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Gabriele Camozzi (Bergamo, 1823 – Dalmine, 1869) fu un patriota e
politico italiano.
La famiglia
Appartenente ad una delle famiglie più influenti della
nobiltà locale, fu iniziato agli studi nei migliori collegi
lombardi. Terminati gli studi con la laurea, conseguita presso
l'Università di Pavia, si avvicinò agli ambienti
mazziniani e rivoluzionari, volti alla liberazione dell'Italia.
In quegli anni conobbe Alba Coralli, con cui condivise ideali,
passioni politiche ma anche sentimentali, tanto da prenderla in
sposa.
Il patriota
Partecipò attivamente ai primi moti rivoluzionari, situazione
che gli costò l'esilio.
Nel corso del 1848 fu convinto da Giuseppe Mazzini a verificare, con
Vittore Tasca, la disponibilità della gente a fare ripartire
la rivolta contro gli austriaci nel bergamasco e nell'intero Regno
Lombardo-Veneto.
Busto presente presso il museo storico di Bergamo
Fu però costretto a desistere dai suoi intenti dall'esito
negativo della sua indagine.
Nel febbraio 1849 fu incaricato dal ministro del regno di Sardegna,
Pier Dionigi Pinelli, per la preparazione di un piano
insurrezionale, rimasto però inattuato.
Il mese successivo, alla ripresa della prima guerra d'indipendenza,
Gabriele Camozzi ricevette un nuovo incarico, questa volta al fine
di radunare volontari nella città di Brescia per poter
attaccare il nemico austriaco alle spalle.
Ma, ancor prima di raggiungere la città, avvennero tumulti
tra la popolazione ed i soldati. Il Camozzi allora decise, il 25
marzo, di passare per Bergamo dove, alla guida di circa 300
bersaglieri, attaccò gli austriaci asserragliati nella rocca.
Riuscì ad assumere il controllo della città
instaurando un governo in nome dei Savoia.
Quando tutto sembrava volgere per il verso giusto, anche grazie
all'apporto di un'ottantina di volontari raccolti dal fratello
Giovan Battista, dovette sospendere gli attacchi a causa della
mancanza di pezzi d'artiglieria.
Il giorno successivo però arrivò la notizia della
sconfitta di Carlo Alberto a Novara, fatto che sancì la resa
sabauda ed il termine delle ostilità, con gli austriaci che
riacquisirono il controllo sulla Lombardia e sulla città
orobica.
La successiva repressione, volta ad imprigionare e fucilare chiunque
fosse trovato in possesso di armi e sospettato di cospirazione,
costrinse Gabriele Camozzi ad una fuga in Svizzera.
La liberazione di Bergamo
Una decina di anni più tardi, nel 1859, la seconda guerra
d'indipendenza portò un'altra occasione per ottenere la
liberazione di Bergamo, e Gabriele Camozzi non se la lasciò
sfuggire, arruolandosi tra le file dei Cacciatori delle Alpi in
appoggio all'esercito sabaudo.
Promosso maggiore, spianò la strada per l'entrata trionfante
di Garibaldi nella città orobica l'8 giugno 1859, evento che
sancì l'annessione al Piemonte.
Fu comandante della Guardia Nazionale a Palermo durante la rivolta
del sette e mezzo.
Morì nel 1869, a soli 46 anni, dopo avere ricoperto il ruolo
di deputato nel parlamento di Torino per ben tre legislature.
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DBI
di Giuseppe Scichilone
Nacque a Bergamo il 24 apr. 1823 da Andrea e dalla contessa
Elisabetta Vertova. Compì i primi studi nel collegio dei
barnabiti di Monza, li continuò nel liceo-ginnasio di Bergamo
e conseguì la laurea in legge a Pavia. Le prime notizie di
una sua partecipazione ad avvenimenti politici si riferiscono al
1848: il 17 marzo s'incontrò a Milano col Dandolo e col Fava
e riceveva da loro notizie e ordini da comunicare ai patrioti
bergamaschi; il 20, costituitosi a Bergamo un governo provvisorio,
fu chiamato a farne parte; nei giorni successivi partecipò
arditamente ad attacchi contro le truppe austriache bloccate nelle
caserme della città e fu nominato capo legione della guardia
nazionale; il 13 luglio fu promosso, dal governo provvisorio di
Lombardia, comandante della guardia nazionale di tutta la provincia
bergamasca e ne potenziò l'organizzazione completandone i
quadri e l'armamento. Sopravvenuto l'armistizio Salasco,
lasciò Bergamo con un battaglione della guardia nazionale e
raggiunse Breno, dove il 10 agosto organizzò un
concentramento di volontari per crearvi un centro di guerriglia
contro gli Austriaci. Una considerazione più attenta della
situazione lo indusse a rinunciare al progetto e, sciolti i reparti,
si rifugiò in Svizzera. Qui entrò in contatto col
Mazzini, che disegnava di suscitare una rivolta popolare nelle
province di Bergamo, Brescia e Como, e nel novembre fu da lui
incaricato di compiere una missione esplorativa nell'alta Lombardia
per accertarsi delle possibilità di successo del piano e per
versare all'Alborghetti 400 franchi oro; rientrato a Lugano il C.
dissuase il Mazzini dall'intraprendere l'azione e poco dopo si
trasferì a Torino. Qui fu chiamato nella Commissione per
lavori statistici, il cui vero scopo era di preparare l'insurrezione
in Lombardia, e lavorò intensamente a un piano di
sollevazione popolare nelle zone montagnose del Lombardo-Veneto.
