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Il cristianesimo liberale era una corrente religiosa e politica,
nata e sviluppatasi nell'Europa del XIX secolo, che mirava a
conciliare il pensiero cristiano con i principi liberali di
libertà civili e sociali. Si è trattato di una
corrente tanto teologica quanto politica. La corrente liberale
ebbe una particolare rilevanza riguardo alla Chiesa cattolica.
Se quasi tutto il protestantesimo tradizionale europeo può
essere considerato liberale, non è così negli Stati
Uniti, dove hanno preso piede confessioni di ispirazione
conservatrice. Negli Stati Uniti si definiscono dunque
appartenenti al cristianesimo liberale i membri di alcune chiese
protestanti, molte delle quali di derivazione puritana e
congregazionalista, che hanno assunto posizioni progressiste in
campo etico e sociale. In questo contesto, va rammentato come nel
mondo anglosassone, e specialmente negli Stati Uniti, il termine
liberal abbia un'accezione diversa da quella europea e significhi
di fatto "di sinistra".
Il cristianesimo liberale1 in Europa
La corrente di pensiero in Europa ebbe come primo esponente
Hugues-Félicité Robert de Lamennais (1782-1854), che
pubblicò nel 1829 l'opera Des progrès de la Révolution et de la
guerre contre l'Église (Dei progressi della
rivoluzione e della guerra contro la Chiesa). Sempre in ambito
francese, si segnala la pubblicazione del giornale Avenir, voce delle istanze
cattolico-liberali.
A differenza dei cattolici intransigenti, ostili al liberalismo,
i cattolici liberali furono favorevoli a una affermazione della
libertà di coscienza, di stampa e di associazione, della
separazione fra Stato e Chiesa. Lo Stato, secondo La Mennais,
doveva essere "indifferente in tema di religione". Le idee
proposte non vennero giudicate bene dalla Santa Sede, tanto che
nel 1832 papa Gregorio XVI condannò esplicitamente le idee
di Lamennais con l'enciclica Mirari
vos. Nel 1864 Pio IX riaffermò
l'incompatibilità del liberalismo con la pubblicazione del
Sillabo.
I cattolici liberali in Europa attraversarono tutte le
contraddizioni proprie del mondo liberale di fine Ottocento. Nel
campo politico-istituzionale videro la compatibilità tra
democrazia parlamentare e cristianesimo, ma nel campo
economico-sociale non colsero del tutto l'emergere di una nuova
classe sociale, il proletariato, che avrebbe, invece, attirato
l'attenzione del nascente mondo socialista. Solo in un secondo
momento il cristianesimo democratico riuscì parzialmente a
incanalare le esigenze del mondo del lavoro all'interno della
componente del cristianesimo sociale. Il cattolicesimo liberale
perse ogni importanza dal punto di vista politico, perché,
se, da un lato, le sue posizioni in campo economico erano state
assorbite dal cristianesimo democratico, la sua attenzione verso
la laicità dello Stato era sostenuta dai cristiano-sociali.
In campo religioso, le correnti liberali si distaccarono dalla
Chiesa cattolica in Svizzera, dove lo scontro con i cattolici
ultramontani (forti nei cantoni rurali e conservatori) fu molto
forte tanto da contribuire alla Guerra del Sonderbund, nei Paesi
Bassi, dove in particolare venne criticato il dogma
dell'infallibilità papale, e in altri Paesi europei per
dare vita alla Chiesa vetero-cattolica, alla Chiesa cattolica
liberale e ad altre chiese minoritarie. Il cattolicesimo liberale
ha trovato poi un terreno molto fertile negli Stati Uniti, dove,
come detto, vi era una lunga tradizione di protestantesimo
liberale.
Il cattolicesimo liberale in Italia
In Italia vengono considerati cattolici liberali
personalità come Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini e
Alessandro Manzoni. I cattolici liberali italiani si
caratterizzarono per il favore dimostrato nei confronti del
Risorgimento e della scelta di trasferire la capitale italiana da
Torino a Roma.
La dottrina neoguelfa di Vincenzo Gioberti proponeva una confederazione di Stati italiani sotto la guida del papa. I termini del rapporto tra trono e altare del legittimismo dell'Ancien régime e della Restaurazione venivano rovesciati: alla fedeltà al trono subentrava l'idea del sentimento patriottico, mentre l'altare era inteso in modo meno dipendente dall'autorità della gerarchia cattolica: Gioberti sarà nemico dei gesuiti, che per la loro obbedienza al papa erano considerati avversari della conciliazione fra gli Stati liberali e la Chiesa. Gioberti scrisse «Non si può essere perfettamente italiano da ogni parte senza essere cattolico»; dottrina che trova eco nella definizione di identità nazionale manzoniana: «una d'arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue, di cor». Proponimento dei cattolici liberali era quello di dare vita a uno Stato unitario in cui fosse preservato il cattolicesimo, come religione identitaria degli italiani. In quest'ottica appariva loro secondaria o controproducente la difesa delle prerogative del clero.
