Castellazzo Luigi

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DBI

di Alfonso Scirocco

Nato a Pavia il 29 sett. 1827 da Giuseppe e da Maria Cattani, studiò a Mantova - dove il padre, attuario di polizia, era stato trasferito quello stesso anno - fino al liceo; ottenendo poi un posto gratuito nel collegio Ghislieri di Pavia, si iscrisse allo studio politico-legale di quella università nell'anno 1845-46. Probabilmente agli inizi del '48, mentre frequentava il terzo anno, fu espulso dall'università perché diffondeva tra i compagni manifesti rivoluzionari. Dopo le Cinque giornate di Milano si arruolò volontario nella Legione lombarda, combattendo contro gli Austriaci in Lombardia; quindi difese la Repubblica romana agli ordini di L. Manara. Fatto prigioniero dai Francesi il 3 giugno '49, fu portato a Bastia; lasciò la Corsica nel settembre (E. Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica 1840-1850, estr. da Archivio storico di Corsica, I [1925], 3-4, pp. 159, 181), tornando a Mantova, e si unì ai patrioti che avevano cominciato a cospirare in collegamento col Mazzini, diventando segretario dei Comitato rivoluzionario presieduto da don E. Tazzoli. La posizione del padre, giunto al grado di commissario di polizia di prima classe, gli fece sperare di non essere sospettato: perciò non fuggì dopo la scoperta della cospirazione. Ma, arrestato nell'aprile 1852, non seppe resistere alle pressioni morali e alle torture fisiche e fece ampie rivelazioni.

Sul valore delle confessioni del C. e sulla loro importanza determinante per l'incriminazione di altri patrioti e la condanna dei martiri di Belfiore ha insistito A. Luzio. In un'opera fondata su una vasta documentazione (I martiri di Belfiore e il loro processo, Milano 1905, ampliata nelle successive edizioni, Milano 1908 e 1916) questi, tra l'altro, accusò il C. di avere svelato agli inquirenti la cifra usata dai cospiratori. Neanche quando l'acquisizione dei documenti austriaci, ceduti all'Italia dopo la prima guerra mondiale, fece conoscere che la cifra escogitata dal Tazzoli era stata decifrata a Vienna dagli esperti del ministero dell'Interno e che il C. era stato sottoposto a battiture prima che si piegasse alle rivelazioni, il Luzio rinunziò a fare di lui un vero e proprio traditore (I martiri di Belfiore e il loro processo, 4 ediz. riveduta e corretta, Milano 1925). Il Luzio riteneva che le sue argomentazioni fossero convalidate da fatti quali la rapida liberazione del C. (scarcerato per amnistia il 19 marzo 1853, unico dei cospiratori ad aver avuto la completa impunità), il buon trattamento fatto al padre messo in pensione col massimo, le agevolazioni concesse al C. dalle autorità austriache anche riguardo al completamento degli studi. Il C. infatti, iscrittosi nel '50 a Pavia al quarto anno di legge quale alunno privato di un avvocato mantovano (lo consentivano i regolamenti dell'epoca), conseguì la laurea il 16 luglio 1853 (G. Solitro, La laurea di L. C., in Rass. stor. del Risorg., XXIII [1936], pp. 455-464).

Da parte sua il C. si proclamò vittima di una messa in scena rivolta a fare di lui il capro espiatorio, minimizzò l'importanza delle sue rivelazioni venute dopo che le ammissioni di altri gli avevano reso impossibile mantenersi sulla negativa, calcò l'accento sulle torture che lo avevano stremato. Certo egli ebbe l'amicizia e la stima, attestate pubblicamente più volte, di uomini come G. Garibaldi, A. Bertanì, A. Mario, A. Sacchi (partecipe della cospirazione mantovana e fuggito tempestivamente): era la sua abilità di commediante ad ingannare autorevoli esponenti democratici, come sostenne il Luzio, o era la conoscenza dei retroscena del processo che induceva a ridimensionare colpe dovute soprattutto a debolezza e comuni a molti cospiratori?.

