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di Fausto Parente
Nacque a Roma da Leopoldo e da Luisa Costa il 25 giugno 1881. Dal
1892 frequentò il ginnasio presso il Pontificio Seminario
Romano, ove poi entrò come interno nel 1894. Nel 1897 egli
ricevette la tonsura. Le opere di Luigi Tosti, che trovò
nella biblioteca del seminario, risvegliarono in lui i primi
interessi storici mentre taluni manuali di storia della filosofia,
come quello di Augusto Conti, contribuirono a destare quelli
filosofici. Nella sua personalità, non ancora formata,
questi ultimi appaiono, sullo scorcio del secolo, decisamente
prevalere e determinante fu, per il suo orientamento durante
questi anni, la conoscenza di L'action del Biondel, pubblicata nel
1893.
L'insofferenza per la rigida disciplina ecclesiastica e la ricerca
di libri che non poteva trovare nella biblioteca del seminario lo
posero in dissidio con i suoi superiori ed una lettera di adesione
inviata al Minocchi quando questi, nel 1901, fondò la
rivista Studi religiosi (vedi L'Italia che scrive, II [1919], pp.
151-152) costò al B. il posto gratuito di interno alla fine
del primo biennio (1900-1901). La simpatia e l'appoggio del suo
professore di filosofia, Luigi Chiesa, gli valsero però,
l'incarico di filosofia scolastica presso la scuola della
Congregazione di Propaganda Fide.
Spinto da un "affetto appassionato per la causa democratica"
frequentò, alla Sapienza, le lezioni di Antonio Labriola e,
sulla rivista del Murri, Cultura sociale (IV[1901], pp. 324-326),
pubblicò una "lettera aperta" dal titolo: Abbiamo un
programma?Le idee di un anonimo, firmandosi "Novissimus".
Nello scritto, in polemica con lo stesso Murri, al quale
rimproverava di preoccuparsi solamente dell'organizzazione delle
classi e della diffusione della piccola proprietà,
affermava di sognare una piena rivoluzione sociale, per cui i vari
mestieri, le varie funzioni intellettuali ed artistiche si
affratellino nelle risorgenti universitates, posseditrici dei
mezzi di produzione, substrato del regime politico e comprendenti
tutti i lavoratori". Appare qui già evidente quella sua
tendenziale interpretazione sociale del messaggio cristiano che
sarà una tra le componenti più importanti del suo
pensiero.
Nel 1903 il B., conclusi gli studi teologici e ordinato sacerdote,
sostituì monsignor Umberto Benigni, già suo
professore, nell'insegnamento di storia della Chiesa nel seminario
dell'Apollinare. Nel 1904 collaborò alla Rivista delle
riviste per il clero diretta da G. Sforzini e agli Studi religiosi
del Minocchi; nella prima delle due riviste (II [1904], pp.
482-487) compare una sua recensione a De sacra traditione. Contra
novam haeresim evolutionismi di L. Billot in cui afferma di "non
temere la scienza anche di fronte ai pericoli dei suoi abusi". Nel
1905, con la pubblicazione della Rivista storico-critica delle
scienze teologiche (per iniziativa, forse, del padre G.
Bonaccorsi, ma della quale il B. assunse la direzione già a
partire dal fascicolo di giugno della prima annata), ebbe inizio
la sua attività più specificamente storica;
contemporaneamente sulla rivista del Minocchi (V [1905], pp.
211-256), con un articolo su La filosofia dell'azione,
tornò a temi più strettamente connessi con la sua
formazione filosofica blondeliana.
In taluni di questi scritti, molte affermazioni suonavano
chiaramente polemiche nei confronti della Chiesa e, in
particolare, nei confronti di alcuni ordini religiosi. Attaccato
dalla Civiltà cattolica (LVII [1906], I, pp. 257-273 e
559-5741, nel settembre venne costretto a rassegnare le dimissioni
dall'insegnamento e ad accettare un posto di archivista presso la
Sacra Congregazione della Visita Apostolica.
Nel 1907 il B. pubblicò a Roma il primo lavoro storico di
ampio respiro: Lo gnosticismo. Storie d'antiche lotte religiose.
Il libro, che presuppone indagini precedenti, come quelle su Il
millenarismo di Ireneo (Riv. stor-crit. delle scienze teol., II
[1906], pp. 903-918), venne attaccato con notevole violenza da P.
Batiffol (Bull.de littèr. ecclés., VII[1907], pp.
165-175) come dipendente dall'interpretazione protestante dello
Harnack.
Nel maggio 1907 il B., insieme col Murri, il Fracassini e il
Piastrelli, si fece promotore, con una lettera redatta da
quest'ultimo, di un incontro tra gli esponenti delle varie
tendenze religiose per poter - "stabilire un orientamento ed un
metodo comune, sia per ciò che riguarda la sintesi e la
ricostruzione della scienza religiosa, sia l'azione e la
propaganda". Al convegno, che ebbe luogo a Molveno nei giorni 27,
28 e 29 agosto, presero parte, oltre ai promotori, il von
Hügel, il Fogazzaro, Tommaso Gallarati Scotti, Brizio
Casciola e Francesco Mari. Tra tutti questi, secondo l'espressione
del Murri, il B. era "il rappresentante della tendenza estrema".
Il 16 settembre, L'Osservatore romano pubblicò l'enciclica
Pascendi dominici gregis recante la data dell'8, con la quale
veniva condannato il movimento modernista e il 28 ottobre la
Libreria Editrice Romana pubblicava Ilprogramma dei modernisti.
Risposta all'enciclica di Pio X "Pascendi dominici gregis", solo
parzialmente opera del B.: la prima parte, sulla critica dei
testi, è, forse, da attribuirsi alla penna del Fracassini,
mentre del B. è certamente la seconda, nella quale è
esposta la concezione che, del dogma, intendeva dare il
modernismo. Lo scritto ebbe notevole successo anche fuori
d'Italia: un decreto del vicariato di Roma (Acta Sanctae Sedis,
XI, [1907], p. 720) comminò la scomunica a coloro che
avessero redatto o, in qualunque modo, preso parte alla
realizzazione dell'opera. Non ritenendo, però, valida una
scomunica contro ignoti, il B. continuò ad esercitare le
sue funzioni sacerdotali (Pellegrino…, pp. 95-97).
