Carlo Magno

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Biografia

Re dei Franchi e dei Longobardi, imperatore del Sacro Romano Impero (? 742-Aquisgrana 814).

Figlio primogenito di Pipino il Breve e di Berta, trascorse la giovinezza imparando l'uso delle armi. La prima data sicura della sua biografia è il gennaio 754 quando, per incarico del padre, andò a incontrare il papa Stefano II. In questa occasione il papa incoronò Pipino in St.-Denis e nel luglio dello stesso anno conferì a lui e ai suoi figli Carlo e Carlomanno il titolo di patricii Romanorum, patroni di Roma e della Chiesa. Negli anni immediatamente seguenti Carlo Magno si batté con Pipino in Aquitania (761-762) e il suo nome compare in alcune donazioni. Alla morte del padre (24 settembre 768) Carlo Magno , in ossequio alla volontà paterna, divise il regno con Carlomanno reggendo l'Austrasia e la Neustria a N dell'Oise e lasciando al fratello la Neustria a S dell'Oise, la Borgogna, la Turingia e altre terre. Zona comune e causa di contese tra i due fratelli fu l'Aquitania. Carlomanno che frattanto aveva sposato Gerberga, figlia del re longobardo Desiderio, si occupò dell'Italia ottenendo un certo seguito in Roma. Anche Carlo Magno , auspice la madre Berta, malgrado l'opposizione del papa Stefano III, sposò l'altra figlia di Desiderio, Desiderata (o Ermengarda).

Nel dicembre 771 Carlomanno moriva lasciando due figli ancora in tenera età e Carlo Magno , approfittando della situazione, unificò il regno impadronendosi dei domini del fratello; la vedova e gli orfani con alcuni fedeli si rifugiarono presso Desiderio. Poco tempo dopo Carlo Magno , tradendo l'amicizia e la parentela con il re longobardo, ripudiò Ermengarda e la rimandò in Italia in stato di avanzata gravidanza. Il papa Adriano I, trovando la nuova politica del sovrano franco verso i Longobardi consona ai suoi piani, chiese l'aiuto di Carlo Magno contro Desiderio che pretendeva, armata manu, il riconoscimento dei nipoti come legittimi sovrani della Neustria e questi nel giugno 773 mosse contro i Longobardi attaccandoli presso le chiuse di Susa e riuscendo a passare. Desiderio, infatti, aveva dovuto ritirarsi per fronteggiare il secondo esercito franco che attaccava nella valle della Dora Baltea. Desiderio e suo figlio Adelchi si asserragliarono rispettivamente in Pavia e in Verona, che furono cinte d'assedio. Verona fu espugnata e Adelchi si salvò fuggendo a Costantinopoli. Pavia invece resistette fino al giugno 774 e Desiderio, vinto, fu inviato in Francia. Carlo Magno nel frattempo si recò a Roma confermando al papa le donazioni precedenti e promettendogli, pare, anche tutti i domini già bizantini in Italia.

Dopo aver assunto il titolo di re dei Longobardi, Carlo Magno ritornò in Francia. Nel 776, a causa di un tentativo di Adelchi di riconquistare il regno e di una rivolta scoppiata nel Friuli, Carlo Magno scese nuovamente in Italia e, dopo una dura repressione, sostituì ai duchi longobardi i conti e i marchesi franchi. Ridiscese una terza volta nel 780 su invito di Adriano I, minacciato dalle mire espansionistiche di Arechi, cognato di Adelchi e principe di Benevento. In questa occasione Carlo Magno , celebrando la Pasqua a Roma (15 aprile 781), fece consacrare re i figli Carlomanno (ribattezzato Pipino) e Ludovico, cui diede rispettivamente l'Italia e l'Aquitania, e accordatosi con Arechi ritornò in Francia senza essere riuscito a piegare completamente la resistenza longobarda.

Le imprese: la guerra contro gli Arabi di Spagna Domata una rivolta in Aquitania, Carlo Magno volle assicurare i confini del suo regno verso la Penisola Iberica, proseguendo la politica già iniziata da Pipino, che aveva costretto il governatore di Barcellona alla sottomissione e aveva stretto relazioni con il califfo di Cordova. Nell'aprile del 778, valicati i Pirenei, assediò Saragozza, ma non riuscì a espugnarla; mentre ritornava in Francia la retroguardia dell'esercito fu massacrata dai Baschi presso Roncisvalle. Carlo Magno , impegnato ormai contro i Sassoni, affidò la prosecuzione dell'impresa ai marchesi delle province meridionali che conquistarono Gerona (785), Huesca (797), Barcellona (801) e Tortosa (811). Gli fu così possibile organizzare, all'inizio del sec. IX, la Marca Hispanica, con capitale Barcellona.

Le imprese: la guerra contro i Bavari e gli Avari

I Bavari, costretti da Pipino a riconoscersi tributari dei Franchi, guidati dal loro duca Tassilone, sposo di Liutberga, figlia di Desiderio, si erano alleati con gli Avari e con Arechi, mantenendo un atteggiamento ostile contro i Franchi. Nel 787 Carlo Magno mosse contro Tassilone che, abbandonato dai suoi, si arrese; condannato per fellonia, dovette abdicare e la Baviera fu incorporata al regno carolingio e divisa in contee rette da Franchi. Restava aperto il problema degli Avari, che, già alleati dei Burgundi, compivano scorrerie in Baviera e in Italia. Più che a sottometterli Carlo Magno mirava a spezzare la loro unità politico-militare con le popolazioni slave per dare sicurezza alle frontiere orientali. Nel 791 Carlo Magno iniziò le operazioni militari. Contemporaneamente il figlio Pipino, penetrato in Pannonia, assaliva e sconfiggeva gli Avari (23 agosto 791) e continuava poi le operazioni, lunghe e difficili, fino al 795, quando riusciva a espugnare il Ring avaro (campo trincerato circolare posto tra il Tibisco e il Danubio) dove era ammassato il tesoro del nemico. Gli Avari in parte si sottomisero e in parte fuggirono. Ribellatisi l'anno seguente, furono di nuovo sconfitti; il Ring venne demolito e fu creata la Marca Avarica, da cui sorgerà il Ducato d'Austria.

Le imprese: la guerra contro i Sassoni

Fu questa la più difficile e lunga impresa di Carlo Magno ; durò infatti 32 anni (772-804). Già Pipino, come i suoi predecessori, aveva dovuto rintuzzare gli assalti dei Sassoni, riuscendo a renderli tributari. Carlo Magno optò per una soluzione più radicale: l'annessione dei territori sassoni tra il Reno, l'Elba e l'Eyder e la loro conversione al cristianesimo per essere sicuro sui confini nord-orientali. I Sassoni stessi offrirono a Carlo Magno il casus belli rifiutando di pagare il tributo e distruggendo una chiesa cristiana. Carlo Magno allora mosse loro guerra sconfiggendo gli Engri e gli Ostfali (775) e reprimendo con durezza una rivolta dei Vestfali. L'anno seguente, essendo stati massacrati alcuni presidi franchi, Carlo Magno riprese le armi, ma numerosi capi nemici chiesero pace. La dieta di Paderborn, nel 777, ripropose la pace, ma i Sassoni non volevano rinunciare alla propria indipendenza e si raccolsero attorno a un energico capo, Vidukindo, il simbolo della resistenza di tutto il suo popolo, animatore di molte insurrezioni e scorrerie in territori franchi.

