BRUERS Antonio


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Letterato e studioso italiano di filosofia (Bologna 1887 - Roma 1954); vicecancelliere dell'Accademia d'Italia (1929-43), segretario della Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani", scrisse di varî argomenti, dedicandosi particolarmente agli studî dannunziani (G. D'Annunzio, il pensiero e l'azione, 1934; Nuovi saggi dannunziani, 1938, 2a serie 1942).

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DBI

di Eugenio Garin

Nacque a Bologna il 13 febbr. 1887 da Emanuele e da Pia Bernardi. Il padre, un belga, figlio di un "cattolicissimo" medico di Bruxelles, era venuto a studiare medicina a Bologna nel collegio dei Fiamminghi; a Bologna si era laureato e sposato, "italianizzandosi al punto di non aver mai insegnato il francese ai figli". La madre, di buona famiglia bolognese, aveva ascendenti di nobiltà ferrarese. Bologna, e più tardi Roma, furono le città in cui più visse il B.: la fanciullezza, gli studi al Galvani dove non riuscì a prendere la licenza ginnasiale, le prime letture dannunziane, la passione per le lettere gli ispireranno alcune pagine fra le sue più degne (La voce di Bologna, Roma 1942, e, accresciuta, Milano 1943). Con la morte del padre scomparve l'unica autorità che avrebbe potuto indurre il B. a "sopportare il tormento degli studi regolari"; difficoltà pratiche lo spinsero, sedicenne, nel 1903, a lasciare l'Italia e a cercare appoggio e lavoro a Bruxelles, presso i parenti. L'esperienza belga, fra il 1903 e il 1905, fu importante: impiegato presso un grossista di seterie, imparò il francese, ascoltò Wagner, lesse caoticamente soprattutto di filosofia: tutto Nietzsche; attraverso Wagner, Schopenhauer; i materialisti Büchner e Haeckel, di cui dirà di avere scoperto solo più tardi "il carattere velenoso". Tornato in Italia, pubblicò presto a Milano, nel 1909, una Filosofia della vita;ma è dal 1908 che faceva cominciare la sua carriera con un articolo La memoria (e poi, subito: Libero, arbitrio,Filosofia e spiritismo)su Luce e ombra (VIII, pp. 407-411, 503-510, 601-606), la milanese Rivista mensile illustrata di scienze spiritualiste, fondata nel 1901 da Angelo Marzorati quale "organo della Società di studi psichici", per accompagnare e incrementare "con amore il rinnovamento spiritualista che caratterizza il grandioso momento storico che attraversiamo".

