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Biografia
Nome italianizzato del filosofo e scienziato francese René Descartes (La Haye 1596-Stoccolma 1650). Nato da famiglia di piccola nobiltà, fu educato presso il collegio gesuitico di La Flèche. Abbandonati gli studi, prese parte alla guerra dei Trent'anni e durante una tregua ebbe l'ispirazione di una filosofia profondamente rinnovata. Nel 1629 C. si rifugiò in Olanda per meglio attendere ai suoi studi e per sfuggire all'Inquisizione. Da qui intrecciò una fitta corrispondenza con i dotti di tutta Europa, attraverso la mediazione di M. Mersenne. Recatosi nel 1649 alla corte della regina Cristina di Svezia, per insegnarvi filosofia, vi morì l'anno seguente per un attacco di polmonite.
Il pensiero filosofico: generalità
Si suole attribuire a Cartesio il merito di aver dato inizio alla filosofia moderna, per il suo rifiuto dell'impostazione scolastica. Se ciò è indubbiamente vero, non appare tuttavia sufficiente per caratterizzare la complessa figura e il molteplice significato della sua filosofia. Cartesio è al tempo stesso iniziatore di una filosofia radicalmente nuova e continuatore del tentativo tradizionale di dare origine a una filosofia cristiana. La comprensione del suo pensiero è possibile solo se si mantengono entrambi i termini.
Per la prima volta con Cartesio, un filosofo cristiano si trova di fronte a una forma di ateismo esplicito: il libertinismo, che sottoponeva a radicale critica la credenza religiosa e dissolveva le teorie teologiche e metafisiche, spiegandole o come semplice residuo storico o come affermazioni di ordine psicologico.
Cartesio deve quindi risolvere il problema di trovare, sul piano sia filosofico sia religioso, una fondazione non psicologica della verità, un "metodo" cioè per pervenire alla verità, che la garantisca da qualsiasi residuo di ordine psicologico.
Il pensiero filosofico: il metodo
La prima fondamentale regola espressa nel celebre Discours de la méthode (1637) è quindi: "Non ammettere come vero nulla che non si sia riconosciuto con evidenza per tale: cioè evitare la precipitazione e la prevenzione". L'evidenza implica chiarezza e distinzione, cioè presenza allo spirito di una percezione e sua separazione da ogni altra. I termini che intervengono nell'evidenza sono quindi l'esperienza nella sua trasparenza (la metafora visiva è quella di cui Cartesio si avvale per illustrare l'evidenza) e la libertà, come capacità dello spirito di separare la percezione da ogni altra.
Connesso con il criterio dell'evidenza è l'esercizio metodico del dubbio, per il quale l'"io" decide di considerare come false tutte quelle verità che non siano state dimostrate senz'ombra di dubbio (cioè che non siano evidenti). Il dubbio cartesiano infatti, contrariamente al dubbio scettico, è un modo di affermare attraverso un atto di volontà l'indipendenza del soggetto rispetto all'oggetto e una via quindi per superare ogni forma d'incertezza psicologica. Esso è frutto di una scelta nella quale l'io rivendica la sua possibilità di distinguersi dall'oggetto e la sua autonomia rispetto a esso. Di qui deriva il riconoscimento della verità di quell'unica affermazione che si presenta come immediatamente evidente e immune da qualsiasi possibilità di dubbio: cogito ergo sum. Il pensiero infatti attesta da sé la propria esistenza.
Le altre regole del metodo sono: dividere ogni problema in tante parti minori (analisi); ricomporre le nozioni semplici, servendosi di connessioni per sé evidenti (sintesi); rivedere ogni passaggio fino alla certezza di non aver omesso nulla (enumerazione). Esse mostrano il tentativo di ridurre, così come avviene in matematica, ogni atto di conoscenza a un'intuizione, per cui ogni verità non è che una catena di evidenze. La matematica diviene così il modello del metodo, non nel senso che ogni verità sia di tipo scientifico, ma nel senso che la matematica è l'unica scienza in cui finora il metodo è stato correttamente impiegato.
Il pensiero filosofico: il problema morale
L'esercizio del dubbio è limitato da Cartesio al problema della conoscenza. Per quanto riguarda il comportamento dell'uomo, Cartesio, consapevole del numero limitato di verità su cui si può inizialmente fare affidamento e timoroso di un esito scettico della sua filosofia, elabora alcune regole di "morale provvisoria" (mai in seguito completate definitivamente), nelle quali afferma la necessità di rimanere ancorati alla tradizione in tutti quei casi in cui sia impossibile stabilire con certezza la verità di un'affermazione e ripropone il precetto storico del dominio di sé.
Alla base del metodo cartesiano sta non un razionalismo esasperato, né un soggettivismo radicale, né una forma incoattiva d'idealismo, ma la dottrina della libertà. Cartesio si era già cimentato con questo problema a proposito della creazione divina delle verità eterne, concludendo che l'assoluta libertà di Dio non lo costringeva al rispetto di alcun criterio precedente la creazione. Dio è l'autore delle verità eterne; se avesse voluto che 2+2 facesse 5, così oggi sarebbe per noi. Ciò che Egli ha scelto è divenuto per noi criterio di verità. Verità d'indifferenza e verità di elezione pertanto coincidono in Dio. Non così nell'uomo, in cui la libertà si presenta in entrambi i gradi: "la libertà consiste solo nel potere che noi abbiamo di fare una cosa o di non farla, cioè affermare o negare, seguire o fuggire (libertà di indifferenza), o piuttosto nel fatto che affermando o negando, seguendo o fuggendo le cose che l'intelletto ci presenta, noi agiamo senza avvertire alcuna forza esterna che ci costringa (libertà di elezione)".
La libertà d'indifferenza è per l'uomo il grado più basso della libertà, che si manifesta pienamente solo nella libertà di elezione come capacità di determinarsi in base alla forza interiore della ragione. Ed è anche a causa di questa capacità del soggetto di distinguersi dall'oggetto, capacità che è frutto della libertà, che viene in luce in Cartesio un radicale dualismo: si apre infatti una profonda divisione tra me che penso (cosa di cui non posso dubitare) e ciò che penso (della cui esistenza posso invece dubitare). Il dubbio pertanto si ripropone, poiché io né sono certo dell'esistenza di ciò che penso, né delle stesse evidenze che penso, perché potrebbe sempre esservi un genio maligno che si diverte a ingannarmi. In secondo luogo la mia stessa esperienza della libertà attesta in me una duplicità: da un lato la "libertà d'indifferenza", in quanto capacità di essere ugualmente attratto dai contrari, pone in luce la mia debolezza; dall'altro, la "libertà di elezione", come capacità di autodeterminarmi razionalmente e quindi di trascendere la natura, prova l'esistenza in me di un'idea d'infinito, d'infinita possibilità, idea che non posso aver coniato da solo, perché infinitamente superiore alla mia limitatezza. L'ipotesi del genio maligno e l'esperienza della libertà mi rimandano quindi a Dio.
Il pensiero filosofico: l'esistenza di Dio
Solo l'esistenza di Dio può vincere l'incertezza che il genio maligno getta su ogni conoscenza ed è l'esperienza della libertà che mi conduce all'affermazione di tale esistenza. Cartesio segue tre vie per dimostrare l'esistenza di Dio. Le prime due muovono dalla mia imperfezione e dalla presenza in me dell'idea di qualcosa di perfetto per concludere all'esistenza di Dio, mentre la terza è una ripresa della prova "a priori" di Sant'Anselmo. La dimostrazione dell'esistenza di Dio mi garantisce dunque contro ogni ipotesi di genio maligno, poiché Dio, in quanto perfetto, non può essere menzognero.
Egli pertanto non può ingannarmi quando io giungo all'evidenza, né può ingannarmi popolando il mio pensiero di fantasmi fallaci. Io avverto in me la tendenza irresistibile a considerare ciò di cui ho idea come esistente anche esistente in realtà. L'esistenza di Dio garantisce anche questa mia tendenza naturale. Dio dunque è garante dell'esistenza del mondo. Egli è garante della verità, nel senso cioè che la sua esistenza garantisce che ciò che è stato colto una volta come vero continua immutabilmente a essere vero, indipendentemente dalla mia capacità di ripercorrere quella catena di evidenze che mi aveva condotto all'affermazione della verità.