Desta perplessità la mancanza di una vigorosa e circostanziata difesa contro le accuse di tradimento che gli furono frequentemente rivolte, ma in documenti autobiografici pubblicati da B. Simonetta (L. C. e i processi di Mantova dei 1852-53 alla luce di alcuni documenti inediti, in Rass. stor. del Risorg., XLIII [1956], pp. 87-123) egli affermò che gli amici politici glielo avevano sconsigliato. La cosa è plausibile: la difesa del C. avrebbe fatto perno sulle confessioni a catena rese da quasi tutti gli arrestati, e avrebbe inferto un colpo al mito eroico delle cospirazioni e del martirio, mito pienamente operante negli anni delle guerre d'indipendenza e del lento consolidamento dello Stato unitario.

Il C. sentì profondamente il rimorso per le rivelazioni fatte e il peso del sospetto che gravava su di lui, e cercò di riscattarsi mettendosi in prima fila nelle lotte per l'indipendenza nazionale. Allontanatosi da Mantova nel '58 ed emigrato in Piemonte, si arruolò nell'esercito regolare sotto lo pesudonimo di Giovanni Strada (poi, riconosciuto, riprese il vero nome), e combatté a Vinzaglio e a San Martino meritando due menzioni onorevoli. Passato nell'esercito delle Provincie Unite, non poté partire con i Mille, ma nel giugno '60 a Piacenza fu segretario della Commissione d'organizzazione dei volontari per la Sicilia, e quindi si arruolò nella brigata Nicotera a Castel Pucci ricevendo il grado di capitano, grado confermatogli da Garibaldi quando la brigata raggiunse la Sicilia. Ferito gravemente nella battaglia del Volturno, fu promosso maggiore. Si congedò allo scioglimento dell'esercito meridionale.

Tornato in Alta Italia, nel luglio 1861, per designazione dei Bertani entrò a far parte della redazione del giornale democratico fiorentino La Nuova Europa diretto da A. Martinati, il cui gruppo avrà una parte rilevante nella diffusione delle prime idee socialiste a Firenze. Il C. si inserì felicemente nella vita politica e culturale di Firenze. dove restò a lungo, ebbe molti amici e strinse vincoli di parentela con l'esponente democratico G. Dolfi, di cui sposò la figlia Serafina. In questi anni, con lo pseudonimo di Anselmo Rivalta, svolse un'intensa attività di scrittore pubblicando La Lombardia nel 1848. Episodio della guerra dell'indipendenza italiana (Firenze 1862), storia di un amore sfortunato intrecciata alle vicende del '48 e ambientata nelle vicinanze di Mantova, in cui agivano anche i futuri martiri di Belfiore, e Dionon paga il sabato (Firenze 1863), in cui con mano ancor più pesante contrapponeva patrioti nobilissimi ad austriaci spregevoli, sullo sfondo della tenue vicenda di un amore romantico finito tragicamente.

Gli impegni letterari non lo distraevano dalla politica. Dalle colonne della Nuova Europa propagandò le tesi mazziniano-garibaldine di una pronta iniziativa popolare per Roma e Venezia. Membro del Comitato di provvedimento fiorentino e della Fratellanza artigiana (per gli operai tenne lezioni di storia universale), nel marzo '62 fu tra i promotori dell'Associazione democratica, fondata nel fervore di quell'intensa attività del Partito d'azione che portò alla costituzione dell'Associazione emancipatrice italiana e si esaurì però nel fallimento di Sarnico e di Aspromonte.

Nella crisi che investì la democrazia italiana dopo Aspromonte il C. fu con i gruppi più avanzati che auspicavano un superamento dei mazzinianesimo. Proprio dalle colonne della Nuova Europa, di cui il C. continuava a far parte, A. Mario propose l'inversione della formula mazziniana "Unità - Libertà" in quella di "Libertà - Unità", anteponendo la crescita democratica del cittadino alla lotta per Roma e Venezia. Nel '65 a Firenze il C. conobbe il Bakunin e si avvicinò al socialismo, come testimonia la sua produzione letteraria, passata dall'ispirazione patriottica a interessi sociali. Nel 1865 sulla rivista La Civiltà italiana, alla quale collaborava con recensioni teatrali, pubblicò la tragedia Tiberio (poi edita in volume, Roma 1877); del 1867 è la sua opera più nota, Tito Vezio ovvero Roma cento anni avanti all'era cristiana (edita a Firenze), in cui il protagonista, giovane patrizio romano, si schiera con i gladiatori in rivolta contro i padroni oppressori e, tradito, si uccide.

