimento e la ripresa
del movimento democratico e socialista (1870-1896).
Il confronto tra gli ideali e la realtà stava al centro della
sua ricerca e al cuore di essa stava la liberazione di Roma.
L'Italia nuova si staccava sempre più dalla Francia,
costretta a fare il suo esame di coscienza dopo il crollo
dell'Impero di Napoleone III. Dal ricchissimo quadro intellettuale e
politico emergeva al di qua delle Alpi un gruppo di uomini che,
abbandonando ormai le loro origini mazziniane o conservatrici, erano
accomunati dal duro compito di controllare e trasformare la
realtà italiana. Al centro restava la politica estera, non
per un teorico primato di questa sulle altre forme politiche, ma
perché in essa sembravano racchiudersi tutti gli elementi
negativi e positivi della nuova realtà. Lo Ch. non giunse
tuttavia a scrivere la storia della politica estera dei primi
decenni dell'Italia unita - anche se tale restava il suo proposito,
di giungere in quattro volumi alla fine del secolo -, ma
preparò allora quelle Premesse che videro poi la luce nel
1951 a Bari.
A Milano, quando fu chiamato all'università per insegnarvi
alternativamente storia medievale e moderna, lo Ch. trovò
appoggi e stimoli che molto l'aiutarono ad ampliare i propri piani.
Gli studenti innanzi tutto, all'ammirazione dei quali lo Ch. rispose
con corsi sempre più impegnativi, sui problemi che andavano
alle radici della situazione italiana in quegli ultimi anni del
fascismo. Ripartendo dal passaggio del mondo antico al Medioevo e da
questo all'era moderna parlò nel 1939-40 della politica
imperiale di Carlo V, per tornare nel 1940-41 ai Comuni e alle
Signorie dell'Italia settentrionale, dedicando il 1941-42 ad
illustrare la politica estera italiana dal 1871 al 1878,
soffermandosi l'anno seguente su Cola di Rienzo per giungere, nel
1943-44 alla storia dell'idea di nazione e d'Europa.
Di una grande impresa di storiografia economica lo Ch. fu attivo
partecipe dal 1940 in poi. Insieme a Raffaele Mattioli, Gino
Luzzatto e Ugo La Malfa progettò un'opera da pubblicarsi nel
1944, in occasione del cinquantenario della Banca commerciale
italiana e che avrebbe compreso il XVIII, XIX e XX secolo fino
all'inizio della prima guerra mondiale.
Voleva essere una storia d'Italia economica e sociale che, partendo
dalla decadenza seicentesca, avrebbe seguito lo studio
dell'agricoltura, industria e commercio del Settecento e il formarsi
del nuovo "uomo d'affari italiano", con particolare attenzione alle
"ripercussioni politico-sociali dello sviluppo economico" in
Piemonte e in Lombardia. Una seconda parte avrebbe riguardato il
"dominio francese". Nella terza e quarta parte, separate dal
"decennio risolutivo" del Risorgimento, si sarebbero esaminati
partitamente agricoltura, commercio, finanze, industria, politica
economica con particolare riguardo alle "dinastie di uomini
d'affari" e allo "sviluppo dello spirito capitalistico in Italia",
alle "condizioni sociali di contadini e di operai". Lo Ch. voleva
fossero pure specificamente trattate "le crisi sociali e la
diffusione delle idee socialiste e comuniste, la preoccupazione dei
partiti dirigenti di fronte al problema socialista, la questione
dell'emigrazione", il sorgere alla fine del secolo delle grandi
banche e il diffondersi dell'industrializzazione "per concludere col
maggiore equilibrio sociale e la politica giolittiana, il partito
socialista e il sindacalismo, l'espansione economica fuori d'Italia,
la conquista dei mercati stranieri".
La crisi politica del 1943 interruppe il lavoro, che fu per lo Ch.,
come per tutti coloro che vi presero parte, una attiva preparazione
ai compiti che la guerra e il crollo del fascismo andavano imponendo
anche agli studiosi.