Dio dunque propriamente è garante della permanenza della verità. Sembra a questo punto, sulla base del metodo dell'intelletto finora elaborato, che ogni possibilità di errore sia negata. L'errore è tuttavia possibile per la maggior estensione, per così dire, della volontà dell'intelletto. La volontà infatti può precipitare il giudizio pronunciandolo prima che l'intelletto sia pervenuto all'evidenza (Principia philosophiae, 1647).
Fu spesso rimproverato a Cartesio di essere caduto in un circolo vizioso fondando la dimostrazione dell'esistenza di Dio attraverso il criterio dell'evidenza e giustificando successivamente tale criterio con la dimostrazione dell'esistenza di Dio. In realtà questa accusa non è legittima, poiché Dio, come abbiamo visto, non fonda propriamente la verità, ma ne garantisce semplicemente la permanenza. Inoltre il cogito e Dio non sono verità a cui si perviene secondo uno schema dimostrativo di tipo sillogistico, ma evidenze, cioè verità che mi si impongono per la loro stessa forza, come in se stesse trasparenti e indubitabili. A questo sono giunto attraverso il metodo; con lo sforzo di attenzione che esso mi propone ho colto al tempo stesso l'indubitabilità di me che dubito e la presenza dell'idea d'infinito in me; ho colto cioè me come essere pensante e Dio, e mi sono aperto all'ammissione dell'esistenza reale di tutto ciò la cui esistenza si presenta al mio pensiero come evidente.
Cartesio è pertanto riuscito nel proprio intento contro il naturalismo libertino e il conseguente ateismo, trovando in Dio la garanzia dell'esistenza del mondo e realizzando quindi una filosofia religiosa. La sintesi a cui egli è pervenuto si presenta nuova e antica. Nel suo pensiero coesistono entrambe le componenti. Nuova, perché egli ha riproposto un pensiero religioso su basi affatto differenti rispetto a quelle della Scolastica; antica, perché egli è rimasto ancorato senza alcuna esitazione a una concezione di armonica cospirazione di ragione e fede, quale si trova in San Tommaso.
Tuttavia è proprio questa duplicità del pensiero di Cartesio che costituisce la sua grandezza e giustifica le divergenti interpretazioni che di lui sono state date. Da un lato infatti egli sembra fondare la libertà dell'uomo, e quindi in ultima analisi la sua stessa capacità di conoscere, sull'ammissione dell'esistenza di Dio, dall'altro egli sembra suggerire la radicale autonomia dell'uomo, che è unico arbitro, attraverso il criterio dell'evidenza, della verità. Anzi è precisamente questo aspetto, per così dire, laico della sua filosofia, che nel corso dei successivi sviluppi della storia del pensiero è stato più frequentemente ripreso; questa ambivalenza del suo pensiero spiega come si sia potuto interpretare Cartesio ora come filosofo religioso, ora come scienziato, ora come iniziatore di una dottrina dell'autonomia e dell'immanenza della ragione, che troverà il proprio compimento nell'idealismo.
Il pensiero filosofico: il mondo fisico
I risultati sin qui conseguiti consentono a Cartesio di concepire in modo perfettamente penetrabile dal pensiero l'intero universo. Al di là del cogito, come abbiamo visto, esiste un mondo indipendente. Esso si presenta come indipendente dall'io non per le qualità sensibili (per esempio colori, sapori, suoni, ecc.), la cui origine è riconducibile alla coscienza, ma per quella unica qualità, che potremmo perciò definire primaria, che gli è propria: l'estensione. Ciò infatti che fa di un blocco di cera un oggetto materiale è, indipendentemente dalle diverse forme che esso può assumere, la sua estensione.
La materia è dunque sostanza estesa e non vi è spazio se non vi è materia, né materia se non vi è estensione. Si devono quindi negare sia il vuoto (cioè la contraddizione di uno spazio, cioè di un'estensione non estesa) sia l'atomo (cioè la contraddizione di un'estensione indivisibile). I mutamenti della materia sono dovuti al movimento iniziale che Dio ha impresso al mondo. Tale movimento obbedisce ad alcune leggi fondamentali che si possono riassumere nel principio d'inerzia e nella legge della costanza della quantità di moto. Tale quantità può variamente distribuirsi fra i singoli corpi, ma si mantiene immutata nel suo valore globale. Il movimento non è una proprietà intrinseca della materia, poiché essa ha solo le caratteristiche geometriche della pura estensione.
Nel tracciare la sua cosmologia Cartesio ammette perciò che all'inizio esisteva solo un universo esteso e inerte a cui Dio impresse una certa quantità di movimento in tutte le direzioni. Non essendovi vuoto in cui muoversi, i corpi, distinti solo per forma e grandezza, cominciarono a urtarsi fra di loro disponendosi in modo circolare e formando vortici, di ogni grandezza e velocità. Sono questi vortici che trascinano i pianeti nelle loro orbite. Lungo il confine dei singoli vortici le violente collisioni fra i corpi provocano uno sfregamento da cui risultano per abrasione una sostanza tenue e fluida (materia prima) e globuli rotondi e lucidi (materia seconda). I corpi soggetti a movimenti meno veloci e che risultano quindi meno suddivisi e arrotondati possono aggregarsi formando le sostanze più opache e pesanti (materia terza). Nei vortici il primo elemento tende a raccogliersi nel centro formando il sole e le stelle.
In tal modo Cartesio cercò anche di conciliare l'insegnamento biblico con la teoria copernicana, rilevando come la terra sia ferma entro il suo vortice che ruota attorno al sole. Ma soprattutto egli si impegnò in una dettagliata interpretazione meccanicistica dei più importanti fenomeni naturali, che ebbe una notevole importanza nel sorgere della scienza moderna. Il calore ha la sua origine nel movimento delle particelle fluide del primo elemento, mentre la luce è prodotta dallo spostamento rettilineo delle particelle globulari del secondo elemento.
Sul problema della luce egli si soffermò in parecchie opere, tra cui Le monde, ou traité de la lumière, pubblicato postumo, e La dioptrique, che con La géométrie e Les metéores costituiva un'appendice al Discours de la méthode. Cartesio paragona la trasmissione della luce che colpisce l'occhio alla vibrazione che il cieco percepisce quando il suo bastone urta un oggetto. Respinge in tal modo l'idea tradizionale che qualcosa di materiale passi dagli oggetti all'occhio. Questa concezione si ritrova alla base delle sue importanti ricerche di ottica geometrica. I raggi di luce riflettenti si comportano secondo il modello di una palla da tennis che urta una superficie dura e liscia, per cui l'angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione. Nel caso della rifrazione Cartesio suppose che un raggio percorra più rapidamente un mezzo più denso di uno più rarefatto e in tal modo egli formulò e interpretò la legge (detta di Snellius) secondo cui, per due mezzi determinati, il rapporto fra angolo di incidenza e angolo di rifrazione è costante.
Il pensiero scientifico: la geometria cartesiana
Di grande rilievo è stato l'apporto di Cartesio alla geometria, in cui si propose di superare l'insufficienza dei Greci che affrontavano i problemi con procedimenti diversi caso per caso, senza un criterio sicuro per affrontare quelli nuovi. A questo scopo egli, fondando la moderna geometria analitica, cominciò innanzitutto coll'introdurre simboli algebrici denotando segmenti di retta mediante lettere e formando di queste prodotti e potenze, senza preoccuparsi della loro interpretazione geometrica.
Per la soluzione dei problemi geometrici egli applicò poi il metodo analitico; suppose cioè il problema come risolto e trascrisse le relazioni implicite fra le grandezze mediante equazioni. Per individuare i punti di una curva egli introdusse degli assi di riferimento che vennero poi chiamati assi cartesiani.