Nel romanzo, più volte ripubblicato (Mantova 1867, Milano 1880, Roma 1883), il C. "bandisce la sua ideologia anticlericale, umanitaria e, in una parola, massonica"; spaziando nel campo della storia universale segue gli ideali del suo eroe nel corso dei secoli seguenti, quando il cristianesimo sopraffece la religione della natura, e propugna ora la battaglia finale per la libertà e l'eguaglianza. Modesto dal punto di vista artistico per la convenzionalità di personaggi e situazioni, il Tito Vezio, però, "è congegnato con una certa virtuosità e servì da incentivo e modello ad altri simili romanzi" (B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1943, pp. 93-99). Puòricordarsi, oltre la fortuna che ebbe negli ambienti democratici e socialisti, il fatto che una importante rivista del movimento operaio, quella diretta a Milano da C. Monticelli nel 1882-83, assunse il titolo di Tito Vezio. Diminor rilievo è La battaglia di Armogedon: notti vaticane, Roma 1884.

La lotta contro l'Austria restava ancora per il C. il principale impegno: nel '66 fu con i volontari di Garibaldi, combattendo valorosamente, tanto da ottenere la croce al merito. Ripresa dal Partito d'azione la lotta per Roma, nel '67 si recò nella città per preparare l'insurrezione, ma fu arrestato Pii ottobre e condannato alla galera perpetua. Liberato nel '70, raggiunse Garibaldi a Dôle in Francia, e fu nuovamente ferito.

La guerra franco-prussiana, la presa dì Roma e la Comune parigina coincisero - influendovi - con una profonda svolta e diversificazione nel movimento per l'indipendenza nazionale. Il periodo eroico del Risorgimento era terminato. Dopo la Comune ebbero rapida diffusione in Italia le idee socialiste e il C., già simpatizzante per le nuove teorie, fu tra quelli che, con Garibaldi, tentarono una più larga concentrazione delle forze democratiche, di cui consideravano il socialismo unapiùvivace componente. Perciò per oltre un decennio si dedicò sia alla difesa e divulgazione del socialismo, peraltro con una certa superficialità (cfr. il suo articolo L'Internazionale nell'Almanaccorepubblicano per l'anno 1874, Milano 1873, e la polemica con A. Mario del 1877), sia a ripetuti tentativi di superare il dissenso tra i socialisti e i gruppi democratici.

Membro della Società democratica internazionale, fondata a Firenze verso la fine del '70 da S. Battaglia, F. Piccini, il Martinati e A. Riggio, con la partecipazione delle varie componenti democratiche e dei simpatizzanti per il socialismo, nell'aprile '71sottoscrisse un Indirizzo ai cittadini della Comune di Parigi, e nel giugno dettò un Indirizzo ai superstiti della Comune, che esaltava l'opera degli insorti parigini, in coperta polemica col Mazzini, e che provocò lo scioglimento della società da parte del governo.

L'Indirizzo ai cittadini della Comune interessa, tra altri motivi, perché introduce nell'ideologia socialista il mito di Spartaco, destinato a lunga fortuna. "Parigi... ora, Spartaco delle nazioni, combatte contro l'egoismo dei privilegiati della terra la grande battaglia della libertà e dell'abolizione del proletariato...". Più in generale, il C. è una figura emblematica sul piano letterario per il rapporto tra la tradizione romantica risorgimentale e quella del movimento operaio.

Da qualche mese il C. era entrato in rapporto col Cafiero (che il 12 giugno 1871 lo presentava, come potenziale internazionalista e corrispondente, a F. Engels) ed aveva dato la sua adesione alla sezione dell'Internazionale costituita a Firenze nel marzo del 1872. Nel gennaio dello stesso anno era stato prornotore a Firenze di un Fascio operaio, organizzazione dei lavoratori a carattere socialista.