Gli anni dal 781 al 785 furono i più difficili della guerra: nel parossismo della lotta Carlo Magno emise il capitolareDe partibus Saxoniae, in cui imponeva ai Sassoni, sotto pena di morte, di convertirsi al cristianesimo e di farsi battezzare. I Sassoni risposero con rinnovato impeto guerresco e Carlo Magno dovette rimanere al campo anche d'inverno; battaglie cruentissime si accesero a Detmold e sulla Haase; a Verden il re si macchiò di una grave colpa facendo massacrare 4500 ribelli; pur di piegare l'ostinata resistenza mise tutto il Paese a ferro e a fuoco. Nel 785 Vidukindo dovette arrendersi e si ritirò dalla lotta. Rimasero in armi i Sassoni dell'estuario dell'Elba, del Weser e della Nordalbingia. Nel 792, 793 e dal 795 al 799, quasi ininterrottamente, Carlo Magno condusse implacabili ed efferate spedizioni punitive; ma solo nell'804, deportando masse di Sassoni e affidando i loro territori a Franchi e Abodriti, riuscì a raggiungere il suo intento. Diverse spedizioni furono condotte anche contro i Bretoni che furono costretti a riconoscere il dominio carolingio (778, 780, 786); i porti della regione furono fortificati a protezione dalle incursioni normanne. Tali fortificazioni, come pure quelle erette contro gli Slavi e i musulmani, preservarono gran parte dell'Europa cristiana da nuove invasioni barbariche e le consentirono al tempo stesso di coesistere col mondo islamico e slavo.

L'organizzazione dell'impero

I domini del sovrano franco si estendevano dall'Elba e dal Tibisco all'Ebro, dal Mare del Nord e dall'Atlantico al Mediterraneo; egli godeva di grande prestigio sia presso gli altri re cattolici (come Egberto d'Inghilterra e Alfonso delle Asturie), sia presso i musulmani (Har?n-ar-Rašíd, califfo di Baghdad). Oltre che il signore di molti popoli, Carlo Magno era anche il campione del cristianesimo. Il papa Leone III, succeduto (795) ad Adriano I, si era rivolto a Carlo Magno perché costatasse la legalità della sua elezione, e il re franco aveva colto l'occasione per assumere la veste di princeps populi Christiani, promettendo al papa di difenderlo in ogni caso. E il caso si presentò poco dopo: nel 799 Leone III fu aggredito e privato della libertà da alcuni congiurati romani che l'accusavano di essere troppo remissivo nei confronti del dominio franco; liberatosi, ricorse a Carlo Magno e da lui ebbe aiuto per ritornare a Roma. Nell'800, Carlo Magno stesso scese in Italia con un esercito e in un pubblico processo assolse il papa e condannò i congiurati (23 dicembre 800). Due giorni dopo, durante la messa della notte di Natale, celebrata in S. Pietro, Leone III gli pose sul capo una preziosa corona, mentre, a quanto narra Eginardo, i presenti gridavano per tre volte: "A Carlo, piissimo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria!". L'Impero Romano d'Occidente sembrava così risorto, ma con un nuovo carattere religioso, che più tardi si esprimerà con l'aggettivo di sacro.

Il papa aveva voluto assicurarsi l'appoggio del sovrano franco incoronandolo imperatore e Carlo Magno , a sua volta, era divenuto signore di Roma e in tale veste qualificato a far valere la sua autorità sul papato. La restaurazione e il titolo assunto da Carlo Magno (in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti Karolus serenissimus Augustus a Deo coronatus magnus pacificus Imperator, Romanum gubernans imperium) provocarono la reazione dell'Impero d'Oriente, il solo che legittimamente rappresentava la continuità dell'Impero romano. Carlo Magno accreditò la versione che l'iniziativa dell'incoronazione era partita da Leone III. La realtà era senza dubbio molto diversa: a ogni modo si cercò di giungere a un accordo, ma la questione rimase insoluta fino al gennaio 812, quando Michele I, un usurpatore, riconobbe Carlo Magno. L'incoronazione e il crisma religioso conferirono ai domini imperiali un carattere unitario (unità di religione) meramente formale.

In realtà l'impero di Carlo Magno non divenne mai di fatto un organismo unitario, ma continuò a essere un insieme di territori e di popolazioni amministrati in modo differente e mantenenti usi propri. Carlo Magno governava il suo vasto impero spostandosi continuamente, seguito dalla corte e dai funzionari cercando sempre di far valere la sua autorità sia sui signori laici sia sull'alto e basso clero, servendosi dei missi dominici (uno laico e uno ecclesiastico) che avevano il compito di controllare l'amministrazione dei conti nelle contee in cui era diviso l'impero, esaminando reclami, reprimendo abusi, presiedendo assemblee (placiti generali o malli), giudicando assistito dagli scabini (non meno di 7 giudici scelti fra gli uomini liberi). In campo giuridico il sistema in uso si basava sul diritto personale (ogni individuo, cioè, veniva giudicato in base alla legge della nazione cui apparteneva). Tuttavia dal 769 all'814 Carlo Magno aveva emanato 65 capitolari (così detti perché suddivisi in capitoli) che, approvati di volta in volta dalle assemblee, valevano per tutti, e in tale senso rappresentano un tentativo d'integrazione e superamento dei diritti nazionali. Nei placiti generali, durante i Campi di maggio, il sovrano, riuniti i suoi fedeli, comunicava loro le disposizioni militari, legislative e amministrative; i presenti poi le avrebbero fatte conoscere a tutto il popolo. Carlo Magno cercò di abolire la vendetta privata sostituendovi la giustizia pubblica, si occupò dei pesi, delle misure, delle monete (adottando un nuovo sistema basato esclusivamente sulla monetazione argentea); tentò di prevenire carestie ed epidemie e infine prese provvedimenti intesi a risanare i costumi e a promuovere la cultura. A questo scopo impose al clero d'istruirsi e d'insegnare, restaurando le scuole ecclesiastiche e ampliandone gli orizzonti con l'introduzione dello studio delle arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia). L'imperatore stesso si circondò di maestri dando vita alla Schola Palatina con a capo Alcuino. Vi insegnarono fra gli altri Paolo Diacono, Pietro da Pisa, Paolino d'Aquileia, Teodulfo, Eginardo, Rabano Mauro, Agobardo e Ansegiso. Tutto questo fermento culturale passò alla storia con il nome di Rinascenza Carolingia.

