Q13 §13 Accanto ai meriti della moderna
«machiavellistica» derivata dal Croce, occorre
segnalare anche le «esagerazioni» e le deviazioni cui
ha dato luogo. Si è formata l’abitudine di considerare
troppo il Machiavelli come il «politico in generale»,
come lo «scienziato della politica», attuale in tutti
i tempi. Bisogna considerare maggiormente il Machiavelli come
espressione necessaria del suo tempo e come strettamente legato
alle condizioni e alle esigenze del tempo suo che risultano: 1)
dalle lotte interne della repubblica fiorentina e dalla
particolare struttura dello Stato che non sapeva liberarsi dai
residui comunali‑municipali, cioè da una forma divenuta
inceppante di feudalismo; 2) dalle lotte tra gli Stati italiani
per un equilibrio nell’ambito italiano, che era ostacolato
dall’esistenza del papato e dagli altri residui feudali,
municipalistici della forma statale cittadina e non territoriale;
3) dalle lotte degli Stati italiani più o meno solidali per
un equilibrio europeo, ossia dalle contraddizioni tra le
necessità di un equilibrio interno italiano e le esigenze
degli Stati europei in lotta per l’egemonia. Su Machiavelli opera
l’esempio della Francia e della Spagna che hanno raggiunto una
forte unità statale territoriale; il Machiavelli fa un
«paragone ellittico» (per usare l’espressione
crociana) e desume le regole per uno Stato forte in generale e
italiano in particolare. Machiavelli è uomo tutto della sua
epoca e la sua scienza politica rappresenta la filosofia del tempo
che tende all’organizzazione delle monarchie nazionali assolute,
la forma politica che permette e facilita un ulteriore sviluppo
delle forze produttive borghesi. In Machiavelli si può
scoprire in nuce la separazione dei poteri e il parlamentarismo
(il regime rappresentativo): la sua «ferocia» è
rivolta contro i residui del mondo feudale, non contro le classi
progressive. Il Principe deve porre termine all’anarchia feudale e
ciò fa il Valentino in Romagna, appoggiandosi sulle classi
produttive, mercanti e contadini. Dato il carattere
militare‑dittatoriale del capo dello Stato, come si richiede in un
periodo di lotta per la fondazione e il consolidamento di un nuovo
generale statale: se le classi urbane vogliono porre fine al
disordine interno e all’anarchia esterna devono appoggiarsi sui
contadini come massa, costituendo una forza armata sicura e fedele
di tipo assolutamente diverso dalle compagnie di ventura. Si
può dire che la concezione essenzialmente politica è
così dominante nel Machiavelli che gli fa commettere gli
errori di carattere militare: egli pensa specialmente alle
fanterie, le cui masse possono essere arruolate con un’azione
politica e perciò misconosce il significato
dell’artiglieria. il Russo (nei Prolegomeni a Machiavelli) nota
giustamente che l’Arte della guerra integra il Principe, ma non
trae tutte le conclusioni della sua osservazione. Anche nell’Arte
della guerra il Machiavelli deve essere considerato come un
politico che deve occuparsi di arte militare; il suo
unilateralismo (con altre «curiosità» come la
teoria della falange, che danno luogo a facili spiritosaggini come
quella più diffusa ricavata dal Bandello) è
dipendente dal fatto che non nella quistione tecnico‑militare
è il centro del suo interesse e del suo pensiero, ma egli
ne tratta solo in quanto è necessario per la sua
costruzione politica.
Ma non solo l’Arte della guerra deve essere connessa al Principe,
sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto
come un’analisi delle condizioni reali italiane ed europee da cui
scaturiscono le esigenze immediate contenute nel Principe.
Da una concezione del Machiavelli più aderente ai tempi
deriva subordinatamente una valutazione più storicistica
dei così detti «antimachiavellici», o almeno
dei più «ingenui» tra essi. Non si tratta, in
realtà, di antimachiavellici, ma di politici che esprimono
esigenze del tempo loro o di condizioni diverse da quelle che
operavano sul Machiavelli; la forma polemica è pura
accidentalità letteraria. L’esempio tipico di questi
«antimachiavellici» mi pare da ricercare in Jean Bodin
(1530‑96) che fu deputato agli Stati Generali di Blois del 1576 e
vi fece rifiutare dal Terzo Stato i sussidi domandati per la
guerra civile. (Opere del Bodin: Methodus ad facilem historiarum
cognitionem (1566) dove indica l’influenza del clima sulla forma
degli Stati, accenna a un’idea di progresso ecc.; La Republique
(1576) dove esprime le opinioni del Terzo Stato sulla monarchia
assoluta e i suoi rapporti col popolo; Hentaplomores (inedito fino
all’epoca moderna) in cui confronta tutte le religioni e le
giustifica come espressioni diverse della religione naturale, sola
ragionevole, e tutte egualmente degne di rispetto e di tolleranza.