Dal punto di vista politico il connubio tra patria e religione entrò in crisi dopo il 1848, quando papa Pio IX abbandonò la guerra contro l'Austria e il Regno di Sardegna si avviò verso una politica di separazione tra Chiesa e Stato.
I cattolici intransigenti erano contrari all'Unità
d'Italia ed alla scelta di Roma come capitale, perché
ciò avrebbe comportato la fine dello Stato pontificio e del
potere temporale dei papi. I cattolici liberali, invece, vedevano
nell'Unità italiana e nella fine del potere temporale della
Chiesa la possibilità per la stessa di ritornare al suo
vero ruolo di guida delle anime. La polemica antitemporalista fu
sostenuta dall'opera del teologo Carlo Passaglia, che raccolse
10.000 firme per una petizione a papa Pio IX affinché
rinunciasse al potere temporale.
L'eredità del cattolicesimo liberale, in campo politico, fu
ripresa dalle aree moderate del cristianesimo democratico per
quanto riguarda le libertà economiche (in primis da don
Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano), e Alcide
De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana e presidente del
Consiglio dei ministri dal 1945 al 1953) e da quelle più
"sociali" per quanto concerne le istanze laiche e progressiste in
campo etico-sociale (per esempio, i seguaci di Giuseppe Dossetti).
Oggi, nel lessico politico e giornalistico, si usa il termine
cattolico liberale per definire quei politici democristiani o
d'ispirazione cristiana che sostengono idee liberali in economia,
pur senza disconoscere del tutto i principi dell'economia sociale
di mercato, cara tanto al cristianesimo democratico quanto alla
dottrina sociale della Chiesa Cattolica. In questo senso, ai
cattolici liberali, che non sono altro che democristiani
d'ispirazione liberale, si contrappongono i cristiani sociali,
assertori di politiche sociali e di un maggiore intervento dello
Stato in economia, in modo non dissimile alla socialdemocrazia.
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1 I cattolici liberali, in opposizione ai cattolici
intransigenti, cercavano di capire, chiarificare ed accettare i
principii della Rivoluzione Francese del 1789. L'incontro della
fede tradizionale con il nuovo clima sorto con la rivoluzione
d'Oltralpe spingeva da una parte i cattolici a guardare in modo
nuovo i rapporti tra società civile e società
religiosa,
e d'altra a mettere in maggiore evidenza alcuni aspetti della
Chiesa che l'età posttridentina aveva messo in secondo
piano.
Il contesto politico
La Chiesa era attaccata ovunque perché era per lo
più ostile al liberalismo e restava fedele all'assolutismo
monarchico: secondo i cattolici liberali questo regime è
morto, il futuro appartiene al liberalismo.
I cattolici liberali si domandavano se le condizioni della Chiesa
sotto l'ancien régime fossero così favorevoli come
affermavano gli intransigenti. Su questo punto i cattolici
liberali insistevano molto: nel passato la Chiesa di fatto era
prigioniera dello Stato, controllata da esso, sostanzialmente
privata delle sue libertà. Una Chiesa con meno privilegi
poteva essere una Chiesa più libera dallo Stato.
Altro punto di contrasto con gli intransigenti era
l'ambiguità di una certa politica che voleva la
libertà di culto là dove i cattolici erano in
minoranza, ad esempio rivendicando i diritti che la Chiesa godeva
prima della Riforma protestante, mentre la negavano là dove
essi erano in maggioranza. Secondo i cattolici liberali la
libertà della Chiesa invece si poteva salvare solo
affermando il principio della libertà generale.
Si insiste poi sulla distinzione (che non è separazione)
tra Stato e Chiesa, tra società civile e società
religiosa, ognuna con fini e mezzi specificamente diversi, con
competenze diverse; e si sottolinea il compito prettamente
spirituale della Chiesa, l'anelito per un ritorno alla sua
povertà originaria, la volontà a rinunziare ad ogni
privilegio e ad ogni posizione di prestigio.