La divisione dell'impero

Organizzato il suo impero in marche e contee e affidate ai figli le imprese militari, Carlo Magno si preoccupò della successione e, seguendo la concezione patrimonialistica dello Stato, nell'806 così suddivise il suo impero: Carlo, il primogenito, ebbe la Francia, la Frisia, la Sassonia, la Turingia e parte della Borgogna; a Pipino toccarono l'Italia, la Baviera e l'Alamannia a S del Danubio; Ludovico ebbe l'Aquitania, la Guascogna e parte della Borgogna. La morte prematura di Pipino (810) e di Carlo (811) rese erede unico Ludovico (Dieta di Aquisgrana). Ritiratosi ad Aquisgrana alla fine dell'812, malato di podagra, Carlo Magno visse religiosamente gli ultimi suoi anni. Morì il 28 gennaio 814 e fu sepolto nella Cappella Palatina di Aquisgrana. La sua fama si colorò ben presto di leggenda e creò intorno alla sua figura un alone di santità: Federico I volle che l'antipapa Pasquale III gli concedesse l'onore degli altari (1165) e il papa Benedetto XIV lo venerò come beato.

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Wikipedia

Carlo, detto Magno, o Carlomagno, in tedesco Karl der Große, in francese Charlemagne, in latino Carolus Magnus (2 aprile 742 – Aquisgrana, 28 gennaio 814), fu re dei Franchi e dei Longobardi e imperatore del Sacro Romano Impero. L'appellativo Magno (in latino Magnus, "grande") gli fu dato dal suo biografo Eginardo, che intitolò la sua opera Vita et gestae Caroli Magni.

Grazie a una serie di fortunate campagne militari allargò il regno dei Franchi fino a comprendere una vasta parte dell'Europa occidentale. La notte di Natale dell'800 papa Leone III lo incoronò imperatore, fondando l'Impero carolingio.

Con Carlo Magno si assistette quindi al superamento, riguardo alla storia dell'Europa occidentale, dell'ambiguità giuridico-formale dei regni romano-barbarici in favore di un nuovo modello imperiale. L'Impero resistette fin quando il figlio di Carlo, Ludovico il Pio, fu in vita venendo in seguito diviso fra i suoi tre eredi, ma la portata delle sue riforme e la sua valenza sacrale influenzarono radicalmente tutta la vita e la politica del continente europeo nei secoli successivi.

Carlo nacque tradizionalmente il 2 aprile 742, primogenito di Pipino il Breve (714 - 768), primo dei re Carolingi.

Difficile stabilire con esattezza la data di nascita del futuro Imperatore: Eginardo, suo biografo di corte nel Vita Karoli ce ne propone almeno tre, nel 742, nel 743 o 744. Queste date non sono attendibili in quanto la lotta per il potere tra Pipino III e suo fratello, Carlomanno (morto nel 754), avviene dopo il 748, e non prima, quindi si preferisce datare la nascita di Carlo tra il 748 e il 749. Inoltre per i franchi non era importante la data di nascita ma solo quella di morte, perché costituisce la nascita alla vita eterna. Così si comporta anche Eginardo quando scrive la Vita Karoli, con una differenza: afferma che l'età di Carlo alla morte si aggira sui settant'anni, ma è un dato da considerare con cautela per due motivi. Il primo è la concezione simbolica del tempo dell'uomo medievale, quindi settant'anni indicano solo che Carlo era anziano per le aspettative di vita del tempo. Il secondo è il modello che segue l'autore per la biografia, Svetonio, infatti quest'ultimo nelle Vite dei Cesari indicava sempre l'età degli imperatori defunti. Inoltre è possibile che Carlo fosse nato prima del matrimonio tra Pipino e Bertrada; essendo il concubinato tollerato tra i Franchi, non c'era niente di male che i sovrani avessero figli prima del matrimonio. Comunque questi ultimi si erano convertiti al cattolicesimo, ed essendo Eginardo un cortigiano fedele, lo infastidiva dire che il suo re fosse nato prima del matrimonio dei suoi genitori. La data più probabile infine, sembra essere quella del 742.

Alla morte di Pipino il Breve nel 768, i suoi due figli Carlo Magno e Carlomanno si spartirono l'eredità. Al primo andarono l'Austrasia, gran parte della Neustria e la metà nord-occidentale dell'Aquitania, con capitale Aquisgrana (ossia il nord e l'occidente della Francia più la bassa valle del Reno), mentre al secondo spettarono la Borgogna, la Provenza, la Gotia, l'Alsazia, l'Alamagna, e la parte sud-orientale dell'Aquitania, con capitale Samoussy (cioè il sud e l'Oriente della Francia più l'alta valle del Reno). Quando Carlomanno morì nel 4 dicembre 771, all'età di soli 20 anni, Carlo Magno si ritrovò a governare il regno dei franchi unificato. L'incoronazione avvenne nella cittadina di Noyon, la stessa che vide l'incoronazione del padre.

Campagne militari

La prima fase del regno di Carlo Magno fu volta alle continue campagne militari, intraprese per affermare la sua autorità innanzitutto all'interno del regno dei Franchi stessi, tra i suoi familiari e le voci dissidenti.

Una volta stabilizzato il fronte interno iniziò una serie di campagne al di fuori dei confini del regno, per assoggettare i popoli vicini e per aiutare la Chiesa di Roma, stringendo con essa un rapporto ancora più stretto di quello di suo padre Pipino il Breve. Dal rapporto col papa e la Chiesa, intesa ormai come diretta erede dell'Impero romano d'Occidente, Carlo ottenne l'autenticazione del potere che trascendeva ormai l'Imperatore di Bisanzio, lontano e incapace di far valere i propri diritti soprattutto in un momento di debolezza e di dubbia legittimità del regno dell'Imperatrice Irene.

Premesse

Il successo di Carlo Magno nel fondare il Sacro Romano Impero non può essere spiegato senza tener conto di alcuni processi che erano in corso dai secoli precedenti. Nei decenni precedenti l'ascesa di Carlo si era esaurita, a causa delle battaglie combattute da Carlo martello, delle rivalità personali e delle divisioni religiose, la forza espansionistica degli arabi, in occidente, e anzi la Spagna mussulmana era divisa da lotte intestine, la popolazione degli Avari si era sedentarizzata e non costituiva più una minaccia da ancora più tempo e le migrazioni dei popoli Germanici e Slavi si erano fermate quasi del tutto.

Secondo lo storico belga Henri Pirenne c'era stato uno spostamento del baricentro del mondo occidentale verso nord dopo la perdita di importanza dei traffici nel Mediterraneo causata dalla conquista musulmana dell'Africa del Nord e del Vicino Oriente, una tesi molto famosa, ma ridimensionata da studi più recenti.