La posizione di un punto nel piano è definita mediante le distanze x e y da tali assi (coordinate cartesiane) e la relazione algebrica fra x e y esprime un determinato luogo geometrico a cui appartiene il punto. Fra i vari risultati ottenuti con questo metodo si può ricordare la determinazione della normale e quindi della tangente a un punto qualunque di una curva geometrica di cui è nota l'equazione.
Se la geometria come scienza razionale possiede una certezza esemplare in quanto verte su nozioni semplici e generali, non meno vivo rimase per tutta la vita l'interesse di Cartesio per la natura, con tutta l'estrema complessità dei suoi processi particolarmente evidenti negli organismi viventi. A ricerche anatomiche e a considerazioni fisiologiche si dedicò sino agli ultimi anni, componendo diversi scritti fra cui il Traité de l'homme (1664) e Premières pensées sur la génération des animaux (1701).
Il pensiero scientifico: il meccanicismo cartesiano
Nello sviluppare la sua interpretazione meccanicistica del vivente quale un automa Cartesio si vale, come d'altronde in tutta la sua fisica, del metodo dei modelli; si rifà cioè alla tecnica per giungere, con l'uso dell'immaginazione, a definire strutture meccaniche invisibili in grado di spiegare i fenomeni. Ed è convinto che, non essendovi distacco fra arte e natura, si possa così cogliere in modo ipotetico, ma razionale, la realtà naturale. La fisiologia di Cartesio si basa su un'interpretazione meccanicistica della tradizionale teoria del calore vitale e della fermentazione. La circolazione del sangue, individuata da Harvey, è secondo Cartesio una conferma che l'animale è una macchina, ma egli ritenne erroneamente che fosse necessario spiegare la spinta che il cuore imprime al sangue mediante una dilatazione che il sangue stesso subisce nei ventricoli per effetto di una fermentazione.
Grande importanza riveste la concezione fisiologica del sistema nervoso, poiché proprio in base a essa Cartesio poté sostenere che l'animale è una macchina automatica che non necessita per vivere di un'anima. Riprendendo anche qui una teoria tradizionale, quella degli spiriti animali, intesi però come le particelle più sottili del sangue, sostenne che tali spiriti dalle concavità del cervello passano nei nervi quando le fibre che li compongono e che collegano gli organi di senso al cervello subiscono una trazione per opera di uno stimolo esterno. Gli spiriti attraverso i nervi giungono ai muscoli e gonfiandoli producono la loro contrazione.
Solo nell'uomo la regolazione dei movimenti può subire l'intervento dell'anima immateriale mediante un suo punto di contatto nel cervello con gli spiriti. Questo contatto che avviene nella ghiandola pineale risultava necessario a Cartesio per conciliare la netta distinzione metafisica fra le due sostanze, materia e spirito, con l'esperienza che il soggetto ha del proprio corpo. Sarà questo uno dei problemi più importanti che gli autori successivi dovranno affrontare. Alcuni si orienteranno verso una concezione materialistica, altri proporranno, per salvare una visione spiritualistica dell'uomo, una nuova interpretazione metafisica della sostanza. L'opera filosofica e scientifica di Cartesio si troverà così sino ai primi decenni del Settecento al centro delle discussioni filosofiche e scientifiche sulla natura.
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Wikipedia
René Descartes, latinizzato in Renatus Cartesius e
italianizzato in Renato Cartesio (La Haye en Touraine, 31 marzo 1596
– Stoccolma, 11 febbraio 1650) è stato un filosofo e
matematico francese. È ritenuto fondatore della filosofia e
della matematica moderna.
Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza
ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche,
così come era stata propugnata da Francesco Bacone, ma
formulata e applicata effettivamente solo da Galileo Galilei, a ogni
aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto
con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica
dominante in Europa tra XVII e XVIII secolo.
Biografia
Le origini familiari
Cartesio nacque il 31 marzo del 1596 a La Haye, in una casa
«delle più nobili, delle più antiche e delle
più in vista della Turenna». Il suo primo biografo,
Pierre Borel, credeva invece che fosse nato nella casa che i
Descartes possedevano a Châtellerault, nel Poitou: entrambe le
case esistono ancora e del Poitou erano originari gli avi del
filosofo, che non erano però nobili. Il nonno Pierre
Descartes era un medico e il figlio Joachim (1563-1640), che
esercitò l'avvocatura a Parigi, nel 1585 acquistò la
carica di consigliere del Parlamento di Rennes,[5] dove si trovava
quando la moglie Jeanne Brochard (1570-1597) partorì
René, terzo figlio dopo le nascite di Jeanne (1590-1640) e di
Pierre (1591-1660).
René fu battezzato il 3 aprile nella chiesa di Saint-Georges,
prendendo il nome dal padrino, lo zio materno e giudice a Poitiers,
René Brochard des Fontaines: fu subito affidato a una balia
che si prese a lungo cura di lui, gli sopravvisse e percepì
una pensione dal filosofo che prima di morire chiese ancora ai
fratelli di sostenerla. La madre di René morì infatti
l'anno dopo, il 13 maggio 1597, dando alla luce un altro figlio che
sopravvisse solo tre giorni e Joachim Descartes si risposò
intorno al 1600 con Anne Morin, una bretone conosciuta a Rennes,
dalla quale ebbe due figli, Joachim (1602-1680) e Anne.
Orfano di madre e con il padre spesso assente, furono soprattutto la
nonna materna e la nutrice a prendersi cura di René, che
passò l'infanzia a La Haye con i due fratelli e vi ricevette
l'istruzione elementare da un precettore: il costante pallore e una
frequente tosse secca facevano dubitare ai medici che egli potesse
vivere a lungo e ritardarono l'inizio dei suoi studi regolari.
Gli studi
Solo nella ricorrenza della Pasqua del 1607 entrò nel
collegio di La Flèche - fondato da Enrico IV nel 1603 e
assegnato ai gesuiti - che già godeva di alta rinomanza e
dove il fratello Pierre vi aveva sùbito iniziato gli studi
nel 1604, come l'erudito Marin Mersenne. Gli studenti, provenienti
da ogni parte della Francia senza distinzione di classe sociale,
erano tenuti al solo pagamento della pensione e i corsi prevedevano
tre anni di studio della grammatica, tre anni di studi umanistici e
tre anni di filosofia. Coloro che avessero voluto intraprendere la
carriera ecclesiastica vi avrebbero continuato a studiare per altri
cinque anni la teologia e le Scritture.
Scarso era l'insegnamento della matematica, impartito per meno di
un'ora al giorno ai soli studenti del secondo anno di filosofia.
S'insegnava esclusivamente la filosofia aristotelica in un corso
triennale ripartito nell'apprendimento della logica, basato sui
manuali di Francisco Toledo e di Pedro da Fonseca, della fisica e
della metafisica, quest'ultima insieme con nozioni di filosofia
morale.
Cartesio si mostrerà poi deluso dell'insegnamento ottenuto:
«Sono stato allevato nello studio delle lettere fin dalla
fanciullezza, e poiché mi si faceva credere che con esse si
poteva conseguire una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò
che è utile nella vita, avevo un estremo desiderio di
apprendere. Ma non appena ebbi concluso questo intero corso di
studi, al termine del quale si è di solito annoverati tra i
dotti, cambiai completamente opinione: mi trovavo infatti in un tale
groviglio di dubbi e di errori da avere l'impressione di non aver
ricavato alcun profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non
scoprire sempre più la mia ignoranza».
Sono le considerazioni del Cartesio maturo che scrive il suo Metodo
e lamenta che nelle scuole non si promuova lo spirito critico degli
allievi; una tale volontà di ricerca personale era già
presente nel giovane René: «Da giovane, quando mi si
presentava qualche scoperta ingegnosa, mi domandavo se io stesso non
fossi in grado di trovarla da solo, anche senza apprenderla dai
libri».