Il Lamennais cattolico-liberale e l'Avenir
Intorno agli anni trenta il pensiero di Félicité
Robert de Lamennais subiva un forte evoluzione. Nel 1829 scriveva
il Des progrès de la
Révolution et de la guerre contre l'Eglise, punto
culminante del suo passaggio al cattolicesimo liberale: il
fallimento di una cooperazione fra Stato assoluto e Chiesa e
l'imminente rivoluzione obbligano la Chiesa a separarsi dalla
monarchia assoluta e a limitarsi a rivendicare la libertà
concessa a tutti.
Dopo l'insurrezione del 1830 in Francia, che deponeva Carlo X e
portava al trono Luigi Filippo (cfr. 1830: rivolta belga,
indipendenza greca, vigilia dell'insurrezione polacca, sconfitta
della Santa Alleanza e dei suoi principi del legittimismo e
dell'intervento), in ottobre Lamennais, assieme a Jean-Baptiste
Henri Lacordaire e a Charles de Montalembert, fondava il giornale
l'Avenir con il motto
"Dieu et la liberté".
Tesi affermate:
denunzia del concordato francese con la rinuncia dello stipendio
del clero e la libertà nella nomina dei vescovi;
rivendicazione di tutte le libertà (coscienza, culto,
insegnamento, stampa, associazione);
allargamento del diritto di voto;
decentramento amministrativo;
timide proposte di soluzione della questione sociale;
difesa delle nazionalità (Belgio e Polonia) contro il
legittimismo viennese.
Spesso gli articoli suscitavano un vasto movimento di opinione
(come nel caso del vescovo di Beauvais, Guillon, costretto a
dimettersi, perché troppo ligio al governo). Dura la lotta
contro il monopolio scolastico statale: lo stesso Lamennais
fondò una scuola elementare senza l'autorizzazione del
governo. La scuola fu chiusa e il bretone condannato ad
un'ammenda. Nel 1833 il Ministro dell'Istruzione Pubblica Guizot
riconosceva la libertà d'insegnamento della scuola primaria
(vittoria di Lamennais). Certe posizioni prese dal giornale e
l'opposizione di molti vescovi portarono i tre redattori a sperare
nell'approvazione papale. Per questo si recarono a Roma e furono
ricevuti da Gregorio XVI, il quale però sconfessò
con il silenzio i loro sforzi.
A favore di Lamennais giocavano il suo passato ultramontano, la
sua difesa della libertà della Chiesa. Ma contro, Lamennais
aveva troppi interessi: la mentalità generale della curia
romana, l'opposizione del Nunzio francese e dei gesuiti, le
pressioni della Russia (per gli interventi lamennesiani favorevoli
all'insurrezione polacca).
La risposta della Santa Sede al cattolicesimo liberale
Il 15 agosto 1832 Gregorio XVI pubblicò l'enciclica Mirari vos in cui condannava,
senza distinzioni e concessioni, tutti i principi del liberalismo
religioso e politico. Senza nominarlo direttamente, era
però chiaramente condannato l'Avenir e le tesi liberali da esso sostenuto.
Punti principali dell'enciclica:
condanna delle tesi della necessità di un rinnovamento
della Chiesa:
«appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la
Chiesa proporsi una certa "restaurazione e rigenerazione", come
necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento,
quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad
oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
riaffermazione dell'indissolubilità del matrimonio...
«l'onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni
premure affinché in esso nulla s'introduca o si tenti
introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua
santità o leda l'indissolubilità del suo vincolo
»
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
... e del celibato ecclesiastico
«vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a
favore della Religione, affinché vi opponiate all'immonda
congiura contro il celibato clericale »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
condanna dell'indifferentismo religioso:
«Veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole dei mali, da
cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire
l'indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per
fraudolenta opera degl'increduli si dilatò in ogni parte, e
secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede
conseguire l'eterna salvezza dell'anima se i costumi si conformano
alla norma del retto e dell'onesto »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
condanna della libertà di coscienza intesa come corollario
dell'indifferentismo:
«Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo
scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio,
che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di
coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella
piena e smodata libertà di opinione che va sempre
aumentando a danno della Chiesa e dello Stato »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
condanna della libertà di pensiero e di stampa:
«...pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita
"libertà della stampa" nel divulgare scritti di qualunque
genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con
tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell'osservare
quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale
portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano
per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di
opuscoli e di scritti »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
riaffermazione del dovere di sottomissione ai sovrani legittimi:
«Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra
le mani di tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare
la fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad
accendere ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere
sommamente guardinghi »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
condanna della separazione fra Stato e Chiesa:
«Né più lieti successi potremmo presagire per
la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero
vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia
dell'Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli
amatori d'una impudentissima libertà si teme quella
concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e
civile »
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
appello all'aiuto statale (concezione strumentale dello Stato):
«Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i
Principi, assecondino questi comuni voti – per il bene della
Chiesa e dello Stato – con il loro aiuto e con
quell'autorità che devono considerare conferita loro non
solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per
sostenere la Chiesa. Riflettano diligentemente su quanto deve
essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la
salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere
più a cuore la causa della Fede che quella del Regno
»
(Gregorio XVI, Mirari Vos)
Di fatto, l'enciclica ribadiva, sul piano politico le preferenze
della curia romana per l'assolutismo (distacco delle posizioni
della borghesia intellettuale) e, sul piano ecclesiastico, il
rifiuto della linea dei cattolici liberali.
