§3 Riviste tipiche. All’ingrosso si possono stabilire tre tipi fondamentali di riviste, caratterizzate dal modo con cui sono compilate, dal tipo di lettori cui intendono rivolgersi, dai fini educativi che vogliono raggiungere. Il primo tipo può essere offerto dalla combinazione degli elementi direttivi che si riscontrano in modo specializzato nella «Critica» di B. Croce, nella «Politica» di F. Coppola e nella «Nuova Rivista Storica» di C. Barbagallo. Il secondo tipo «critico‑storico‑bibliografico» dalla combinazione degli elementi che caratterizzavano i fascicoli meglio riusciti del «Leonardo» di L. Russo, l’«Unità» di Rerum Scriptor e la «Voce» di Prezzolini. Il terzo tipo dalla combinazione di alcuni elementi del secondo tipo e il tipo di settimanale inglese come il «Manchester Guardian Weekly», o il «Times Weekly».

Ognuno di questi tipi dovrebbe essere caratterizzato da un indirizzo intellettuale molto unitario e non antologico, cioè dovrebbe avere una redazione omogenea e disciplinata; quindi pochi collaboratori «principali» dovrebbero scrivere il corpo essenziale di ogni fascicolo. L’indirizzo redazionale dovrebbe essere fortemente organizzato in modo da produrre un lavoro omogeneo intellettualmente, pur nella necessaria varietà dello stile e delle personalità letterarie: la redazione dovrebbe avere uno statuto scritto che, per ciò che può servire, impedisca le scorribande, i conflitti, le contraddizioni (per esempio, il contenuto di ogni fascicolo dovrebbe essere approvato dalla maggioranza redazionale prima della pubblicazione).

Un organismo unitario di cultura che offrisse ai diversi strati del pubblico i tre tipi suaccennati di riviste (e d’altronde tra i tre tipi dovrebbe circolare uno spirito comune) coadiuvate da collezioni librarie corrispondenti, darebbe soddisfazione alle esigenze di una certa massa di pubblico che è più attiva intellettualmente, ma solo allo stato potenziale, che più importa elaborare, far pensare concretamente, trasformare, omogeneizzare, secondo un processo di sviluppo organico che conduca dal semplice senso comune al pensiero coerente e sistematico.

Tipo critico‑storico‑bibliografico: esame analitico di opere, fatto dal punto di vista dei lettori della rivista che non possono, generalmente, leggere le opere stesse. Uno studioso che esamina un fenomeno storico determinato, per costruire un saggio sintetico, deve compiere tutta una serie di ricerche e operazioni intellettuali preliminari, che solo in piccola parte risultano utilizzate. Questo lavorio può essere invece utilizzabile per questo tipo medio di rivista, dedicato a un lettore che ha bisogno, per svilupparsi intellettualmente, di aver dinanzi, oltre al saggio sintetico, tutta l’attività analitica nel suo complesso che ha condotto a quel tale risultato. Il lettore comune non ha e non può avere un abito «scientifico», che solo si acquista col lavoro specializzato: occorre perciò aiutarlo a procurarsene almeno il «senso» con una attività critica opportuna. Non basta dargli dei concetti già elaborati e fissati nell’espressione «definitiva»; la loro concretezza, che è nel processo che ha condotto a quella affermazione, gli sfugge; occorre perciò offrirgli tutta la serie dei ragionamenti e dei nessi intermedi, ben individualizzati e non solo per accenni. Per es.: un movimento storico complesso si scompone nel tempo e nello spazio e inoltre può scomporsi in piani diversi: così l’Azione Cattolica, pur avendo sempre avuto una direttiva unica e centralizzata, mostra grandi differenze (e anche contrasti) di atteggiamenti regionali nei diversi tempi e a seconda dei problemi speciali (per es. la quistione agraria, l’indirizzo sindacale, ecc.).