Era un risvolto caratteristico del declinante positivismo, quando la "scienza" cercò un surrogato "sperimentale" della fede nello "spiritismo". Campi di ricerca della società, e della rivista, la trasmissione del pensiero, l'ipnotismo, la suggestione, la medianità, le "forze mal definite", sotto la presidenza onoraria di Antonio Fogazzaro, e con l'assistenza di uomini come W. Crookes, C. Flammarion, Th. Flournoy, C. Lombroso, O. Lodge, E. Morselli, C. Richet. Per il B. l'incontro col Marzorati e con la "ricerca psichica" fu in certo modo decisivo: redattore capo della rivista dal 1908 al novembre del 1931, direttore dal dicembre del '31 al giugno del '34, seguì partecipe per ventisei anni un tipo di produzione a dir poco singolare, riconoscendo nel Marzorati il "maestro" di cui traccerà alla morte un commosso ricordo. Lo "spiritismo" venne a costituire lo sfondo del suo pensiero di autodidatta, giustificando un nebuloso "spiritualismo" che ammetteva, col Marzorati, il Dio uno e trino, Gesù Cristo, e i fenomeni medianici come tramite col mondo degli "spiriti". Il B. credette di trovare così gli argomenti per superare idealismo e materialismo, razionalismo e immanentismo, e le antinomie di scienza e fede. Da quell'angolo visuale non solo studiò la magia di Campanella ma perfino la poesia di D'Annunzio; all'insegna di Luce e ombra pubblicò e ripubblicò i suoi Poemi (poi Poemetti) spirituali (Roma 1912, 1919, 1928: ma vedi anche Myricae filosofiche, Roma 1953). Riunì la fitta collaborazione alla rivista nel volume La ricerca psichica (Bologna 1941), che è dei suoi più caratteristici, anche se appare ormai come il prodotto fuori tempo di un clima diffuso, e non solo in Italia, prima del 1914, che in parte la guerra spazzò via, ma che aveva sedotto anche logici rigorosi come Vailati. Nel B., e non a caso, lo "spiritismo" costituì l'accesso equivoco di un autodidatta ai grandi pensatori, interrogati sistematicamente, più che sulle loro dottrine specifiche, sul destino dell'anima e sul mistero che fascia il sapere dell'uomo. Nell'articolo Il darwinismo, uscito nel 1909 in una rivista milanese a cui collaborò più volte, Il Mannello (poi in Scritti filosofici, Bologna 1941, pp. 45-65), già separava nettamente quello che nelle scienze è "ricerca spassionata della verità" dalle concezioni generali ("concetto materialista o idealista"), difendendo attraverso la consapevolezza dei limiti della scienza uno spazio, non solo per il mistero, ma per "un Principio eterno, infinito, imperscrutabile, perfetto, che governa l'universo e soprattutto l'uomo".

A tale prospettiva il B. rimase fedele anche quando il suo cattolicismo si fece più acceso. Significative in proposito le vicende del saggio T. Campanella spiritualista uscito nel 1922 su Luce e ombra (XXII, pp. 290-301) ripreso nel volume Pensatori antichi e moderni (Roma 1936, pp. 95-110), rifuso nel volume Lametapsichica (Roma 1951, pp. 35-58), che è poi il testo di una conferenza del '51presso l'istituto di fisiologia dell'università di Roma, ove il cattolico Campanella è presentato quale precursore dello spiritualismo e della metapsichica, ma, anche, di una scienza sperimentale non dogmatica.

Dall'aprile del 1910 a Milano, poi dal 1911 al 1912 a Roma, il B. pubblicò L'Idea moderna, "singolarerivistina intieramente e anonimamente redatta" da lui, nella quale più tardi amò ritrovare i "precorrimenti", non solo delle proprie posizioni politiche e religiose, ma anche, secondo l'andazzo dei tempi, delle dottrine del fascismo soprattutto dopo la svolta della conciliazione. In realtà, in pagine a volte comuni agli articoli di Luce e ombra, si incontra una lettura giobertiana tesa a sottolineare ogni accento "antiimmanentistico" e nazionalistico, "identificando nella dottrina trascendentalista la tradizione filosofica del pensiero italiano". Tale il nocciolo di una conferenza tenuta il 27 maggio 1910 al Circolo di filosofia di Roma, presieduto dal Barzellotti, in cui il B. si opponeva all'interpretazione idealistica riaffermata dal Gentile. Non si trattava però di un rigoroso approfondimento: giornalista e divulgatore - al Divulgare la filosofia dedicò un saggio nel 1931 (Pensatori antichi e moderni, pp. 24-29) -, stemperava nella sovrabbondanza delle pagine e in toni edificanti ogni sforzo di caratterizzazione degli argomenti: i suoi temi sono ormai tutti dichiarati, ma più che riunirsi, come egli credeva, in una sintesi, si confondevano in una nebulosa mescolanza: lo "spiritismo" con lo "spiritualismo", la trascendenza e il cattolicismo; Campanella con Gioberti e D'Annunzio; la filosofia con la poesia e la musica; ben presto, a armonizzare tutto, Mussolini e il fascismo; alla fine, dopo la catastrofe, l'accentuarsi di una esasperata tematica cattolica. L'alone irrazionalistico dovunque circolante in Europa sembrava offrire facili appoggi alle divagazioni del B., che nel 1934 richiamava con orgoglio una professione di fede del 1910: "di razionalismo l'epoca presente non vuol saperne, e fa bene". Il razionalismo, proprio perché definito, è statico e chiuso; "ciò che nasce, parte dall'indeterminato, non dal determinato... Il mondo attuale è tutto una rinascita" (Gabriele D'Annunzio: il pensiero e l'azione, Bologna 1934, p. 84).

