Brofferio, Angelo
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Politico e scrittore (Castelnuovo Calcea 1802-Locarno 1866).
Coinvolto nella congiura dei Cavalieri della libertà, venne
arrestato a Torino nel 1831, e poi rilasciato in seguito a
rivelazioni fatte a prezzo dell’impunità. Nel 1835
iniziò la collaborazione al Messaggiere del commercio,
alternando a scritti polemici composizioni drammatiche. Fautore tra
i primi di una Costituzione in Piemonte, deputato, fu uno dei capi
delle Sinistre subalpine e dal 1848 alla morte fu sempre
all’opposizione. Autore di drammi di carattere propagandistico,
riuscì meglio come poeta dialettale. Le sue opere storiche,
Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri (5 voll., 1849-52), i
Miei tempi (23 voll., 1857-64), Storia del Parlamento subalpino (6
voll., 1865-69), sono frutto di passione politica immediata.
***
DBI
di Enzo Bottasso
Nacque il 6 dic. 1802 a Castelnuovo Calcea (Asti). Il padre,
Giuseppe, proveniva come la madre, Margherita Pavia, da una famiglia
di medici e ricoprì a Castelnuovo la condotta medica e la
carica di maire fino alla Restaurazione; nel 1817 si trasferì
a Torino dove acquistò qualche fama nell'esercizio della
professione e trovò modo di farsi conoscere con pubblicazioni
sul vaccino e sull'ermomesi splenica. Da lui il piccolo Michelangelo
(che preferì chiamarsi Angelo fin dagli anni di scuola, per
sottrarsi agli scherni dei condiscepoli per la sua scarsa attitudine
al disegno) attinse e l'entusiasmo per i principi rivoluzionari e
repubblicani e una certa vena poetica, affiorata fin dagli anni
degli studi ginnasiali, seguiti ad Asti, con un poemetto in versi
sciolti ricco di reminiscenze dell'Eneide. Ma soprattutto il teatro
sollecitò la sua fantasia fin dal tempo dei giuochi e dei
trattenimenti fanciulleschi a Castelnuovo, e ad esso si rivolse
naturalmente il B. come alla forma d'arte più efficace ed
impegnata nell'esprimere i suoi sentimenti e le sue convinzioni,
allorché seguì la famiglia a Torino per compiere gli
studi di filosofia e quindi di giurisprudenza.
All'Alfieri, suo ideale modello e maestro, e precisamente alla
Merope s'ispirò un primo abbozzo di tragedia, Camna. Ad esso
tennero dietro le tragedie Geta, Calloda (d'ambiente nordico, data
alle stampe più tardi, nel 1822) e Gli adoratóri del
fuoco: l'ultima, col mutato titolo di Sulmorre, venne finalmente
accettata dal capocomico Luigi Favre che la rappresentò al
Teatro d'Angennes nel novembre 1821, per tre sere consecutive. Il
successo, sia pur modesto, richiamò l'attenzione della
polizia sul B., del quale era sfuggita la partecipazione
all'occupazione dell'università nel gennaio, alla
dimostrazione costituzionale e alla successiva ritirata su
Alessandria del marzo nelle indagini istruttorie "contro gli autori
e i complici della rivoluzione seguita a San Salvario". Fu quindi
allontanato dall'università e da Torino per un periodo di sei
mesi (ridotti in effetti a due e trascorsi presso ospitali amici),
il che non gli impedì di superare nel giugno 1822 l'esame di
licenza, seguito l'anno dopo dalla laurea in legge.
L'esercizio della professione non impegnò troppo,
inizialmente, il giovane volto ad inseguire soprattutto i propri
sogni di gloria teatrale: G. Moncalvo, applauditissimo "Meneghino",
gli mise in scena Il Corsaro, ispirato da Byron, La foresta dei
fantasmi, Due terrazzani a Torino e Il ritorno del signor zio; la
compagnia Bellini Il castello di Kenilworth; quella di L. Romagnoli,
A. Bon, F. Berlaffa Wildegarda e Ildruido d'Inisfela. Poco prima di
raggiungere (maggio 1825) l'agognata cornice del Teatro Carignano,
dove la Compagnia reale sarda gli rappresentò l'Eudossia, il
B. fece il suo primo viaggio nel Lombardo-Veneto, per entrarvi in
contatto con un ambiente letterario più vivace e brillante.