Dal 1939 al 1943 lo Ch. diresse la "Biblioteca storica Sansoni" dove
apparvero alcune delle opere più significative della
storiografia italiana di quegli anni: di D. Cantimori (1939 e 1943),
C. Antoni (1940), A. Sapori (1940), E. Pontieri (1943), ecc.
Per un anno, dall'aprile del 1941 al maggio 1942, lo Ch. diresse con
C. Morandi la rivista Popoli, "quindicinale di storia e geografia",
intendendo, come si leggeva nella presentazione, di rimediare al
"divorzio tra la storia degli specialisti e la cultura generale, ...
traducendo in una narrazione viva, efficace, colorita, ma precisa e
sicura il frutto di ricerche lunghe e pazienti".
Vi collaborarono studiosi come W. Maturi, G. Luzzatto (con lo
pseudonimo, imposto dalle leggi razziali, di G. Padovan), G. Falco
(G. Fornaseri), affrontando spesso temi non soltanto diversi, ma
contrari alla propaganda ufficiale. Lo Ch. stesso diede l'esempio
con un saggio su La Comune di Parigi e il timore delle agitazioni
sociali in Europa nell'aprile 1871, apparso nel fascicolo 5, del 15
giugno 1941.
Le crescenti preoccupazioni politiche dello Ch. culminarono, sul
piano dell'insegnamento, con le lezioni del 1943-1944. La
straordinaria efficacia dei due corsi (che E. Sestan e A. Saitta
pubblicarono a Bari nel 1961 col titolo: L'idea di nazione e Storia
dell'idea d'Europa) derivò dal fatto che lo Ch. si poneva,
con tutta la sua energia di storico, al centro dei problemi della
vita e della cultura italiana di quegli anni: rinato interesse per
l'età dei lumi (Gerbi, Salvatorelli, Omodeo, De Ruggiero);
conflitto tra ragione illuminista e individualismo romantico (C.
Antoni); origini liberali e risorgimentali della nazione italiana
(Salvatorelli, Maturi, Omodeo). La Storia d'Italia e la Storia
d'Europa di B. Croce dominavano l'orizzonte, ma ad ogni punto nodale
dei suoi corsi lo Ch. tornava alle fonti rimettendo in questione,
sotto l'urgere delle contraddizioni, l'armonioso modello crociano e
mostrando le radici dei contrasti tra le diverse concezioni via via
maturate nei secoli, di nazione, di Stato, di Europa, di
libertà.
Nell'ambiente milanese lo Ch. era entrato a contatto con uno dei
nuclei centrali del Partito d'azione. Alla politica e agli ideali di
questo egli si ispirò quando, dopo l'8 settembre del 1943,
scelse di stabilirsi a Déjoz in Valle d'Aosta, scendendone
soltanto per brevi soggiorni a Milano e facendone centro d'una
iniziale organizzazione di resistenza nella avita Valsavaranche.
Egli non poté partecipare al convegno clandestino tenuto a
Chivasso il 19 dicembre del 1943 insieme a E. Chanoux ed E. Page per
la Valle d'Aosta, O. Coïsson, G. Malan, G. Peyronel e M.
Rollier per le Valli valdesi, ma vi mandò un rapporto che
contribuì a farvi votare una energica rivendicazione
autonomistica, inserita nel quadro della generale ricostruzione
europea e non senza una precisa affermazione di fedeltà
all'Italia. Nell'estate del 1944 entrò a far parte della
banda Crétier, comandata da suo cugino Remo Chabod. Nel
luglio contribuì all'organizzazione di libere elezioni a
Valsavaranche, "primo comune d'Italia", diceva, ad esercitare questi
suoi riconquistati diritti, come "ancora sul letto di morte [egli]
ricordava con orgoglio" (E. e A. Passerin Entrèves, p. 796).