Inoltre si deve tener conto della fondamentale opera di evangelizzazione nei territori della Germania orientale e meridionale da parte dei monaci benedettini provenienti dall'Inghilterra e guidati da san Bonifacio tra il 720 e il 750 circa, che aveva dato una prima struttura e organizzazione a territori fino ad allora dominati da tribù fondamentalmente ancora barbare e pagane.

Campagna contro i Longobardi

Su Carlo esercitò un grosso ascendente la madre Bertrada che, insieme a Papa Stefano II, fu una convinta assertrice della politica di distensione tra Franchi e Longobardi.

Nell'estate del 770, la regina organizzò un viaggio in Italia, riuscendo a tessere importanti alleanze attraverso il matrimonio dei suoi figli con quelli del re longobardo Desiderio. Il primogenito di quest'ultimo, Adelchi, venne dato in sposo alla principessa franca Gisilda, mentre Carlo Magno maritò la figlia di Desiderio, Desiderata (resa celebre dall'Adelchi manzoniano con il nome di "Ermengarda"). Il Papa all'inizio fu contrario al matrimonio, ma Bertrada ed il re longobardo gli fecero dono di alcune città dell'Italia Centrale rassicurandolo. Carlo Magno, che era già stato sposato con Imiltrude, ricevette ad Aquisgrana la nuova regina che ben presto, però, si rivelò sterile. L'anno seguente (primavera 771) il re franco la ripudiò e la rispedì presso la corte longobarda.

Tra la fine del 771 e l'inizio del 772, quasi contemporaneamente morirono due dei protagonisti della politica contemporanea: il fratello di Carlo Magno, Carlomanno e Papa Stefano III. Al soglio pontificio venne eletto Papa Adriano I, un nobile romano dal carattere deciso e dalle idee decisamente anti-longobarde. L'elezione venne inutilmente contrastata dal partito filo-longobardo di Roma ma, alla fine, Desiderio inviò un'ambasceria a Roma per stringere contatto con il nuovo pontefice e sventare la minaccia di una nuova alleanza tra Franchi e Papato contro i longobardi.

Adriano I invitò gli ambasciatori in Laterano e poi, davanti a tutta la curia, accusò il loro re di tradire i patti a causa della mancata consegna dei territori promessi ai predecessori del pontefice. Desiderio passò quindi all'offensiva invadendo l'Esarcato di Ravenna e la Pentapoli. Carlo Magno, impegnato in quel momento contro i Sassoni, cercò di riappacificare la situazione donando numerosi tesori a Desiderio e sperando di riottenerne in cambio i territori strappati al papa. Il re longobardo rifiutò lo scambio e Carlo, che non poteva permettere che fosse appannato il suo prestigio come protettore del papato, mosse guerra ai Longobardi e invase l'Italia nel 773.

Il grosso dell'esercito, comandato dal sovrano stesso, superò il passo del Moncenisio e attaccò le armate di Desiderio presso la città di Susa. Il re longobardo riuscì ad arginare l'invasione, ma intanto un'altra armata franca, guidata dallo zio di Carlo, Bernardo, attraversò il Gran San Bernardo e ridiscese la Valle d'Aosta, puntando contro il secondo troncone dell'esercito longobardo, affidato ad Adelchi. Quest'ultimo fu sbaragliato e dovette ritirarsi a marce forzate mentre Desiderio si rinserrava nella capitale del suo regno, Pavia. I Franchi posero l'assedio alla città dall'ottobre del 773 sino all'inizio dell'anno successivo.

Carlo Magno si diresse a Roma per incontrare Adriano. Giunto in San Pietro, venne incoronato re dei Franchi e il pontefice ottenne in cambio la conferma dei territori attribuiti in precedenza alla Chiesa dai re longobardi. Nel 774, alla capitolazione di Pavia e di tutto il Regno longobardo, Desiderio fu rinchiuso in un monastero, mentre il figlio Adelchi riparò presso la corte dell'imperatore bizantino Costantino V di Bisanzio. Conquistata l'Italia, il 10 luglio 774 il re carolingio fu incoronato Gratia Dei Rex Francorum et Langobardorum a Pavia con la Corona ferrea,[1] mantenne le istituzioni, le leggi longobarde e confermò i possedimenti ai duchi che avevano servito il precedente re: il ducato di Benevento rimase indipendente ma tributario a Carlo Magno.

Campagna contro i Sassoni

I sassoni erano una popolazione di origine germanica abitante nella zona a nord-est dell'Austrasia, oltre il Reno, nei bassi bacini del Weser e dell'Elba.

Erano rimasti di credo pagano ed erano guerrieri arditi ed irrequieti; gli stessi Imperatori romani avevano cercato inutilmente di assoggettarli come federati. Pipino il Breve era riuscito a contenerne la sete di saccheggio e ad imporre loro un tributo annuo di alcune centinaia di cavalli. Nel 772 però rifiutarono il pagamento e ciò consentì a Carlo Magno di procedere all'invasione della Sassonia. La campagna di Sassonia venne sospesa durante l'invasione dell'Italia per essere ripresa con maggior vigore dopo il 774. L'esercito carolingio oltrepassò il Reno e, puntando verso nord, riuscì a sconfiggerli a più riprese e a distruggere l'irminsul, l'idolo pagano di questo popolo.

Nel 780 una nuova ribellione scoppiò nella regione e Carlo Magno, impegnato in Spagna nell'assedio di Saragozza, dovette accorrere in Sassonia per poter aver ragione dei rivoltosi. La zona venne smembrata in contee e ducati, che precedettero l'evangelizzazione della popolazione. I Sassoni, riuscirono in seguito a riunificare le varie tribù sotto la reggenza di Vitikindo, che fu la vera e propria anima della resistenza. Nel corso del 785, la conquista procedette in modi sempre più repressivi, con la conversione forzata e la dispersione del popolo (soppressione di intere tribù a migrazione forzata). Lo stesso Carlo promulgò uno statuto d'occupazione chiamato Capitolare Sassone riassunto nella formula: "Cristianesimo o morte". Molti Sassoni vennero giustiziati e lo stesso Vitughindo venne battezzato. Creando fedeli in Cristo, Carlo Magno otteneva lo scopo di far nascere anche sudditi sottoposti al governatorato carolingio, che aveva come centri amministrativi diocesi e abbazie.

Nel 790 la rivolta dei Sassoni assunse i contorni di una vera e propria sommossa popolare. Carlo Magno la soppresse sul nascere, attuando la deportazione di migliaia di contadini sassoni in Austrasia e rimpolpando la regione di sudditi franchi.

Quando l'Imperatore ordinò l'ultima deportazione nel 804, oramai la Sassonia costituiva uno Stato importante nell'ambito del dominio franco. Rappresentò poi il cuore della futura Germania.

