CASOTTI, Mario

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Pedagogista italiano (Roma 1896-Pietrasanta 1975). Docente di pedagogia dal 1924 al 1966 all'Università Cattolica di Milano, diresse le riviste La Nostra Scuola e Levana, aderendo all'idealismo e poi alla filosofia neoscolastica. Fra le sue opere: Saggio di una concezione idealistica della storia (1920), Maestro e scolaro (1930), Pedagogia generale (1948), Didattica (1962).

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DBI

di Franco Cambi

Nato a Roma il 10 giugno 1896 da Enrico e da.Virginia Sciello, dal 1913 studiò filosofia a Pisa, dove seguì le lezioni di Giovanni Amendola prima, di Giovanni Gentile poi. Di Amendola seguì il corso sulla Critica della ragione pura di Kant e apprezzò, in particolare, la sua inquieta coscienza religiosa. Di Gentile fu discepolo entusiasta; fu conquistato dal suo attualismo e lo seguì a Roma nel 1918 dove, l'anno successivo, si laureò con la tesi pubblicata poi come Saggio di una concezione idealistica della storia (Firenze 1920).

Il Saggio era rivolto a "liberare e rendere espliciti i sottintesi più importanti dei pensiero moderno, in quanto si affatica intorno all'identità di filosofia e storia: presentare una interpretazione dell'esperienza storica che la sottraesse agli schemi e alle formule della metodologia empirica, mostrandola nella sua unità coll'autocoscienza dello spirito".

La posizione che il C. veniva ad assumere in sede filosofica era autenticamente gentiliana, come profondamente ispirato al Gentile si presentava il suo stesso passaggio alla pedagogia, maturato anche attraverso gli impegni di insegnamento (prima nei licei e nelle scuole normali di Pisa; poi nel 1923-24 al magistero di Torino) e la partecipazione alle battaglie per la scuola, a fianco di E. Codignola (con cui collaborò a Levana come redattore capo), di G. Lombardo Radice e di A. Monti, con i quali aderi all'appello "Per un Fascio di Educazione Nazionale". L'interesse pedagogico di questi anni è testimoniato dalla Introduzione alla pedagogia (Firenze 1921), che rielaborava i postulati fondamentali dell'attualismo in campo educativo (l'identità di filosofia e pedagogia, il "concetto di autoeducazione"), e da La nuova pedagogia e i compiti dell'educazione (ibid. 1923) che riapriva, all'interno di una esplicita difesa dell'idealismo pedagogico, uno spazio preciso alle "esigenze empiristiche" e al "realismo".

Nel 1924, per vie rimaste gelosamente private, avveniva la clamorosa conversione - filosofica e religiosa - dei C. al cattolicesimo e al neotomismo. Fu una conversione rapida e radicale, che lo condusse, senza preavviso e apparentemente senza tormenti, su posizioni totalmente eteroger-!e rispetto al suo idealismo giovanile. Sempre nel 1924 veniva chiamato da A. Gemelli ad insegnare pedagogia all'università cattolica dei Sacro Cuore di Milano, dové rimase fino al 1964.

Una testimonianza, sia pure molto parziale, del percorso compiuto dal C. nel suo passaggio dall'idealismo al neotomismo e alla religione cattolica è contenuta nelle Lettere su la religione (Milano 1925), nelle quali il neoconvertito criticava la concezione filosofica dell'idealismo, cui contrapponeva l'"eterna vitalità della perennis philosophia" aristotelico-tomistica e la concezione della vita di cui è interprete la Chiesa cattolica "nella fede, nei sacra-menti, nel culto".

Dopo il 1924, per oltre un decennio, il C. venne articolando la propria ricerca in alcuni settori ben definiti.