Il C. sostenne decisamente l'iniziativa di C. Ceretti per un grande congresso democratico, iniziativa appoggiata da Garibaldi, il quale nell'ottobre '71, sembrando imminente la riunione, delegò proprio il C. a rappresentarlo, e nel gennaio '72 gli inviò una Proposta che doveva servire di base alle discussioni. Il C., in vista dell'accordo tra le correnti democratiche (dopo la morte del Mazzini consigliò la conciliazione tra socialisti e mazziniani), fu tra i membri dell'Ufficio centrale provvisorio incaricato di preparare il congresso; questo si tenne nel settembre '72 e portò alla stipulazione del Patto di Roma, che sembrò sancire l'unione di tutte le forze democratiche. Il C. fu tra i 15 membri del Comitato provvisorio composto per promuovere l'organizzazione delle società democratiche e formulare un regolamento; ma l'azione del comitato non approdò mai a risultati concreti.

Continuando ad operare per l'accordo tra socialisti e repubblicani, il C. fu arrestato il 21 marzo 1873 mentre si recava al congresso socialista della Mirandola; imputato di cospirazione con C. Ceretti e L. Bramante, fu assolto dopo vari mesi di detenzione. Nel '74 fondò l'Avanguardia repubblicana, una società segreta che ebbe scarsa diffusione (E. Socci, Un anno alle Murate, Pitigliano 1898, p. XXXI).

Non aderì al congresso repubblicano di Roma dell'aprile-maggio 1878 perché limitato alle correnti mazziniane, e partecipò invece alla grande riunione di tutte le forze democratiche dalla quale nell'aprile '79 scaturì la Lega della democrazia; fu collaboratore assiduo del giornale omonimo, sul quale tenne la rassegna politica settimanale, collaborando contemporaneamente alla Rivista internazionale del socialismo di A. Costa. Dissoltasi la Lega, diede la sua adesione al Fascio della democrazia, creato nel 1883 sempre con l'intendimento di collegare repubblicani, radicali e socialisti, e partecipò attivamente alla riunione generale di Firenze del 1885.

Dal marzo '72 il C. si era trasferito a Roma, perché nominato gran segretario della massoneria. Con G. Mazzoni, G. Tamaio, U. Bacci il 21 maggio 1876 firmò l'accordo tra Torino, Firenze, Napoli e Palermo con cui fu unificata la massoneria e fu fissata a Roma la sede del Supremo consiglio (testo a stampa dell'accordo, in Museo centrale del Risorgimento, Roma, busta 496). Riconfermato dalla costituente dell'aprile 1879, dove con U. Bacci fu relatore del nuovo progetto di costituzione, ed ancora nel 1885 e nel 1887, tenne la carica fino alla morte, contribuendo al grande sviluppo dell'associazione dovuto dopo il '79 all'impulso di A. Lemmi.

Le accuse spesso rinnovate per i vecchi fatti di Mantova furono clamorosamente riprese nel 1884. Il C., presentatosi alle elezioni generali del 1882 a Grosseto e risultato primo dei non eletti, era riuscito poi nello stesso collegio il 21 sett. 1884 nelle votazioni indette per la morte del deputato I. Maggi. G. Finzi, antico esponente democratico passato alla Destra, compagno dei martiri di Belfiore, scatenò allora contro di lui una violenta campagna, affermando che il suopassato di delatore lo rendeva indegno di sedere nel Parlamento. Quando, il 12 dic. '84, l'elezione fu convalidata dopo una vivace discussione (per la convalida parlarono il Crispi e il Cavallotti), il Finzi diede le dimissioni da deputato. Il C. partecipò senza segnalarsi particolarmente ai lavori parlamentari, e alla fine della legislatura, nel 1886, lasciò la vita politica, anche per il declino della salute.

Si spense a Pistoia il 16 dic. 1890; la salma, trasportata a Roma, fu cremata e sepolta nel cimitero massonico al Verano.