Durante il 1908 si formò, attorno al B., un piccolo gruppo
di modernisti che teneva riunioni periodiche; espressione di
questo gruppo fu la rivista Nova et vetera, della quale uscirono
diciannove fascicoli dal gennaio al dicembre del 1908, che venne
condannata ed i collaboratori, se ecclesiastici, sospesi a divinis
(Acta Sanctae Sedis, XLI [1908], p. 128).
L'affermazione, contenuta nel Proemio ai lettori, che il fatto
religioso va "esclusivamente studiato attraverso la psicologia
umana, come sua espressione culminante; e valutato in funzione di
tutta l'operosità umana individuale e collettiva doveva
rispecchiare bene, in quel momento, la posizione del B. che vi
formulò anzi (I [1908], pp. 155-160) un'aperta critica al
Murri rimproverandogli la sua mentalità scolastica che gli
faceva tenere distinti e separati il fatto sociale e quello
religioso e, su Il Rinnovamento (II [1908], pp. 43-66),
affermò esplicitamente che "la democrazia è oggi la
vera forma della religiosità".
Queste posizioni, radicali sotto molti aspetti, costituiscono i
motivi dominanti delle Lettere di un prete modernista pubblicate a
Roma nel 1908, nelle quali, come ebbe ad osservare Giorgio Levi
Della Vida (La Cultura, III [1923-1924], p. 350), "l'immanente
aveva cacciato il trascendente e Iddio si rivelava nel progressivo
attuarsi dell'ideale etico dell'umanità". La reazione dei
vari ambienti modernisti, perloppiù alieni da concezioni
immanentistiche e, sul piano politico, su posizioni di prudente
conservatorismo, non tardò a farsi sentire. Il Rinnovamento
(II [1908], pp. 402-415) si chiese se, ormai, esistessero due
modernismi; Tyrrell stesso, cui Nova et vetera siera, almeno
originariamente, ispirata, reagì non meno decisamente: si
veda la lettera del 23 aprile al B. (in Revue moderniste
internationale, I [1910], p. 10) e quella del 3 maggio indirizzata
ad un altro corrispondente (in Autobiography and Life, London
1912, II, p. 350) ove è detto che "le Lettere... rivelano
un punto di vista così terreno da rendere l'intera
questione banale e volgare".
Nel 1908 un sacerdote, poi tornato allo stato laicale, Gustavo
Verdesi, che aveva fatto parte del gruppo di Nova et vetera, fece
talune rivelazioni al gesuita Carlo Bricarelli, professore
all'Università Gregoriana, che ne informò il papa;
venne ordinato al Verdesi di redigere la denuncia per iscritto;
questa, recante la data dell'ottobre (la si veda in Civ. catt.,
LXII[1911], 2, pp. 227-228), indicava nel B. il direttore di Nova
et vetera, uno dei collaboratori del Rinnovamento e,
implicitamente, l'autore delle Lettere di un prete modernista. Il
3 novembre, alla riapertura della Sacra Congregazione della Visita
Apostolica, il B. si vide costretto a rassegnare le dimissioni.
Nonostante ciò gli venne conservato l'assegno. Tra il
novembre del 1908 ed il gennaio dell'anno successivo, il B.
dovette subire un procedimento disciplinare al termine del quale
si sottomise pienamente.
Forse a seguito di queste vicende sopravvenne in lui la
determinazione di dedicarsi con maggiore impegno alla ricerca
scientifica. Fin dall'anno precedente la sua attenzione era stata
attratta dalle ricerche sul greco neotestamentario che A.
Deissmann andava conducendo sulla base di recenti scoperte di
papiri e di ostraka (Licht vom Osten, Tübingen 1908: vedi
Riv. stor-crit. delle scienze teol., IV[1908], pp. 687-694); ed
è del 1909 un lavoro su I vocaboli d'amore nel Nuovo
Testamento (ibid., V[1909], pp. 257-264). Verso la fine dell'anno,
però, A. De Stefano, già compagno del B. nel
seminario dell'Apollinare, che si apprestava a lanciare da Ginevra
una Revue moderniste internationale, gli chiese consigli. Dalla
risposta del B. (la lettera, datata 24 ottobre, ma probabilmente
del 24 sett. 1909, è stata pubblicata da S. Savarino
insieme ad altro materiale d'archivio in un romanzo, Peccato
mortale, pp. 47-57) sappiamo che anche il Semeria era al corrente
dell'iniziativa ed approvava il progetto ed il titolo.
Dall'insieme dei documenti pubblicati dal Savarino si ricava che
il 10 dic. 1909 il papa aveva incaricato il S. Uffizio di indagare
sull'attività del De Stefano interrogando sia il B., sia un
altro sacerdote, Mario Rossi, e ciò a seguito di una
circostanziata delazione di un ecclesiastico (identificato, in
Pietro Perciballi: si veda Revue mod. int., III [1912], pp.
163-165 e 217-218) amico del De Stefano che, fattosi ospitare
nella sua abitazione di Ginevra, in sua assenza ne aveva copiato
la corrispondenza.
Nel 1910, come secondo volume dei "Manuali di scienze religiose"
da lui diretti, il B. pubblicò a Roma una serie di Saggi di
filologia e di storia del Nuovo Testamento in parte già
editi. Immediatamente, sulla Civiltà cattolica (LXI [1910],
1, pp. 472-473) comparve un violentissimo attacco contro il libro;
questa volta il B. rispose e ne seguì una polemica nel
corso della quale il padre Rosa finì con l'accusarlo
implicitamente di essere l'autore sia del Programma sia delle
Lettere. Subito dopo fu ingiunto al B., pena la perdita
dell'assegno, di abbandonare la rivista; questa cessò,
però, le pubblicazioni col fascicolo di luglio-agosto,
cioè dopo la sua condanna avvenuta con decreto del S.
Uffizio del 7 settembre (Acta Apost. Sedis, II, [1910] p. 728).
Dal decreto della Sacra Congregazione dell'Indice del 3 genn. 1911
(ibid., III [1911], pp. 42-43) e da una lettera di F. Mari a C.
Pizzoni del 23 sett. 1910 risulta che il B. si sottomise
prontamente convincendo a farlo anche chi, come il Mari, sarebbe
stato piuttosto incline a persistere nel proprio atteggiamento.
Nel 1911 ebbe luogo il processo Verdesi. Questi in una lettera
pubblicata su Il Messaggero e sull'Avanti! il 15 aprile aveva
accusato il Bricarelli di aver rivelato ciò che aveva
saputo in confessione; questi lo denunciò per diffamazione
ed il processo seguitone si concluse il 5 giugno con la condanna
del Verdesi. Il B. depose il 30 maggio dichiarando che tutte le
accuse del Verdesi che lo riguardavano erano false e riaffermando
la propria incondizionata fedeltà alla Chiesa (si veda Civ.
catt., LXII [1911], 2, p. 750). La deposizione del B. venne
condannata dalla stampa modernista e filomodernista.