A Milano conobbe Tommaseo e Monti; D. Bertolotti gli pubblicò
sul suo Nuovo Ricoglitore, in due successive puntate, un gruppo di
canzoni col titolo di Un sogno della vita, ripetuto nell'agosto sul
volumetto in cui l'editore A. F. Stella riprodusse le stesse canzoni
con un'altra più lunga, Il lamento di Dante, facendole
precedere da un ritratto dell'autore disegnato da A. Boucheron sul
gusto di quelli del Foscolo premessi all'Ortis. Fu poi a Verona,
Padova, Arquà ed a Venezia frequentò Isabella Teotochi
Albrizzi, sempre su presentazione del Bertolotti.
Nuova uscita dai confini piemontesi nella primavera del 1826, per un
soggiorno a Parigi dove ebbe rapporti col deputato dell'opposizione
Alexandre de Lameth, già prefetto napoleonico a Torino, al
quale dedicò l'ode La caduta di Missolongi, ristampata l'anno
seguente a Lugano con altre del Niccolini e dell'Angiolini; e nuovi
successi in patria con la rappresentazione al Teatro Carignano della
tragedia Idomeo, dallo stesso B. definita una trasposizione in
ambiente assiro della vicenda del Druido d'Inisfela, e il poemetto
Le lagrime dell'amore pubblicato da G. Pomba. Ma le impressioni
ricavate dal contatto con la vita teatrale parigina e il consiglio
di amici aqori, in particolare di Gaetana Rosa, lo spinsero verso la
commedia, più congeniale alla sua vena e meno suscettibile di
ostacoli da parte della censura. Lo zio della Rosa, G. Bazzi,
fondatore e direttore della Compagnia reale sarda, accolse nel suo
repertorio ben quattro di questo commedie insieme con un nuovo
dramma storico, Angelica Hoffmann (o Kauffmann): Mio cugino,
semplice intrigo di "qui-pro-quo", Il vampiro, da un racconto di J.
W. Polidori, La saviezza umana e Salvator Rosa.
Dopo aver visto Il Corsaro messo in scena a Verona, il B. provava
così la soddisfazione di venire applaudito a Genova, a
Firenze e particolarmente a Napoli, dove nel 1828 la compagnia
Tessari diede La saviezza umana,Salvator Rosa e una nuova commedia,
Ilritorno del proscritto.
Fra l'autunno del 1827 e l'estate de 1828, anzi, il B. interruppe
affatto l'esercizio professionale per un lungo soggiorno a Roma,
dove conobbe i decani della tradizione teatrale
realistico-goldoniana, F. Avelloni e G. Giraud, e a Napoli dove fu
ammesso all'Accademia Pontaniana. Ancora due anni più tardi
fu la "Nuova biblioteca drammatica" edita a Roma da A. Boulzaler a
dare per prima alle stampe col sempre celebre Mio cugino anche uno
scherzo comico composto durante quel soggiorno, L'arrivo dei
cinquant'anni, a consacrare cioè con la pubblicazione alcuni
dei successi che fecero balenare per qualche tempo al giovane
avvocato il miraggio di "diventare poeta comico". Ambizione
accarezzata ancora in qualche misura pur dopo il ritorno a Torino e
alla professione, con Iviaggiatori,Il faccendiere,Il curioso e la
gelosa.
Un'altra breve interruzione forzata della carriera forense
intervenne nel 1831 a imprimere un diverso, più fortunato ed
originale indirizzo alla vocazione letteraria del B., già
ripiegata sugli sfoghi lirici dopo l'ineguale accoglienza riserbata
nel 1829 alle ultime sue commedie. Si era venuto impegnando dopo la
rivoluzione di luglio, coi fratelli Durando, due medici e alcuni
ufficiali, nella setta massonica dei Cavalieri della libertà.
Per essa stese un appello a Carlo Felice stampato clandestinamente,
insieme ad un suo sonetto ammonitorio e ad un proclama al popolo ed
all'esercito.
A questo impulso all'azione politica il B. univa.la persuasione
della mancanza "di un poeta popolare che parlasse a tutti con
famigliarità di fratello e con dignità di cittadino",
conseguente a quella "di una favella comune, viva, parlata, che al
popolo rappresentasse le sue idee, le sue immagini, le sue passioni
colle parole del popolo e non con quelle dei libri". Lo strumento
più idoneo per una siffatta poesia, atta a sfuggire gli
impacci della censura ed insieme a raggiungere gente d'ogni ceto e
d'ogni angolo del Piemonte assai meglio di qualunque spettacolo, fu
naturalmente il dialetto piemontese, già assurto a funzioni
di sfogo patriottico e di satira civile negli anni della rivoluzione
e dell'occupazione francese per merito del medico E. Calvo.