Campagna di Baviera

Nel 780 la Baviera, una delle regioni più civili d'Europa, assunse al rango di ducato. A capo di questo dipartimento c'era il cugino di Carlo Magno, Tassilone.

Nello stesso anno della spedizione franca in Spagna, per sostenere la rivolta del governatore della Marca Superiore, ʿAbd al-Raḥmān, contro l'emiro di Cordova, Tassilone si associò il figlio con il medesimo titolo di duca. Carlo Magno, momentaneamente impegnato, fece finta di nulla ma nel 781 pretese dal cugino il rinnovo del giuramento di fedeltà a Worms. Vedendosi sempre più pressato dalle ingerenze di Carlo, il duca di Baviera chiese nel 787 la protezione di Papa Adriano I. Costui, non solo rifiutò un accordo, ma ribadì le pretese del re.

Nel 788 Carlo Magno gli mosse guerra scoprendo, tra l'altro, un'alleanza stipulata tra il cugino e l'ex re longobardo Adelchi che era frattanto riparato a Bisanzio. La Baviera venne annessa all'impero carolingio e Tassilone fu esautorato e rinchiuso in un monastero.
Campagna contro gli Avari [modifica]

Dopo la liquidazione di Tassilone, l'Impero Carolingio si vedeva confinante, sia a nord che al confine con il Friuli, con una bellicosa popolazione di origine turanica, gli Avari. Appartenenti alla grande famiglia delle popolazioni turco-mongoliche, come gli Unni, si erano organizzati attorno ad un capo militare, il Khan e si erano stanziati nella pianura pannonica, più o meno l'odierna Ungheria. Essi assoggettarono i vari popoli slavi che stanziavano sul territorio, insieme agli appartenenti di un'etnia affine alla loro, i Bulgari. Pur riconvertendosi all'allevamento e alla pastorizia, non rinunciavano ad effettuare ripetute scorrerie ai confini del regno carolingio e dell'Impero Bizantino. La loro minaccia era ormai però piuttosto ridotta, ma la loro tesoreria di stato era colma di ricchezze accumulate dai sussidi che gli imperatori bizantini versano nelle loro casse e perciò Carlo Magno cominciò a studiare a tavolino un'invasione della regione. Carlo aveva bisogno di una grande vittoria militare nella quale coinvolgere anche la nobiltà franca in modo che essa si rinsaldasse attorno a lui.

Vennero istituiti dei comandi militari alla frontiera come l'Ostmark (costituente la futura Austria), per meglio coordinare le manovre dell'esercito. Le truppe imperiali procedettero nel 791 all'invasione, percorrendo il Danubio da entrambe le sponde. L'esercito a nord, guidato personalmente dall'Imperatore poteva effettuare collegamenti, ricevere e dare rifornimenti ed eventualmente dare assistenza ai feriti a quello stanziatosi a sud e comandato dal figlio Pipino che muoveva dal Friuli, mediante la costruzione di un ponte di barche ed al trasporto merci mediante chiatte e barconi.

Sino all'autunno dello stesso anno, i Franchi penetrarono sin nelle vicinanze della capitale avara, il "Ring" ma dovettero riparare in Sassonia a causa della stagione avanzata che causava problemi di collegamento tra i reparti, rendendo difficili le comunicazioni ed inoltre impedendo nel periodo invernale di poter mantenere le cavalcature.

Le devastazioni comunque provocarono il malcontento tra i generali avari che uno dietro l'altro abbandonarono il loro Khan convertendosi al Cristianesimo. Nel 795, in seguito a massacri ben più duri di quelli perpetrati contro i Sassoni, il regno avaro cadde come un castello di carte e i pochi superstiti degli Avari si fusero con gli Slavi che abitavano nei territori un tempo da loro occupati, mentre le terre vennero ripopolate con l'immigrazione di contadini dal Friuli e dalla Baviera.

Carlo Magno, nonostante le ripetute rivolte protrattesi negli anni, non tornò mai personalmente nell'area, delegando il figlio Pipino a svolgere le operazioni militari.

Campagna contro i musulmani di al-Andalus

Carlo cercò di riconquistare agli arabi di al-Andalus (da questo toponimo arabo prenderà poi il nome la regione dell'Andalusia) almeno una parte della Spagna, al fine di realizzare un disegno "imperiale" di antica concezione, già carezzato da suo nonno Carlo Martello dopo la sua vittoria di Poitiers, e da suo padre Pipino con un primo riconoscimento concesso al Papa della cosiddetta Donazione di Costantino, (rivelata, secoli più tardi, come un falso storico grazie agli umanisti Niccolò Cusano e Lorenzo Valla) grazie alla quale il re franco aveva riconosciuto al Papa un dominio temporale, ottenendo in cambio l'onore di diventare il protettore della Chiesa latina.

L'intervento di Carlo Magno nella Penisola iberica fu tutt'altro che trionfale, e non priva di momenti dolorosi e gravi rovesci. Innanzi tutto Carlo cercò di inserirsi quale mediatore tra i vari emiri aragonesi in lotta tra loro nel 778. Si ebbe la morte di uno dei due figli gemelli nell'accampamento reale nei pressi di Saragozza, dai cui cristiani, per colmo d'ironia, non ricevette alcun aiuto, palese o segreto, vista l'assai maggior convenienza di costoro di rimanere sotto la sovranità islamica[2] anziché cadere sotto il dominio del sovrano franco, la cui totale obbedienza al Papa romano metteva a rischio l'autonomia della Chiesa mozaraba, imponendo anche altri obblighi di non piccolo conto.

Celeberrimo è, poi, l'episodio della rotta di Roncisvalle, dove la retroguardia franca subì un'imboscata da parte di popolazioni barbariche, da tempo cristianizzate ma spesso ribelli ai Franchi e gelose della loro autonomia, in seguito alla quale morì il conte Rolando (conosciuto anche con il nome di Orlando), suo conte palatino e duca della Marca di Bretagna e forse parente. L'episodio ebbe sicuramente una maggior valenza letteraria che storico-militare, ispirando uno dei passi più noti della successiva Chanson de Roland, uno dei testi epici fondamentale della letteratura medievale europea.

La sconfitta di Roncisvalle non fece diminuire l'impegno di Carlo nella difesa del confine iberico, di fondamentale importanza per impedire che le armate arabe dilagassero in Francia. Pertanto, per pacificare l'Aquitania, la trasformò nel 781 in un regno autonomo, al cui vertice pose il figlio Ludovico, di appena tre anni. Dopo la morte dell'emiro di Cordova(797) fu proprio Ludovico, su ordine del padre, ad adoperarsi per estendere il dominio franco oltre confine e rendere sicuro il confine iberico, che successivamente raggiunse il fiume Ebro.Fu creata allora la Marca Hispanica, riconoscibile nell'odierna Catalogna, con capitale Barcellona: uno Stato-cuscinetto, dotato di una relativa autonomia, posto a difesa dei confini meridionali della Francia da eventuali attacchi musulmani. All'inizio del IX secolo dunque, i Franchi controllavano un regno compreso tra Barcellona(a occidente), la Bretagna e la Danimarca(a nord), l'Italia centrale(a sud), la Germania(a est): il domino europeo più ampio dai tempi dell'antico impero romano d'Occidente.