Uscì dal collegio gesuita nel settembre del 1615, conservando
un affetto riconoscente nei confronti del rettore, padre
Ètienne Chalet, che gli fece «le veci del padre per
tutto il periodo della gioventù», e per il regime di
vita osservato nella scuola, durante il quale la sua salute si
ristabilì completamente. Si stabilì a pensione presso
un sarto di Poitiers per studiare giurisprudenza nella
Università di quella città, dove il fratello Pierre si
era laureato tre anni prima: il 9 novembre 1616 ottenne il
baccalaureato e il giorno dopo la laurea in utroque iure. Si
riunì alla famiglia che, dopo il secondo matrimonio del
padre, viveva a Rennes - dove anche la sorella Jeanne, sposata nel
1613 con Pierre Rogier, signore di Crévis, si era stabilita -
o a Sucé, presso Nantes, dove la matrigna Anne Morin
possedeva una casa.
L'incontro con Isaac Beeckman
Raggiunta la maggiore età, con una salute recuperata e il
desiderio di conoscere cose nuove, ai primi del 1618 Cartesio si
arruolò volontario in uno dei due reggimenti francesi di
stanza a Breda, in Olanda, sotto il comando del principe d'Orange.
È un periodo di tregua della guerra che oppone la Francia
alla Spagna: Cartesio aveva un valletto al suo servizio, ma
l'ignoranza e la volgarità dei compagni, e l'ozio forzato a
cui era spesso costretto non gli fecero amare l'ambiente militare.
Tuttavia quel soggiorno si rivelerà importante sotto un altro
aspetto: il 10 novembre conobbe casualmente il medico Isaac
Beeckman, venuto da Middelburg a Breda per trovare lo zio e una
ragazza da sposare ed entrambi si trovarono a cercare di risolvere
un problema matematico. Il trentenne Beeckmam esercitò
naturalmente una forte attrazione intellettuale su René e ne
nacque un'amicizia che, pur contrastata negli anni,
indirizzerà decisamente il corso degli interessi di Cartesio
verso le scienze matematiche.
Beeckman aveva l'abitudine di annotare osservazioni e problemi
scientifici in un diario che ci è conservato: in un problema
posto da Beeckman a Cartesio – conoscendo lo spazio percorso da un
grave in due ore, determinare lo spazio percorso dal grave in un'ora
– la risposta di Cartesio è che la velocità del grave
aumenta in proporzione allo spazio percorso, anziché al tempo
trascorso.
Cartesio concluse il 31 dicembre un breve trattato sulla musica
intitolato Compendium musicae che offrì a Beeckman come
regalo per il nuovo anno: ne ricevette in cambio il dono di
un'agenda, che terrà sempre con sé. Due note tracciate
da Beeckam sul manoscritto del Compendium indicano che l'operetta fu
il risultato di scambi di idee tra i due amici se non influenzata
dalle opinioni del Beeckman: «I miei pensieri gli sono
piaciuti», scrive Beeckmam, ripartendo il 2 gennaio 1619 per
Middelburg, e «ciò conferma non poco quanto ho scritto
sui modi». Nel Compendium Cartesio si dice convinto che le
diverse passioni suscitate dalla musica abbiano una giustificazione
nelle variazione delle misure dei suoni e nei rapporti tonali: se
alla base dell'effetto emotivo prodotto dalla musica
sull'ascoltatore sono meri rapporti quantitativi, egli riconosce che
occorrerebbe una più precisa analisi della natura dell'anima
umana e dei suoi movimenti per comprendere compiutamente le emozioni
indotte dalla musica.
I due amici rimasero in contatto epistolare: il 26 marzo 1619
Cartesio informò Beeckman di aver inventato dei compassi
grazie ai quali aveva potuto formulare nuove dimostrazioni sui
problemi relativi alla divisione degli angoli in parti uguali e alle
equazioni cubiche, ripromettendosi di sviluppare queste scoperte in
un trattato ove egli avrebbe esposto «una scienza del tutto
nuova, con la quale si possano risolvere in generale tutte le
questioni proponibili in qualsiasi specie di quantità, sia
continua che discreta». È la prima testimonianza
dell'intuizione della geometria analitica: «nell'oscuro caos
di questa scienza ho intravisto uno spiraglio di luce».
A questo proposito, sebbene egli non ne sia stato l'inventore,
Cartesio è conosciuto anche per la diffusione del cosiddetto
Diagramma cartesiano il cui uso risale ad epoche antiche.
La mirabilis scientia
Il 29 aprile 1619, Descartes s'imbarcò da Amsterdam per
Copenaghen: contava di visitare la Danimarca, poi la Polonia e
l'Ungheria per raggiungere di qui la Boemia, ma rinunciò al
lungo viaggio per dirigersi alla fine di luglio a Francoforte, dove
il 27 agosto assistette all'incoronazione di Ferdinando II e
s'intrattenne nella città brandeburghese per tutta la durata
dei festeggiamenti. Con la ripresa di quella che verrà
definita la Guerra dei Trent'anni, sembra che Cartesio si sia
arruolato nell'esercito comandato da Massimiliano di Baviera e abbia
passato l'inverno a Neuburg, nel nord della Baviera, in una
confortevole e ben riscaldata casa sulla riva del Danubio: qui,
prese un giorno «la decisione di studiare anche in sé
stesso e d'impiegare tutte le forze del suo spirito a scegliere le
strade che doveva seguire».
Lo studio di noi stessi ci rende consapevoli di quante nozioni
abbiamo accumulato nella nostra mente sin dall'infanzia, senza che
esse siano state sottoposte a un preventivo vaglio critico:
perciò, «è quasi impossibile che i nostri
giudizi siano così genuini e così solidi come
sarebbero stati se avessimo avuto l'uso completo della nostra
ragione sin dalla nascita e se fossimo stati sempre guidati soltanto
dalla ragione». Occorre una revisione delle opinioni acquisite
e la loro sostituzione, se necessario, con quelle legittimate da un
criterio di verità.
Per intanto, egli non avrebbe accolto nessuna cosa per vera se non
si fosse presentata alla mente «con tale chiarezza e
distinzione da non avere alcun motivo di dubitarne». Poi, ogni
problema doveva essere diviso in quante più parti possibili
per meglio risolverlo e, «cominciando dagli oggetti più
semplici e più facili da conoscere, salire a poco a poco, per
gradi, fino alla conoscenza dei più complessi». Infine,
fare «enumerazioni così complete e rassegne così
generali da esser sicuro di non aver omesso nulla»
Quelle sono parole scritte circa quindici anni dopo nel Discorso sul
metodo, ma in quel novembre del 1619 Cartesio, nel registro
regalatogli dal Beeckman, in una sezione che egli stesso
intitolò Olympica, scrisse che il 10 novembre, «pieno
di entusiasmo», stava scoprendo i «fondamenti di una
scienza mirabile» e narra di sogni e di visioni che resero
agitata la notte, ma non sappiamo con precisione a quale scienza qui
alludesse Cartesio. L'ambasciatore francese in Svezia, Pierre
Chanut, che conobbe molto bene Cartesio, dettando il suo epitaffio
si riferì a questo episodio: «nel riposo dell'inverno,
avvicinandosi ai misteri della natura con le leggi matematiche,
osò sperare di aprire i segreti dell'una e dell'altra con la
stessa chiave».
Probabilmente, proseguendo le sue ricerche sulle corrispondenze
dell'algebra con la geometria, aveva raggiunto la convinzione che il
sapere potesse essere unificato in un'unica scienza della quale le
singole discipline formavano una branca particolare, come
scriverà nelle Regulae ad directionem ingenii: «Tutte
le scienze non sono altro che l'umana sapienza che permane sempre
unica e identica per quanto differenti siano gli oggetti cui si
applica [...] Tutte le scienze sono così connesse tra loro
che è molto più facile apprenderle insieme piuttosto
che separarne una sola dalle altre». Durante quell'inverno
conobbe nella vicina Ulm il matematico Johannes Faulhaber, del quale
potrebbe esserci qualche influenza nelle ricerche intraprese da
Cartesio che portarono alla redazione dei Progymnasmata de solidorum
elementis, dove tratta delle proprietà dei poliedri.
