da http://truncare.myblog.it/archive/2013/02/01/le-false-carte-d-arborea.html
1. LE (FALSE) CARTE D’ARBOREA
Sotto la denominazione impropria di “Carte d’Arborea” si raccoglie
un insieme di pergamene, di codici cartacei e di documenti (una
quarantina di testi di varie dimensioni, attualmente custoditi quasi
tutti nella Biblioteca universitaria di Cagliari, riguardanti il
periodo dal VI al XV secolo (ovvero dalla dominazione romana
al Medioevo) che, a partire dal 1845 vennero offerti in vendita dal
frate Cosimo Manca del Convento di santa Rosalia in Cagliari.
Il frate ne asseriva la provenienza dagli Archivi dei re-Giudici
d’Arborea di Oristano, da qui il nome di Carte di Arborea. Che
comunque – è bene sottolinearlo – niente a che fare hanno con
la Carta de Logu della regina-giudicessa Eleonora d’Arborea.
La prima pergamena (conosciuta come Pergamena di Arborea) fu offerta
allo storico sardo Pietro Martini proprio nel 1845 che la
pubblicherà un anno dopo, nel 1846.
“Nel corso del decennio successivo a questo primo documento se ne
aggiunsero degli altri di vario genere, che apparvero subito
destinati a operare un vero e proprio radicale rivolgimento di
quanto fino ad allora si conosceva non solo della storia sarda ma
anche della storia italiana, in particolare della lingua. Il
complesso dei documenti infatti, sembrava non solo di poter colmare
i vuoti di conoscenza relativi all’Alto Medioevo sardo, ma anche
modificare le conoscenze sulla fase iniziale della lingua e della
letteratura in Italia. Il ritrovamento aprì una lunghissima
discussione fra storici, paleografi e letterati sui contenuti delle
Carte d’a ma soprattutto sulla loro autenticità, presto messa
in dubbio da diversi studiosi”.
da http://guide.supereva.it/lingua_sarda/interventi/2010/12/le-carte-darborea
Per comprendere appieno le dinamiche culturali e linguistiche che si
svilupparono in Sardegna nell’Ottocento, partiamo da un passo dello
scrittore e poeta Francesco Masala:
sul piano della storia “culturale”, nella prima metà
dell’Ottocento, si verificò, come sempre, la spaccatura degli
intellettuali isolani: da una parte gli intellettuali-mediatori, i
violini della monarchia, i cantori di Cesare… (tra i quali) gli
storiografi, gli storici dei vincitori, a cominciare dal Barone
Manno… fino a Vittorio Angius
…Dall’altra parte gli intellettuali-resistenti, i pelliti della
sarditudine… i resistenti come l’archeologo-poeta Giovanni Spano e,
sopratutti, il gruppo oristanese degli autori delle “false carte” di
Arborea (otto pergamene e ventisette codici cartacei), romantico,
colossale imbroglio, fatto sotto il segno dell’amore per la “piccola
patria” sarda…”.
Le Carte di Arborea rappresentano un caso straordinario di
ricostruzione della memoria e della storia della Sardegna e sono il
simbolo delle aspirazioni intellettualistiche degli studiosi e degli
storiografi della seconda metà dell’Ottocento.
Per utilizzare le parole di Giovanni Pirodda in Sardegna.
Letteratura delle regioni d’Italia, esse rappresentano un fenomeno
“indicativo di una mentalità e di attese vaste (un fenomeno
analogo in campo archeologico precedette quello letterario e si
intrecciò con esso), e documenta raffinate e differenziate
cognizioni e abilità culturali (paleografiche, storiche,
letterarie) possedute dai falsari, il principale dei quali, come
sembra ormai accertato, fu Ignazio Pillito (1806-1895), direttore
dell’Archivio di Cagliari”.
Cosa fece dunque Ignazio Pillito, probabilmente con l’aiuto di una
equipe composta da studiosi competenti e da falsari capaci?
Creò quello che l’avara Storia medievale sarda non aveva
conservato: il fior fiore della produzione culturale della raffinata
corte di Arborea che nulla aveva da invidiare alle corti italiane ed
europee dello stesso periodo storico.
Documenti, cronache, testi giuridici, e poemi in latino, in italiano
e in quel fantastico idioma che fu il Sardo Medioevale più o
meno inventato che rimase (e lo è tuttora) punto di
riferimento per una classe di burocrati nazionalisti e di studiosi
desiderosi di rinascita.
Tutto cominciò intorno al 1845 quando l’ormai leggendario fra
Cosimo Manca da Pattada con abilità e furbizia mise in
circolazione i primi documenti alimentando in tal modo la fame di
conoscenza di studiosi e appassionati di storia patria.
Una fame che divenne famelica e che suscitò nell’animo di
personaggi celebri ed illustri dell’epoca il sogno di riscrivere la
Storia di una Nazione che finalmente giocava un ruolo da
protagonista, e che anzi era una sorta di isola di Utopia nel mezzo
del Mediterraneo, l’avanguardia della civiltà umanistica
italiana ed europea in pieno Medioevo.
Tuttavia la scienza dimostrò la falsità di tali
pergamene e lo fece nella persona di Theodor Mommsen, presidente
dell’Accademia di Berlino: la veridicità delle Carte era
compromesso ma il sogno ed il mito, che con la razionalità
hanno poco da spartire, continuano a vivere nell’inconscio
collettivo dei Sardi.