Le ragioni di questo atteggiamento del B. dovettero,
probabilmente, essere diverse, ma una lettera a G. Prezzolini del
24 dic. 1910 (la si veda in Il tempo della Voce, Milano-Firenze
1960, pp. 355-357)ne indica, forse, quella più pressante ed
immediata, il timore che una sua decisa rottura con
l'autorità ecclesiastica potesse determinare una "tragedia
domestica", con allusione alla madre, spirito semplice e
sinceramente attaccato alle forme religiose tradizionali.
Gli anni immediatamente seguenti segnano una battuta d'arresto
nell'attività del B., anche per la soppressione della
Rivista storico-critica delle scienze teologiche. Nel 1913 con la
morte di Baldassarre Labanca (23 gennaio) si rese vacante la
cattedra di storia del cristianesimo presso l'università di
Roma. Bandito il concorso, il B. vi partecipò e venne
annoverato primo della terna seguito da L. Salvatorelli e U.
Fracassini. La nomina a professore "straordinario" con decreto del
19 luglio 1915 ebbe decorrenza dal 16ottobre dello stesso anno.
Nel luglio del 1914 il B. aveva, intanto, fondato una nuova
rivista, il Bollettino di letteratura critico-religiosa, della
quale si pubblicarono dodici fascicoli. Nel gennaio del 1916,
incoraggiato dal successo del Bollettino, ilB. fondò una
nuova rivista, la Rivista di scienza delle religioni senza
chiedere la revisione ecclesiastica.
Come risulta da un articolo del padre Rosa (Civ. catt.,
LXXVI[1925], 3, p. 225), dopo la pubblicazione del primo fascicolo
della rivista vi fu un tentativo di evitare un attacco immediato
della Civiltà cattolica; nonostante ciò, dopo la
pubblicazione del secondo fascicolo, con decreto del S. Uffizio
del 12 aprile (Acta Apost. Sedis, VIII [1916], p. 178), la rivista
venne condannata (si veda F. Rubbiani, in Bilychnis, VII [1916],
p. 480)ed i quattro collaboratori ecclesiastici (oltre al B., B.
Motzo, P. Vannutelli e N. Turchi) sospesi a divinis. Alla revoca
del provvedimento si giunse dopo diverso tempo e solo a condizione
che essi prestassero il giuramento antimodernista: lo fecero il 13
luglio.
Il 26 novembre successivo, il ministro della Pubblica Istruzione,
Francesco Ruffini, invitò il B. a precisare se, in
conseguenza del giuramento antimodernista, la sua libertà
scientifica sarebbe rimasta menomata; il B. ripose di averlo
prestato solo dopo che il cardinal Gasparri gli aveva assicurato
che esso non avrebbe costituito una remora alla sua libertà
scientifica (Pellegrino..., p. 151).
Doti indubbiamente eccezionali di maestro e di parlatore permisero
al B. di raccogliere ben presto intorno a sé un'ampia
cerchia di allievi e di discepoli. Con decreto del 6 ott. 1918
venne dichiarato professore "stabile" e con decreto del 3 luglio
1919 "ordinario". Nel 1918, intanto, M. Missiroli, allora
direttore di Il Resto del Carlino invitò il B. a
collaborare al giornale come "corrispondente vaticano"; l'anno
successivo egli iniziò la collaborazione anche a Il Tempo
di Roma, del quale, nel frattempo, lo stesso Missiroli aveva
assunto la direzione.
Il B. aveva, intanto, fondato nel 1919 una nuova rivista: Religio.
Per i primi due fascicoli, Nicola Turchi figurava come direttore
ed essa aveva rapprovazione ecclesiastica. Nei due fascicoli
seguenti (pubblicati nel 1920) come direttore figurava
l'egittologo G. Farina e veniva meno l'approvazione ecclesiastica.
Col quarto fascicolo del secondo anno (1920, ma pubblicato nel
marzo del 1921) la rivista cessò le pubblicazioni. Nel
terzo fascicolo del secondo anno (pubblicato nel dicembre del
1920) comparve un articolo del B., Le esperienze fondamentali di
Paolo (pp.106-121), alcune frasi del quale furono interpretate
dall'autorità ecclesiastica come negazione della presenza
reale del Cristo nell'eucaristia. Di conseguenza, con decreto 14
genn. 1921 (Acta Apost. Sedis, XIII [1921], p. 42: si veda
Bilychnis, XVII[1921], pp. 38-39), il S. Uffizio lo
dichiarò scomunicato e sospeso a divinis. Tra il gennaio ed
il marzo vi fu uno scambio epistolare tra il B. ed il cardinal
Gasparri (si vedano i documenti in Una fede e una disciplina), ma
la questione restò irrisolta perché, se da un lato
il B. riaffermava i diritti della critica storica, dall'altro
l'autorità ecclesiastica opponeva che l'affermata autonomia
scientifica di fronte al magistero della Chiesa era in contrasto
col giuramento antimodernista che egli aveva pronunciato.
Né, d'altra parte, il B. era disposto ad accettare quella
che era la condizione essenziale posta per la reintegrazione:
l'abbandono della cattedra.
In questo clima di tensione psicologica, il 28 marzo e il 2
aprile, il B. tenne, in una sala di palazzo Altieri, due
conferenze aventi per tema L'essenza del cristianesimo, pubblicate
l'anno successivo. Chiaramente, il tema era ispirato a quello
delle famose conferenze che lo Harnack aveva tenuto, nel 1900,
all'università di Berlino e, appunto, le argomentazioni
dello Harnack egli intendeva ribattere senza, però,
ricadere nella critica "tendenzialmente razionalistica"
(Pellegrino..., p. 183)che il Loisy ne aveva fatto in L'Evangile
et l'Eglise:di una "essenza" del cristianesimo si può e si
deve parlare secondo il B., ma essa non va identificata, come
aveva fatto lo Harnack, nella concezione della paternità di
Dio, bensì nel più riposto e pregnante significato
della predicazione di Gesù, l'annuncio della μετάνοια
intesa come rovesciamento totale di tutti i valori. È
questa "essenza" che la critica storica deve riportare allo
scoperto togliendo via tutto ciò che, sul valore originario
ed immutabile del cristianesimo, si è venuto col tempo
accumulando. Appunto per questa ragione, com'egli affermava in una
delle sue lettere al cardinale Gasparri, "l'indagine critica non
può portare a posizioni contrastanti con l'essenza della
vita cristiana cattolica".