Nelle riviste di questo tipo sono indispensabili o utili alcune rubriche: 1) un dizionario enciclopedico politico-scientifico‑filosofico, in questo senso: in ogni fascicolo sono da pubblicarsi una (o più) piccola monografia di carattere enciclopedico su concetti politici, filosofici, scientifici che ricorrono spesso nei giornali e nelle riviste e che il lettore medio difficilmente comprende o addirittura travisa. In realtà ogni corrente culturale crea un suo linguaggio, cioè partecipa allo sviluppo generale di una determinata lingua nazionale, introducendo termini nuovi, arricchendo di contenuto nuovo termini già in uso, creando metafore, servendosi di nomi storici per facilitare la comprensione e il giudizio su determinate situazioni attuali ecc. ecc. Le trattazioni dovrebbero essere «pratiche», cioè riallacciarsi a esigenze realmente sentite, ed essere, per la forma dell’esposizione, adeguate alla media dei lettori. I compilatori dovrebbero essere possibilmente informati degli errori più diffusi e risalire alle fonti stesse degli errori, cioè alle pubblicazioni di paccotiglia scientifica, tipo «Biblioteca popolare Sonzogno» o dizionari enciclopedici (Melzi, Premoli, Bonacci, ecc.) o enciclopedie popolari più diffuse (quella Sonzogno, ecc.). Queste trattazioni non dovrebbero presentarsi in forma organica (per es., in un ordine alfabetico o di raggruppamenti per materia), né secondo un’economia prefissata di spazio, come se già fosse in vista un’opera complessiva, ma invece dovrebbero essere messe in rapporto immediato con gli argomenti svolti dalla stessa rivista o da quelle collegate di tipo superiore o più elementare: l’ampiezza della trattazione dovrebbe essere fissata volta a volta non dall’importanza intrinseca dell’argomento ma dall’interesse immediato giornalistico (tutto ciò sia detto in generale e col solito grano di sale): insomma la rubrica non deve presentarsi come un libro pubblicato a puntate, ma come, ogni volta, trattazione di argomenti interessanti per se stessi, da cui potrà scaturire un libro, ma non necessariamente.

2) Legata alla precedente è la rubrica delle biografie, da intendersi in due sensi: sia in quanto tutta la vita di un uomo può interessare la cultura generale di un certo strato sociale, sia in quanto un nome storico può entrare in un dizionario enciclopedico per un determinato concetto o evento suggestivo.

Così, per esempio, può darsi che si debba parlare di lord Carson, per accennare al fatto che la crisi del regime parlamentare esisteva già prima della guerra mondiale e proprio in Inghilterra, nel paese, cioè, dove questo regime pareva più efficiente e sostanziale; – ciò non vorrà dire che si debba fare tutta la biografia di lord Carson. A una persona di media cultura interessano due soli dati biografici: a) lord Carson nel 1914, alla vigilia della guerra, arruolò nell’Ulster un corpo armato numerosissimo per opporsi con l’insurrezione a che fosse applicata la legge dell’Home Rule irlandese, approvata dal Parlamento che, secondo «il modo di dire» inglese, «può far tutto eccetto che un uomo diventi donna»; b) lord Carson non solo non fu punito per «alto tradimento», ma divenne ministro poco dopo, allo scoppio della guerra. (Può essere utile che le biografie complete siano presentate in rubrica separata).

3) Altra rubrica può essere quella delle autobiografie politico‑intellettuali. Se ben costruite, con sincerità e semplicità, esse possono essere del massimo interesse giornalistico e di grande efficacia formativa. Come uno sia riuscito a districarsi da un certo ambiente provinciale o corporativo, attraverso quali impulsi esterni e quali lotte interiori, per raggiungere una personalità superiore storicamente, può suggerire, in forma vivente, un indirizzo intellettuale e morale, oltre che essere un documento dello sviluppo culturale in certe epoche.

4) Una rubrica fondamentale può essere costituita dall’esame critico‑storico‑bibliografico delle situazioni regionali (intendendo per regione un organismo geoeconomico differenziato). Molti vorrebbero conoscere e studiare le situazioni locali, che interessano sempre molto, ma non sanno come fare, da dove incominciare: non conoscono il materiale bibliografico, non sanno fare ricerche nelle biblioteche ecc. Si tratterebbe dunque di dare l’ordito generale di un problema concreto (o di un tema scientifico), indicando i libri che l’hanno trattato, gli articoli delle riviste specializzate, oltre che il materiale ancora grezzo (statistiche, ecc.), in forma di rassegne bibliografiche, con speciale diffusione per le pubblicazioni poco comuni o in lingue straniere. Questo lavoro, oltre che per le regioni, può essere fatto, da diversi punti di vista, per problemi generali, di cultura ecc.

5) Uno spoglio sistematico di giornali e riviste per la parte che interessa le rubriche fondamentali: sola citazione degli autori, dei titoli, con brevi cenni sulle tendenze: questa rubrica bibliografica dovrebbe essere compilata per ogni fascicolo, e per alcuni argomenti dovrebbe essere anche retrospettiva.

6) Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico‑informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per lui conoscerne il contenuto e le conclusioni. Un tipo teorico‑critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le obbiezioni che si possono muovere, si pone l’accento sulle parti più interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc. Questo secondo tipo di recensione è più adatto per le riviste di grado superiore.

7) Uno spoglio critico bibliografico, ordinato per argomenti o gruppi di quistioni, della letteratura riguardante gli autori e le quistioni fondamentali per la concezione del mondo che è alla base delle riviste pubblicate: per gli autori italiani e per le traduzioni in italiano degli autori stranieri. Questo spoglio dovrebbe essere molto minuzioso e circostanziato, poiché occorre tener presente che attraverso questo lavoro e questa elaborazione critica sistematica si può solo raggiungere la fonte autentica di tutta una serie di concetti errati che circolano senza controllo e censura. Occorre tener presente che in ogni regione italiana, data la ricchissima varietà di tradizioni locali, esistono gruppi e gruppetti caratterizzati da motivi ideologici e psicologici particolari: «ogni paese ha o ha avuto il suo santo locale, quindi il suo culto e la sua cappella».