Durante le guerre civili in Francia, il Bodin è l’esponente
del terzo partito, detto dei «politici», che si pone
dal punto di vista dell’interesse nazionale, cioè di un
equilibrio interno delle classi in cui l’egemonia appartiene al
Terzo Stato attraverso il Monarca. Mi pare evidente che
classificare il Bodin fra gli «antimachiavellici» sia
quistione assolutamente estrinseca e superficiale. Il Bodin fonda
la scienza politica in Francia in un terreno molto più
avanzato e complesso di quello che l’Italia aveva offerto al
Machiavelli. Per il Bodin non si tratta di fondare lo Stato
unitario‑ territoriale (nazionale) cioè di ritornare
all’epoca di Luigi XI, ma di equilibrare le forze sociali in lotta
nell’interno di questo Stato già forte e radicato; non il
momento della forza interessa il Bodin, ma quello del consenso.
Col Bodin si tende a sviluppare la monarchia assoluta: il Terzo
Stato è talmente cosciente della sua forza e della sua
dignità, conosce così bene che la fortuna della
Monarchia assoluta è legata alla propria fortuna e al
proprio sviluppo, che pone delle condizioni per il suo consenso,
presenta delle esigenze, tende a limitare l’assolutismo. In
Francia il Machiavelli serviva già alla reazione,
perché poteva servire a giustificare che si mantenesse
perpetuamente il mondo in «culla» (secondo
l’espressione di Bertrando Spaventa), quindi bisognava essere
«polemicamente» antiMachiavellici. È da notare
che nell’Italia studiata dal Machiavelli non esistevano
istituzioni rappresentative già sviluppate e significative
per la vita nazionale come quelle degli Stati Generali in Francia.
Quando modernamente si osserva tendenziosamente che le istituzioni
parlamentari in Italia sono state importate dall’estero, non si
tiene conto che ciò riflette solo una condizione di
arretratezza e di stagnazione della storia italiana politica
sociale dal 500 al 700, condizione che era dovuta in gran parte
alla preponderanza dei rapporti internazionali su quelli interni,
paralizzati e assiderati. Che la struttura statale italiana, per
le preponderanzeNel ms una variante interlineare:
«suzeraineté». straniere, sia rimasta alla fase
semifeudale di un oggetto di «suzeraineté»
straniera, è forse «originalità»
nazionale distrutta dall’importazione delle forme parlamentari che
invece danno una forma al processo di liberazione nazionale? e al
passaggio allo Stato territoriale moderno (indipendente e
nazionale)? Del resto istituzioni rappresentative sono esistite,
specialmente nel Mezzogiorno e in Sicilia, ma con carattere molto
più ristretto che in Francia, per il poco sviluppo in
queste regioni del Terzo Stato, cosa per cui i Parlamenti erano
strumenti per mantenere l’anarchia dei baroni contro i tentativi
innovatori della monarchia, che doveva appoggiarsi ai
«lazzari» in assenza di una borghesia. Ricordare lo
studio di Antonio Panella sugli Antimachiavellici pubblicato nel
«Marzocco» del 1927 (o anche 26? in undici articoli):
vedere come vi è giudicato il Bodin in confronto al
Machiavelli e come è posto in generale il problema
dell’antimachiavellismo.
Che il programma o la tendenza di collegare la città alla
campagna potesse avere nel Machiavelli solo un’espressione
militare si capisce riflettendo che il giacobinismo francese
sarebbe inesplicabile senza il presupposto della cultura
fisiocratica, con la sua dimostrazione dell’importanza economica e
sociale del coltivatore diretto. Le teorie economiche del
Machiavelli sono state studiate da Gino Arias (negli «Annali
d’Economia» dell’Università Bocconi) ma è da
domandarsi se il Machiavelli abbia avuto teorie economiche: si
tratterà di vedere se il linguaggio essenzialmente politico
del Machiavelli può tradursi in termini economici e a quale
sistema economico possa ridursi. Vedere se il Machiavelli che
viveva nel periodo mercantilista abbia politicamente preceduto i
tempi e anticipato qualche esigenza che ha poi trovato espressione
nei fisiocratici.
Anche Rousseau sarebbe stato possibile senza la cultura
fisiocratica? Non mi pare giusto affermare che i fisiocratici
abbiano rappresentato meri interessi agricoli e che solo con
l’economia classica si affermino gli interessi del capitalismo
urbano? I fisiocratici rappresentano la rottura col mercantilismo
e col regime delle corporazioni e sono una fase per giungere
all’economia classica, ma mi pare appunto per ciò che essi
rappresentino una società avvenire ben più complessa
di quella contro cui combattono e anche di quella che risulta
immediatamente dalle loro affermazioni: il loro linguaggio
è troppo legato al tempo ed esprime il contrasto immediato
tra città e campagna, ma lascia prevedere un allargamento
del capitalismo all’agricoltura. La formula del lasciar fare
lasciar passare, cioè della libertà industriale e
d’iniziativa, non è certo legata a interessi agrari.