Dopo una seria malattia, pur restando egli fermo nella decisione
di non abbandonare la cattedra, grazie alla mediazione del
Gasparri, il B. rilasciò una sua "dichiarazione di fede"
(pubblicata su L'Osservatore romano dell'8 aprile) ottenendo la
revoca del provvedimento adottato nei suoi confronti. I buoni
rapporti col cardinal Gasparri furono, però, turbati verso
la fine del settembre da un incidente giornalistico: la
pubblicazione su Il Messaggero di Roma e su IlSecolo di Milano di
una "nota vaticana" del B. contenente un accenno abbastanza
esplicito all'atteggiamento della S. Sede nei confronti del
problema di una possibile riconciliazione con lo Stato italiano.
Nel 1922 l'attività giornalistica lo assorbì quasi
interamente: su Il Mondo del 7 febbraio tracciò un profilo
di Achille Ratti, non del tutto benevolo nei confronti del papa
neoeletto, e in quello dell'8 novembre manifestò la propria
apprensione nei confronti della presa del potere da parte dei
fascisti.
L'anno seguente il B. raccolse una serie di ventuno tra i suoi
scritti di maggior rilievo: Saggi sul cristianesimo primitivo
(Città di Castello 1923), e una serie di suoi articoli
già apparsi su alcuni quotidiani: Voci cristiane (Roma
1923). La Theologische Literaturzeitung (XLVIII[1923], coll.
516-518) recensì i due libri prendendo contemporaneamente
in esame i primi tre volumi della collezione "Scrittori cristiani
antichi" di cui il primo era la traduzione ed il commento della
Lettera a Diogneto, pubblicata dal B. nel 1921 a Roma. Come quarto
volume della stessa collezione, nel 1923 comparvero i Frammenti
gnostici, breve profilo dello gnosticismo con ampie citazioni
dalle fonti, ove la posizione del B. si palesa molto più
vicina a quella del Bousset che a quella dello Harnack.
Verso la fine del 1923, nella collana "Apologie" di Formiggini,
che usciva a Roma, il B. pubblicò una Apologia del
cattolicismo. Nello scritto, che recava l'imprimatur
ecclesiastico, egli riportava, quasi per intero e con le stesse
parole, l'articolo su Paolo per il quale era stato scomunicato,
omettendo solamente il passo sull'eucaristia con l'evidente
intenzione di legittimarlo. All'inizio dell'anno seguente,
pubblicò a Foligno un nuovo saggio di "apologetica
religiosa": Verso la luce. Composto nell'eremo di S. Donato, una
casa semidiruta del vecchio cenobio benedettino sulle pendici del
monte Autore, nei Simbruini (si veda Pellegrino..., pp. 161 e 531
n. 194), ove il B. soleva trascorrere l'estate con i discepoli,
recava anch'esso l'approvazione ecclesiastica; purtuttavia, il 29
marzo egli ricevette la notizia che il S. Uffizio aveva preparato
un decreto di scomunica e, invano, il giorno successivo
tentò di farsi ricevere dal cardinal Merry del Val (si
veda, al riguardo, Una fede e unadisciplina, pp. 80-81 e
Pellegrino..., pp. 206-209). La vera ragione immediata del
decreto, recante la data del 28 marzo (Acta Apost. Sedis, XVI
[1924], p. 159), col quale vennero anche poste all'Indice tutte le
sue opere, sfugge; è, però, probabile che la causa
immediata ne sia stata la sua attività didattica (il
decreto gli interdiceva espressamente l'insegnamento). Il
raffreddamento col card. Gasparri aveva probabilmente permesso al
S. Uffizio di riporre sul tappeto la questione, poiché la
condizione posta nel 1921 per la sua reintegrazione, appunto
l'abbandono della cattedra, non era stata rispettata.
Durante l'estate, nell'eremo di S. Donato, il B. progettò
la fondazione di una nuova rivista di studi storico-religiosi,
Ricerche religiose, il cui primo fascicolo apparve nel gennaio del
1925. Alla fine del mese, con decreto del 30 gennaio (Acta Apost.
Sedis, XVII[1925], p. 69) essa fu condannata e venne
altresì interdetto al B. l'uso dell'abito talare. In una
Dichiarazione (Ric. rel., I [1925], p. 203) egli affermò
però di voler conservare, nonostante il divieto, la divisa
sacerdotale e pubblicò la cronaca documentata della sua
controversia col Vaticano dal 1921. Una fede e unadisciplina
(Foligno 1925). Alla pubblicazione fece eco la Civiltà
cattolica (LXXVI [1925], 2, pp. 229-247; 3, pp. 220-238) e ne
seguì un'aspra polemica.
Sul terreno più specificamente scientifico, come undicesimo
volume degli "Scrittori cristiani antichi", il B. pubblicò
Detti extracanonici di Gesù e, nel primo fascicolo di
Ricerche (pp.14-34), Paolo e Apollo, sostenendo che la polemica di
Paolo nella I e IIai Corinzi sarebbe stata diretta non contro una
fazione giudaizzante, bensì contro l'atteggiamento
intellettualistico di Apollo; contemporaneamente, per i "Profili"
di Formiggini, pubblicò uno schizzo della vita e
dell'attività dell'apostolo del quale l'Omodeo (Il
Leonardo, II [1926], pp. 36-37)fece una recensione poco benevola
seguita da una polemica piuttosto aspra.
Nel dicembre, il B. inviò una lettera al papa chiedendo di
essere riammesso nella Chiesa. Gli fu mandato il padre Agostino
Gemelli col quale il B. ebbe, anche in presenza di quattro suoi
discepoli (si veda Pellegrino..., pp. 242 ss. e 541 n. 161),
alcuni incresciosi colloqui. Da una lettera al Bietti dell'8
febbraio del 1926 (in Bedeschi, B., p. 354) risulta che "la prima
cosa che mi disse è che la scomunica "vitando" era
preparata da molto tempo". Nel tentativo di evitare un tale
provvedimento, il 14 gennaio il B. chiese il collocamento in
aspettativa e, il 18, lo mutò nella richiesta di un congedo
straordinario per la durata di un mese che, il 20, gli venne
concesso. Egli ne dette subito comunicazione al Gemelli che, il
23, fece nuovamente presente la condizione essenziale posta dal
Vaticano: l'abbandono della cattedra. Il B. non rispose e con
decreto del 25, pubblicato quello stesso giorno sull'Osservatore
romano (Acta Apost. Sedis, XVIII[1926], pp. 40-41), venne
dichiarato "nominatim excommunicatus et expresse vitandus" (Civ.
catt., LXXVII [1926], 1, pp. 341-346).
