L’interesse di Antonio Gramsci per il rapporto tra “alta cultura” e “cultura popolare” è presente nei Quaderni, anche se in forma non>organica e qualche volta con alcune contraddizioni, frutto di una riflessione che si è evoluta nel corso degli anni. Nel Quaderno Il del 1932->33, comunque. Gramsci fornisce una definizione che oggi potremmo inserire nel contesto degli studi demoetnoantropologici. La cultura po>polare o, com’egli la chiama, la “filosofia spontanea” è contenuta 1) nel linguaggio stesso, che è un insieme di nozioni e di concetti determinati e non già e solo di parole grammaticalmente vuote di contenuto;2) nel senso comune e buon senso:3) nella religione popolare e anche quindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere e di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama ‘folclore”.
Non è qui il caso di soffermarsi sulle lacune di questa definizione,
vecchia di 65 anni e formulata da un non specialista. Vale la pena,
invece, di cogliere gli aspetti innovativi che essa rivestiva nel
panorama intellettuale dell’epoca e gli elementi rivoluzionari che essa
può introdurre nella riflessione sulla cultura oggi, in epoca di
comunicazione, informatica e di riproducibilità elettronica,
Per arrivare a queste riflessioni intendo partire dall’analisi del
termine “popolare”, i cui confini semantici sono estremamente labili.
Nel dibattito scientifico delle scienze demo-etno-antropologiche
possiamo individuare due filoni di ricerca, che, per semplicità,
possiamo ricondurre alle posizioni di Saintyves e di Van Gennep.
Pierre Saintyves, nel suo Manuale del 1936 sostiene che la contrapposizione popolare/dotto sia più importante di quella tra dominante e subalterno, essendo prevalente non già l’appartenenza di classe (che Saintyves non trascura affatto), ma l’acquisizione di una determinata mentalità. Appartiene al popolare tutto ciò che si apprende al di fuori dell’istituzione scolastica e non necessariamente questo universo culturale è ricompreso dentro i confini di classe. “Il folklore - scrive Saintyves - è la conoscenza della cultura della maggioranza, in opposizione alla cultura delle persone istruite in una nazione civilizzata”.
Lo studioso francese tenta di separare il confine che passa tra
queste due culture da quello che separa i dominanti dai dominati sul
piano sociale e politico, non essendovi tra queste coppie di
opposizione alcuna meccanica sovrapposizione.
Amold Van Gennep, al quale ascriviamo il secondo filone, introduce un elemento interessante di analisi. Egli scrive nel 1943: “ciò che è diffuso tra il popolo, piace al popolo, ma può avere un’origine di corte, nobile, borghese: oppure provenire dalla letteratura, dalla musica, dalle arti plastiche superiori, o considerate come tali”. In sostanza, Van Gennep sostiene che non tutto nel popolare è spontaneo e creativo, ma è il frutto di un’azione discendente, di acculturazione dall’ alto, cioè di trasformazione culturale a seguito e a causa dell’incontro tra culture diverse, con prestigio e stabilità, forza e rapidità di adattamento diversi o, se si vuole, squilibrati. Ora, quello che va detto è che questi due filoni, per alcuni versi contrapposti e per altri complementari, risultano ancora oggi molto più utili per l’analisi della cultura e delle sue trasformazioni nelle società complesse contemporanee di quanto non lo siano le teorie di certa scolastica marxista degli anni Sessanta e Settanta sul rapporto tra cultura egemoniche e culture subalterne in una società stratificata.
Non v’è dubbio, infatti, che la lettura classista delle differenze culturali in termini meccanici risulta oggi inadeguata a cogliere la Complessità, l'ambiguità, la rapidità di trasformazione proprie del mondo alle soglie del Duemila.