Denunciato l'armistizio, il 14 marzo 1849 il La Marmora
chiamò il C. a guidare la rivolta nel Bergamasco; egli
doveva, coordinando la sua azione con i movimenti dell'ala sinistra
dell'esercito piemontese, organizzare la guerriglia nelle retrovie
austriache e far convergere i volontari lombardi su Brescia per
farne il centro dell'insurrezione.
Il 20 marzo il C. ricevette ad Arona 5.500fucili e relative
munizioni e, trasportate le armi a Laveno, raggiunse con 150
volontari Gavirate e Varese, dove organizzò la guardia
nazionale e l'armò con 400 fucili.
Il 24 raggiunse Bergamo, dopo avere toccato Como, dove aveva
costituito il Comitato insurrezionale e lasciato 200 fucili alla
risorta guardia nazionale, e Lecco, dove aveva distribuito altri
150fucili. A Bergamo il C. assunse la dittatura in nome del governo
sardo, formò un Comitato di difesa, che assunse i pubblici
poteri, e costrinse il presidio austriaco a chiudersi nella rocca.
La sconfitta di Novara bloccò la sua azione, ma il C. volle
egualmente raggiungere Brescia per affiancarsi ai patrioti, che
contendevano la città agli Austriaci e ai quali fin dal 24
aveva inviato 2.200fucili. Egli lasciò Bergamo, con circa 800
volontari, il 30 marzo, ma il tempo inclemente gli consentì
di giungere alla periferia di Brescia solo nel pomeriggio del
1º aprile. Attestatosi nel quartiere di S. Giovanni, il C.
voleva attendere il nuovo giorno per prendere contatto con gli
ultimi gruppi di resistenza, ma alle 22,30venne attaccato da un
forte contingente austriaco e solo la pronta reazione gli
consentì di sfuggire alla cattura. Rotto l'accerchiamento, il
C. raggiunse con i suoi volontari Iseo e qui sciolse la colonna
rifugiandosi in Svizzera.
A Ginevra riprese i contatti col Mazzini e lavorò per la
diffusione de L'Italia del popolo. Escluso dall'amnistia del 12 ag.
1849, fu accusato dal governo austriaco di furto per avere sottratto
20.000 lire dalla cassa della città di Bergamo (somma da lui
impiegata per il mantenimento di volontari e per il trasporto delle
armi affidategli dal governo piemontese) e gli fu anche imposta una
tassa di guerra di L. 133.846,15a titolo d'indennizzo per l'azione
antigovernativa svolta (tassa che fu poi pagata dal padre in
aggiunta ad altra di L. 13.384impostagli per ciascuno degli altri
tre figli, anche essi partecipi dei fatti del 1848-49).
Nei primi del 1850 il C. si trasferì a Genova e qui rimase
quasi stabilmente fino al 1859, prodigo di aiuti verso i più
bisognosi e in rapporto con i maggiori esponenti dell'emigrazione.
In questo periodo conobbe Alba Coralli, vedova del marchese
Belcredi, che poi divenne sua moglie e gli diede due figli.
Nel 1858 il C. lasciò Genova per i paesi del Mediterraneo
orientale, dove sperava di dar vita a una grossa impresa commerciale
connessa all'industria serica, che però non riuscì a
realizzare. Fattesi più insistenti le voci d'imminente guerra
contro l'Austria, il C. rientrò a Genova e intensificò
i contatti con i vecchi compagni d'armi. Il 7 apr. 1859 raggiunse a
Torino il 1º reggimento Cacciatori delle Alpi, comandato dal
Cosenz, e fu preso in forza come sottotenente portabandiera; poco
dopo, però, gli veniva riconosciuto il grado di maggiore.
Nominato - il 29 maggio - comandante militare di Como,
appoggiò l'avanzata di Garibaldi su Varese, occupò
Lecco e con l'invio di informazioni e guide facilitò
l'occupazione di Bergamo.
Dopo l'armistizio di Villafranca il C. chiese e ottenne il congedo e
rientrato a Bergamo si occupò della riorganizzazione della
guardia nazionale, della quale divenne comandante.
Entrò nel primo Parlamento del Regno d'Italia come
rappresentante del collegio di Trescore e sedette tra i deputati
della Sinistra, ma mostrò una notevole indipendenza e a volte
differenziò anche notevolmente il suo comportamento da quello
dei suoi compagni: questo specialmente nel valutare con una certa
moderazione l'opera del governo perché timoroso delle
fratture profonde che un'opposizione violenta e indiscriminata
avrebbe potuto creare. Questo atteggiamento gli procurò le
aspre crifiche di molti amici e financo della moglie.