Il B. avrebbe dovuto riprendere le lezioni il 18 febbraio. Le
riprese effettivamente (Pellegrino..., p. 251). ma l'indomani
venne chiamato dal ministro P. Fedele il quale gli chiese, a nome
del capo del governo, di interrompere le lezioni e di accettare un
incarico extra-accademico, perché ciò avrebbe
facilitato le trattative, ormai in corso, tra l'Italia e la S.
Sede in vista di una soluzione della questione romana. Il B.
accettò, e venne incaricato di attendere alla compilazione
del catalogo delle opere agiografiche della Biblioteca
Vallicelliana di Roma, per il periodo di un anno dal 23 febbraio.
In effetti, fin da allora, il Vaticano doveva aver posto come
condizione per l'avvio delle trattative l'allontanamento
definitivo del B. dalla cattedra. Per tale ragione - l'espressione
è sua (Pellegrino..., p. 263) - egli era considerato dal
governo italiano una "posta di ricatto": è dell'inizio, del
1927(H. Hermelink, in Die christliche Welt, XLI [1927], n. 3, col.
138) l'episodio (collocato dal B. stesso nel marzo dell'anno
seguente, Pellegrino..., p. 263) dell'invito del ministro Fedele a
riprendere le lezioni, cui seguì, da parte del Fedele
stesso, un nuovo invito ad astenersene. Contemporaneamente, un
tentativo, suggerito forse dallo stesso Fedele, di spostare, su
sua richiesta, il B. ad un'altra disciplina (letteratura cristiana
del Medioevo) cadeva di fronte alla violenta reazione del
Vaticano, che minacciò financo di lanciare l'interdetto
sull'università (il B., Pellegrino..., pp. 253 s., colloca
tale minaccia nel 1926, ma il Margiotta-Broglio, Italia e Santa
Sede, pp. 172-173 ha corretto la data nel 1927:si veda Scoppola,
La Chiesa e il fascismo, Bari 1971, p. 157, e la lettera del
15ott. 1927al Cagnola, in Bedeschi, B., p. 358). Il 17ottobre, il
B. ebbe un altro colloquio col Fedele ed è, quasi
certamente, nel corso di esso che egli chiese al ministro di
curare l'edizione di Gioacchino da Fiore (lettera al Cagnola del
29ottobre, ibid., p. 361):il relativo decreto, probabilmente
antedatato, reca la data del 12febbraio.
Nonostante queste vicissitudini, la sua attività proseguiva
intensissima. Nel 1926 uscì a Bologna un libro su Lutero e
la riforma in Germania.
Violentemente antiprotestante, si può anche pensare che
egli sia stato indotto ad accentuarne il tono polemico nella
speranza che ciò potesse valergli come prova dell'effettivo
desiderio di rientrare nella Chiesa; ma lo scritto esprime, in
realtà, quello che era stato e sarà il suo
atteggiamento nei confronti della cultura e della filosofia
tedesca (si veda il suo più tardo scritto in Hochkirche, XV
[1933], pp. 321-323).Qual fosse, allora, il suo atteggiamento nei
confronti del mondo protestante appare anche chiaramente dalla
violenta polemica (Bilychnis, XXVII[1926], pp. 285 e 300-301; Il
Mondo del 10, 16 e 18giugno e del 6luglio 1926; Conscientia, V
[1926], n. 28del 10 luglio 1926, e Civ.catt., LXXVII [1926], 3,
pp. 426-438)seguita alla pubblicazione, presso Formiggini, di due
"profili": quello di Gesù e quello di Francesco d'Assisi
(Roma 1926).
Specialmente in questi ultimi scritti si riflette chiaramente
l'influenza che sul B. esercitò la conoscenza delle
ricerche di psicologia religiosa di Rudolf Otto (DasHeilige, Gotha
1917, opera di cui il B. pubblicò, nel 1926, una traduzione
presso Zanichelli). L'Otto, nel fatto religioso, aveva distinto
l'"irrazionale" e "numinoso" ineffabile alla comprensione
concettuale dall'elemento "razionale", da quella, cioè, che
egli definiva "la nozione teistica del divino". Nell'esperienza
religiosa di Francesco il B. riconobbe una manifestazione tipica e
caratteristica del "numinoso", che, in seguito, venne mortificata
nello schema di un Ordine religioso. Allargando la sfera della
ricerca, la sua attenzione si soffermò sul movimento
francescano nel suo insieme e sulle caratteristiche stesse della
religiosità medievale: di qui, essa si polarizzò su
quello che, d'ora in poi, sarà uno dei punti centrali dei
suoi interessi di studioso, Gioacchino da Fiore, del quale nel
1927 pubblicò presso Carabba un'antologia degli scritti
più significativi.
Nello stesso anno, nella collezione "Christianisme" diretta da P.
L. Couchoud, tradotto direttamente dal manoscritto, uscì a
Parigi Le modernisme catholique, un'appassionante difesa del
modernismo. La Civiltà cattolica (LXXVIII [1927], 3, pp.
139-151)non mancò di commentare lo scritto con un articolo
cui seguì una polemica violentissima.
Nel 1928 il B. pubblicò tre libri di rilievo: Il
cristianesimo nell'Africa romana (Bari), Le origini dell'ascetismo
cristiano (Pinerolo) e Ilmisticismo medioevale (ibid.). Un'eco
notevole ebbe il primo di essi nel quale il B. ricostruiva lo
sviluppo del cristianesimo africano riconoscendo in esso quello
che, più di ogni altro, aveva conservato le originarie
caratteristiche escatologiche.
L'epistolario col Cagnola (su cui T. Gallarati Scotti,
Interpretazioni e memorie, Milano 1960, p. 156; Bedeschi, B. pp.