Esponente tipico di un certo giornalismo "letterario" fiorito fra il 1910 e il 1940, il grosso dell'opera sua - ma non il meglio - furono articoli di giornale, poi variamente combinati, utilizzati, raccolti; indicative le sue stesse collaborazioni, dal Resto del Carlino alla Tribuna e al Giornale d'Italia, dal Popolod'Italia a Lavoro fascista e a Gerarchia, fino all'Osservatore romano dopo la seconda guerra mondiale. Non a caso il Popolo d'Italia del 6 luglio 1915 pubblicava un suo articolo Il pensiero giobertiano e l'attuale conflitto europeo, in cui si dimostrava come l'intervento italiano fosse conforme alle tradizioni giobertiane. Allorché, alla vigilia della seconda guerra mondiale, il B. riunì in volume i suoi Scritti politici (Bologna 1939), e particolarmente gli articoli di Gerarchia, di cui era stato assiduo e fecondo collaboratore fin dall'inizio, nel 1922, con vanità un po' ingenua amò atteggiarsi a precursore ("avrei potuto muovere dall'aprile 1908"), ricercando nelle proprie produzioni di ventenne la "divinazione" della "logica fatalità della dottrina e dell'azione fascista". Spiritismo e corporativismo, giobertismo e dannunzianesimo, tradizione e futurismo, scienza e arte: ecco i compositi ingredienti di quella filosofia sintetica spiritualistica, che bandita dai fogli fascisti aveva strappato a Gramsci il feroce commento: "un famoso parabolano arruffone, ... uno dei tanti tappi di sughero che salgono sulle creste melmose dei bassifondi agitati" (Letteratura e vita nazionale, p. 190). Va però aggiunto che la vocazione irenica dell'uomo, e il suo costante mantenersi sulla superficie dei grandi conflitti della storia, se tolgono mordente ai suoi interventi, li liberano anche da ogni aspetto sinistro. Svincolate dai truculenti contesti di certi periodici ufficiali, le pagine del B. si riducono al mite commento retorico di una vicenda spogliata di ogni drammaticità.

I saggi che preludevano e chiosavano la conciliazione, raccolti in particolare nei volumi La questione romana (Roma 1924), La missione d'Italia nel mondo (Foligno 1928), L'Italia e il cattolicismo (Firenze 1929), avevano interpretato sui fogli ufficiali del regime un atto decisivo della politica fascista come l'adempimento di una missione risorgimentale, e l'inizio per l'Italia, dopo un'età di crisi, di un nuovo "medioevo" quale epoca organica di sintesi e restaurazione armonica ("pura e severa patriarealità"). Il B. chiamava a testimoniare pensatori e poeti, da Vico a Romagnosi, ma soprattutto Gioberti e D'Annunzio, presentati come antesignani del suo "trascendentalismo italico e cristiano". E poiché era tempo di frasi lapidarie amò punteggiarne le sue pagine: "il rombo delle macchine soffoca la voce dello spirito"; "l'avvenire d'Italia sarà proporzionato alla nostra capacità di rievocazione del passato"; "chi vuoi rendere possibile un Augusto deve avere oggi l'anima di un Cincinnato". Né mancò l'attacco, d'obbligo per i cattolici fascisti dopo il '29, contro Nmmanentismo hegeliano e idealistico, onde ebbe a polemizzare con Camillo Pellizzi (vedi Il lavoro fascista del 23 e 29 agosto e dell'11 sett. 1929).