Risulta, quindi, interessante, e per certi versi persino paradossale (ma piacevolmente paradossale). che Gramsci abbia precorso le posizioni di Saintyves e Van Gennep, che certamente non avevano letto le opere scritte nel carcere fascista, precorrendo e anticipando una temperie culturale che in Europa si affermerà soltanto alcuni decenni dopo la sua morte e che in Italia dovrà passare dallo scontro nella sinistra sulle posizione di Ernesto De Martino e tra il “contenutismo’ e il “formalismo” dell’arte.
La visione dinamica della cultura si coglie, per esempio, in un brano del suo Letteratura e vita nazionale: “Una divisione e distinzione dei canti popolari formulata da Ermolao Rubieri: 1) i canti composti dal popolo e per il popolo: 2) quelli composti per il popolo, ma non dal popolo: 4) quelli scritti né dal popolo né per il popolo, ma da questo adottati, perché conformi alla sua maniera di pensare e di sentire.
Mi pare che tutti i canti popolari -osserva Gramsci - si debbano ridurre a questa terza categoria, poiché ciò che contraddistingue il canto popolare. nel quadro di una nazione e della sua cultura, non è il fatto artistico. né l’origine storica, ma il suo modo di concepire il mondo e lavita, in contrasto con la società ufficiale”.
Se ben si comprende il pensiero di Gramsci, il termine “popolare’ e il concetto di popolare non indicano l’origine storica e la natura dell’elemento culturale, della sua forma e del suo contenuto, quindi non indicano l’appartenenza a un uno sociale, come categoria prevalente, modicano la sua funzione nell’intera società. Una funzione di contestazione, direbbe Lombardi Satriani, di come scrive testualmente Gramsci. In questa luce vanno lette le sollecitazioni che Gramsci fece a proposito di un cambiamento di prospettiva negli studi sul folklore. "ll folclore, - scrisse, " - non dev’essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma una cosa che è molto seria e da prendere sul serio,”. . E in altra occasione espresse l’esigenza di studiare il folklore come concezione del mondo e della vita, implicita in grande misura, di determinati strati (determinati nel tempo e nello spazio) della società, in contrapposizione ( anch'essa per lo più implicita, meccanica, oggettiva) con le concezioni del mondo ufficiali (o in senso più largo, delle parti colte della società storicamente deteminate ), che si sono successe nello sviluppo storico. Quindi lo stretto rapporto tra – folclore e senso comune che è il folclore filosofico... Il folclore può essere o solo come un riflesso delle condizioni di vita culturale del popolo, sebbene concezioni proprie del folclore si prolunghino anche dopo che le condizioni siano (o sembrino) modificate o diano luogo, a Combinazioni erronee".
Sul senso di questo passo gramsciano poche sono state le polemiche sorte negli anni Cinquanta e Sessanta e che hanno coinvolto intellettuali italiani di di rilievo, come Giarrizzo5. Lanternari, Binazzi, Lombardi Satriani.>In ogni caso, resta una certa contraddizione nel pensiero gramsciano, come abbiamo detto inizialmente, ma questa va riferita>esclusivamente alla personalità di Antonio Gramsci o alla natura dei Interessi scientifici, frutto di un certo eclettismo, ma anche alla materia>trattata, la della realtà culturale in una società stratìficata. Ambivalenze e persino ambiguità sono proprie della società complessa, nella>quale, contrariamente a quanto avveniva in società semplici, prive della scrittura e fondate sulla trasmissione orale della conoscenza, le>stratificazioni e differenziazioni interne sono elemento caratterizzante, parte integrante della sua esistenza e della sua dinamicità.