Lasciò Neuburg ai primi di marzo del 1620 e «in tutti i
nove anni seguenti non fece altro che vagare qua e là per il
mondo, cercando di essere spettatore piuttosto che attore in tutte
le commedie che vi si rappresentavano», di acquisire
conoscenze certe, scartando le dubbie, secondo i precetti del suo
metodo, che egli applicava «in particolare a problemi di
matematica o anche in altri che poteva assimilare ai problemi
matematici, scindendoli da tutti i principi delle altre scienze che
non trovava abbastanza solidi». Si dice che Cartesio, durante
i suoi viaggi in Germania, abbia cercato di avvicinare aderenti al
movimento dei Rosacroce e anche che egli stesso si sia affiliato a
quella confraternita.
Il problema di un possibile rapporto tra Cartesio e i Rosacroce fu
sollevato per primo dal biografo Baillet il quale, citando passi di
un perduto Studium bonae mentis, sostiene che Cartesio pensò
che i rosacrociani potessero aver scoperto proprio quella nuova
scienza che egli aveva intuito e che andava abbozzando. Si
può escludere che egli si sia mai affiliato a quella
fantomatica setta e non si sa se abbia mai conosciuto un
rosacrociano, ma in qualche modo Cartesio dovette venire a
conoscenza delle loro opinioni visto che, nella sezione del suo
registro intitolata Thesaurus mathematicus e dedicata ironicamente
«ai sapienti del mondo intero e particolarmente ai F.[ratelli]
R.[osa] C.[roce] celeberrimi in G.[ermania]», Cartesio si
burla di coloro che pretendono di «mostrare nuove meraviglie
in tutte le scienze e di lenire le pene delle moltitudini»,
consumando inutilmente «l'olio della loro intelligenza».
Il ritorno in Francia
Lasciato l'esercito, nel 1622 tornava presso la famiglia a Rennes e
si trasferiva nei primi mesi del 1623 a Parigi, ospite di un amico
del padre, Nicolas Le Vasseur, che gli presentò il matematico
Didier Dounot: in questo lasso di tempo potrebbe aver conosciuto
anche Claude Mydorge e Marin Mersenne. In autunno partiva per un
lungo viaggio in Italia: la morte del signor Sain, marito della sua
madrina e commissario generale al vettovagliamento per le truppe
francesi stanziate in Italia, aveva lasciato libera una carica
lucrosa che Cartesio avrebbe cercato - ma invano - di farsi
assegnare.
Secondo i biografi Cartesio, che aveva letto in collegio un testo
allora famoso, Le pèlerin de Lorète del gesuita Louis
Richeome, sarebbe andato a Loreto per visitare la leggendaria casa
di Betlemme lì trasportata dagli angeli, poi a Roma, a
Firenze, dove non incontrò Galileo, e a Venezia:
rientrò in Francia attraverso il passo del Moncenisio ed ebbe
l'occasione di assistere alla caduta di valanghe, un fenomeno che
tratterà nel suo libro sulle Météores. Giunse a
Parigi nel maggio del 1625 e, nel complesso, non ricavò una
buona impressione della penisola e dei suoi abitanti: «la
calura del giorno è insopportabile, il fresco della sera
malsano e l'oscurità della notte copre furti e
omicidi».
Da questo momento Cartesio adottò quello stile di vita che
osserverà per sempre: avendo rinunciato alla carriera
militare e ad occupare qualsiasi magistratura, vivrà dei
proventi dei suoi possedimenti terrieri che gli assicuravano una
condizione libera dal bisogno e gli permettevano di dedicarsi ai
suoi studi. Si mantenne in corrispondenza con Beeckman ed
entrò in relazione con i matematici Jean Baptiste Morin e
Florimond Debeaune, oltre che con il Mydorge, e con i letterati Jean
de Silhon, Jacques de Sérisay, Guez de Balzac e col padre
Mersenne, già autore di un trattato sull'ottica, la cui
sollecitazione può averlo indotto a studiarne i problemi,
giungendo a determinare la legge della costanza del rapporto dei
seni degli angoli di incidenza e di rifrazione, scoperta da Cartesio
successivamente ma indipendentemente da Willebrord Snell.
Nel novembre del 1627 fu invitato a prendere parte a una riunione di
scienziati e filosofi nella casa del nunzio pontificio Gianfrancesco
Guidi di Bagno, dove, presenti tra gli altri il cardinale
Bérulle e il Mersenne, si trovò a confutare le teorie
filosofiche di un certo Chandoux attraverso l'esposizione del suo
«metodo naturale» fondato sulle Regulae ad directionem
ingenii che Cartesio stava elaborando in quel periodo.
Per lavorarci con maggiore tranquillità, partì per la
Bretagna e poi si trasferì in una sua proprietà nel
Poitou: le Regulae sono costituite da 21 proposizioni, di cui le
prime 18 sono commentate. In realtà anche questo testo
è stato lasciato incompiuto, in vista dello sviluppo organico
che del tema del metodo della conoscenza Cartesio darà nel
successivo Discours.
L'intenzione è quella di orientare gli studi in modo che
«la mente giunga a giudizi solidi e veri su tutto ciò
che le si presenta». Il metodo è «la via che la
mente umana deve seguire per raggiungere la verità»:
esso consiste nell'ordinare e disporre gli oggetti sui quali
s'indirizza la mente per giungere alla verità. Le
proposizioni involute e oscure devono essere ridotte a proposizioni
più semplici e poi, partendo dall'intuizione di queste
ultime, progredire alla conoscenza di quelle più complesse.
Le proposizioni semplici, comprese intuitivamente e senza ricorrere
a dimostrazioni per la loro evidenza, sono equivalenti ai postulati
e agli assiomi matematici e costituiscono i principi della
conoscenza.
In Olanda
Fu nuovamente a Parigi nell'aprile del 1628: in questo periodo
sembra aver scritto un perduto piccolo trattato sulla scherma, L'art
de l'escrime. In ottobre andò a trovare l'amico Beeckman a
Dordrecht, in Olanda: in questa occasione deve aver maturato la
decisione di trasferirsi nei Paesi Bassi. Dopo un nuovo ritorno a
Parigi nell'inverno del 1628, partì per l'Olanda nel marzo
del 1629: si stabilì a Franeker, iscrivendosi il 26 aprile
nell'Università di quella città per frequentarvi i
corsi di filosofia. Probabilmente la scelta di quella
Università fu dovuta al fatto che vi insegnava il matematico
Adrien Metius, fratello di quel Jacques Metius che inventò, a
giudizio di Cartesio, il primo cannocchiale.
Continuò a lavorare sui problemi dell'ottica e in agosto fu
messo a conoscenza dall'amico professore di filosofia Henricus
Reneri dell'osservazione del fenomeno ottico-astronomico dei pareli,
effettuata il 20 marzo a Frascati dall'astronomo gesuita Cristoph
Scheiner. Quel fenomeno era già noto e Pierre Gassendi ne
diede il 14 luglio una descrizione che verrà ripresa da
Cartesio nelle Méteores: sono circoli bianchi che
«invece di avere al loro centro un astro, attraversano
ordinariamente il centro del Sole o della Luna e risultano paralleli
o quasi all'orizzonte».
Dal 1630 cominciò a lavorare al Le Monde ou traité de
la lumière che avrebbe dovuto rappresentare l'esposizione
della propria filosofia naturale, ma la notizia della condanna, nel
1633, del Galilei e della messa all'Indice del Dialogo sopra i due
massimi sistemi lo dissuasero dal completare e pubblicare l'opera
che in più parti sposava le tesi di Copernico condannate
dalla Chiesa.[43] Dopo un'edizione parziale postuma in traduzione
latina nel 1662 a Leida, il trattato fu pubblicato nella versione
originale francese a Parigi nel 1664 in due parti separate, con il
titolo, rispettivamente, di Le Monde ou le traité de la
lumière et des autres principaux objects des sens e di
L'Homme; finalmente, nel 1667, l'opera fu pubblicata integralmente a
Parigi insieme con il frammento La formation du foetus.
Nelle Regulae Cartesio aveva individuato nella «matematica
universale» la «scienza dell'ordine», ossia quella
scienza che, stabilendo la disposizione nella quale tutte le varie
conoscenze vanno disposte, essendo tra di loro legate da comuni
principi, è la scienza alla quale tutte le altre fanno capo.
