§59 Note per un saggio su B. Croce. I. Il Croce come uomo di partito. Distinzione del concetto di partito: 1) Il partito come organizzazione pratica (o tendenza pratica), cioè come strumento per la soluzione di un problema o di un gruppo di problemi della vita nazionale e internazionale. In questo senso il Croce non appartenne mai esplicitamente a nessuno dei gruppi liberali, anzi esplicitamente combatté l’idea stessa e il fatto dei partiti permanentemente organizzati (Il Partito come giudizio e pregiudizio, in Cultura e Vita Morale, saggio pubblicato in uno dei primi numeri della «Unità» fiorentina) e si pronunziò a favore dei movimenti politici che non si pongono un «programma» definito, «dogmatico», permanente, organico, ma tendono volta per volta a risolvere problemi politici immediati.

D’altronde tra le varie tendenze liberali il Croce manifestò la sua simpatia per quella conservatrice, rappresentata dal «Giornale d’Italia». Il «Giornale d’Italia» non solo per lungo tempo pubblicò articoli della «Critica» prima che i fascicoli della rivista fossero divulgati, ma ebbe il «monopolio» delle lettere che il Croce scriveva di tanto in tanto per esprimere le sue opinioni su argomenti di politica e di politica culturale che lo interessavano e intorno ai quali riteneva necessario pronunciarsi. Nel dopoguerra anche la «Stampa» pubblicò le primizie della «Critica» (o di scritti del Croce pubblicati in Atti accademici), ma non ebbe le lettere che continuarono ad essere pubblicate dal «Giornale» d’Italia» per il primo e furono riprodotte dalla «Stampa» e da altri giornali. 2)

Il partito come, ideologia generale, superiore ai vari aggruppamenti più immediati. In realtà il modo di essere del partito liberale in Italia dopo il 1876 fu quello di presentarsi al paese come un «ordine sparso» di frazioni e di gruppi nazionali e regionali. Erano frazioni del liberalismo politico tanto il cattolicismo liberale dei popolari, come il nazionalismo (il Croce collaborò a «Politica» di A. Rocco e F. Coppola), tanto le unioni monarchiche come il partito repubblicano e gran parte del socialismo, tanto i radicali democratici come i conservatori, tanto SonninoSalandra, come Giolitti, Orlando, Nitti e Co. Il Croce fu il teorico di ciò che tutti questi gruppi e gruppetti, camarille e mafie avevano di comune, il capo di un ufficio centrale di propaganda di cui tutti questi gruppi beneficiavano e si servivano, il leader nazionale dei movimenti di cultura che nascevano per rinnovare le vecchie forme politiche.

Come è stato osservato altrove il Croce divise con Giustino Fortunato questo ufficio di leader nazionale della cultura liberale democratica. Dal 1900 al 1914 e anche dopo (ma come risoluzione) Croce e Fortunato apparivano sempre come ispiratori (come fermenti) di ogni nuovo movimento giovanile serio che si proponesse di rinnovare il «costume» politico e la vita dei partiti borghesi: così per la «Voce», l’«Unità», l’«Azione Liberale», la «Patria» (di Bologna) ecc.

Con la «Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti avviene una innovazione fondamentale: il termine «liberalismo» viene interpretato nel senso più «filosofico» o più astratto e dal concetto di libertà nei termini tradizionali della personalità individuale si passa al concetto di libertà nei termini di personalità collettiva dei grandi gruppi sociali e della gara non più tra individui ma tra gruppi. Di questo ufficio di leader nazionale del liberalismo occorre tener conto per comprendere come il Croce abbia ampliato il cerchio della sua influenza direttrice oltre l’Italia, sulla base di un elemento della sua «propaganda»: quella revisionistica.