L'enciclica non li nominava direttamente, ma Lamennais, Lacordaire
e Montalambert capirono che il papa parlava di loro e del loro
giornale; per essere più sicuri il Card. Pacca inviò
ai tre una lettera nella quale diceva che il papa aveva voluto
condannare le tesi dell'Avenir. I tre si sottomisero e si
avviarono per vie diverse. Lacordaire entrò tra i
domenicani e divenne il restauratore dell'ordine in Francia.
Lamennais invece, dopo anni di tergiversazioni (nei quali
alternava dichiarazioni di ortodossia a posizioni ambigue), nel
1834 con le Paroles d'un croyant si poneva deliberatamente fuori
dalla Chiesa, rimanendovi fino alla morte. Il 25 giugno 1834
l'enciclica Singulari Nos condannava le nuove tesi lamennesiane.
Gli errori dottrinali più estremi furono nuovamente
condannati con il Sillabo
pubblicato da papa Pio IX nel 1864. In generale molte delle
ottanta proposizioni condannate dal Sillabo riflettono il pensiero
liberale, ma le ultime quattro sono esplicitamente contro
l'«odierno liberalismo»: [1] l'inopportunità
che la religione cattolica sia religione di Stato e che gli altri
culti siano proibiti[2]; la libertà di culto per gli
stranieri nei paesi cattolici[3]; la libertà di esprimere
in pubblica qualsiasi opinione, anche se nuocesse alla morale[4];
l'obbligo del papa di trovare compromessi con il progresso e con
le idee moderne[5].
John Henry Newman in occasione della sua nomina a cardinale, nel celebre Discorso del biglietto del 12 maggio 1879 disse: «Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni acquista più credito e forza. Il liberalismo è contro il riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinion. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire ciò che più colpisce la sua fantasia.»
Aspirazioni ad una riforma della Chiesa all'inizio dell'Ottocento
Possiamo distinguere quattro correnti di riforma all'interno della
Chiesa nel periodo della restaurazione:
la scuola lamennesiana, forte soprattutto in Francia e ancor
più in Belgio; forte è la necessità di una
maggior partecipazione della base alla vita della Chiesa, vista
dai vescovi belgi come un'affermazione dell'indipendenza dei
sacerdoti e dei fedeli dal papa e dall'episcopato;
la scuola tedesca (Wessemberg, Hirscher); non si avverte il
problema dell'indipendenza della Chiesa dallo Stato, ma è
vivo il problema liturgico (lingua volgare, comunione sotto le due
specie, soppressione delle messe private; un'opera dell'Hirscher
in questo senso è messa all'indice nel 1823), il problema
del rinnovamento della catechesi e della partecipazione della
base;
il cattolicesimo liberale italiano, realtà abbastanza
complessa: Raffaele Lambruschini cade in un antidogmatismo
radicale che svuota il cristianesimo del suo contenuto;
Nicolò Tommaseo resta sul piano generico di un maggior
distacco dal temporale, di soppressione di vari abusi, di
purificazione del culto; Giuseppe Antonio Sala (non propriamente
un cattolico liberale) che distingue tra governo dello Stato
affidato ai laici, e governo della Chiesa in mano agli
ecclesiastici (fu segretario della Sacra Congregazione per la
riforma dei religiosi 1814-1818);
il rosminianesimo: Antonio Rosmini ha indubbiamente il merito di
aver presentato una sintesi organica ed equilibrata dei motivi
più validi di queste aspirazioni alla riforma, motivi
respinti da Gregorio XVI e da Pio IX, ma presenti in larga parte
nel Vaticano II.