Sempre nell'estate del 1944 lo Ch. si persuase dell'esistenza, nella
resistenza aostana, d'una corrente che aveva allacciato sempre
più stretti rapporti con la Francia. Lo Ch. operò
contro di essa diffondendo tra gli amici un suo scritto sulla
questione valdostana e facendo ricorso al Comitato di liberazione
dell'Alta Italia, al quale inviava il 27 sett. 1944 un memoriale
intitolato La Valle d'Aosta,l'Italia e la Francia.
Espose pure al senatore Casati, il 10 ottobre, la sua radicata
convinzione che l'Italia libera avrebbe saputo raddrizzare i torti
del passato, inserendo la Valle d'Aosta in uno Stato "rifatto dalle
fondamenta" e basato sull'"autonomia aniministrativo-culturale" in
tutte "le regioni alloglotte di frontiera", lasciando cadere ogni
diffidenza e deponendo finalmente ogni "boria delle nazioni". "Non
chiedo - concludeva il secondo di questi documenti - nessun
privilegio speciale per la terra in cui sono nato, chiedo solo
quello che vorrei fosse dato a tutte le popolazioni di frontiera, in
Italia e fuori d'Italia".
Il C.L.N.A.I. fece sua la posizione dello Ch., impegnandosi
solennemente a favore della autonomia, il 6 ottobre. Nello stesso
mese il comando partigiano di Valtournanche rendeva pubblico un
breve e vibrante Pronunciamento degli esponenti valdostani contrari
all'annessione alla Francia, redatto dallo Ch. e da alcuni esponenti
del clero valdostano. Il C.L.N. della Valle veniva ricostruito e lo
Ch. accettava di farne parte come rappresentante del Partito
d'azione. Il governo Bonomi, sollecitato per mezzo d'una missione di
Remo Chabod, si impegnava il 16 dic. 1944 nella medesima direzione.
I rastrellamenti nemici costringevano intanto lo Ch. a lunghe e
difficili marce dalla Valtournanche alla Valsavaranche, che,
minacciata nel tardo autunno, vide l'esodo di parecchie centinaia di
partigiani, tra cui Jeanne e lo Ch., che dopo cinque giorni di
marcia dal 7 al 12 novembre, finirono col rifugiarsi in Francia. Ivi
lo Ch. riprese la sua attività politica, non senza forti
contrasti con l'autorità francese e l'emigrazione valdostana.
Riuscì a tornare, con un aeroplano inglese, il 10 maggio 1945
nella Valle d'Aosta, ormai libera dai nazi-fascisti, ma dove sempre
più grave si faceva sentire la pressione francese tendente ad
organizzare un plebiscito di annessione della Valle alla Francia. Lo
Ch. diede tutto se stesso alla causa, che finalmente prevalse,
dell'autonomia nell'ambito di un rinnovato Stato italiano: in tre
mesi di attivo soggiorno a Roma, egli divenne il principale artefice
dell'autonomia. Il Consiglio dei ministri approvò l'8 ag.
1945 i due decreti-legge sull'"ordinamento della Valle d'Aosta e
sulle agevolazioni a favore della Valle d'Aosta", promulgati il 7
settembre. Eletto presidente della Valle nella prima riunione del
nuovo Consiglio regionale, lo Ch. si dedicò al lavoro di
ricostruzione in mezzo a duri contrasti. Il 26 marzo 1946 "un folto
gruppo di contadini, guidati dai più fanatici propagandisti
dell'annessione", invadeva il palazzo della Prefettura. "Per un vero
miracolo vennesottratto in tempo dalle mani degli energumeni". Dopo
esser riuscito, malgrado tutto, a gettare le prime basi della nuova
amministrazione, tornò nell'autunno del 1946 agli studi e
all'insegnamento, chiamato alla facoltà di lettere
dell'università di Roma a partire dal 1946-1947.