Rapporti con il Papato

Generalmente, i re franchi si presentavano come naturali difensori della Chiesa cattolica, avendo restituito al pontefice ai tempi di Pipino quei territori dell'Esarcato di Ravenna e della Pentapoli che per concezione comune erano creduti appartenenti al Patrimonio di San Pietro. Carlo sapeva bene che al Papa importava soprattutto ritagliare un sicuro territorio di sua pertinenza in Italia Centrale, libero da altri poteri temporali, compreso quello bizantino.

La morte di Papa Stefano III, diede mano libera a Carlo Magno per invadere l'Italia e liberarla dai Longobardi, appoggiando nei fatti, la politica del nuovo pontefice Adriano I. I rapporti tra l'Imperatore e il nuovo Papa, sono stati ricostruiti dalla letteratura delle missive epistolari che i due si scambiarono per oltre un ventennio. Molte volte, Adriano cercava di ottenere l'appoggio di Carlo riguardo alle frequenti beghe territoriali che minavano lo Stato Pontificio. Una lettera datata 790, contiene le lamentele del pontefice nei riguardi dell'arcivescovo ravennate, Leone, reo di avere sottratto alcune diocesi dell'Esarcato. Durante la sua terza visita a Roma nel 787, Carlo Magno venne raggiunto da un'ambasceria del Duca di Benevento, capeggiata dal figlio Grimoaldo. Lo stesso duca, Arichi, implorava l'Imperatore franco di non invadere il ducato minato dalle mire espansionistiche di Adriano I che intendeva così annettersi i territori a sud del Lazio. Carlo Magno in un primo momento mosse guerra al ducato di Benevento ma in seguito alla morte dello stesso Duca e del figlio, l'Imperatore si decise a liberarne il secondogenito Romualdo e a reinsediarlo nel regno. Probabilmente Carlo, non voleva compromettere i precari equilibri nell'Italia meridionale. Papa Adriano I ne fu talmente risentito che i rapporti tra i due si raffreddarono irrimediabilmente.

Alla morte del pontefice nel 795, quando la notizia gli fu riferita, il sovrano scoppiò in pianto ed il suo biografo Eginardo ci assicura che il cordoglio era sincero.

Assunse la tiara Papa Leone III che dovette immediatamente vedersela con la famiglia del defunto Adriano, che ne contestava l'elezione. La guerra sotterranea tra i Palatini e i nipoti dell'ex-pontefice scoppiò nel 799.

Mentre Leone guidava una processione per le vie di Roma, i due nobili Pascale e Campolo guidarono la rivolta: assaltarono la funzione e accecarono il Papa, staccandogli anche un pezzo di lingua. Secondo il Libro Pontificale i suoi sostenitori lo salvarono e a stento ripararono sul monte Celio. La notte stessa apparve in sogno al Papa l'Apostolo Pietro che gli restituì la vista e l'udito. Carlo Magno allora lo invitò a stretto giro di posta a Paderborn, sua residenza estiva in Vestfalia. Secondo alcuni storici è durante questi colloqui riservati che il re franco propose al papa di coronarlo Imperatore essendo già di fatto, padrone di gran parte dell'Europa. In cambio si prodigò per far cadere le accuse mosse al pontefice dalla nobiltà romana.

Immediatamente prima dell'incoronazione, nella settimana dei preparativi (nel dicembre dell'800) il re franco costituì un'assemblea composta da nobili franchi e vescovi per far conoscere le conclusioni della commissione d'inchiesta riguardo ai due ribelli, Pascale e Campolo. Ufficialmente la sua venuta a Roma aveva lo scopo di dipanare la questione tra il Papa e gli eredi di Adriano I, che accusavano il pontefice di essere assolutamente inadatto alla tiara pontificia, in quanto "uomo dissoluto". A questo proposito, Carlo convocò un concilio di vescovi che, trovando una scappatoia, sentenziarono che il Papa era la massima autorità in materia di morale cristiana, così come di fede, e che nessuno poteva giudicarlo se non Dio: così gli fu richiesto di giurare la propria innocenza su di un Vangelo, cosa che Leone III si affrettò a fare. Al termine della seduta della commissione d'inchiesta contro Pascale e Campolo, i due vennero condannati a morte - pena in seguito commutata nell'esilio - e Leone III fu riconosciuto legittimo rappresentante del soglio pontificio.

Incoronazione imperiale

Nella messa di Natale del 25 dicembre 800 a Roma,nella basilica di san Pietro papa Leone III incoronò Carlo imperatore, titolo mai più usato in Occidente dalla abdicazione di Romolo Augùstolo nel 476, dato che Odoacre, il Re degli Ostrogoti che aveva deposto l'ultimo Imperatore d'Occidente, aveva restituito le insegne imperiali da lui catturate a Bisanzio, e aveva governato l'Italia con il titolo bizantino di "Praefectus Italiae".

Esistono alcune fonti che parlano di questa incoronazione. In questo caso ne citiamo due: gli Annales e la Vita Karoli. La prima dice che Carlo venne incoronato imperatore seguendo il rituale degli antichi imperatori romani, gli venne revocato il titolo di patrizio ed acquisì il titolo di Augusto. La seconda dice che se quella sera Carlo avesse saputo delle intenzioni del papa, anche se era una festività importante, non sarebbe entrato in chiesa. Quindi, secondo questo documento, Carlo venne incoronato imperatore contro la sua volontà.

La Vita Karoli racconta di come Carlo non intendesse assumere il titolo di Imperatore dei Romani per non entrare in contrasto con l'Impero Romano d'Oriente, il cui sovrano deteneva dall'epoca di Romolo Augusto il legittimo titolo di Imperatore dei Romani: quando Odoacre aveva deposto l'ultimo Imperatore d'Occidente le insegne imperiali erano state rimesse a Bisanzio, sancendo in tal modo la fine dell'Impero d'Occidente. Dunque, per nessun motivo i Bizantini avrebbero riconosciuto ad un sovrano franco il titolo di Imperatore. Carlo avrebbe avuto già abbastanza nemici (Sassoni e Arabi, per esempio) per mettersi in urto con l'Impero Bizantino.