L'ingenuo e sprovveduto tentativo di rinnovare in Piemonte la
rivolta antiassolutistica parigina del 1830 fu scoperto per
l'imprudenza di un affiliato. Eccetto il medico P. Anfossi, Giacomo
e Giovanni Durando, riusciti ad espatriare in tempo, tutti i
congiurati furono arrestati ai primi di aprile 1831, e al B. fu pure
sequestrato il manoscritto di sette canzoni piemontesi d'ispirazione
politica, principio di una produzione che occupò i successivi
mesi di detenzione nella cittadella torinese. La posizione
certamente grave dei congiurati migliorò con la morte di
Carlo Felice (27 aprile) e l'avvento al trono di Carlo Alberto;
quasi tutti si decisero a confessare per beneficiare di un indulto
che fu negato solo a un impiegato dell'amministrazione militare, G.
Bersani, rinchiuso per sette anni a Fenestrelle. Il B. fu scarcerato
il 6 agosto; le "propalazioni" fatte al governatore Revel da lui
come da parecchi altri, per leggerezza o debolezza, non nocquero
probabilmente ad alcuno, ma gli vennero a lungo rinfacciate,
copertamente o apertamente, da avversari e rivali.
Conclusa in questo modo ogni velleità cospirativa, nonostante
gli inviti ricevuti da I. Ruffmi a nome della Giovine Italia, il B.
si dedicò per qualche anno esclusivamente alla professione.
Ma il ricordo dei successi mietuti nel decennio precedente lo
indusse a riprendere accanto ad essa la sua sempre feconda
attività di scrittore non appena si disegnò qualche
allentamento dei rigori della censura, frutto di una migliore
disposizione del governo di Carlo Alberto verso la cultura e le
lettere piernontesi. Nel 1835 ritornò al teatro col
Matrimonio per violenza, rappresentato con scarsa fortuna nel
novembre e pubblicato, con altre sette fra le sue commedie meglio
riuscite, in quattro volumetti di una "Biblioteca teatrale
economica"; e nell'estate dello stesso anno gli si aprì un
campo assai più vasto e fecondo di soddisfazioni letterarie
quando fu incaricato di redigere uWappendice di recensioni al
settimanale Messaggerie del commercio edito dal libraio Gaetano
Gabetti.
La vivacità critica del B. non tardò a trasformare lo
stesso carattere del giornale, che lo ebbe "estensore in capo" nel
1836 ed assunse carattere esclusivamente culturale col 1837, mutando
il titolo in Messaggiere torinese. Isuoi articoli di,
attualità spaziarono su tutte le materie ammesse dalla
censura, comprese le invenzioni, i viaggi, le scoperte geografiche e
simili. Il Pomba, che assunse la stampa del foglio per il solo primo
semestre del 1836, gli affidò allora anche l'incarico di
redigere una storia della tipografia in Piemonte. D'intento
copertamente polemico contro i riconfermati privilegi della
Stamperia reale, ostacolo a una piena espansione della rifiorente
editoria subalpina, lo scritto fu vietato e l'originale sequestrato
venne recuperato e pubblicato dal committente solo nel 1876, col
titolo di Cenni storici intorno all'arte tipografica e i suoi
progressi in Piemonte,dall'invenzione della stampa sino al 1835.
La spigliata vivacità delle prose del Messaggiere (raccolte
dallo stesso B. in due volumi, nel 1839, preceduti da un primo
saggio autobiografico su Come sono diventato giornalista) fece
spicco nell'atmosfera sonnolenta e conformista del tempo. Il
sovrano, benevolmente disposto verso tutti i fermenti intellettuali
del regno, procurò di non far troppo pesare le limitazioni
della censura sulle intemperanze dello scrittore e giunse
addirittura a suggerirgli, nel quadro dei mutati indirizzi della
propria politica estera, la composizione di una nuova tragedia
d'argomento italiano. Secondo l'andazzo segnato dalla foscoliana
Ricciarda, che proprio in quell'epoca aveva conosciuto la sua
massima fortuna editoriale, la trama fu ambientata nei secoli delle
dominazioni barbariche: ma Vitige re de' Goti, già allestito
dalla Compagnia reale per la rappresentazione, fu vietato all'ultimo
momento per sopraggiunte considerazioni di riguardo all'Austria e,
già stampato, venne messo in circolazione con la falsa data
di Parigi (1840).