Divise la sua vita tra Roma e Napoli dove era diventato direttore
dell'Istituto italiano di studi storici fondato da B. Croce. Riprese
il lavoro in tutte le direzioni, dall'età moderna al
Rinascimento. Fece innanzitutto i conti con la propria esperienza di
resistente in un corso tenuto a Parigi nel gennaio 1950 e là
pubblicato in forma di dispense dattilografate dal titolo: L'Italie
contemporaine. Conférences données à l'Institut
d'études politiques de l'Université de Paris. La
traduzione italiana, apparsa postuma nel 1961, fece di questo corso
l'opera dello Ch. più largamente diffusa (venti edizioni,
più di 200.000 copie).
Era un bilancio della vita italiana dal 1918 al 1948, condotto con
rigoroso metodo statistico e storico, senza nulla concedere allo
spirito apologetico e senza nascondere le grosse
responsabilità della società e dello Stato italiano.
Ma dall'esperienza compiuta lo Ch. traeva una sorta di riconferma,
pratica e politica, del principio crociano della positività
della storia. "L'état italien a surmonté une crise
formidable", concludeva. Lo Ch. non si nascondeva i limiti
dell'opera compiuta e sottolineava i pericoli insiti nella
continuità dello Stato, nella forza della burocrazia, nel
prevalere di forme politiche tradizionali, nel Papato il cui peso
era andato crescendo durante la guerra, in Roma occupata, nella
stessa Resistenza. Con dignità pari alla chiarezza, in una
prosa francese ispirata a severo classicismo, lo Ch. presentava
così, a fronte alta, l'Italia tornata a far parte delle
nazioni libere.
Alle radici del moderno Stato italiano lo Ch. tornò subito
dopo la guerra anche per altra via. Ebbe parte essenziale nella
decisione presa nel 1946 dal ministero degli Affari Esteri di creare
una commissione per la pubblicazione dei Documenti diplomatici
italiani. Sostenne ed ottenne che venisse adottato il sistema dei
Documents diplomatiques français, fondato sull'ordine
cronologico, a preferenza di quello sistematico adottato dai
tedeschi. Fu "commissario preposto alla raccolta del materiale"
della serie seconda, riguardante il periodo 1870-1896. Il primo
volume (21 sett. - 31 dic. 1870) vide la luce nel 1960 e resta
esemplare.
Nel 1951 lo Ch. pubblicò a Bari la Storia della politica
estera italiana dal 1870 al 1896, I, Le premesse. L'impostazione
dell'opera, come si è visto, era prebellica, ma in essa era
entrato un soffio vivificante dei tempi nuovi. Le brevi
Considerazioni sulla politica estera dell'Italia dal 1870 al 1915
uscite in un volume miscellaneo l'anno seguente (Orientamenti per la
storia d'Italia nel Risorgimento, Bari 1952) offrivano una sorta di
sintesi dei risultati ottenuti dallo Ch. nella sua interpretazione
dell'Italia liberale.
La morte di B. Croce (1952) e poi quella di F. Meinecke (1954) lo
costrinsero ad un alto commiato da questi due maestri. Forte era il
legame anche personale che era venuto formandosi tra B. Croce e lo
Chabod. I due uomini, così diversi, avevano ritrovato nella
storia una comune ragione di vita.
Lo Ch. rielaborò le idee del maestro, discutendo con fermezza
pari al rispetto. Non ne condivideva il provvidenzialismo di origine
vichiana. Inaccettabile gli pareva il giudizio sulla Controriforma,
così anche quello sulla piaga dell'età fascista. In
genere si sente nel commento dello Ch. l'impossibilità di
accettare l'armonico riequilibrarsi della vita oltre ogni decadenza,
cedimento o rovina.
Più severa e distante appariva dopo la morte la figura di
Meinecke. Con distacco lo Ch. guardava ormai a quell'armonia di
potenza e giustizia che lo storico tedesco aveva preteso costruire
all'inizio del secolo ("Bismarck e Goethe"), e che aveva tentato
invano poi di ricreare attorno alla democrazia di Weimar. Ma alla
disarmonia, anzi al tragico dualismo verificatosi nella
realtà politica del suo paese Meinecke aveva opposto il suo
grandioso lavoro di comprensione storica. La sua capacità di
analisi concreta era sboccata in "uno dei più importanti
quadri di storia delle idee che mai siano stati tracciati".