Sulla questione autorevoli studiosi, in primis Federico Chabod, hanno ricostruito magistralmente la vicenda, dimostrando come la versione di Eginardo rispondesse a precise esigenze di ordine politico, ben successive all'accaduto, e come essa fosse stata artatamente costruita per le esigenze che s'erano venute affermando. L'opera del biografo di Carlo fu infatti redatta fra l'814 e l'830, notevolmente in ritardo rispetto alle contestate modalità dell'incoronazione.

Inizialmente le cronache coeve concordavano sul fatto che Carlo fosse tutt'altro che sorpreso e contrario alla cerimonia. Sia gli Annales regni Francorum[4] (o Annales Laurissenses maiores), sia il Liber Pontificalis riportano la cerimonia, parlando apertamente di festa, massimo consenso popolare ed evidente cordialità fra Carlo e Leone III, con ricchi doni portati dal sovrano franco alla Chiesa romana (tra cui una "mensa d'argento").

Solo più tardi, verso l'811, nel tentativo di attenuare l'irritazione bizantina per il titolo imperiale concesso (che Costantinopoli giudicava usurpazione inaccettabile), i testi franchi (gli Annales Maximiani[5]) introdussero quell'elemento di "rivisitazione del passato" che fece parlare della sorpresa e dell'irritazione di Carlo per una cerimonia d'incoronazione cui egli non aveva dato alcun'autorizzazione preventiva al Papa che a ciò l'aveva indirettamente forzato.

Il giorno della sua incoronazione, Carlo Magno si presentò in San Pietro tra due ali di folla, abbigliato alla romana (abbandonando il consueto costume franco che prevedeva di norma braghe di lino, mantello di pelliccia e stivali annodati a stringhe), con tanto di tunica bianca, e i calzari ai piedi.

Secondo il suo biografo Eginardo, papa Leone III, dopo aver incoronato Carlo, si sarebbe prostrato a terra - secondo l'uso bizantino della proskynesis - quasi in segno di adorazione (riferita ovviamente alla carica che l'imperatore rappresentava).

Per altri testimoni che si proclamarono oculari (ma sui quali sono stati avanzati parecchi logici dubbi), il pontefice, prima di porgli la corona sul capo, lo avrebbe denudato e unto con olio santo dalla testa ai piedi. L'acclamazione popolare (elemento non presente su tutte le fonti e forse spurio) sottolineò comunque l'antico diritto formale del popolo romano di eleggere l'imperatore. La cosa irritò non poco la nobiltà franca, che vide il "popolus Romanum" prevaricare le proprie prerogative, acclamando Carlo come "Carlo Augusto, grande e pacifico Imperatore dei Romani".

Occorre tuttavia ricordare come l'incoronazione a imperatore fosse per più d'un verso riconducibile alla volontà franca (già espressa all'epoca di Pipino) di riconoscere reale la falsa donazione di Costantino. In tale ottica, l'incoronazione del re franco a Imperatore sarebbe stato il corrispettivo per la legittimazione del potere temporale della Chiesa. Secondo alcuni storici, in effetti Carlo voleva il titolo imperiale, ma avrebbe preferito auto-incoronarsi, perché l'incoronazione da parte del papa rappresentava simbolicamente la subordinazione del potere imperiale a quello spirituale.

In ogni caso Carlo si trovò su un piano moralmente superiore di autorità su tutto l'Occidente, che nessun re germanico aveva mai avuto fino ad allora.

L'Impero

Carlo aveva unificato quasi tutto quello che restava del mondo civilizzato accanto ai grandi imperi arabo e bizantino ed ai possedimenti della Chiesa, con l'esclusione delle isole britanniche e di pochi altri territori.

Dopo essersi garantito la sicurezza dei confini, Carlo procedette alla riorganizzazione dell'Impero. In tutta la sua estensione, l'Impero era suddiviso in circa 200 province e da un numero sensibilmente maggiore di vescovati. Ogni singola provincia era governata da un conte, vero e proprio funzionario pubblico dell'Imperatore. La marca invece, era la circoscrizione fondamentale ai confini dell'Impero che poteva comprendere al suo interno più comitati. I più eruditi chiamavano queste circoscrizioni con la denominazione classica di limes, perciò esistevano un limes bavaricus, un limes avaricum e così via.

A livello centrale l'istituzione fondamentale dello stato carolingio era l'Imperatore stesso, poiché Carlo Magno era sommo amministratore e legislatore che, governando il popolo cristiano per conto di Dio, poteva avere diritto di vita o di morte su tutti i sudditi a lui sottoposti. Tutti erano sottoposti alla sua inappellabile volontà, fossero anche notabili di rango elevato come Conti, Vescovi, Abati e Vassalli Regi. Nel corso dei suoi spostamenti l'imperatore Carlo Magno era solito indire importanti riunioni denominate placita nel corso delle quali amministrava direttamente la giustizia giudicando le cause che gli venivano sottoposte. In base ai casi che gli venivano sottoposti poteva optare per promulgare nuove leggi che andavano poi raccolte nei capitularia.[6]

Il governo centrale era costituito dal palatium. Sotto questa denominazione si designava il consiglio dei ministri alle sue dipendenze. Organo puramente consultivo, era costituito da rappresentanti laici ed ecclesiastici che aiutavano il sovrano nell'amministrazione centrale.

Monetazione

Proseguendo le riforme iniziate dal padre, Carlo, una volta sconfitti i Longobardi, liquidò il sistema monetario basato sul solido d'oro dei romani. Egli e il re Offa di Mercia ripresero il sistema creato da Pipino e da Aethelberto II; Carlo (tra il 781 e il 794) estese nei suoi vasti domini un sistema monetario basato sul monometallismo argenteo: unica moneta coniata era il "denaro". Non essendo prevista la coniazione di multipli, l'uso portò all'affermazione di due unità di conto: la libbra (pound, unità monetaria e ponderale allo stesso tempo) che valeva 20 solidi (come fu successivamente per lo scellino) o 240 denari (come per il penny).

Durante questo periodo la libbra ed il solido furono esclusivamente unità di conto, mentre solo il "denaro" fu moneta reale, quindi coniata.

Carlo applicò il nuovo sistema nella maggior parte dell'Europa continentale e lo standard di Offa fu volontariamente adottato, dai Regni di Mercia e Kent, in quasi tutta l'Inghilterra.

Per oltre cento anni il denaro mantenne inalterato peso e lega. I primi slittamenti iniziarono nel X secolo. I primi Ottoni (961-973 e 973-983) misero ordine nel sistema consacrando lo slittamento del denaro in termini di peso e di fino: una "lira" (ossia 240 denari) passò da g 410 a g 330 di una lega argentea peggiore (da g 390 di argento fino a g 275).

Rinascita carolingia

Spesso si parla a torto di Rinascita carolingia, volendo sottolineare la fioritura che innegabilmente si ebbe durante il regno di Carlo Magno in ambito politico e culturale.