Nel 1866 chiese l'arruolamento nei volontari per combattere contro
l'Austria, ma, prima che gli giungesse una risposta, il Torelli,
prefetto di Palermo e vecchio compagno di cospirazione, gli offriva
il comando della guardia nazionale di quella città col grado
e gli assegni di generale. Dopo qualche esitazione, che un lungo
colloquio col Ricasoli contribuì a fugare, il C.
accettò e raggiunse l'isola nei primi di giugno, sostenuto da
molti amici della Sinistra, che si premurarono di presentarlo ai
loro conoscenti palermitani con affettuose lettere. Primo pensiero
del C. fu quello di riorganizzare il corpo, ma la presenza di grosse
bande di briganti e di renitenti di leva nelle campagne vicine alla
capitale, il malcontento per la soppressione delle corporazioni
religiose, che aveva scosso interessi notevoli, la deficienza di
truppe rendevano precarie le condizioni dell'ordine pubblico e
accrebbero le difficoltà della sua opera.
Le voci di rivolta imminente si facevano sempre più
insistenti tanto che il 15 settembre chiese al prefetto
l'autorizzazione a ordinare la mobilitazione della guardia
nazionale. La richiesta, ripetuta all'alba del 16, fu respinta
perché si giudicò che un provvedimento del genere
avrebbe allarmato inutilmente la cittadinanza, ma gli eventi
precipitarono drammaticamente e nella stessa mattinata del 16 bande
armate cominciarono a scorrazzare per la città, agitando
bandiere rosse al grido di "Viva la repubblica", e nel giro di poche
ore ne assunsero il controllo.
Il C. di fronte all'incalzare degli avvenimenti ruppe gli indugi e
ordinò l'allarme generale, ma solo pochi militi si
presentarono al comando; credette di poter vincere le esitazioni e i
timori percorrendo le principali vie della città assieme al
sindaco e ad altri pochi animosi per incitare i cittadini ad
accorrere in armi ai quartieri della guardia nazionale.
Ma l'espediente non sortì l'effetto sperato, anzi il gruppo
di coraggiosi, fatto segno a intenso fuoco di fucileria, dovette
ritirarsi rapidamente nel municipio. Qui il C. si asserragliò
con pochi uomini e per tre giorni si difese dai reiterati e violenti
attacchi dei rivoltosi: poi le condizioni pietose degli uomini,
affamati, senza acqua e logorati dalla fatica, la presenza di molti
feriti, la furia crescente degli attaccanti lo indussero ad
abbandonare il palazzo e nella notte tra il 18 e il 19 si
ritirò verso il palazzo reale, dove c'era un altro centro di
resistenza capeggiato dal prefetto e dal comandante militare della
città.
Il 21 settembre l'arrivo di forti contingenti di truppe, comandate
dal generale Cadorna, riportava la calma in Palermo, ma gli
avvenimenti di quei giorni turbarono profondamente il C. anche per
una certa polemica col Torelli che seguì la pubblicazione
della relazione da lui presentata al presidente del Consiglio a
illustrazione degli eventi. Ad ogni modo il suo coraggio ebbe
pubblico riconoscimento e gli valse la nomina a commendatore
dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e ad ufficiale dell'Ordine
militare di Savoia e la medaglia di argento. Il C. lasciò
Palermo il 29 settembre, per andare a trascorrere un periodo di
riposo in famiglia, e vi tornò nel gennaio dell'anno
successivo, dopo avere tentato invano di ottenere dal ministero che
gli fosse assegnato il comando della guardia nazionale d'altra
città.
Rientrato a Palermo, si mise all'opera per la riorganizzazione del
corpo, sciolto dal Cadorna dopo le giornate di settembre, e vi
rimase fin quasi alla fine del 1868, allontanandosene saltuariamente
per partecipare ai lavori del Parlamento, dove rappresentava ancora
il collegio di Trescore. Poi una grave malattia lo costrinse a
rientrare in famiglia nella sua villa di Dalmine.
Il C. si spense la notte tra il 16 e il 17 apr. 1869.
Fonti e Bibl.: G. Camozzi, Cenni e doc. d guerra d'insurr. lombarda
del 1849, Capolago 1849; Alla memoria di G. C., s.n.t. (ma Bergamo
1896); G. Locatelli Milesi, G. C. -Cennibiografici, Bergamo 1904;
Id., La colonna Camozzi e la insurrezione bergamasca del 1849,
Bergamo 1904; A. Barbato, G. C., in Bollettino della Civica
Biblioteca di Bergamo, XVII (1923), pp. 113-160, 177-238; P. Romano
[P. Alatri], G. C.,L.Torelli e i moti palermitani del settembre
1866, in Bergomum, XXXV(1941), pp. 123-42; A. Agazzi, Il 1848 a
Bergamo, in Rass. stor. del Risorg., XL, (1953), pp. 481, 483, 485,
489, 499-502, 505, 506, 510; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia
sotto il governo della Destra (1866-74), Torino 1954, pp. 117 n.,
119 e n., 121 n., 152 n.; P. Pieri, Storia militare del
Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, pp. 331, 352, 354
s., 357 s., 362, 364 s., 367; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e
nazionale, Roma 1896, ad vocem.