Strettamente collegata alla ripresa postbellica del lavoro
storiografico dello Ch. fu la sua opera di ricostruttore delle
istituzioni d'insegnamento e di ricerca. Tipica la sua azione
nell'università, che non solo confermò la sua fama di
maestro, ma fece di lui il supremo regolatore della vita accademica
italiana in tutto il campo della storia moderna. Libere docenze,
concorsi, ordinariati degli anni '50 portano tutti il segno della
sua scrupolosa volontà di perfezione formale e sostanziale.
Anche più tipica e profonda l'impronta da lui impressa sulla
struttura tutta nuova dell'Istituto italiano per gli studi storici
di Napoli. Questo istituto ebbe fin dall'inizio un largo carattere
internazionale, così nei temi di ricerca come per le numerose
borse offerte a studiosi stranieri.
Non dissimile lo spirito che lo Ch. volle infondere alla Rivista
storica italiana rinata dopo cinque anni d'interruzione, per
iniziativa sua, e da lui diretta insieme a D. Cantimori, G. Falco,
W. Maturi, A. Momigliano, C. Morandi (la redazione venne affidata ad
E. Sestan e a C. Zaghi). Gli undici volumi apparsi sotto la sua
direzione (dal LX al LXX) hanno una grande apertura europea, non
tanto negli autori, che sono in grande maggioranza italiani, ma nei
temi trattati. Le recensioni che lo Ch. vi pubblicò,
soprattutto nel primo periodo, davano l'esempio (basti ricordare
quella che egli dedicò alle Historische Meditationen di W.
Kaegi, nel primo fascicolo del 1948, pp. 143-47). Alla Rivista egli
riserbò alcuni dei suoi lavori fondamentali, le sue
considerazioni cioè su Croce e Meinecke, e la sua conclusione
(1958) sul problema-chiave dell'impero di Carlo V: Milano o i Paesi
Bassi? (pp. 508-552).
L'organizzazione internazionale degli storici fu, accanto
all'università, all'Istituto di Napoli e alla Rivista, il
terreno sul quale lo Ch. operò per il reinserimento della
storiografia italiana in quella mondiale. Entrato a far parte del
Bureau nel 1950, lo Ch. riuscì in cinque anni di buon lavoro
ad organizzare il congresso tenuto a Roma nel 1955, al quale per la
prima volta presero parte attiva anche gli studiosi dell'Europa
orientale. In questa occasione lo Ch. fu eletto presidente e
veramente fu sulla vasta scena degli studi storici come nella
quotidiana vita accademica italiana il primus inter pares. Né
gli mancarono i riconoscimenti, dalla laurea honoris causa
dell'università di Oxford e di Granada alla nomina a socio
nazionale dell'Accademia dei Lincei (1956).
A questo fortunato lavoro organizzativo si era affiancato, fin dal
1950, un sempre più attivo ritorno dello Ch. ai temi
originari e prediletti della ricerca storica. Il corso romano del
1950-51 (le cui dispense uscirono nel 1952) venne da lui dedicato a
Paolo Sarpi, quello del 1952-53 a Machiavelli "segretario
fiorentino". Nel 1954 uscì il suo saggio sul Giovio. L'anno
dopo scriveva la prefazione al libro di R. von Albertini su Firenze.
Nel 1958 raccoglieva, minutamente rivedendoli, i saggi su
Machiavelli and the Renaissance, che A. Passerin d'Entrèves
curava per una casa editrice inglese. Nello stesso anno uscirono i
saggi più importanti e originali di questa ultima fase della
sua ricerca sul Cinquecento: Stipendi nominali e busta paga
effettiva dei funzionari dell'amministrazione milanese alla fine del
Cinquecento, apparso nella Miscellanea in onore di R. Cessi (Roma,
II, pp. 187-363); Usi ed abusi nell'amministrazione dello Stato di
Milano a mezzo il '500, in Studi storici in onore di G. Volpe
(Firenze, pp. 93-194); Venezia nella politica italiana ed europea
del Cinquecento, in La civiltà veneziana del Rinascimento
(ibid., pp. 27-55) e Y a-t-il un Etat de la Rénaissance?
negli Actes du Colloque sur la Renaissance (Paris, pp. 57-73).