34 ss., 68 n. 10) permette di ricostruire taluni contatti
intercorsi tra il B. e la Curia negli ultimi mesi precedenti la
firma del concordato dei quali non è cenno
nell'autobiografia. Intorno alla metà dell'ottobre, la
Curia iniziò, presso il B., passi per la sua reintegrazione
che proseguirono poi con tergiversazioni. Ben presto, però,
cadde ogni speranza e quasi certamente l'episodio va posto in
correlazione con le ultime trattative prima della firma del
concordato e dà la precisa impressione di un tentativo di
fiaccare la sua resistenza psichica. Pur non giungendo alla
destituzione, tutte le norme del concordato vennero applicate
contro di lui: nel febbraio del 1930 il B. è invitato a
dismettere l'abito talare; nel giugno, la partecipazione alle
commissioni d'esame gli è interdetta.
Tra il 1928 ed il 1931 l'attività scientifica del B. appare
assorbita dal lavoro su Gioacchino da Fiore. Nel 1928 egli aveva
pubblicato due articoli (Ric. rel., IV [1928], pp. 385-419,
497-514) che andranno a comporre parte dell'introduzione del
Tractatus super quatuor Evangelia, pubblicato dall'Istituto
storico italiano per il Medio Evo nel 1930. Le sue ricerche su
Gioacchino continuarono e, nel 1930, nella "Collezione di studi
meridionali" diretta da U. Zanotti Bianco, venne pubblicato a Roma
Gioacchino da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, nel quale
è posto l'accento essenzialmente sul carattere escatologico
del messaggio gioachmita e sulla sua estraneità a
preoccupazioni di ordine teologico. Per queste opere il B. ottenne
l'Edward Kennard Rand Prize dalla Medieval Academy of America
(Ric. rel., IV[1930], p. 288, e Speculum, VII[1932], p. 269) e,
come ci testimoniano le lettere al Cagnola, venne invitato a
trasferirsi negli Stati Uniti, ma egli non seppe mai risolversi ad
un simile passo.
Nel novembre del 1931 il B., come tutti i professori universitari,
ricevette l'invito a prestare il giuramento di fedeltà al
regime fascista. Il 19 egli scrisse una lettera al rettore (la si
veda in Pellegrino…, pp. 544 s. n. 199), nella quale affermava che
"a norma di precise prescrizioni evangeliche (Matteo, V, 34)
…reputo mi sia vietata ogni forma di giuramento". Di conseguenza,
con r.d. del 28 dic. 1931 venne dispensato dal servizio a partire
dal 1º gennaio successivo.
G. Levi Della Vida che, nel rifiuto, gli era stato compagno,
così ha spiegato le ragioni di quel gesto: "sembrerebbe che
nella sua determinazione abbia agito nel subcosciente
l'aspirazione a uscire, sia pure con uno strappo doloroso, dalla
situazione assurda in cui l'aveva messo l'ambigua politica del
governo" (Fantasmi ritrovati, Venezia 1966, p. 144).
La perdita della cattedra, che sempre il B. aveva difeso di fronte
alle pressanti richieste dell'autorità ecclesiastica e che
aveva sempre considerato come lo strumento più atto
all'espletamento della sua missione sacerdotale, ebbe
ripercussioni non indifferenti anche sul suo atteggiamento nei
confronti della Chiesa: ne è espressione La Chiesa romana,
pubblicato nel dicembre del 1932 a Milano e subito posto
all'Indice condecreto del S. Uffizio del 25 genn. 1933 (Acta
Apost. Sedis, XXV [1933], p. 36).
Nel libro, alla Chiesa "com'è" è contrapposta la
Chiesa "come è stata" e, alla critica dell'una, corrisponde
l'esaltazione dell'altra. "Il libro più significativo del
B." lo definì l'Omodeo (La Critica, XXXI [1933], pp.
299-301) per la nettezza della critica formulata nei confronti
dell'istituzione ecclesiastica. Per contro, la visione rigidamente
ecclesiocentrica che il B. vi aveva dato del Medioevo venne
criticata dal Salvatorelli (La Cultura, XII [1933], pp. 374-391).
Sul piano pratico, questo mutamento di atteggiamento portò
il B. ad accostarsi ai gruppi protestanti romani, presso i quali
trovò, dal 1932, la possibilità di tenere conferenze
e lezioni, ormai l'unica sua possibilità di svolgere quella
che sentiva come la sua missione imprescindibile ed anche di
provvedere al proprio sostentamento materiale. Dal 1933 prese
anche sistematicamente parte ai convegni organizzati ad Ascona,
nel Canton Ticino, da Olga Fröbe Kapteyn sotto la
denominazione di "Eranos".
Le conferenze tenute a Torino, a Milano e a Genova nel 1933 furono
pubblicate a Modena nel 1935 col titolo Pietre miliari nella
storia del cristianesimo (poste all'Indice con decreto del S.
Uffizio del 15 genn. 1936: Acta Apost. Sedis, XXVIII [1936], p.
71). Ad intralciare questa attività non mancarono
interventi della polizia su sollecitazione delle autorità
ecclesiastiche che vietarono ai cattolici di intervenire alle
conferenze del B. sotto pena di gravi sanzioni canoniche.
Nel novembre 1934 a Milano il B. tenne una serie di conferenze dal
titolo: La fede dei nostri padri, pubblicate a Modena da Guanda
nel 1944, in cui è formulata quella che appare come una
delle posizioni più caratteristiche del pensiero
dell'ultimo B., secondo la quale la cultura di tutti i popoli
affacciantisi sul Mediterraneo sarebbe stata influenzata, ad un
certo momento del suo sviluppo storico, da concezioni dualistiche
di origine iranica che avrebbero permeato di sé sia le
concezioni filosofiche sia quelle religiose.
Nel 1935 il B. tenne un corso di lezioni all'università di
Losanna come Gastprofessor, iniziando così
un'attività che si protrarrà fino allo scoppio della
guerra. In Italia, le sue conferenze ebbero ad oggetto
l'affacciarsi delle concezioni dualistiche nel mondo greco: il B.
lo individua nella reinterpretazione, in termini di
religiosità orfico-dionisiaca, della vecchia tradizione
mitologica operata dai tragici greci; rielaborate, esse vennero
pubblicate a Roma nel 1938 col titolo Amore e morte nei tragici
greci.
Nel 1936 il B. pubblicò a Modena Dante come profeta,
ponendo l'accento sulle profonde affinità tra il mondo
religioso di Dante e quello di Gioacchino da Fiore e, di
quest'ultimo, curò l'edizione del De articulis fidei. Nel
1937, a Oxford, su invito del World Congress of Faiths
parlò su Il bisogno mondiale della religiosità
(pubblicato in italiano in Religio, XIV [1938], pp. 161-178).