Dopo la matematica, ne Il Mondo Cartesio affronta il problema della
fisica, individuando il principio al quale tutti i fenomeni fisici
obbediscono. Tale principio è la conoscenza «chiara e
distinta» degli elementi semplici che costituiscono i corpi. I
corpi sono materia dotata di movimento che occupa uno spazio
determinato e gli elementi primi della materia sono la terra, l'aria
e il fuoco.
La materia è dunque esprimibile quantitativamente con
«il movimento, la grandezza, la figura e la disposizione delle
parti», e solo da questi deve derivare la spiegazione delle
sue qualità. Le leggi della natura obbediscono a tre
principi: «ogni parte della materia conserva sempre lo stesso
stato finché le altre non la costringono a cambiarlo»,
che è il principio d'inerzia[44]; «quando un corpo
spinge un altro corpo, non gli trasmette né sottrae movimento
senza perderne o acquistarne una quantità eguale», e
«quando un corpo è in movimento, ciascuna delle sue
parti, presa separatamente, tende sempre a continuare il proprio
movimento in linea retta».
Nel 1635 diventò padre con la nascita della figlia Francine
(1635-1640) battezzata il 7 agosto dello stesso anno, avuta da
una domestica di nome Helena Jansdr vander Strom che aveva avuto
come amante per alcuni anni senza mai sposarla neppure dopo questa
nascita. Cartesio però riconobbe Francine, che morì a
soli 5 anni, come sua figlia.
Nel 1637 pubblicò il Discorso sul metodo e i saggi su
Diottrica, Geometria e Meteore. Nel 1641 diede alle stampe la prima
edizione delle Meditazioni metafisiche corredate dalle prime sei
Obiezioni e risposte. L'anno successivo (1642) con la seconda
edizione delle Meditazioni pubblicò le settime Obiezioni e
risposte.
Nel 1643 la filosofia cartesiana venne condannata
dall'Università di Utrecht, contemporaneamente Cartesio
iniziò una lunga corrispondenza con Elisabetta principessa di
Boemia. Nel 1644 compose i Principia philosophiae e compì un
viaggio in Francia. Nel 1647 la corona di Francia gli riconobbe una
pensione. L'anno successivo da una lunga conversazione con Frans
Burman nacque il libro omonimo.
Precettore di filosofia in Svezia e morte
Nel 1649 accettò l'invito della regina Cristina di Svezia,
sua discepola e desiderosa di approfondire i contenuti della sua
filosofia, e si trasferì a Stoccolma. Quello stesso anno
dedicò il trattato Le passioni dell'anima alla principessa
Elisabetta. Il rigido inverno svedese e gli orari in cui Cristina lo
costringeva ad uscire di casa per impartirle lezione - prime ore del
mattino quando il freddo era più pungente - minarono il suo
fisico. Cartesio si spense l'11 febbraio 1650 a causa, secondo il
racconto tradizionale e l'ipotesi più accreditata, di una
sopraggiunta polmonite.[47] La condanna della Chiesa cattolica nei
confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la
messa all'Indice nel 1663 delle sue opere (tuttavia poste nell'Index
con la clausola attenuante suspendendos esse, donec
corrigantur).[48][49]
Le ossa di Cartesio
Dopo la morte il corpo di Cartesio venne tumulato in un piccolo
cimitero cattolico a nord di Stoccolma dove rimase sino al 1666
quando i resti vennero riesumati per essere portati a Parigi ed
inumati nella chiesa di Sainte Geneviève-du-Mont dove rimase
sino al 26 febbraio 1819 quando la salma fu nuovamente trasferita e
inumata tra altre due lapidi tombali, quelle di Jean Mabillon e di
Bernard de Montfaucon, nella chiesa di
Saint-Germain-des-Prés: «alla presenza dei
rappresentanti dell'Accademia delle scienze, la salma fu ancora
riesumata. Ma, aprendo la bara, i presenti si resero conto che c'era
qualcosa che non andava, in quanto allo scheletro del filosofo
mancava misteriosamente il cranio.»
Si scoprì che gli svedesi ne avevano asportato la testa che
ricomparve ad un'asta a Stoccolma dove il cranio fu acquistato e
donato alla Francia. Sul teschio, ormai privo della mandibola e
della parte inferiore, compaiono le firme di tutti i suoi
proprietari dalla fine del Seicento sino al momento della vendita.
Secondo l'uso del tempo gli intellettuali infatti tenevano sulla
scrivania un teschio, meglio se di un illustre personaggio, a
memento della morte comune ed inevitabile. Ma il teschio, attribuito
a Cartesio sia per l'età che per le ricostruzioni fatte in
base ai ritratti del filosofo, continuò a rimanere separato
dal resto del corpo ed esposto al Musée de l'Homme.
In onore del filosofo nel 1801, la sua città natale venne
ribattezzata La Haye-Descartes e poi, nel 1966 in seguito alla
fusione con il vicino comune di Balesmes, semplicemente Descartes.
Un'altra ipotesi sulla morte di Cartesio
Il filosofo tedesco Theodor Ebert (1939), dell'Università di
Erlangen, nell'opera La misteriosa morte di René Descartes
è giunto alla conclusione che la causa della morte di
Cartesio non sia stata una polmonite ma un avvelenamento da
arsenico. Ebert ha scoperto una nota del medico di Cartesio dove si
descrivono le condizioni del filosofo consistenti in
«perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero,
respirazione irregolare» sintomi riportabili ad avvelenamento
per arsenico. Nello stessa opera si racconta di come Cartesio, forse
sospettando un avvelenamento, chiedesse poco prima di morire un
infuso di vino e tabacco, bevanda che serviva a vomitare.
Questa tesi dell'avvelenamento di Cartesio era stata avanzata anche
nel 1996 da altri autori come Eike Pies che l'attribuiva
all'iniziativa personale di un monaco cappellano presso l'ambasciata
francese a Stoccolma incaricato di operare come "missionario del
nord" per la conversione della regina svedese al cattolicesimo.
Pies ebbe modo nel 1980 di poter leggere nell'archivio
dell'università olandese di Leiden una lettera del medico
personale della regina Cristina che descriveva a un amico dottore i
sintomi del moribondo Cartesio consistenti in «emorragia allo
stomaco, vomito nero, tutte cose che non hanno niente a che fare con
la polmonite».
Gli studi, ritenuti attendibili da esperti della materia come Rolf
Puster, ritengono che Cartesio sia stato avvelenato con un'ostia
della comunione intrisa d'arsenico dal padre agostiniano,
François Viogué, frate francese inviato dal Papa
Innocenzo X a Stoccolma come missionario apostolico per convertire
al cattolicesimo la regina Cristina di Svezia, come poi avvenne nel
1654.
La ipotesi di un assassinio di Cartesio ad opera del fanatico padre
Viogué si baserebbe sul fatto che questi vedeva
nell'insegnamento cartesiano un ideale razionalista che avrebbe
portato alla conversione della regina Cristina ad un cattolicesimo
molto diverso da quello professato dal padre agostiniano. Tale
affermazione, però, sembra in parte contrastare con quanto
affermato della stessa regina di Svezia, la quale, in una
testimonianza inserita nell'introduzione all'edizione postuma
parigina delle Méditations métaphysiques, elogia il
filosofo scrivendo che « [M. Des-Cartes] a beaucoup
contribué a nostre glorieuse conversion; et que la providence
de Dieu s'est servie de luy [...] pour nous en donner les
premières lumières; ensorte que sa grâce et sa
misericorde acheverent apres à nous faire embrasser les
veritez de la Religion Catholique Apostolique et Romaine ».
La maggior parte degli studiosi si mostra assai scettica riguardo
questa ipotesi di avvelenamento, considerando ben più
attendibile quella tradizionale fornita dal biografo Baillet, tanto
da ritenere che « non sono assolutamente da seguirsi le voci
secondo le quali il filosofo sarebbe morto per avvelenamento,
vittima di una congiura di corte: non sembrano verosimili, né
nessuno ha mai avanzato prove plausibili ».
