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Nacque il 12 luglio 1862 a Venezia da Carlo e da Ernesta Franco. Fin
dalla fondazione del Giornale d'Italia fece parte della redazione
del quotidiano romano (1901), occupandosi prima della cronaca
cittadina, poi, dal 1908, divenendo titolare della rubrica "Il
Farmacista", a cui fu principalmente legata la sua notorietà
di giornalista.
Già come commentatore della vita civile e culturale della
capitale aveva avuto modo di mettere in luce le sue doti di
versatilità e buona cultura letteraria e artistica. Una
testimonianza di ciò è data anche dal suo volume su
Roma moderna (Milano 1911), che voleva essere una illustrazione
ragionata dello sviluppo urbanistico della Roma postunitaria. La
descrizione, ricca di notizie e curiosità ormai erudite,
è tuttavia assai esterna, volutamente distaccata dalle
polemiche urbanistiche contemporanee e priva di qualsiasi
riferimento a quel complesso di interessi finanziari e speculativi
che determinarono le scelte dello sviluppo urbanistico della
città, e che sono oggi oggetto principale di ricostruzione
storiografica. Traspare anzi nella descrizione del C. l'intento di
connettere il "nuovo volto edilizio" di Roma nella vuota e male
intesa cornice delle celebrazioni del cinquantenario
dell'Unità.
Questo conservatorismo nazionalistico senza solide radici culturali
e politiche fu del resto il leitmotiv della rubrica "Il Farmacista".
Il buon senso conservatore e piccolo borghese dell'Italia
provinciale, legata ai miti della sua storia e dei suoi costumi
municipali veniva riproposto dal C., attraverso una prosa di buona
qualità narrativa, spesso pungentemente satirica, che di
volta in volta si colorava delle risorse comparative date da una
conoscenza eclettica, ma vasta e versatile, della cultura e
soprattutto della pubblicistica francese e inglese. Dalla recensione
all'opera di narrativa, al fatto di costume, al corsivo politico "Il
Farmacista" toccò tutte le corde del commento giornalistico,
fornendo il primo compiuto esempio del genere elzeviro di prima e
terza pagina che tanta fortuna ebbe poi nella struttura dei
quotidiani italiani.
Nel commento politico il C. non si discostò mai, anzi fu un
interprete fedele, della linea del giornale, espressione della
corrente della destra liberale, antigiolittiano e sostanzialmente
legato al gruppo facente capo al Sonnino. In quest'ambito di un
qualche rilievo fu la campagna del "Farmacista", prima per la svolta
antitriplicista, poi a favore dell'intervento (Vigezzi).
Strettamente legato al Bergamini, il C. abbandonava il Giornale
d'Italia alla fine del 1923 quando quegli dava le dimissioni da
direttore. Egli proseguiva invece ancora per qualche anno la sua
collaborazione all'Illustrazione italiana e alla Nuova antologia
iniziata con lo pseudonimo di "Diogene Laerzio". Fino all'ultimo
fedele ai canoni della sua polemica conservatrice liberale, il C.
finì per urtare gli umori populistici di alcuni ambienti
pubblicistici del regime. Nel 1930 un suo articolo sulla Nuova
antologia (1º febbr. 1930, pp. 399-401) dal titolo La
"Questione dei giovani" e il manifesto dell'"Universalismo", in cui
prendeva spunto da una polemica letteraria francese per polemizzare
con "molti di questi nostri giovani" che "vogliono soltanto
distruggere il vecchio senza riedificare il nuovo", riceveva una
secca censura da parte della Critica fascista (15 febbr. 19303 p.
701, il quindicinale di Bottai, nella rubrica "Il doganiere", che
ricordava il passato bergaminiano del C., "antifascista farmacista",
e che provocava la definitiva interruzione della sua collaborazione.
Il C. moriva a Roma il 25 luglio 1934. Il Giornale d'Italia (26
luglio) dava notizia della sua scomparsa con un breve trafiletto che
non risparmiava al C. il giudizio che "in un'altra Italia, in una
società alquanto individualistica e trita, il Farmacista fu
una indiscutibile autorità".