Questo scritto è molto importante perché documenta
un momento significativo nell'evoluzione religiosa del B.: la
reviviscenza religiosa gli appare adesso affidata agli esuli di
tutte le chiese costituite, per cui la dialettica non è
più ristretta alla Chiesa romana e a coloro che lottano
contro la sua sclerotizzazione, ma diventa dialettica tra morale e
religione statica e morale e religione dinamica.
Nel gennaio del 1939 (non del 1936, come, erroneamente, afferma
nell'autobiografia, pp. 340-341) venne offerto al B. di diventare
professore ordinario presso la facoltà di teologia
dell'università di Losanna. Poiché, però, la
posizione di professore ordinario comportava anche l'adesione alla
Chiesa riformata, egli rifiutò l'offerta. Un provvedimento
del ministero della Cultura Popolare sulla riduzione della stampa
periodica colpì in quell'anno la rivista del B. il cui
ultimo numero fu quello di settembre-ottobre.
Il 22luglio 1941 morì la madre.
Come scrisse al Bietti il 7 agosto (lettera in Bedeschi, B., p.
226), egli si sentì improvvisamente solo. Il 2 ottobre
scriverà al Niccoli (Biblioteca Naz. di Firenze, cassetta
446, cart. 33): "Io ho avuto sempre più la sensazione di
essere una pianta di edera strettamente abbarbicata al tronco
solido della sua forza e della sua volontà". Quando,
nell'autobiografia (pp. 448-457), cercherà di cogliere
l'influenza esercitata su di lui da questa donna, avrà
presente soprattutto gli ultimi anni, quando, cioè, "l'idea
che i verdetti ecclesiastici potessero... non avere una sanzione
divina" aveva modificato l'atteggiamento che essa aveva tenuto
durante gli anni più tormentati.
Al dolore per la morte della madre si aggiunsero le angustie per
le ristrettezze finanziarie. Non volendo egli chiedere aiuto al
Cagnola, il Bietti cercò, in qualche maniera, di venirgli
incontro (si veda la lettera a questo del 18 ottobre del 1941 in
Bedeschi, B., p. 226) e gli acquistò parte della sua
biblioteca per conto del seminario milanese di Venegono.
Nel 1942 l'editore Corbaccio di Milano pubblicò il primo
dei tre volumi (gli altri saranno pubblicati l'anno successivo)
della sua Storia del cristianesimo (condannata e posta all'Indice
il 16 dic. 1942: Acta Apost. Sedis, XXXIV [1942], p. 375).
Nell'opera il B. compendiò e riassunse tutte le sue
ricerche precedenti (anche gli scritti di cronaca politica e
vaticana, poiché il terzo volume arriva fino al concordato)
esponendo lo "sviluppo del fatto cristiano nella storia" com'esso
gli era apparso in ormai quarant'anni di ricerche. Esso non
è, però, un vero e proprio "sviluppo", ma solo un
drammatico alternarsi di reviviscenze e di degenerazioni:
l'esperienza religiosa rinasce continuamente per essere
immancabilmente costretta entro gli schemi del dogma,
dell'ortodossia, della disciplina ecclesiastica. La traduzione in
tedesco dei primi due volumi dell'opera presso l'editore A. Franke
di Berna (il terzo, per la morte del traduttore H. Markum, non
è mai stato pubblicato) la rese accessibile ad un numero
maggiore di studiosi, suscitando vari giudizi: a coloro che hanno
considerato il libro da un punto di vista puramente critico, esso
è apparso del tutto inaccettabile (C. Schneider, in Gnomon,
XXIV [1952], pp. 291-292); chi, invece (W. Wölker, in
Deutsche Literaturzeit., LXXIV [1953], coll. 133-138), mostra di
essersi documentato sulla figura e sulla personalità
dell'autore e giudica l'opera da un punto di vista più
ampio, ha potuto dare del libro un giudizio diverso,
sottolineandone la "forza della visione d'insieme".
Con decreto del S. Uffizio del 17 maggio 1944 (Acta Apost. Sedis,
XXXVI [1944], p. 176) tutte le opere del B. pubblicate dopo il
1924 vennero poste all'Indice: è questo l'ultimo
provvedimento ecclesiastico che lo abbia colpito.
Con la caduta del governo fascista venne meno la ragione del suo
esonero dall'insegnamento e il B. chiese, di conseguenza, la
reintegrazione. Il 21 ag. 1944, scrisse, pertanto, in tal senso al
ministro della Pubblica Istruzione, Guido De Ruggiero (si veda la
lettera in Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp. 540 s.,
doc. n. 152), ma questi rispose prospettandogli la
difficoltà frapposta dall'articolo 5 del concordato. Il B.
ribatté al ministro ricordando che al concordato non era
stato dato valore retroattivo ed il 6 marzo 1945 scrisse al nuovo
ministro, V. Arangio-Ruiz. Ma, come esplicitamente ammise la
stessa S. Sede (L'Osservatore romano del 22-23 apr. 1946), vennero
esercitate, tramite il nunzio in Italia, monsignor Borgongini
Duca, pesanti pressioni sul governo italiano, per cui, quando il
B., con decreto del 12 apr. 1945, venne, a tutti gli effetti,
reintegrato nella carriera dal 1º genn. 1932, con decreto di
pari data, fu incaricato di attendere a studi sul gioachimismo del
Duecento e Trecento.
Nell'ottobre del 1945 il B. pubblicò a Roma la sua
autobiografia: Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo.
"Tra poche settimane - scriveva al Bietti il 9 luglio (si veda
Bedeschi, B., p. 264) - uscirà il volume delle mie memorie.
Porta il titolo che è tutto il mio programma. Ma si tratta
di un pellegrinaggio che è giunto al suo termine e che si
conclude nettamente con un risoluto e irrevocabile esodo". Il
libro, che ebbe un'eco molto vasta, è un'appassionata
"apologia pro vita sua" e, insieme, come ha detto A. Pincherle
(Rivista di storia e letteratura relig., I [1965], p. 171), una
"historia calamitatum", nella quale tutte le vicende della sua
vita appaiono riconsiderate alla luce delle sue esperienze
più recenti; per questo le pagine conclusive sono molto
importanti per comprendere quale fosse, in un momento che egli
sentiva come una svolta radicale nella storia dell'umanità,
il suo atteggiamento spirituale e morale. Egli sente di
appartenere alla "generazione dell'esodo", a quella generazione
cui è dato, non solo assistere, ma anche compiere la
rottura dell'angustia della religione sclerotizzata nella legge e
nella disciplina ecclesiastica, per far rivivere la vera, genuina
esperienza religiosa.