Frattanto lo Ch. aveva continuato a lavorare al suo contributo alla
Storia di Milano riguardante l'epoca di Carlo V, sintesi di
decennali ricerche. Gli riuscì di stenderne tre grossi
capitoli e un frammento del quarto, che costituiscono di per
sé un libro imponente.
A questa straordinaria messe storiografica potrebbe essere applicato
il titolo che egli attribuì al suo corso universitario del
1956-57, Alle origini dello Stato moderno. Ma la ricchezza delle
cose e delle idee, le complesse suggestioni che egli traeva
così dalla sua esperienza di storico internazionale come
dalla sua passione di uomo che con la politica moderna era entrato a
diretto contatto erano venute trasformando profondamente ogni suo
programma e schema originario.
Sempre più viva era diventata sotto le sue mani la storia
politica, l'intrico delle ambizioni e speranze, degli slanci e delle
meschinità che costituivano il tessuto dell'epoca che vide il
solidificarsi del dominio spagnolo in Italia dal 1535 al 1555.
Sempre meno astratti erano diventati i termini d'impero, di nazione,
di legge, di ricchezza per farsi di volta in volta corposa
realtà, ordini dati e non ubbiditi, miserie e ipocrisie del
potere, brillare d'oro e d'argento, varietà di lingue e di
costumi. La severa prosa si ornava sempre più di citazioni
italiane, spagnole, francesi che restituivano l'immediato sapore del
tempo.
Colto da male inesorabile, continuò l'opera sua nelle scuole
e negli archivi (tornò pure a Simancas). Nelle nebbie
autunnali del 1959 volle tornare nella sua Valsavaranche per
salutarne le cime e la prediletta alpe di Djuan. Costretto ad
abbandonare parte della sua opera organizzativa, non rinunciò
fino all'ultimo alla ricerca e alla conversazione con i discepoli.
Lo Ch. morì a Roma il 14 luglio 1960.
Le Opere dello Ch. hanno cominciato ad uscire nel 1964 a Torino a
cura di L. Firpo. Il primo volume comprende gli Scritti su
Machiavelli (1964), il secondo gli Scritti sul Rinascimento (1967),
il terzo Il ducato di Milano e l'Impero di Carlo V, parte prima, Lo
Stato e la vita religiosa a Milano nell'epoca di Carlo V (1971);
parte seconda, Storia di Milano nell'epoca di Carlo V (1971). La
parte terza, comprendente Saggi e ricerche su Milano e l'epoca di
Carlo V, è ora in preparazione. Le opere in francese sono
state raccolte sotto il titolo di Ecrits d'histoire nella
Bibliothèque de l'Archivum Augustanum, VII, Aosta 1976.
I corsi dello Ch. sono stati pubblicati da E. Sestan ed A. Saitta
(Storia dell'idea d'Europa e L'idea di nazione) a Bari nel 1961 e
sono stati spesso ristampati. La Politica di Paolo Sarpi ha visto la
luce nel 1962 (Venezia-Roma). Le Lezioni di metodo storico sono
apparse a cura di L. Firpo nel 1969 (Bari) e ripubblicate nel 1972,
1975 e 1976. La Storia della politica estera italiana dal 1870 al
1896, apparsa nel 1951, è stata ristampata nel 1965 e 1976.
Una accuratissima Bibliografia degli scritti di F. Ch. (1921-1976)
è stata compilata da Luigi Firpo e pubblicata in appendice
agli Ecrits d'histoire sopra citati (pp. 233-304).