Ma il re franco, perseguì piuttosto una riforma in tutti i campi per poter "correggere" delle inclinazioni che avevano portato ad un decadimento generale in tutti e due i campi. Ma quando l'Imperatore pensava alla ristrutturazione e al governo del suo regno, rivolgeva le sue attenzioni a quell'Impero Romano di cui si faceva prosecutore sia nel nome, sia nella politica.

La riforma della Chiesa si attuò tramite una serie di provvedimenti per poter elevare, sia a livello qualitativo sia a livello comportamentale, il personale ecclesiastico operante nel regno. Carlo Magno era ossessionato dall'idea che un insegnamento sbagliato dei testi sacri, non solo dal punto di vista teologico, ma anche da quello "grammaticale", avrebbe portato alla perdizione dell'anima poiché se nell'opera di copiatura o trascrizione di un testo sacro si fosse inserito un errore grammaticale, si sarebbe pregato in modo non consono, dispiacendo così a Dio. Venne istituito quel motore propulsore dell'insegnamento che doveva diventare la scuola palatina, presso Aquisgrana. Sotto la direzione di Alcuino di York, vennero redatti i testi, preparati i programmi scolastici ed impartite le lezioni per tutti i chierici. In ogni angolo dell'Impero sorsero delle scuole vicino alle chiese ed alle abbazie. Carlo Magno pretese anche di fissare e standardizzare la liturgia, i testi sacri, e perfino di perseguire uno stile di scrittura che riprendesse la fluidità e l'esattezza lessicale e grammaticale del latino classico. Neanche la grafia venne risparmiata entrando in uso corrente la minuscola carolina.

La riforma della Giustizia si attuò tramite il superamento del principio di personalità del diritto, vale a dire che ogni uomo aveva diritto di essere giudicato secondo l'usanza del suo popolo, con la promulgazione dei capitolari, che servivano ad integrare le leggi esistenti e che spesso sostituirono pezzi completamente mancanti dei vecchi codici. Queste norme avevano valore di legge per tutto l'impero ed il Re volle farle sottoscrivere da tutti i liberi durante il giuramento collettivo dell'806. Cercando di correggere i costumi ed elevando la preparazione professionale degli operanti nella giustizia, Carlo Magno prima nella Admonitio Generalis e poi nell'809 cercò di promulgare dei richiami che dovevano essere vincolanti per tutti. Si decise la diversa composizione delle giurie (che da ora in poi dovevano essere costituite da professionisti e non giudici popolari) e che al dibattimento non partecipassero altre persone se non il conte coadiuvato dagli avvocati, notai, scabini e quegli imputati che erano direttamente interessati alla causa. Le procedure giudiziarie vennero standardizzate, modificate e semplificate.

La situazione culturale del regno sotto i merovingi e dei Pipinidi era pressoché tragica. Carlo Magno dette impulso ad una vera e propria riforma in più discipline: in architettura, nelle arti filosofiche, nella letteratura, nella poesia.

Carlo era un illetterato ma comprendeva l'importanza della cultura nel governo dell'impero. Sotto il suo regno la grafia venne nuovamente unificata, prese forma la "minuscola carolina" (fino a quel momento si utilizzavano quasi esclusivamente le maiuscole) e venne inventato un sistema di segni di punteggiatura per indicare le pause (e collegare il testo scritto alla sua lettura ad alta voce).

Rapporti con Bisanzio

I rapporti con l'impero bizantino furono saltuari, essendo quest'ultimo in una situazione di crisi. È importante comunque rilevare come Carlo si presentasse all'imperatore come un suo pari, con il quale doveva ormai trattare nella spartizione del mondo.

Come re d'Italia Carlo era di fatto confinante con i possedimenti bizantini nel meridione. Carlo arrivò a proporre un matrimonio tra un suo figlio ed una figlia dell'Imperatrice Irene. Carlo capiva però anche che la benevolenza del papato era causata dal suo isolamento rispetto a Bisanzio, per questo non cercò mai di far riavvicinare quei due poli, anzi, fece redigere i Libri carolini con i quali si immischiava nella disputa teologica delle immagini che avrebbero dovuto portare a una revisione del problema in maniera diversa dai punti di vista di Costantinopoli o di Roma.

L'incoronazione di Carlo quale imperatore era un atto che formalmente avrebbe dovuto far irritare Bisanzio, esautorata illegittimamente di un potere che le spettava. Dopo l'incoronazione, Carlo tentò in ogni modo di mitigare le ire bizantine, con l'invio di importanti ambascerie e con l'espressione di un'estrema cordialità nelle sue missive. La cosa inizialmente non ebbe buon frutto e si avviò una lunga serie di vane scaramucce. Fu solo nell'812 che si giunse ad un accordo: Bisanzio riconosceva l'autorità imperiale di Carlo e quest'ultimo rinunciava, in favore di Bisanzio, al possesso del litorale veneto.
Rapporti con l'Islam [modifica]

Con la qualifica di Imperatore, Carlo Magno intrattenne rapporti con tutti i sovrani europei ed orientali.

Nonostante le sue mire espansionistiche nella marca spagnola, e il conseguente appoggio ai governatori rivoltosi al giogo dell'emirato di Cordova di al-Andalus, tessé una serie di importanti relazioni con il mondo musulmano.

Corrispose addirittura con il lontano califfo di Baghdad Hārūn al-Rashīd, al quale chiese gli fosse concessa la protezione del Santo Sepolcro di Gesù a Gerusalemme e sulle carovane di pellegrini che vi si recavano. Il califfo, che vedeva in lui un possibile antagonista dei suoi nemici Omayyadi di al-Andalus e di Bisanzio, rispose positivamente alla richiesta anche se - con evidente ironia - gli concesse quell'onore, ma solo su un piano formale.

Non mancarono comunque missioni diplomatiche dall'una e dall'altra parte, agevolate da un intermediario ebreo - Isacco - che, come traduttore per conto dei due inviati, Landfried e Sigismondo, nonché per la sua "terzietà", ben si prestava allo scopo.[8] I due sovrani si scambiarono così alcuni doni e, durante uno dei suoi molteplici viaggi in Italia, Carlo Magno ritirò a Pavia una scacchiera completa con pedine in avorio regalatagli dal califfo abbaside.

Ad Aquisgrana, l'Imperatore ospitava il regalo a cui teneva di più: si trattava di un elefante, di nome Abu l-Abbas, donatogli (forse dietro sua stessa richiesta dallo stesso califfo abbaside. Carlo lo considerava come un ospite straordinario, da trattare con tutti i riguardi: lo faceva tenere pulito, gli dava personalmente da mangiare e gli parlava. Probabilmente il clima gelido in cui il pachiderma era costretto a vivere lo fece deperire fino a condurlo alla morte per congestione. L'Imperatore ne pianse, ordinando tre giorni di lutto in tutto il regno.