Per di più gli amici che assistettero Cartesio nelle ultime
ore osservarono un sintomo non riconducibile all'avvelenamento da
arsenico: la febbre alta. La stessa alterazione febbrile Cartesio
aveva avuto modo di riscontrare nell'ambasciatore Nopeleen e
nell'amico Chaunut appena guarito da una febbre alta. A rendere poco
convincente l'avvelenamento di Cartesio sarebbe stato poi il fatto
che lo stesso presunto avvelenatore, Vioguè, confessò
e confortò Cartesio sul letto di morte amministrandogli
l'estrema unzione.
Pensiero di Cartesio
Cenni sulla filosofia cartesiana
La finalità della filosofia di Cartesio è la ricerca
della verità attraverso la filosofia, intesa come uno
strumento di miglioramento della vita dell'uomo: perseguendo questa
via il filosofo intende ricostruire l'edificio del sapere, fondare
la scienza.
Cartesio ritiene che criterio basilare della verità sia
l'evidenza, ciò che appare semplicemente e indiscutibilmente
certo, mediante l'intuito. Il problema nasce nell'individuazione
dell'evidenza, che si traduce nella ricerca di ciò che non
può essere soggetto al dubbio. Pertanto, dacché la
realtà tangibile può essere ingannevole in quanto
soggetta alla percezione sensibile (dubbio metodico) e al contempo
anche la matematica e la geometria (discipline che esulano dal mondo
sensibile) si rivelano fasulle nel momento in cui si ammette la
possibilità che un'entità superiore (colui che
Cartesio soprannomina genio maligno) faccia apparire come reale
ciò che non lo è (dubbio iperbolico), l'unica certezza
che resta all'uomo è che, per lo meno, dubitando, l'uomo
è sicuro di esistere. L'uomo riscopre la sua esistenza
nell'esercizio del dubbio. Cogito ergo sum: dal momento che è
propria dell'uomo la facoltà di dubitare, l'uomo esiste.
Partendo dalla certezza di sé, Cartesio arriva, formulando
due prove ontologiche e una prova cosmologica, alla certezza
dell'esistenza di Dio. Dio, che nella concezione cartesiana è
bene e pertanto non può ingannare la sua creazione (l'uomo),
si rende garante del metodo, permettendo al filosofo di procedere
alla creazione dell'edificio del sapere. Le maggiori critiche
ricevute da Cartesio furono apportate da Pascal (che gli rimprovera
di sfruttare Dio per dare un tocco al mondo) e da alcuni suoi
avversatori contemporanei (tra cui il filosofo inglese Hobbes e il
teologo Antoine Arnauld), che lo accusarono di essere caduto in una
trappola solipsistica (assimilabile ad un circolo vizioso): Cartesio
teorizza Dio per garantirsi quei criteri di verità che gli
sono serviti a dimostrare l'esistenza di Dio.
« Volendo seriamente ricercare la verità delle cose,
non si deve scegliere una scienza particolare, infatti esse sono
tutte connesse tra loro e dipendenti l'una dall'altra. Si deve
piuttosto pensare soltanto ad aumentare il lume naturale della
ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà di
scuola, ma perché in ogni circostanza della vita l'intelletto
indichi alla volontà ciò che si debba scegliere; e ben
presto ci si meraviglierà di aver fatto progressi di gran
lunga maggiori di coloro che si interessano alle cose particolari e
di aver ottenuto non soltanto le stesse cose da altri desiderate, ma
anche più profonde di quanto essi stessi possano attendersi
»
(Cartesio da "Discorso sul metodo")
Cartesio e il metodo
Considerato il primo pensatore moderno ad avere fornito un quadro
filosofico di riferimento per la scienza moderna all'inizio del suo
sviluppo, Cartesio ha cercato di individuare l'insieme dei principi
fondamentali che possono essere conosciuti con assoluta certezza.
Per individuarli si è servito di un metodo chiamato
scetticismo metodologico: rifiutare come falsa ogni idea che
può essere revocata in dubbio.
La conoscenza sensibile è la prima ad essere messa in mora:
non è bene fidarsi di chi ci ha già ingannato e
potrà farlo ancora in seguito. Addirittura nel sonno capita
di rappresentarsi cose che non esistono come se fossero vere.
Perciò bisogna rifiutarsi di credere nei sensi.
La conoscenza matematica solo apparentemente può sfuggire al
metodo del dubbio metodico messo in atto da Cartesio. Infatti,
benché sembri che non ci possa essere nulla di più
sicuro e di più certo, non si può neppure escludere
che un "genio maligno", supremamente malvagio e potente, si diverta
ad ingannarci ogni volta che effettuiamo un calcolo matematico.
Cartesio, per la sua personale esperienza della verità,
ritiene che i pensieri di cui possiamo essere certi sono evidenze
primarie alla ragione. Evidente è l'idea chiara e distinta,
che si manifesta all'intuito nella sua elementare semplicità
e certezza, senza bisogno di dimostrazione. Ne sono esempi i teoremi
di geometria euclidea, che sono dedotti in base alla loro stessa
evidenza, ma nello stesso tempo verificabili singolarmente in modo
analitico, mediante vari passaggi[63].
Il ragionamento non serve a dimostrare le idee evidenti, ma
semplicemente a impararle e memorizzarle; i collegamenti hanno la
funzione di aiutare la nostra memoria. Kant rileverà che
questo non solo è un metodo opportuno, ma che è
l'unico possibile, che le coscienze si formano intorno a un "io
penso" che può apprendere soltanto conoscenze che derivino da
un unico principio.
Cartesio afferma anche che ognuno ha il suo metodo e che il suo
è uno dei metodi possibili. L'importante è darsi un
metodo cui sottoporre tutte le verità e da seguire come
regola per tutta la vita; il metodo cartesiano finisce con l'essere
un imperativo categorico il cui contenuto metodico varia a seconda
delle circostanze, ma anche della persona (cosa che l'imperativo
categorico non ammette). Il metodo cartesiano quindi non è
altro che un criterio di orientamento unico e semplice che
all'interno di ogni campo teoretico e pratico aiuti l'uomo, e che
abbia come ultimo fine il vantaggio dell'uomo nel mondo.
Cartesio e il dubbio
«Il dubbio è l'origine della saggezza »
(René Descartes, Meditationes de prima philosophia)
Che cosa possiamo sperare di conoscere con certezza? Proprio quando
sembra impossibile individuare qualcosa che possa essere conosciuto
con evidente certezza, Cartesio si rende conto che qualunque cosa
possa fare quel genio maligno di cui ha ipotizzato l'esistenza nel
corso della messa in discussione di ogni certezza, questi non
potrà mai far sì che io, che dubito di essere
ingannato da lui, non esista: la sua azione dell'ingannare si
rivolge nei confronti di un esistente che subisce l'inganno e che
dubita di essere ingannato e, se dubita, pensa. Questo è il
principio (meglio conosciuto nella formula del cogito ergo sum,
"penso dunque sono", che compare nel Discorso sul metodo) su cui
ricostruire l'edificio della conoscenza.
Dal momento che dobbiamo comunque rifiutare l'insegnamento dei sensi
che ci rappresentano come dotati di un corpo, Descartes conclude di
essere una sostanza pensante.
La contrapposizione fra res cogitans e res extensa avrà
notevoli risvolti antropologici.
Il pensiero costituisce la sua essenza nella misura in cui esso
è ciò di cui non può più dubitare. La
costruzione del sapere avviene attraverso il metodo della deduzione
mentre i sensi sono privati di ogni dignità conoscitiva.
Il grande contributo di Cartesio alla filosofia moderna è
dato dall'aver posto nel rapporto tra soggetto e oggetto l'Idea: non
si conoscono direttamente le cose, ma le nostre idee sulle cose.
Pertanto il soggetto non può conoscere direttamente
l'oggetto; l'esistenza delle cose e il loro modo di apparirci
diventano un problema gnoseologico che Cartesio pone ma solo Kant
risolverà in modo convincente.
Il composto anima-corpo
Qual è il rapporto che l'io in quanto pensiero e il corpo in
quanto estensione intrattengono tra di loro?