Alla direzione del Messaggiere, divenuto bisettimanale politico,
oltre che letterario, nel 1848 e finito nel 1849, il B.
affiancò durante il 1840 quella del Dagherotipo, galleria
popolare enciclopedica concepito sulla scia dei settimanali
illustrati moltiplicatisi in quegli anni e per lo più
ricalcati da modelli francesi e inglesi (nel 1841-42 diretto poi da
L. Rocca e V. Angius), e fra il 1845 e il 1846 quella di una
consimile Galleria contemporanea. Si trattò soprattutto di
lavori di compilazione, come pure fu la redazione per conto
dell'editore Fontana di due imponenti pubblicazioni illustrate del
tipo allora in voga: le Scene elleniche contenenti "le
rappresentazioni di molti principali fatti e paesi dell'antica e
della nuova Grecia" (1844-46) e le Tradizioni italiane per la prima
volta raccolte in ciascuna provincia d'Italia e mandate alla luce
per cura di rinomati scrittori italiani (1847-1850). Si aggiunsero a
queste altre collaborazioni, come il profilo di V. Alfieri per la
Biografia iconografica degli uomini celebri che dal secolo X fino ai
dì nostri fiorirono nei paesi oggidì componenti la
monarchia di Savoia (1845).
Il successo di una prima edizione (uscita a Lugano nel 1839 e
riprodotta, senza autorizzazione della censura, nel 1843) delle
Canzoni piemontesi composte nell'anno per lui cruciale 1831 ed in
quelli immediatamente successivi indusse il B. a dar sfogo ai propri
sentimenti e alle proprie opinioni politiche nella forma più
congeniale alla sua vena poetica. La canzoncina facilmente
orecchiabile, scritta in un dialetto ricco e vivace, espressè
nel modo più efficace le venature sociali venute ad
arricchire le sue convinzioni democratiche d'origine così
scopertamente letteraria, alfieriana e foscoliana, e scoprì
un singolare brio polemico verso strumenti e manifestazioni
dell'opinione moderata quale veniva delineandosi mentre si faceva
più esplicito e consapevole l'impegno politico della sua
poesia, fra il 1840 e il 1847.
Eletto nel collegio di Caraglio nell'aprile 1848, il B. rimase
deputato al Parlamento fino alla morte, tranne due brevi
interruzioni nel 1853 e nel 1860. Si rivelò subito abilissimo
oratore, applaudito dalla Camera e ancor più dalle tribune.
Fin dalla prima legislatura, composta in prevalenza di uomini usciti
come lui dai movimenti e dalle correnti di opposizione dal 1821 in
poi, assunse entro la battagliera minoranza democratica una
posizione nettamente radicale (non volle però identificarsi
con alcun gruppo, e questo suo isolamento rese la sua inesauribile
attività parlamentare meno efficace). Presidente del Circolo
politico nazionale, attaccò vivacemente l'armistizio Salasco
e cercò di promuovere un'azione comune dei democratici
italiani attraverso intese con gli analoghi circoli di Genova,
Cagliari, Livorno, Firenze, Roma e Venezia, senza trascurare i
contatti con la giunta mazziniana di Lugano.
Verso la fine del settembre 1848 (come narrò poi sulla Revue
de Paris del 1856 il Montanelli), a coronamento dei contatti avuti
precedentemente in tal senso da E. Misley, ebbe due colloqui con
Carlo Alberto, ormai in urto aperto col presidente del Consiglio C.
Alfieri, in vista della costituzione di un ministero democratico che
avrebbe dovuto essere presieduto da Daniele Manin. Il tentativo
appena abbozzato falli per un'indiscrezione del Bianchi-Giovini su
L'Opinione del 27 settembre, dovuta forse a una manovra dello stesso
sovrano che aveva impostato l'iniziativa solo per ammonire la parte,
moderata con la quale si trovava in contrasto per questioni di
politica militare. Qualcosa del rinnovamento in senso democratico
dei comandi insistentemente chiesto dal B. filtrò tuttavia
nell'opera del ministero Perrone di San Martino, succeduto
all'Affieri l'11 ottobre, con la discussa nomina del deputato G.
Ramorino, già capo della spedizione mazziniana del 1834 in
Savoia, alla testa della 5ª divisione dei volontari lombardi.