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Luigi Castellazzo (Pavia, 29 settembre 1827 – Pistoia, 16 dicembre 1890) è stato un patriota, ufficiale garibaldino e uomo politico italiano, di idee federaliste.

Biografia

Il peso della colpa

Luigi Castellazzo detto comunemente Bigio dagli amici, dalla metà dell’Ottocento fino alla sua morte avvenuta nel 1890, fu uno dei personaggi più discussi del risorgimento nazionale in quanto veniva considerato da molti il responsabile del tradimento dei congiurati nei moti mazziniani di Mantova del 1851-52, tra i quali don Enrico Tazzoli e Tito Speri, che trovarono poi la morte a Belfiore mentre da altri, tra i quali Giuseppe Garibaldi, un sincero e disinteressato patriota.

Arrestato dalla polizia austriaca confessò le proprie colpe e, secondo alcuni, fece i nomi dei congiurati. Inoltre Castellazzo mise i panni dell’agente provocatore e si fece pure mettere in carcere assieme al giovine trentino Iginio Sartena, riuscendo a carpirgli con l’inganno che era giunto da Parigi con l’incarico di uccidere il generale Radetzky. Dopo le rivelazioni di Castellazzo e quello di un altro delatore, l’avvocato Giulio Faccioli di Verona, gli arresti salirono a 110, dei quali uno, Pezzetto, si uccise in una cella del castello di Milano.

A seguito del processo, il 13 novembre, fu emanata la sentenza di morte per alto tradimento per Tazzoli, Carlo Poma e tre rivoluzionari che operarono a Venezia: Angelo Scarsellini, Bernardo Canal e Giovanni Zambelli; per gli altri imputati, fra questi Giuseppe Finzi condannato a 18 anni di carcere duro, la pena fu commutata in quella dei ferri e da diciotto a dodici anni di galera. Il 7 dicembre i cinque condannati furono condotti nella valletta di Belfiore, fuori porta Pradella, e qui appesi alle forche. Il processo di Mantova venne riaperto e il 3 marzo 1853, vennero giustiziati, sempre a Belfiore, altri tre congiurati: Carlo Montanari, Tito Speri e don Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere. Solamente trentatré accusati riuscirono a fuggire ai rigori della giustizia e fra questi Giovanni Acerbi, grande amico di Castellazzo, Benedetto Cairoli, Achille Sacchi, Attilio De Luigi e Giovanni Chiassi. Il 19 marzo, compleanno dell’imperatore, Radetzky elargì l’amnistia a tutti gli inquisiti in attesa di sentenza, ne beneficiò anche Castellazzo, uno degli imputati più compromessi, ma prima che fosse notificata, venne impiccato lo sfortunato Pietro Frattini.

Il 4 luglio 1855 fu giustiziato l’ultimo patriota, Pier Fortunato Calvi. Perseguitato dal rimorso per tutta la vita, Castellazzo cercò di riscattarsi dalle “colpe che non han perdono”, come sostiene impietosamente lo storico Alessandro Luzio, autore di un approfondito studio sui moti mantovani e principale inquisitore, buttandosi a capofitto alla ricerca della morte in combattimento in tutte le imprese di Garibaldi, dalla campagna con i “Cacciatori delle Alpi” del 1859, alla spedizione nell'Italia meridionale del 1860 e quella francese di Digione del 1870-1871.

Nella guerra del 1866 fu instancabile: liberò Magasa, la Val Vestino e comandò esplorazioni pericolose oltre le linee austriache. Per il suo comportamento giovanile divise l’opinione dei patrioti in innocentisti e colpevolisti, e, quando, nel 1884, fu eletto deputato al parlamento italiano nel collegio di Grosseto, la sua nomina diede luogo a incidenti e a roventi polemiche che segnarono profondamente la vita politica di quel tempo.

Fu iniziato alla massoneria il 17 giugno 1867, alla Loggia Concordia di Firenze; vi ricoprì l'incarico di Segretario del Grande Oriente e di direttore della Rivista della Massoneria Italiana.

Morì a Pistoia il 16 dicembre 1890. Cremato, le sue ceneri sono conservate nel cimitero del Verano a Roma.