Cartesio anzitutto esclude che il pensiero sia nel corpo «come
un nocchiero nella barca»; questa era l'immagine platonica per
illustrare il rapporto anima-corpo, che lasciava intatte e separate
le due sostanze.
A tale possibilità Cartesio obietta che le sensazioni che
abbiamo, fame, sete, dolore...ecc., ci segnalano un rapporto diretto
col corpo, laddove se non si realizzasse un'unità,
l'intelletto non proverebbe quei pensieri di sensazione, ma essi gli
riuscirebbero in qualche modo estranei.
C'è un ulteriore elemento che ci dà la misura
dell'unione intrinseca dell'intelletto col corpo,e cioè che i
corpi esterni a noi intrattengono con noi rapporti che non sono
percepiti come inerenti esclusivamente alla nostra
corporeità, ma come benefici o dannosi a tutti noi stessi.
Anima e corpo sono dunque «mescolati», come attestano le
sensazioni sia interne che esterne; ma non al punto che non sia
possibile distinguere alcune operazioni «che sono di
pertinenza della sola anima» e altre «che appartengono
al solo corpo».
All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le
sensazioni «che ci sono date dalla natura propriamente solo
per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di
danno, a quel composto di cui essa è una parte, e ciò
finché non sono ben chiare e distinte».
Il corpo dà dunque all'anima le indicazioni necessarie
perché essa operi per la sopravvivenza del composto, ma tali
indicazioni sono oscure e confuse,e la luce intellettuale deve, per
conoscere la verità su di esse, provvedere a chiarirle.
Questa spiegazione puramente funzionale delle sensazioni urta
però con due obiezioni che Cartesio si pone immediatamente.
Le sensazioni nocive
Il corpo però a volte ha sensazioni nocive per il composto,
in ciò venendo meno alla sua funzione, ad esempio
«quando qualcuno, ingannato dal sapore gradevole di un cibo,
ingerisce il veleno che vi è nascosto».
Questa obiezione è facilmente superabile, in quanto al
più in questo caso si può accusare la sensazione di
ignorare che in quel cibo c'è del veleno, ma ben sappiamo che
l'uomo è «una cosa limitata», e un caso del
genere si spiega appunto considerando che la sensazione ha una
capacità informativa limitata.
Più insidiosa è l'altra obiezione, che osserva che ci
sono sensazioni che direttamente operano a danno del composto; ad
esempio «quando coloro che sono ammalati desiderano una
bevanda o del cibo, che poco dopo sarà loro nocivo»
come l'idropico che prova una sensazione di sete, soddisfacendo la
quale sicuramente si danneggerà.
Per rispondere a tale obiezione Cartesio tenta dapprima la strada
della spiegazione puramente meccanicistica del corpo, cui addossare
la responsabilità dell'errore. Istituisce il famoso paragone
tra corpo e orologio, ed osserva che se si considera il corpo come
una macchina di pure parti materiali, si può pensare alla
malattia come ad una rottura della macchina; ma anche con questo
modello non si è risposto all'obiezione, ammette Cartesio,
perché le leggi di natura regolano anche un orologio che
funziona male, mentre nel caso dell'idropico vengono meno. Se la
malattia è da paragonarsi ad un guasto dell'orologio che ne
produce il malfunzionamento, resta ancora da spiegare come mai vi si
aggiunga un'attività che è direttamente contraria alla
sopravvivenza del composto, e cioè il desiderio di bere.
Potremmo aggiungere, è come se l'orologio, oltre a funzionare
male, si mettesse a danneggiare i suoi ingranaggi o attivasse un
pulsante di autodistruzione. In tale caso di autodanneggiamento la
sensazione di sete dell'idropico è «un vero errore di
natura», in quanto opera in contrasto con la sopravvivenza del
composto, al cui fine le sensazioni sono istituite.
L'"uomo macchina" e gli animali
Il cogito, come capacità di autocoscienza appartiene solo
agli uomini dotati di un corpo che funziona meccanicamente come una
macchina: « [...] incomparabilmente meglio ordinata e ha in
sé movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra
quelle che gli uomini possono inventare [...] » ; gli animali
invece privi di coscienza sono delle semplici macchine. Solo l'uomo
ragiona e parla mentre gli animali anche quando parlano in modo
simile al nostro interloquire, come ad esempio i pappagalli, non
fanno che ripetere dei suoni che sentono, non elaborano
razionalmente dei discorsi. L'incapacità di parlare degli
animali non dipende dal fatto che essi non abbiano gli organi
appositi per farlo, come ad esempio le corde vocali, ma dalla loro
incapacità di ragionare. Tanto è vero che pur
essendovi uomini privi degli strumenti per parlare tuttavia sono
superiori agli animali parlanti perché, pur essendo muti e
sordi, con la loro ragione inventano segni che permettono loro di
comunicare coscientemente.
Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non
provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in
realtà reagiscono meccanicamente ad una stimolazione
materiale come quando toccando una molla dell'orologio le sue
lancette si muovono.
Teoria questa confutata da altri successivi filosofi, che la
reputarono giustificatrice di abusi e crudeltà verso gli
animali.
Cartesio e le idee
Se io sono sostanza pensante, il mio pensiero deve essere
caratterizzato da un contenuto, ovvero deve configurarsi come idea.
Cartesio distingue tre tipologie di idee:
Idee avventizie: derivano, tramite la
sensibilità, da oggetti esterni e sono indipendenti
dall'uomo;
Idee fittizie (dal latino fingo, fingo,
immagino): da noi inventate (l'idea dell'ippogrifo o quella della
chimera);
Idee innate: cioè nate con noi, sono come
un patrimonio costitutivo della mente (l'idea matematica, l'idea di
Dio).
Cartesio e Dio
(LA)
« Ex nihilo nihil fit. »
(IT)
« Nulla viene dal nulla. »
(Principia philosophiæ)
Con la sola forza del pensiero deduttivo Descartes propone una
"prova ontologica" dell'esistenza di un Dio benevolo che ha dato
all'uomo una mente e un corpo e che non può desiderare di
ingannarlo. Le tre prove ontologiche, liberamente ispirate dalla
Scolastica, di cui il filosofo si serve per postulare l'esistenza di
Dio sono:
Siccome l'uomo ha in sé l'idea di Dio, che
equivale all'idea della perfezione, ne deriva, seguendo il principio
per cui la causa dev'essere eguale o maggiore all'effetto prodotto,
che l'idea di Dio non può essere un prodotto della mente
dell'uomo (il quale esercitando il dubbio dimostra la sua
imperfezione), né dall'esterno (di cui potendo dubitarne si
dimostra l'imperfezione) ma deve provenire necessariamente da
un'entità perfetta, estranea all'idea di perfetto che l'uomo
ha di lui: cioè Dio.
Siccome l'uomo è consapevole della sua
imperfezione, non può essere stato lui l'artefice di quelle
idee di perfezione che egli ha nella sua mente (onniscienza,
onnipotenza, prescienza ecc.) altrimenti alla creazione si sarebbe
dato codeste prerogative. Motivo per cui deve esistere
un'entità che gode di quelle qualità e che abbia
dall'esterno creato l'uomo: cioè Dio.
Riprendendo la prova elaborata da sant'Anselmo
d'Aosta, Cartesio afferma che l'esistenza è già
implicita nel concetto stesso di perfezione: esiste un'entità
superiore in quanto espressione dell'idea che l'uomo ha di perfetto
(la cosiddetta prova ontologica, come Kant definirà per
sostenere l'impossibilità di far coincidere il piano logico
con il piano ontologico): cioè Dio.
In questo modo, si può recuperare il rapporto con il mondo
sensibile senza timore di essere ingannato. Riprendendo i tre anni
di studi filosofici, Cartesio recupera l'idea della scolastica
medioevale di un Dio-Bene che non può ingannare né me
né i miei sensi, per cui è reale il mondo che abbiamo
davanti. L'errore viene pertanto attribuito non alla dimensione
intellettuale dell'uomo, ma alla volontà, che asseconda nel
procedimento un principio non ancora chiarito.