La elaborazione nazionale unitaria di una coscienza collettiva omogenea domanda condizioni e iniziative molteplici. La diffusione da un centro omogeneo di un modo di pensare e di operare omogeneo è la condizione principale, ma non deve e non può essere la sola. Un errore molto diffuso consiste nel pensare che ogni strato sociale elabori la sua coscienza e la sua cultura allo stesso modo, con gli stessi metodi, cioè i metodi degli intellettuali di professione. L’intellettuale è un «professionista» (skilled), che conosce il funzionamento di proprie «macchine» specializzate; ha un suo «tirocinio» e un suo «sistema Taylor». È puerile e illusorio attribuire a tutti gli uomini questa capacità acquisita e non innata, così come sarebbe puerile credere che ogni manovale può fare il macchinista ferroviario. È puerile pensare che un «concetto chiaro», opportunamente diffuso, si inserisca nelle diverse coscienze con gli stessi effetti «organizzatori» di chiarezza diffusa: è questo un errore «illuministico». La capacità dell’intellettuale di professione di combinare abilmente l’induzione e la deduzione, di generalizzare senza cadere nel vuoto formalismo, di trasportare da una sfera a un’altra di giudizio certi criteri di discriminazione, adattandoli alle nuove condizioni, ecc., è una «specialità», una «qualifica», non è un dato del volgare senso comune. Ecco dunque che non basta la premessa della «diffusione organica da un centro omogeneo di un modo di pensare e operare omogeneo». Lo stesso raggio luminoso passando per prismi diversi dà rifrazioni di luce diversa: se si vuole la stessa rifrazione occorre tutta una serie di rettificazioni dei singoli prismi.

La «ripetizione» paziente e sistematica è un principio metodico fondamentale: ma la ripetizione non meccanica, «ossessionante», materiale; ma l’adattamento di ogni concetto alle diverse peculiarità e tradizioni culturali, il presentarlo e ripresentarlo in tutti i suoi aspetti positivi e nelle sue negazioni tradizionali, organando sempre ogni aspetto parziale nella totalità. Trovare la reale identità sotto l’apparente differenziazione e contraddizione, e trovare la sostanziale diversità sotto l’apparente identità è la più delicata, incompresa eppure essenziale dote del critico delle idee e dello storico dello sviluppo storico. Il lavoro educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l’elaborazione di una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base storica che contenga le premesse concrete per tale elaborazione, non può limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principii «chiari» di metodo: questa sarebbe pura azione da «filosofi» del Settecento. Il lavoro necessario è complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e l’induzione combinate, la logica formale e la dialettica, l’identificazione e la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non in astratto, ma in concreto, sulla base del reale e dell’esperienza effettiva. Ma come sapere quali siano gli errori più diffusi e radicati? Evidentemente è impossibile una «statistica» dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, con tutte le combinazioni che ne risultano per gruppi e gruppetti, che dia un quadro organico e sistematico della situazione culturale effettiva e dei modi in cui si presenta realmente il «senso comune»; non rimane altro che la revisione sistematica della letteratura più diffusa e più accetta al popolo, combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche del passato, ognuna delle quali «può» aver lasciato un sedimento, variamente combinandosi con quelle precedenti e susseguenti.

In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce un criterio più generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze, nelle opinioni, non avvengono per «esplosioni» rapide, simultanee e generalizzate, avvengono invece quasi sempre per «combinazioni successive», secondo «formule» disparatissime e incontrollabili «d’autorità». L’illusione «esplosiva» nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei metodi di trazione, dalla diligenza a motore animale ai moderni espressi elettrici, ma si è passati attraverso una serie di combinazioni intermedie, che in parte sussistono ancora (come la trazione animale su rotaie, ecc. ecc.) e come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti sia utilizzato ancora per molti anni in Cina e vi rappresenti un progresso tecnico, così nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano variamente e ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia. Nella sfera della cultura, anzi, le «esplosioni» sono ancora meno frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica, in cui una innovazione si diffonde, almeno nel piano più elevato, con relativa rapidità e simultaneità. Si confonde l’«esplosione» di passioni politiche accumulatesi in un periodo di trasformazioni tecniche, alle quali non corrispondono forme nuove di una adeguata organizzazione giuridica, ma immediatamente un certo grado di coercizioni dirette e indirette, con le trasformazioni culturali, che sono lente e graduali, perché se la passione è impulsiva, la cultura è prodotto di una elaborazione complessa. (L’accenno al fatto che talvolta ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia può essere utilmente svolto).