L'affermazione, fra i vari circoli politici, della Società
per la Confederazione italiana (cui pure il B. aderì fin
dalla costituzione, mutando per un senso di riguardo la
denominazione del sodalizio da lui presieduto in quella di Circolo
politico federativo) attribuì al Gioberti un'indiscussa
preminenza entro l'opposizione democratica. A lui toccò
quindi nel dicembre la successione del ministero Perrone, contro il
quale si era collocato con asprezza il B. per i tentativi di
risolvere il conflitto con l'Austria attraverso la mediazione
franco-inglese. Ma l'urto fu ancora più violento col Gioberti
all'aprirsi della seconda legislatura, eletta nel gennaio 1849.
Interpellando il ministero (10-12 febbr. 1849) sugli "indugi della
mediazione", gli "apprestamenti di guerra", i contrasti con Roma e
Firenze, la "interpretazione da dare alla sovranità del
popolo", il B. lo accusò di essersi "radicalmente allontanato
dalle iniziali posizioni democratiche, per divenire espressione di
reazione".
Dopo tumultuosi dibattiti, il B. si risolse a lasciare la presidenza
del Circolo politico e rimase bersaglio di manifestazioni ostili,
fomentate o almeno tollerate dalla guardia nazionale, come il
più aspro avversario dei propositi di intervento in Toscana
che condussero all'allontanamento del Gioberti dal governo. Dopo
Novara chiese che il Parlamento si proclamasse in seduta permanente,
propugnò la guerra di popolo, l'estensione della cittadinanza
a tutti gli emigrati, ecc. La sua opposizione al trattato di Milano
fu di natura essenzialmente costituzionale (in polemica col Buffa,
che avrebbe riconosciuto al re il potere di stipulare trattati senza
Passenso del Parlamento) e in connessione con le non poche
violazioni dello statuto che egli accusava il governo di aver
commesso nei mesi precedenti. Passò poi a una posizione
marginale e ad una ripresa dell'attività pubblicistica e
professionale (anche come difensore del generale Ramorino, che venne
fucilato nel maggio in quanto riconosciuto colpevole di
disubbidienza). Al principio del 1849 aveva fatto uscire due grossi
volumi di Storia delle rivoluzioni italiane dal 1821 al 1848; rifuse
la stessa materia, con intonazione ben più decisamente
radicale, in una Storia del Piemonte dal 1814ai giorni nostri edita
in cinque volumi fra la fine del 1849 e il 1852. Nonostante la vasta
informazione, riuscirono opere soprattutto di giornalista, mentre
proprio la tribuna giornalistica veniva a mancare al B. con la fine
(dicembre 1849) del Messaggiere torinese per contrasti con la
proprietà. I fogli che succedettero al Messaggiere furono ben
lontani dal raggiungerne la fortuna e la popolarità: fallito
il tentativo di uno Stendardo italiano, gli successe nel settembre
1850 La Voce nel deserto col medesimo carattere politico-letterario,
trasformata nel 1852 in Voce della Libertà (affidata alla
direzione di G. La Cecilia) e finita nel secondo semestre 1855 col
titolo di Voce del Progresso commerciale.
Come su questi fogli, anche in Parlamento il B. si distinse
soprattutto per un accentuato anticlericalismo fino aTalleanza di U.
Rattazzi con il ministero Cavour. Dopo il "connubio" passò a
più aspre battaglie politiche antigovernative.
Contro il preteso trasformismo della soluzione di centro-sinistra
rivolse la violenta satira di un volumetto dedicato alle Fisionomie
parlamentari (uscito per le elezioni del dicembre 1853, che lo
videro escluso, sia pure per un mese soltanto, dalla Camera), di
quindici Nuove canzoni piemontesi sui piùsvariati temi di
politica interna ed estera, pubblicate in altrettante dispense fra
il 1854 e il 1855, e di un ultimo non felice tentativo drammatico,
Il Tartufo Politico, dove cercò di presentare come
espressione del più cinico arrivismo e di un pieno disprezzo
per ogni aspirazione alla libertà e all'indipendenza d'Italia
i tentativi di Cavour per giungere a un avvicinamento e a un'intesa
con la Francia di Napoleone III. Ma furono soltanto gli ultimi
sprazzi di una vena polemica che meglio avrebbe trovato risonanza e
mordente nell'ambiente stagnante di dieci o vent'anni prima.