>Allora accade che la cultura popolare appaia alternativamente, nel tempo e nello spazio, ora conservatrice e ora contestativa, in una con>traddizione solo apparente. Basterebbe oggi analizzare il concetto di “nazionale-popolare”, divenuto sinonimo di cultura narcotizzante di ogni>conflitto sociale e politico, e analizzato da Gramsci con significativi cambiamenti negli anni 1930-35, fino a teorizzare la positività di un>pubblico conflitto “nazione—popolo", il valore formativo dei sentimenti popolari vissuti come propri dagli artisti e dagli intellettuali. Forse,>sulla base di queste osservazioni, oggi Gramsci salverebbe le telenovelas e si mostrerebbe di fronte ai marescialli e ai brigadieri televisivi>meno schizzinoso di quanto non facciano gli intellettuali che, e qui sta il bello, parlano dagli stessi schermi televisivi.>Gramsci stesso affronta il problema delle contraddizioni. Nella produzione popolare vi è una dialettica tra imposizione e appropriazione. tra>acculturazione e diffusione, direbbero gli antropologi. Tale dialettica si complica per il fatto di avvenire dentro la stessa società e di subirne>quindi, le influenze nel corso della vicenda storica. infatti , con essa convivono contemporaneamente e sovrapposte, sopravvjvenze di>concezioni anteriori, forme espressive di origine dotta e aspetti specifici della cultura subalterna. Gramsci non nasconde nulla di quanto>può destare perplessità e dubbio e definisce questa miscela complessa “agglomerato indigesto”.>Aggiunge che le contraddizioni di questa situazione vengono colte sul pianostorico-politico dalla cultura dominante, che le coglie –
>attenzione- “non oggettivamente, ma dal proprio
punto di vista”.>E ciò spiegherebbe l’atteggiamento degli
intellettuali verso le telenovelas, agglomerato indigesto, frutto della
contraddizione tra il gusto>popolare e la produzione dell’arte
colta.>Invece, sostiene Gramsci, questa contraddizione non viene
colta proprio dai ceti portatori di essa. che vedono una>perfetta
sintonia tra i propri sentimenti, i propri valori e i contenuti
dell’arte e della cultura popolare, intesa come “modo di sentire”.
Vorrei ora>affrontare un altro punto molto moderno della riflessione
gramsciana sulla cultura popolare. Egli distingue il folklore passivo o
tradizionale>dal folklore attivo o progressivo, intendendo cogliere
così due funzioni opposte che esso può svolgere in una determinata fase
storica.>ipotizza anche una distinzione tra contenuti del folklore
degradati, cioè pervenuti per caduta dalla cultura colta, e originali,
nella quale>ovviamente le categorie di degradato e originale sono
variabili storicamente e non fisse. Nel 1976 Alberto Mario Cirese ritenne legittimo>ipotizzare quattro combinazioni:>• contenuti folklorici degradati, ma non progressivi> • contenuti folklorici degradati, ma non progressivi e contenuti folklorici originali, e>progressivi
>— e contenuti
folklorici originali e progressivi.>Nella situazione contemporanea a
noi sembra che la combinazione più interessante, cioè più aperta a
possibili comprensioni della realtà>complessa. sia la prima, proprio
quella che, solo apparentemente, sembra costituire il punto di maggiore
contraddizione: elementi del la>cultura dominante che discendono
nella cultura popolare e diventano oggettivamente elementi progressivi,
di trasformazione e rivoluzione>culturale.>Giuseppe Prestipino si è posto il problema del folklore moderno come progressivo> “Ciò accade - scrive-
quando elementi della cultura superiore sono fatti propri dalla cultura
subalterna per fini di "riforma intellettuale e>morale". Il
carattere degradato dei contenuti culturali in tal caso, non solo può
coesistere con un implicito progetto di riforma, ma>costituisce una
premessa di futura ricomposizione tra i due livelli culturali e in pari
tempo, di ulteriore affinamento del livello superiore".>in
definitiva. Gramsci, come studioso della cultura popolare può
costituire, ancora oggi, una moderna chiave di lettura di
profonde>contraddizioni del mondo d’oggi. Fenomeni come la politica
o spettacolo, i talk—show, le liti televisive tra mogli e mariti o
genitori e figli, la>spettacolarizzazione esasperata delle