In primo luogo egli elaborò la critica dell'attualismo e della scuola attiva - di cui respingeva il naturalismo (Scuola attiva, Brescia 1936) - e formulò una reinterpretazione di Rousseau, visto come un "moralista" che compie un'autocritica dell'illuminismo e imposta in forma nuova il problema pedagogico, collegandolo alla politica e alla filosofia della storia (Il "moralismo" di G. G. Rousseau. Studio sulle idee pedagogiche e morali di G. G. Rousseau, Milano 1937), sviluppando poi una didattica non-attivistica incentrata sulla "lezione" e la "disciplina" (Didattica, Brescia 1938). In secondo luogo attese a costruire una pedagogia cattolica moderna, in un orizzonte teorico che è caratterizzato dal "servire a Dio", dalla centralità della rivelazione, dai principi della "mortificazione" e dell'"umiltà" e che culmina nella "imitazione di Cristo" (Educazione cattolica, ibid. 1932); in questo ambito il C. recuperava alcune figure eminenti di tale tradizione, quali Raffaello Lambruschini, di cui venivano sottolineati la profonda sintonia col pensiero moderno riletto nelle sue aspirazioni cristiane - libertà, democrazia - e l'ottimismo fondato sulla carità (La pedagogia di R. Lambruschini, Milano 1929; 2ª ediz., Brescia 1943), Antonio Rosmini, del quale il C. poneva in luce la radice scolastica presente nella filosofia dell'educazione, fondata, attraverso l'idea dell'essere posto alla base della morale, sulla "gerarchia metafisica degli enti", e il conseguente principio della "metodica", rappresentato dalla "graduazione" (La pedagogia di Antonio Rosmini e le sue basi filosofiche, Milano 1937), e don Giovanni Bosco, che, per via pratica, costruisce "un vero sistema pedagogico" cristiano, fondato sulla rivelazione e cosciente della natura dell'educazione come "arte" (Il metodo educativo di Don Bosco, Brescia 1960, che raccoglie scritti diversi a partire dal 1932).

Egli riscopriva infine il valore della pedagogia tomistica, vista come il fil rouge della tradizione educativa cattolica, e rappresentata, in particolare, dal De magistro, che coglie il "maggior problema della pedagogia" (il rapporto maestro-scolaro) e lo svolge con "rigore scientifico e filosofico", intendendolo correttamente come "passaggio dalla potenza all'atto" (La pedagogia di S. Tommaso d'Aquino. Saggi di pedagogia generale, ibid. 1931). Questo tema veniva contemporaneamente approfondito n'ell'opera Maestro e scolaro. Saggio di filosofia dell'educazione (Milano 1930), che riesponeva, alla luce del tomismo, il problema, già proprio della pedagogia idealistica, del "realismo" e del "dualismo": l'unità di maestro e scolaro non si fa mai identità, ma piuttosto partecipazione ad un divenire comune, "compenetrazione" ed assunzione dei ruolo di "causa efficiente" da parte del maestro, attraverso l'opera del linguaggio, anche se poi questo ruolo deve essere integrato da quello della rivelazione e della Chiesa.

Nel 1933 il C. iniziò la pubblicazione di un Supplemento pedagogico a Scuola italiana moderna, che dal 1952 prenderà il nome di Pedagogia e vita, rivista che continuerà a dirigere fino al 1970. Collaborò intensamente alle attività della casa editrice La Scuola di Brescia e nel 1942 divenne presidente del Pedagogium (Istituto superiore di studi sull'educazione cristiana). Nel 1948 pubblicò a Brescia i due volumi della Pedagogia generale, nei quali esponeva la summa del suo pensiero pedagogico: affermava la pedagogia "come scienza e come arte" in quanto disciplina "pratico-poietica"; distingueva tra una "teleologia" dell'educazione, filosofica e contraddistinta dai problemi etico-religiosi e antropologici, e una "metodologia", scientifica e caratterizzata dalla "sperimentazione". Proprio questo ultimo aspetto si presenta nel C. profondamente innovatore, in quanto rivendica la necessità di una pedagogia sperimentale che segua i principi della sperimentazione scientifica e che investa le varie problematiche dell'educazione, penetrando anche nel mondo della scuola e nella pratica didattica.

Gli anni successivi, fino alla morte, vennero dedicati dal C. all'approfondimento del suo "sistema" pedagogico, affrontando ancora temi generali (Esiste la pedagogia?, Brescia 1953) e problemi specifici (La pedagogia del Vangelo, ibid. 1953; Educare la volontà, ibid. 1957, L'arte e l'educazione all'arte, ibid. 1961).

Il C. mori a Marina di Pietrasanta (Lucca) il 12 luglio 1975.

Il C. è stato considerato il pedagogista più accreditato della neoscolastica in Italia, una voce eminente dei personalismo pedagogico cristiano, ma è stato anche un interprete, a suo modo esemplare, di quella crisi dell'attualismo che travagliò la filosofia italiana tra le due guerre.