Stimolo forse non sgradito al rinnovamento delle strutture,
soprattutto giudiziarie, dello Stato sabaudo (si batté sempre
strenuamente contro la pena di morte), il B. chiedeva l'abolizione
di tutti i privilegi, soprattutto ecclesiastici. e di vecchie
istituzioni feudali, quali la primogenitura, i fidecommissi, tasse
feudali, e l'adeguamento delle istituzioni ai principî
costituzionali. Osteggiò spesso la politica economica di
Cavour, pur appoggiandolo altre volte, soprattutto sul piano della
politica ecclesiastica. L'opposizione del B. divenne particolarmente
violenta contro la spedizione di Crimea e il lavorio diplomatico che
la seguì, fino all'alleanza e all'intervento francese. A lui,
come all'esponente più in vista della Sinistra, si rivolse
riservatamente Vittorio Emanuele II fra l'aprile e il maggio 1855,
quando ventilò il disegno di sostituire Giacomo Durando, il
suo antico compagno nella congiura dei Cavalieri della
libertà, al dimissionario Cavour.
Alle Nuove canzoni piemontesi seguirono solo sporadici saggi di
poesia dialettale d'ispirazione civile, con un poemetto in morte del
Béranger (1857)e due inni per la guerra del '59 e le
delusioni dell'autunno seguente, La piemonteisa e Ibogianen. La vena
sempre feconda del B., privo ormai di un proprio giornale,
trovò un più adeguato sfogo nell'ampia silloge di
memorie baldanzosamente intitolata I miei tempi. Particolarmente nei
venti volumi pubblicati a Torino fra il 1857 e il 1861 (cuitennero
dietro altri tre di una seconda serie, apparsa a Milano fra il 1863
e il 1864) alternò ai ricordi di gioventù frequenti
digressioni, episodi, polemiche riferibili anche a fatti
contemporanei, come il resoconto di Una visita all'Italia centrale,
cioè di un viaggio compiuto nell'estate 1859in Emilia e
Toscana per saggiarne la situazione politica, sembra a richiesta del
Rattazzi. Nonostante certa stanchezza affiorante nelle troppe
lungaggini e divagazioni, questa rimase l'opera più popolare
del B. dopo le canzoni piemontesi, riunite in una quinta e quasi
completa edizione nel 1858.
Assai meno significativi furono due tentativi storici in qualche
modo ricollegabili a quelli del 1848-52: una smilza biografia di
Giacomo Durando (1862) e sei grossi volumi di una Storia del
Parlamento subalpino, usciti a Milano fra il 1865 e il 1869,
abbraccianti le prime quattro legislature, compilati su mandato e a
spese del sovrano.
Nelle elezioni del '57, che videro il successo dei clericali,
suscitò grande entusiasmo la sua vittoria in ballottaggio nel
più aristocratico collegio di Torino (VII) contro il Revel:
su di lui si erano riversati tutti i voti liberali. La prospettiva
della guerra del '59 lo vide appoggiare il Cavour: votò per
il prestito e per i pieni poteri. Dopo Villafranca il B.
cercò di uscire dal suo isolamento alleandosi con Rattazzi e
successivamente anche con Garibaldi contro Cavour. Diresse nel
dicembre '59 lo Stendardo italiano, che nella sua brevissima vita si
segnalò per i suoi violenti articoli anticavouriani (cfr. del
B. Ilprogramma del "Connubio"). Fu presidente dei Liberi comizi,
società democratica che poi confluì nella Nazione
armata di cui fu presidente Garibaldi, affiancato da tutto lo stato
maggiore dei Liberi comizi. Fallita la campagna anticavouriana (che
si disse appoggiata dal re), il B. fu sconfitto in tutti i collegi
ove si presentò alle elezioni del '60. Egli accusò
Cavour di aver svolto un ruolo determinante in queste sconfitte.
Rieletto nel '61, manifestò la sua opposizione alla formula
"Libera Chiesa in libero Stato", ritenendola utopistica date le
circostanze. Fu pure contrario alle trattative con Roma, come
già lo era stato alla missione Bon Compagni a Bologna.
La salute vacillante e difficoltà economiche, dovute anche a
una vita famigliare alquanto disordinata, diradarono la
partecipazione del B. ai lavori del Parlamento e all'azione dei
Comitati di provvedimento per Roma e Venezia; soltanto nelle
polemiche contro la convenzione di settembre ritrovò in parte
l'antica vivacità: temeva che il trasferimento della capitale
a Firenze implicasse l'abbandono di Roma; difese poi vivacemente la
popolazione torinese accusata in Parlamento. Ultimo incarico
ufficiale fu la stesura di un inno di guerra per l'imminente
campagna del '66, che rinnovò in lingua l'impetuoso ritmo
della Piemonteisa. Se ne preparava una solenne esecuzione alla Scala
quando il B. si spense, nella sua villa della Verbanella presso
Locarno, il 25 maggio 1866.