discipline sportive. Ma anche il calo delle letture, persino dei
quotidiani, dovrebbero essere analizzati con la>strumentazione -
ovviamente aggiornata nelle tecniche e migliorata nelle metodo— logica
che già Gramsci aveva fornito. Va superata, per>esempio, l’ormai
inutile identificazione di folklore e cultura popolare con rurale e
contadino, che poteva avere senso ancora fino agli anni>Sessanta, ma
che non ne ha più oggi, dopo cento anni di emigrazione e quaranta di
televisione, nell’ epoca della scolarizzazione di>massa e della
globalizzazione dei processi di produzione materiale e
culturale.>Oggi. popolare assume più che nel passato il significato
di una categoria non classista, non geografica, non generazionale, non
ideologica,>ma sempre più legata a una weltanschauung, . a
una visione del mondo, ai modi di rapportarsi alla realtà nel suo
assieme che definiscono>un epoca storica. Intendiamo dire che il
rapporto tra gli intellettuali e la cultura popolare non può fermarsi
al dibattito, ormai esaurito, sul>valore della diversità e il
significato contestativo del folklore, ma deve calarsi nella melmosa
realtà del successo delle soap opera e delle>telenovelas, sul quale
non è sufficiente un giudizio estetico o politico, moralistico o
intellettualistico. Infatti. nonostante le distanze critiche>assunte
da tanti intellettuali, tanti altri lavoratori dell’intelletto si
applicano a produrre questi oggetti culturali del desiderio popolare.
Così>come avviene per la pubblicità, che
utilizza>scientificamente il meccanismo della acculturazione e dei
contenuti degradati, ma progressivi. E, per amor di patria, trascuriamo
il fatto che>in realtà questi prodotti culturali piacciono anche
agli intellettuali, come ironicamente e con grande senso
dell’autocritica ha evidenziato>Nanni Moretti nel suo Diario, quando
tratteggia il personaggio dell'intellettuale di sinistra che dichiara
continuamente di non sopportare i>serial americani e naturalmente,
di non averne mai visto uno. Ma al quarto giorno di isolamento
nell’isola di Alicudi, dove non esiste>l’energia elettrica e la
possibilità di vedere la televisione, aggredisce un gruppo di turisti
americani per farsi raccontare come sarebbe>andata a finire la
storia matrimoniale di Ridge in Beautiful, per poi precipitarsi
lungo le strette e ripide scale della splendida isola eoliana>alla
disperata ricerca di un battello che lo riportasse dinanzi a un
rassicurante e protettivo televisore.>Ma senza giungere ai paradossi
morettiani, sarebbe utile una riflessione seria e consapevole amiche su
queste realtà della cultura>popolare contemporanea. La telenovela è
un tipico prodotto culturale di contenuto degradato, costituito dalla
tecnica documentaria in video>elettronico, capace di dare tempi e
scansioni proprie del la narrativa analogica, quella propria delle
culture orali, con funzione progressiva.>La funzione progressiva
consiste nella virtualizzazione, e quindi, di fatto, nel superamento
culturale, del controllo sociale tradizionale,>volgarmente detto
pettegolezzo.>Quello delle soap opera è soltanto un esempio, scelto
provocatoriamente tra i meno difendibili, per significare quanto sia
necessaria una>nuova riflessione sui temi gramsciani: ruolo e
funzione degli intellettuali,>organicità o tradizionalità di essi,
responsabilità della produzione culturale, valore pedagogico della politica,
come mediazione tra un opera>di riforma morale e la saldezza del
senso comune. Forse, alla fine di un onesto percorso di ricerca,
potremmo ritrovare con tanti luoghi>comuni rovesciati, magari
smascherando certe sospette convergenze su questioni di fondo tra intellettuali di destra e di sinistra, delegando>tutta la cultura ufficiale italiana
al ruolo di conservazione e tutta la nuova frontiera del folklore
moderno, per dirla con Gramsci, al ruolo di>contestazione con
funzione rivoluzionario. Ma si tratta soltanto di una immaginaria
ipotesi, per di più stravagante.