Come scrive a E. Santarelli il 15 nov. 1945 (si veda Rassegna
marchigiana, III[1950], p. 12), sente di vivere "una nuova
primavera di febbrile lavoro"; fonda nel marzo Il Risveglio,
Settimanale di tecnica della vita associata, e poi il 1945,
Sestante della realtà in costruzione, il cuiprimo numero
uscì il 16 giugno.
Dal settembre del 1944 egli aveva, intanto, ripreso le lezioni
presso l'Y.M.C.A. Nel 1945-1946 esse avevano ad oggetto Il
problema religioso e l'Italia e vennero seguite da un gruppo di
studenti universitari che invitarono il B. a trasferire il suo
corso in un'aula dell'università, avanzando, in tal senso,
richiesta al rettore. Questi, dopo qualche esitazione, la concesse
e il 29 genn. 1946, il B. poté tenere lezione in un'aula
dell'università di Roma. Egli prese ad oggetto di queste
lezioni le epistole paoline, ma, dopo la prima, esse furono
interrotte per diretto intervento del nunzio apostolico (Bedeschi,
B., p. 452); il 23 febbraio poté riprenderle; il 16 marzo
tenne l'ultima di esse. Nella notte sul 17 si manifestò,
infatti, improvvisamente, la malattia, una miocardite che, nel
pomeriggio del 19, apparve gravissima. Nella notte sul 17, il B.
dettò il proprio testamento spirituale (lo si veda in
Pellegrino..., pp. 512 s.): il suo attaccamento, tante volte
riaffermato, alla Chiesa romana appare definitivamente incrinato:
"Mi sento partecipe, in speranze e comunione, con quella nuova
chiesa cristiana ecumenica, a cui ho veduto lavorare quelle
denominazioni evangeliche che mi sono sempre apparse salutarmente
travagliate da un autentico spirito di fraternità, di pace
e di vita carismatica nel mondo".
Pochi giorni dopo si presentò a lui il cardinal Francesco
Marmaggi; recava le condizioni poste dal Vaticano per la sua
riammissione nella Chiesa: avrebbe dovuto sottoscrivere una
dichiarazione in cui affermava di accettare tutto ciò che
la Chiesa professa, riprovando tutto ciò che essa riprova.
Il B. rifiutò (si veda il biglietto scritto a C. Barbagallo
in L'Avanti! del 27 aprile).
Morì il 20 aprile 1946.
Nel B. lo storico ed il pensatore religioso sono strettamente
connessi, sì che non è possibile dare un giudizio su
uno di questi due aspetti della sua personalità
prescindendo dall'altro. Come ebbe a definirla nel 1908, per il B.
l'esperienza religiosa fu essenzialmente "escatologia, attesa,
cioè, impaziente di ultimi eventi"e chi ne scorra gli
scritti si accorge facilmente che l'attesa di una palingenesi
imminente e radicale è forse la vera nota dominante, il
vero Leitmotiv, del suo pensiero. Se è certamente vero che
questa palingenesi, durante gli anni della sua giovinezza, ha una
coloritura mondana e "sociale" piuttosto marcata, a ben guardare,
anche in quegli anni, essa non esorbita mai dal piano religioso:
in ultima analisi, non coglieva nel segno il rimprovero del
Tyrrell che il suo fosse "un regno di Dio puramente economico". Al
contrario, solo tenendo conto di tale iniziale atteggiamento, che
non verrà mai veramente meno e che riaffiorerà in
maniera significativa nei suoi ultimi anni, è possibile
rendersi conto esattamente di che cosa egli intendesse per
"escatologia" e, di conseguenza, come vedesse la stessa esperienza
religiosa: escatologia è l'attesa di un rovesciamento
totale della realtà, rovesciamento che è, insieme,
spirituale e materiale. Di questa palingenesi, egli si
sentì sempre - e ciò andò sempre più
accentuandosi nel corso della sua vita - l'annunciatore; e
"profetica", come ha più volte posto in evidenza Giorgio
Levi Della Vida, è, nella più riposta essenza, la
sua religiosità. Egli annunciò la rigenerazione
della Chiesa, che a lungo cercò di identificare con la
Chiesa romana, ma che, in realtà, altro non era se non la
κοινωνία, per adoperare una sua caratteristica espressione, di
coloro che sarebbero stati partecipi di quella palingenesi. Per
lui, l'esperienza religiosa non è mai, infatti, singola e
individuale, ma sempre qualcosa che interessa un gruppo, una
collettività. Ciò spiega anche, in parte, la ragione
per la quale, nella sua prima formulazione, essa sembrò
identificarsi col socialismo.
Questa sua prospettiva religiosa ha inciso in maniera determinante
sul suo lavoro di storico. Quando il B. si affacciò al
mondo intellettuale nei primissimi anni del secolo, l'avvenimento
più saliente nel campo degli studi religiosi era certamente
la controversia Harnack-Loisy, ma egli, pur professandosi, allora,
ammiratore del Loisy, non seppe cogliere la profonda intuizione
storica che era alla base de L'Evangile et l'Eglise e, di
conseguenza, la più che fondata critica alle affermazioni
dello Harnack; e, dallo Harnack, raccolse, sia pure
indirettamente, la concezione che il cristianesimo fosse
storicamente schematizzabile in un nucleo centrale attorno al
quale sarebbe avvenuta una vera e propria superfetazione di
elementi estrinseci. Di conseguenza, egli intese il lavoro dello
storico essenzialmente come il lavoro di rimozione di questi
elementi estrinseci, allo scopo di riportare alla luce il nucleo
originario del cristianesimo, per cui egli fu portato a vedere in
esso un momento essenziale della stessa esperienza religiosa. In
una lettera al Cagnola del 6 giugno 1958 (si veda Bedeschi, B., p.
380) aveva affermato di essersi sentito chiamato a liberare
l'essenza del cristianesimo dalle sue sovrastrutture,
atteggiamento questo che permette di comprendere bene la sua
inesauribile carica di proselitismo, che gli procurò una
così tenace ostilità da parte della Curia; che
spiega il suo disperato attaccamento alla cattedra, l'affermazione
più volte ripetuta che l'insegnamento era per lui la vera
esplicazione della sua missione sacerdotale: il fatto che il suo
vero mezzo di espressione fosse piuttosto la voce che la pagina
scritta.