Vicecancelliere della Reale Accademia d'Italia dal 1929 al 1943, ordinatore della biblioteca e degli archivi del Vittoriale degli Italiani (vedi Nuova antologia del 16 ott. 1934), di cui compilerà anche una guida (Il Vittoriale degli Italiani. Breve guida, Roma 1941; 3 ediz., 1952), il B. si divide fra Mussolini e D'Annunzio. A D'Annunzio, dopo una delle "medaglie" del Formiggini (Roma 1924), dedicherà tre volumi di saggi (oltre quello già citato, vedi i Nuovi saggi dannunziani, prima e seconda serie, Bologna 1938-1941), alcuni dei quali lietamente accolti dallo stesso poeta ("ho scorso con stupito piacere le vostre pagine... ho trovato in esse la profondità del veggente"), di cui si sottolineavano insospettate convergenze con lo "spiritualismo", la mistica e le teorie del Myers sul "subliminale", non senza facili punte polemiche contro Croce ("scolastico della critica estetica", privo del "magico potere di evocazione").

Ai citati volumi dannunziani, filosofici, metapsichici e politici, altri tre ne vanno aggiunti, letterari e storici (Problemi della letteratura italiana, Bologna 1938; Scritti storici, Bologna 1942; Saggi sulla letteratura italiana e straniera, Bologna 1943). In tal modo, fra il 1934 e il 1943, il B. raccoglieva (in genere presso lo Zanichelli) in una decina di volumi quasi tutta la sua produzione, che al Calcaterra sembrava "estrosa" (Convivium, IX [1937], pp. 471-472), ma che in realtà veniva rivelando l'intima fragilità e il carattere giornalistico, pur disegnando un itinerario esemplare, comune a non pochi uomini di cultura fra cattolicismo e fascismo nel periodo fra le due guerre mondiali. D'altra parte questo non deve far dimenticare l'utile lavoro che il B. venne facendo come editore di Campanella (Del senso delle cose e della magia, Bari 1925), come bibliografo di Gioberti (Gioberti, Roma 1925), come compilatore di un fortunato catalogo storico-critico delle opere di Beethoven (Roma 1940; 4 ediz. aumentata, 1951). A questo tipo di contributi è affidato il miglior ricordo dello studioso, dal 1940 anche libero docente di storia della letteratura italiana all'università di Roma.

Fra il 1942 e il 1943, nella catastrofe incombente, si accentuarono nel B. i toni religiosi e le professioni di fede cattolica. Esce a Roma nel 1942 (2 ediz., 1944) il Gesù nel secolo ventesimo, che si definisce un "alato richiamo allo spirito di Gesù" (di poco posteriore Paolo ambasciatore di Cristo, Roma s.d., ma 1944). È del 28 maggio 1943 il discorso all'Angelicum di Roma sulle prese di posizione "cristiane" di Croce e di Gentile, soprattutto di Gentile (Il cattolicesimo e G. Gentile, Roma 1943). Nel volumetto Palingenesi, che nel '43 stampava a Milano dal Cordani, e in cui ripercorreva il proprio cammino dal 1910 e dava un elenco dei suoi scritti, il B. insisteva sulla necessità di una radicale palingenesi ("chi dissotterrerà... cose morte, non farà altro se non contagiarsi di morte").

Dopo la guerra nell'attività del B. prevalsero i contributi musicali: su Wagner (Guida alle opere di Wagner, Roma 1949), su Vivaldi (Siena 1949), su Verdi (Roma 1951), mentre proseguiva la produzione di tono fortemente religioso (sulle forzature dello Shakespeare cattolico, Roma 1952, sono da vedere le riserve della Civiltà cattolica, CV [1954], n. 2, pp. 293-294). Soppressa l'Accademia d'Italia, aveva ripreso l'attività nella cancelleria dell'Accademia dei Lincei.

Morì a Roma il 29 nov. 1954.